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Autore: Serpentina    25/11/2020    1 recensioni
Londra, 2037
Il verdetto sulla morte di Aisling Carter, giudicata come tragico incidente, non convince Frida Weil, che nei misteri ci sguazza per passione e sospetta possa trattarsi di omicidio. Decide quindi di "ficcanasare", trascinando nella sua indagine non ufficiale William Wollestonecraft, forse perchè le piace più di quanto non voglia ammettere...
Un giallo con la nuova generazione dell'Irvingverse. 😉
Dal capitolo 5:
"–È vero che sei la figlia di Faith Irving, la patologa forense?
–Così è scritto sul mio certificato di nascita- fu la secca risposta di Frida, che storse il naso, a far intendere che quelle domande insulse la stavano indisponendo, e fece segno ad Andrew di risedersi.
–Ho voluto questo incontro perché, se ho ben capito, sostieni che tua madre abbia liquidato un po’ troppo frettolosamente la morte di mia sorella. Che razza di figlia non si fa scrupoli a sputtanare sua madre?
–Una dotata di un cervello funzionante. Meine liebe Mutter è fallace come qualunque essere umano, e i vincoli parentali sono nulla, in confronto al superiore interesse della giustizia. Ma non siamo qui per parlare di me. Se avete finito con le domande stupide, ne avrei una io. Una intelligente, tanto per cambiare: perché siete qui?"
Genere: Mistero, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Vi anticipo che questo capitolo, nonostante la musica che mi ha ispirata, sarà un po’ meno movimentato e più “Frida-centrico”. Una pausa nelle indagini per fare una gita nella mente della nostra (spero) Weil preferita. Buona lettura!
 
L’ascesa di Zelda
 
“Ognuno di noi è una luna: ha un lato oscuro che non mostra mai a nessuno”.
Mark Twain
 
Franz Weil era un uomo serioso e severo, ma non cattivo o anaffettivo verso la figlia. È vero, all’inizio aveva rigettato l’idea di diventare padre, arrivando al punto di lasciare la sua compagna ad affrontare da sola buona parte della gravidanza; alla fine, però, era tornato sui propri passi, scegliendo di lanciarsi insieme a lei nell’avventura della genitorialità.
Inconsapevolmente, aveva applicato all’educazione di Frida i medesimi principi con i quali suo padre - un padre assente e poco amato - aveva cresciuto lui e il fratello Alexander: sebbene l’istinto gli suggerisse di tenere la sua geliebte Fröschlein lontano dal marciume del mondo, sapeva che, così facendo, non l’avrebbe resa una donna forte e indipendente, capace di cavarsela da sola e farsi rispettare, come invece era suo desiderio. Perciò, talvolta scontrandosi con Faith, non aveva esitato a gettare sua figlia nella fossa dei leoni… armata di tutto punto, naturalmente.
Difatti, quando Frida, alla tenera età di sei anni, gli aveva confidato di sentirsi inutile perché non era riuscita a fermare i bulli che avevano preso di mira lei e il suo amico Nathaniel, invece di avallare il consiglio materno di rendersi impermeabile alle provocazioni e/o ricercare una soluzione pacifica, le aveva chiesto se le sarebbe piaciuto imparare un’arte marziale.
La bambina, una volta compreso cosa fossero le arti marziali, aveva trillato estasiata che non vedeva l’ora di cominciare. La disapprovazione di Faith, poco propensa a farle praticare sin da piccola discipline di lotta, aveva contribuito a rafforzare la sua determinazione.
–Non voglio che nostra figlia di sei anni torni a casa due giorni a settimana coperta di lividi! È chiedere troppo?
La risposta Franz all’apprensione della sua compagna era stata una sonora risata. Ovviamente, non le aveva dato ascolto, e aveva iscritto Frida al corso serale di kung-fu nella palestra che frequentava dopo il lavoro, in modo da poterla tenere d’occhio.
Al termine della prima lezione, aveva dispensato alla pargola tutto l’amore paterno che era riuscito a condensare in un abbraccio, e una perla di saggezza che l’avrebbe accompagnata negli anni a venire.
–Sono fiero di te, Fröschlein. Ti voglio capace non solo di difenderti, ma anche di attaccare. In giro ci sono tanti Dummköpfe che trovano gusto nel prevaricare gli altri; alcuni di loro si sentiranno ancor più in diritto di farti sentire inerme e insignificante perché sei femmina, che nelle loro teste bacate è sinonimo di inferiore. Voglio che tu sia in grado di rendergli il favore… e, magari, dargli pure il resto.
Non sapeva di aver creato un mostro.
 
***
 
Nathaniel Jefferson-Keynes era l’avversario ideale; non faceva sconti a nessuno e, con la sua sbruffonaggine, motivava a dare il meglio di sé, tramutando la brama di vittoria in una vera e propria missione: cancellargli dalla faccia quell’irritante sorrisetto compiaciuto.
Peccato non fosse una missione facile.
–Ops, mancato! Mancato ancora! Coraggio, tigre, sai fare di meglio!
La destinataria di quelle frecciatine ringhiò la propria frustrazione e, asciugato il sudore che le imperlava la fronte, sferrò l’ennesimo calcio a vuoto. Nate si scostò appena in tempo, le bloccò la gamba e, per la prima volta dall’inizio del match, contrattaccò, mandandola a sbattere di schiena contro la dura superficie del ring. Frida ricambiò subito il favore colpendolo su entrambi i tendini di Achille - mossa semplice, ma efficace - e sorrise di gioia vendicativa nel sentirlo uggiolare di dolore e vederlo perdere l’equilibrio, finendo col cadere a poca distanza da lei.
Mentre entrambi si rimettevano in piedi, la Weil si pentì di averlo sottovalutato. Dovette ammettere, a malincuore, che l’amico - momentaneamente avversario - le stava dando del filo da torcere. Anche per merito della sua struttura fisica, la batteva di gran lunga in agilità, schivando ogni attacco con una rapidità che lei non avrebbe mai potuto eguagliare.
Non che lo desiderasse: le era stato insegnato, sin dal primo giorno, ad adottare uno stile di combattimento a lei congeniale, in modo da renderlo “parte integrante del suo essere” e, di conseguenza, mantenere più facilmente la padronanza di sé in situazioni di emergenza. E così aveva fatto. A dispetto delle apparenze, Frida celava una bestia carnivora, dietro la cortina di compostezza e perfezionismo quasi maniacale: i suoi movimenti, benché non privi di una certa fluidità, erano connotati principalmente da potenza e violenza, ai limiti della brutalità; erano, in altre parole, finalizzati all’abbattimento della preda.
Nate, oltremodo sicuro di sé, si soffermò a deriderla. Un errore che avrebbe pagato caro.
–Batterti sarà più facile del previsto… oltre che un vero piacere!
–Parli così perché sono una ragazza!
–Frida, sono amico tuo da prima che entrambi imparassimo a parlare. Potrei mai pensare che le ragazze siano deboli? Ti batterò perché sono migliore di te.
Aveva a malapena finito la frase, che un pugno lo colpì dritto sugli incisivi (per sua fortuna, indossava le protezioni del caso), mettendolo al tappeto. In un nanosecondo lei gli fu sopra e lo bloccò sul pavimento.
Neanche di fronte alla sconfitta Nate perse la sua inguaribile sfrontatezza: sbuffò una risatina ed esclamò –Per quanto adori avere una bella ragazza sopra di me, ho promesso a Kim l’esclusiva!
Frida, per tutta risposta, gli tirò un altro pugno; poi, dopo essere stata dichiarata vincitrice dell’incontro - ricevendo in premio uno dei rari sorrisi di Naoko, la loro istruttrice - lo aiutò ad alzarsi, complimentandosi sportivamente con lui.
–Bella prova, Natie! Sei stato un degno avversario.
–Grazie. Tu, invece, sei stata la solita tigre. Nick Hunter e Kitara Graves ti spicciano casa!- si tastò il labbro, sanguinante e tumefatto, e aggiunse –Un quarto d’ora di tapis roulant per rilassarci, o sei troppo stanca?
–Ce ne vorrebbero due di te per stancarmi- si vantò la Weil, per poi curvare le labbra in una smorfia divertita. –Muoviti, pretendo una postazione con vista piscina!
Nathaniel non capì il motivo dell’ostinazione dell’amica nell’accaparrarsi una visuale sulla piscina sottostante finché non scorse una figura familiare, coperta soltanto da un anonimo costume nero e una cuffia dello stesso colore, tuffarsi in acqua.
–Tanto rumore per vedere l’abitante delle colonie in mutande? Bastava chiedere: quello non aspetta altro!
La Weil manifestò il proprio sdegno allargando le narici e serrando le mascelle, e incrementò la velocità della corsa.
–Non dire scemenze!- sibilò, una volta fatta evaporare la rabbia insieme al sudore. –Liam sentiva la mancanza delle nuotate nel fiume Mo… longio? Mongolo? Boh, qualcosa del genere. Così gli ho offerto un sostituto. Tutto qui. Il Tamigi è impraticabile: troppo trafficato- spiegò in tono pratico.
Lui non si scompose; scrollò le spalle e rallentò la velocità della corsa quel tanto che bastava a replicare, indicandosi –Fossi in te, darei retta al tuo migliore amico, il quale, dopo aver osservato il comportamento di un altro maschio suo coetaneo, ti sta dicendo che quello vuole farcirti come un pudding di Natale.
–Gli stupidi parlano di se stessi in terza persona- replicò freddamente Frida, nel tentativo di sviare la discussione. –Non costringermi a perdere la stima che ho di te. E, per piacere, limita le volgarità, mi irritano.
–Signore e signori, ecco a voi la fantasmagorica trasformazione in struzzo di Frida Weil, che tenta di infilare la testa sotto terra! Un applauso per questo mirabolante numero di magia!
La ragazza gli chiese, con voce resa ansante dalla corsa –Nate, sei geloso, per caso?
–Tu sei mia sorella e io tuo fratello. Perciò no, non sono geloso, piuttosto… protettivo, come Kevin con Kim-  rispose lui, senza staccare gli occhi da William, che nel frattempo stava percorrendo a ritroso la vasca in stile libero. –Non ho problemi se ti fai l’abitante delle colonie perché ti piace - anche se, personalmente, lo ritengo una testa di cazzo - mi preoccupa che possa farlo per i motivi sbagliati, tipo toglierti dalla testa AJ, o… liberarti della zavorra, se capisci cosa intendo. So che suona strano, detto da me, ma la zavorra va sganciata al momento giusto e con la persona giusta. Non a caso, Kim è la mia prima ragazza.  
–Non ho bisogno di protezione, neanche da me stessa. E, per l’ennesima volta: limita le volgarità.
Jamais! La volgarità è il profumo della vita! E continuerò a vegliare su di te, non perché ti considero una principessina inetta, ma perché ti voglio bene.
Frida si sporse verso di lui per dargli un bacio sudaticcio sulla guancia.
–Anch’io ti voglio un mondo di bene, fratello non di sangue!
La parte “cazzara” dell’animo di Nathaniel decise che era giunto il momento di smorzare tutta quella melensaggine caria-denti con un commento fuori luogo dei suoi.
–Comunque, sono abbastanza uomo da ammettere che il colonico in costume fa la sua figura. Me l’aspettavo meno piazzato!
William, poggiato a bordo vasca, dovette sentirsi osservato, perché tolse gli occhialini e sollevò il capo verso la vetrata della sala attrezzi. Accortosi di Nate e Frida, ignorò deliberatamente il primo, mentre alla seconda rivolse un sorriso radioso e una maliziosa strizzata d’occhio, infine, prima di reimmergersi, le soffiò un bacio. La ragazza reagì con compostezza e maturità, pavoneggiandosi in una serie di acrobazie sul tapis roulant, che si conclusero con un disastroso scivolone sul pavimento.
–Credo di essermi allenata a sufficienza, per oggi- esalò, prima di trascinarsi nello spogliatoio.
Mentre si spogliava, in beata solitudine, sorrise alla ragazza nello specchio. Tutto di lei comunicava la sua indole selvaggia: dalle ciocche ribelli che fuoriuscivano dalla treccia mezza disfatta alle gote, colorate di rosso ciliegia; dal sorriso maliziosamente beffardo allo sguardo, illuminato di una folle determinazione.
–Ti sei battuta bene, Zelda- le disse Frida –Ma è ora che torni a cuccia.
 
***
 
Frida aveva preso coscienza del suo lato oscuro all’età di otto anni. Col tempo, era arrivata a dargli un nome - il suo odiato secondo nome, Zelda - in un vano tentativo di razionalizzarlo.
Zelda era sorta in tutta la sua potenza in seguito alle provocazioni di alcuni bulletti, i quali avevano osato infastidire lei e Nate a pranzo, tirandogli addosso il cibo mentre lo subissavano di insulti omofobi, chiaramente introitati dai quei “trogloditi di merda” (espressione usata da sua madre quando parlava con Demon e Jeff, i padri di Nate, credendo di non essere udita) dei loro genitori.
Frida non riusciva a credere che nel 2028 potessero esistere ancora persone dalla mentalità tanto ristretta, né tantomeno che in una società civile fosse loro concesso di esprimere liberamente le loro idee discriminatorie.
“Qualcuno dovrebbe zittirli, per il bene di tutti”, aveva pensato. Qualche anno dopo avrebbe appreso, da un ragazzo di nome William venuto dall’Australia, che il filosofo Karl Popper aveva trattato lo stesso concetto, con un linguaggio decisamente più aulico, definendolo “il paradosso della tolleranza”.
Man mano che quei decerebrati blateravano, le mani avevano cominciato a pruderle sempre più, in un tacito invito ad usarle per zittirli. Si era sentita preda di un’inspiegabile frenesia, un’urgenza, un bisogno irrefrenabile di picchiarli, ma aveva provato a resistere alla tentazione di inculcare in quelle teste di rapa un po’ di educazione a suon di pugni, esortando anche Nate a ignorarli: innanzitutto perché erano più grossi di loro, e poi per non dare loro la soddisfazione di sapere che quelle becere provocazioni avevano sortito l’effetto sperato.
Avrebbe battuto in ritirata per consolare l’amico in lacrime, dopo averli mandati al diavolo, se uno di quegli scimmioni non avesse pronunciato la frase che l’aveva fatta traboccare.
–Guardate, Jefferson piange. È una femmina! Gnè gnè, femminucce!
Frida non ci aveva visto più e, pervasa da una forza oscura e assetata di sangue, aveva tirato un pugno con tale violenza da far barcollare il bulletto, che era finito con l’incespicare nei propri piedi e cadere sul pavimento, tra gli sguardi attoniti e le risate degli altri bambini. Avrebbe potuto limitarsi a deriderlo, invece aveva approfittato di quella momentanea posizione di vantaggio per avventarsi su di lui e colpirlo ancora, e ancora, mentre i tirapiedi la fissavano spaventati, incapaci di muovere un muscolo.
Si era resa conto di stare ancora colpendolo quando Nate le aveva stretto una spalla, mormorando –Può bastare. Credo che non ci romperanno più le scatole, d’ora in poi.
I compari del bullo, senza staccare gli occhi dalla piccola Weil, avevano annuito, prima di dileguarsi.
Frida, dal canto suo, non appena aveva realizzato di avere le mani macchiate di sangue, era corsa in bagno. Un altro, nella stessa situazione, sarebbe scoppiato a piangere, avrebbe urlato, o battuto i pugni contro il muro; lei no: dopo aver lavato con meticolosità quasi ritualistica il viso e le mani, aveva sospirato di sollievo nel vederle di nuovo linde, poi aveva chiesto alla bambina nello specchio –Ho fatto la cosa giusta, vero?
La bambina nello specchio le aveva rivolto un sorriso condiscendente che, invece di confortarla, aveva terrorizzato Frida, impaurita da ciò che, evidentemente, riusciva a fare quando perdeva il controllo.
Da quel giorno lei e Nate, da semplici amici, erano diventati come fratelli, e Zelda era entrata di prepotenza nella sua vita.
Frida aveva giurato che non l’avrebbe più lasciata uscire allo scoperto, salvo poi constatare che era impossibile reprimerla del tutto. Zelda era un fuoco perenne sotto la cenere, il suo “stato di natura”, il suo Es, quella parte istintiva e indomabile che di tanto in tanto esplodeva con la potenza del Vesuvio nel 79 d.C., spingendola ad atti inconsulti - ad esempio, limonare con Bryce per impratichirsi in vista di futuri scambi di fluido salivare con Aidan - dei quali il suo Io inevitabilmente si rammaricava; era la parte di lei che agognava di menare le mani, tanto da farle sperare, quando tornava a casa da sola di notte, di essere oggetto di attenzioni non gradite da parte di qualche delinquente, solo per avere occasione di pestarlo.
Alla fine aveva ceduto, accordandole una valvola di sfogo: il duro allenamento fisico. Aveva sperimentato varie discipline, inclusa la danza, prima di dedicarsi al bartitsu, un misto di ju-jitsu, boxe e altri stili di combattimento, che insegnava a battersi efficacemente nella vita di tutti i giorni utilizzando come armi oggetti quotidiani e, ovviamente, giocando sporco (tranne che negli incontri tra allievi del corso, nei quali vigevano alcune norme basilari, quali il divieto di graffiare l’avversario o colpirlo ai genitali). Quando era sul ring poteva lasciare Zelda a briglia sciolta, per poi rimetterla al guinzaglio in un secondo momento, durante la doccia post-allenamento.
Prima di uscire dallo spogliatoio, controllò di essere in ordine e, per ragioni ignote persino a lei, decise di sciogliere i capelli, lasciandoli ricadere sulle spalle come una colata d’inchiostro.
Trovò ad attenderla pazientemente Nathaniel, e i due si incamminarono abbracciati verso la metropolitana. All’improvviso, una voce squillante squarciò il silenzio di quella tranquilla sera autunnale.
–Natie, tesoro!
Nathaniel si staccò subito da Frida, che invece non si mosse di un millimetro, finché l’espressione omicida di Kimberly non la persuase a mettere qualche centimetro di distanza tra lei e Nate. La occhieggiò con educata perplessità: non capiva perché la loro intimità le desse così fastidio, né tantomeno perché stesse cercando di farla sentire in colpa per un gesto innocente: Nate era, per lei, un fratello nato da genitori diversi; cosa poteva esserci di male nell’abbracciarlo koalescamente?
Avendo subodorato una brutta aria, Nathaniel corse a salutare - e tranquillizzare - la sua ragazza con un bacio poco casto, che fece stralunare gli occhi alla Weil, contraria ad effusioni eccessivamente plateali in pubblico.
–Cosa ci fai qui, Kimmy? Vestita così, poi. Sei uno schianto!
–Ho pensato di farti una sorpresa. È tanto che non ceniamo insieme, ti va? Io e te da soli. Sempre che tu non abbia altri impegni.
Frida intuì che quella era la sua battuta d’uscita. Si congedò dalla coppia felice e tornò dentro la palestra ad aspettare che William uscisse dall’acqua. Aveva bisogno di parlare con qualcuno, o sarebbe esplosa.  
 
***
 
–Problemi in paradiso, Weil?- chiese William mentre prendeva posto in mensa, corroso internamente dal senso di colpa: aveva infatti notato che, da qualche giorno, la sua socia aveva preso le distanze dal resto della “gang” - in particolare Nathaniel - e temeva di essere lui la causa.  
–Certo che no!- mentì lei. –Perché?
–Semplice- rispose, indicando il trio dal lato opposto della lunga tavolata. –Tu sei qui e loro… lì. È chiaro che qualcosa non va.
Frida emise un lungo e mesto sospiro, e pigolò –Nate non va. Secondo lui - e Kev - siamo troppo appiccicati, il che rende il nostro rapporto “fraintendibile”, specialmente da Kimmy, che si sente minacciata dalla mia intelligenza e dal mio charme… oh, e dalle mie tette, a quanto pare.
Contrariamente all’atteso, William non cercò di confortarla; impallidì, strabuzzò gli occhi, aprì e richiuse la bocca un paio di volte, infine esalò –Oh, merda!
Avuta conferma dei suoi sospetti, Zelda tornò alla ribalta per sistemare la faccenda a modo suo. Balzò in piedi, battendo i pugni sul tavolo, lo afferrò per la cravatta e ruggì –Lo sapevo che c’era il tuo zampino, du dreckiges Stück Scheiße1! Nate e Kev non avrebbero mai concepito da soli ganzen Scheißideen2, soprattutto non sulle mie tette! Hai rovinato un’amicizia lunga diciassette anni, du Arschloch! È ora di saldare il conto.
L’australiano, di fronte a quella forza della natura, rimase immobile, inerme e privato dell’ossigeno.
–Aiuto… s-soffoco…
La provvidenziale comparsa del preside lo salvò dall’ira funesta della Weil, che gli scoccò un’occhiata sprezzante, prima di riprendere posto e azzannare il suo pasto con una ferocia degna di Grendel.
William, però, non avrebbe tollerato in silenzio quella che, a conti fatti, era una vera e propria aggressione.
“Tira fuori il tuo 50% di geni inglesi, Will! Contegno e coraggio!”
–Mi piace il tuo lato dionisiaco, Weil, ma devi imparare a controllarlo. Se mi avessi strangolato, mio padre avvocato ti avrebbe spedita a marcire in galera per il resto dei tuoi giorni.
–Ne dubito: innanzitutto, non sono così stupida da ucciderti al cospetto di decine di testimoni; inoltre mia madre, medico legale, avrebbe fatto passare la tua prematura dipartita per un tragico incidente. Uno shock anafilattico, magari, così tuo padre avrebbe potuto elaborare il lutto facendo causa a quel bigotto pisquano di Quirke!- i due presero a fissarsi con astio via via minore, finchè non scoppiarono a ridere. Dopo una rapida quanto attenta riflessione, Frida pensò fosse il caso di scusarsi. –Ehi, mi… dispiace, per prima. Non so cosa mi sia preso. Tendo ad avere reazioni un po’ esagerate, a volte.
–Un po’ esagerate, l’ossimoro dell’anno! Tranquilla: io sono vivo e tu non andrai in galera. Nessun danno permanente, e, bonus, ho imparato una preziosa lezione: se ti provoco, è a mio rischio e pericolo. In parte hai ragione tu, non avrei dovuto immischiarmi, ma Kim e J.K. erano talmente depressi da muovermi a compassione: per qualche strana ragione si amano, sebbene siano pessimamente assortiti, e nessuno dei due vuole accettare la verità che prima o poi scoppieranno.
Frida si morse le labbra, prima quello superiore, poi l’inferiore: malgrado la sua parte razionale avesse intuito che la coppia Nathaniel-Kimberly non era destinata a superare la prova del tempo, il suo io romantico e sognatore desiderava per loro un lieto fine, a riprova della capacità di due opposti di attrarsi e resistere alle intemperie della vita.
–Quale superiore conoscenza del mondo ti permette di formulare questa asserzione?- sbuffò, infine.
–Non serve essere un genio per capire che quei due sono come l’acqua e l’olio- rispose l’altro, scrollando le spalle. –Volevo evitare che l’inevitabile accadesse a causa tua: conoscendoti, so quanto ne avresti sofferto. In un certo senso, ti ho fatto un favore.
–Un favore? I miei amici non mi rivolgono più la parola!- sibilò a denti stretti Frida.
–Rivolgigliela tu, allora. Fa’ loro “un’offerta che non potranno rifiutare”- ribatté William, imitando l’accento e le pose di Vito Corleone. Frida, cresciuta con tutt’altro genere di film, non colse la citazione; si limitò ad aggrottare la fronte, perplessa. –Vedrai che tornerai magicamente nelle loro grazie. Coraggio, Weil, consegna gli inviti per quella stupida festa.
 
***
 
Capì che Frida si era riappacificata con i suoi amichetti prediletti quando la vide sedersi di fianco a Kevin e fargli cenno di unirsi a loro. Capì inoltre che, se la componente maschile della gang aveva sotterrato l’ascia di guerra, quella femminile era ancora armata: Kimberly lo salutò con fare seducente, invitandolo a sedersi accanto a lei (con sommo disappunto di Nathaniel), e celiò –Arrivi giusto in tempo, Will: Frida stava proponendo costumi coordinati, per Halloween, in tema con la sua serie preferita- non sapendo cosa dire, l’australiano scelse il silenzio. –Che c’è? Sei rimasto senza parole perché non immaginavi che la nostra Sherlock Weil potesse interessarsi a qualcosa di futile come una serie televisiva? Ti verrà un infarto, allora, appena scoprirai qual è: nientepopodimeno che… “Night Hunter”!
William si lasciò sfuggire una mezza risata: le avventure dei cacciatori di demoni - e amanti sfortunati - Nick Hunter e Kitara Graves era il suo guilty pleasure, un segreto da custodire gelosamente; adorava quella serie così volutamente trash, ma mai e poi mai avrebbe creduto che potesse appassionare anche un tipo razionale come la Weil. Il divertimento misto a incredulità durò poco: gli bastò scorgere l’espressione ferita della ragazza, palesemente convinta che la stesse giudicando e avrebbe riso di lei da un momento all’altro, per sentirsi più stronzo di una merdina da marciapiede calpestata a ripetizione. Sapeva bene cosa si provava ad essere malvisti per le proprie passioni, lo aveva vissuto sulla propria pelle in Australia e, proprio per questo, non lo avrebbe mai fatto, non a lei.
Attese qualche secondo, per il gusto di tenerla sulle spine, prima di aprirsi in un sorriso luminoso e chiederle –Nickitara o Carlitara?- notò del genuino stupore attraversare quegli occhi di ghiaccio, ma fu questione di millesimi di secondo; tempo un battito di ciglia, e la consueta espressione guardinga era di nuovo al suo posto. Quella reazione estemporanea, tuttavia, lo incoraggiò ad aggiungere, in tono scherzoso –Ti avverto: se shippi Carlitara, io e te potremmo avere grossi problemi!
Con enorme sorpresa sua e degli altri presenti, Frida lo abbracciò con tale slancio da farlo barcollare. Riuscì, nemmeno lui seppe come, a mantenersi saldo sulla panca, e ricambiò la stretta stritolante. Da quel che gli era stato dato capire, la Weil non era tipo da baci e abbracci; il supporto che le aveva appena mostrato davanti ai suoi amici doveva significare molto, per lei.
Si staccò da lui poco dopo e, sforandosi di recuperare il solito contegno da regina delle nevi, rispose –Certo che shippo Nickitara! Ti pare che potrei tollerare l’idea di Kit insieme a quel cane pulcioso?
–Non definirei “cane pulcioso” un sexy licantropo quasi sempre mezzo nudo!- intervenne Kimberly, bellamente ignorata dagli altri due, lanciatissimi in un’accesa discussione sui momenti migliori della loro coppia del cuore, che speravano di vedere definitivamente riunita nella prossima stagione. –Io e le mie follower abbiamo boicottato la serie quando i produttori hanno deciso di vestirlo!
–E i produttori hanno ricevuto il messaggio forte e chiaro, sorellina: siamo alla quarta stagione! Nessuno shippa i Lucaphine, a parte me? Che palle!- gnaulò Kevin, fan sfegatato della coppia sin dal loro primo incontro. –Cosa c’è di più bello di un amore tormentato, che non può sbocciare perché ostacolato da una maledizione? Provate a immaginare di amare qualcuno e non poterlo toccare, perché incenerite tutto ciò che sfiora la vostra pelle! Cioè, dai! Poveri Luc e Seraphine, non possono neppure baciarsi! Ogni volta che quei due si guardano lo sai, lo percepisci che vorrebbero saltarsi addosso, ma non possono. È … semplicemente pazzesco!
–Sicuro di essere nato maschio, fratello?- lo schernì Kimberly, ricevendo in risposta un’eloquente alzata di dito medio.
Ogni tentativo di troncare sul nascere la lite tra i gemelli fu vano, e alla fine della discussione si ritrovarono tutti con un personaggio assegnato… e un’emicrania.
 
***
 
Non sapeva spiegarsi perché si fosse auto-invitato da Frida; semplicemente, aveva dato aria alla bocca senza prima collegarla al cervello. La Weil, faticando a nascondere un ingiustificato compiacimento, non aveva battuto ciglio e, da perfetta padrona di casa, dopo aver fatto accomodare William e avergli offerto tè e tramezzini, lo aveva condotto nella sua camera, il suo sancta sanctorum, la sua oasi di pace.
Quella stanza lo aveva lasciato letteralmente di stucco: se l’era immaginata vecchio stile, con pareti e mobilio dalle tinte pastello, uno specchio a figura intera in un angolo e una scrivania disgustosamente ordinata sotto la finestra; invece era moderna, disseminata di libri e più disordinata di quanto avrebbe creduto possibile, considerata la sua occupante. La tipica stanza di un’adolescente. Aveva indovinato soltanto la predominanza di colori pastello: tutto, dalle pareti - tappezzate di poster e quadri - ai mobili, era nei toni del blu (colore preferito di Frida), computer incluso.
Wilkommen in meinem Wunderzimmer. Oh, scusa, dimentico sempre che non parli tedesco. Benvenuto nella mia camera delle meraviglie. Non per metterti a disagio, ma, ecco… sei il primo ragazzo che faccio entrare qui. A parte Nate e Kev, natürlich. E i miei cugini.
–Quale onore! Devo profondermi in un inchino, o basta la mia sincera gratitudine?- aveva ridacchiato, per poi ululare di dolore: il gatto dei Weil, Moriarty, che mal tollerava di non essere al centro dell’attenzione, aveva pensato bene di tornare sotto i riflettori tentando la scalata della sua gamba destra.
Frida era intervenuta prontamente, ma ogni tentativo di staccare il gatto aveva solo peggiorato la situazione, inducendolo a conficcare gli artigli più in profondità.
Al povero William non era rimasto che mordersi una mano, sperando che la belva si stancasse in fretta, e sedersi alla scrivania, tattica rivelatasi vincente: tempo due minuti e Moriarty gli si era acciambellato placidamente in grembo, facendo le fusa.
–Gli piaci! Non l’avrei mai detto!- aveva esclamato Frida. –Nel senso… siccome hai un cane, ero convinta che avrebbe sentito l’odore e … lascia perdere. Meglio così. Al povero Nate, invece, soffia sempre.
Approfittando di un attimo di distrazione della Weil, si era chinato per sussurrare al gatto –Bravo, micio, soffia a quell’antipatico!
Il duo, più Moriarty, aveva quindi dato inizio a una proficua sessione di studio. Erano nel mezzo di una sfilza di reazioni chimiche da bilanciare, quando la Weil ricevette un messaggio; lo aprì e la voce di Kevin, incazzato nero, echeggiò nella stanza.
–Di’ addio al nostro solito venerdì sera a base di tv e dolcetti: quella figlia di put… ah, no, aspetta, abbiamo la stessa madre. Cazzo! Ok, ricomincio: quella grandissima cogliona di mia sorella- Frida borbottò qualcosa a proposito di volgarità gratuite, ma William non ci badò. –Ha risposto a nostra madre, che le aveva chiesto cosa facciamo di tanto speciale ogni santo venerdì: “Quello che fanno tutti i teenager: scoliamo superalcolici direttamente dalla bottiglia mentre guardiamo un porno”! Cioè, dico, ti rendi conto? Come le è saltato in mente di dire una cosa del genere? A nostra madre! Non sono riuscito a convincerla stesse scherzando, e adesso siamo reclusi in camera in punizione per non si sa cosa!
William deglutì a vuoto, sconcertato.
–Perché, da come l’ha detto, sembra che Kimberly non stesse scherzando? E poi… davvero la madre li ha presi sul serio? La mia mi avrebbe riso in faccia!
–Non conosci Abby: è adorabile, ma tragicamente priva di senso dell’umorismo, oltre che fastidiosamente puritana- celiò Frida; mise a tacere l’australiano con un aggraziato cenno della mano, e aggiunse –So cosa stai per dirmi: che sono una puritana anch’io. Può darsi, però io, a differenza di Abby, non rompo le scatole al prossimo affinché abbracci la mia linea di pensiero.
–Devo riconoscertelo: sei una puritana che non rompe le palle- concesse. –Allora, cos’è questa storia dei venerdì sera selvaggi a base di alcool a fiumi e porno?
–Ti rode di non essere stato invitato, Liam?- lo schernì Frida, sorniona. –Lo avrei fatto, ma non ne ho avuto occasione. Comunque, non è niente di che: ci riuniamo per guardare insieme “Night Hunter” e, a seguire, D&D, “Decoro e Desiderio”, la trasposizione delle fantasie erotiche di Jane Austen. Adesso che conosci il nostro segreto, ti pregherei di essere discreto: non c’è bisogno che i nostri genitori lo sappiano. La maggior parte degli adulti ha il difetto di operare un’amnesia selettiva delle cavolate di gioventù: persino chi ha combinato le peggiori nefandezze si scandalizza se i suoi pargoli, supposti casti e puri, deragliano dai binari di castità e purezza!
William la fissò a bocca aperta, incerto su cosa dire: quando gli capitava di pensare a Frida - piuttosto spesso, ultimamente - la immaginava in posizioni da far arrossire i pornodivi della vecchia scuola; eppure, non riusciva a figurarsela guardare serenamente e senza imbarazzi un film a luci rosse. Naturalmente, non riuscì a tenere per sé quel pensiero.
La disarmante replica di Frida lo sconcertò.
–Il fatto che voglia aspettare la persona giusta per quello non significa che mi faccia schifo; tutt’altro: quando arriverà il momento, voglio fare bella figura!
“Fa sul serio?”, pensò William. “Non può fare sul serio! Entità superiore in cui non credo, ti prego, mandami un segno che non fa sul serio!”
Infilò una mano sotto la camicia e cercò grattar via la punta di fastidio in regione sternale provocatagli dal pensiero che la persona giusta per “quello” nell’immaginario di Frida continuasse a essere “quella sottospecie di Ken pene-munito” di Aidan James Cartridge.  
–Tralasciando la tua discutibile scelta della “persona giusta” da cui farti traforare - sai a chi mi riferisco - per tua informazione, Weil, i porno non sono esattamente filmini didattici. 
–Sei volgare e inopportuno. Trovo i porno sufficientemente didattici: i miei non mi hanno mai rifilato ridicole storielle su cicogne, cavoli o api per spiegarmi come nascono i bambini, e mi hanno spiegato nel dettaglio i mezzi di contraccezione e prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili. Dopotutto, sono medici, qualcosina sull’argomento la sanno. Questo, però, non significa che andrei tranquillamente da mia madre a chiederle come si fa un pompino o robe del genere. Inoltre, per tua informazione, non ho intenzione di lasciarmi “traforare” come il fianco di una montagna; nei miei progetti rientra fare l’amore col mio ragazzo, quando ne avrò uno.
–La meccanica è la stessa- ridacchiò William.
Se Frida, per quieto vivere, avrebbe incassato l’affronto senza ribattere, Zelda assolutamente no: si irrigidì sulla sedia, tirò in su il naso e sibilò, furente –Va’ a farti fottere!
–Ottimo consiglio, lo seguirò alla prima occasione- rispose lui, determinato a non dargliela vinta. –Mi troverò una ragazza da portare alla festa di Halloween!
Wage es nicht, du Schwanzlutscher!”3, pensò Frida; tuttavia, le parole che uscirono dalla sua bocca furono ben diverse.
–Liberissimo! Trapana chi ti pare!
–Sicura? Ho la tua benedizione?
–Ama e fa’ ciò che vuoi.
Anche William pensò qualcosa di molto diverso da ciò che disse.
“Sì, sì, ci credo proprio! Weil, fai pena come attrice!”
–Ah, però! Citi Sant’Agostino d’Ippona: si vede che fai sul serio! Comunque, ad essere pignoli, ho detto di voler andare alla festa con una ragazza, senza specifiche. Potresti benissimo essere tu.
Senza distogliere lo sguardo dal libro, Frida mormorò –Dici così perché ti faccio pena. “Povera sfigata, illusa e delusa, merita un atto di carità”. No, grazie: ho ancora una dignità.
–Non mi fai pena- replicò William, per poi prenderle una mano tra le sue e aggiungere –Mi piace passare del tempo con te, è tanto difficile da credere?
Il consueto pallore della Weil si chiazzò di rosa, e, superata un’iniziale esitazione, la ragazza dovette ammettere che no, non era difficile da credere.
–Formiamo una bella squadra, socio- disse, accorgendosi solo in quel momento di quanto i loro visi fossero vicini. –Perché mi guardi così?
–Così come?
–Così.
Frida si chiese se stesse davvero per baciarla, o se invece, come con Aidan, avesse semplicemente interpretato male il linguaggio non verbale; si chiese, poi, come comportarsi: una parte di lei, quella razionale e prudente, spingeva per mantenere le distanze, mentre quello che lo stesso William aveva chiamato il suo lato dionisiaco, Zelda, pressava a che si lasciasse andare.
“Santo cielo, ragazza, dai sfogo agli ormoni, per una volta! Non potrà essere peggio di quell’imbranato di Midget, che sembrava volesse infilarti in bocca un polpo vivo!”
William, che effettivamente sperava di cogliere la palla al balzo e tramutare i suoi sogni in realtà (perlomeno la parte iniziale), nell’udire lo scatto della serratura della porta d’ingresso, emise un sospiro di esasperazione e mimò il gesto di mordersi le mani, tanta la frustrazione per aver perso l’attimo fuggente; Frida, che gli dava le spalle, non se ne accorse.
Hallo, Mutti. Non dovresti essere a cena da Abby e Ben, stasera?
–Ciao, tesoro. Hai detto bene: dovrei. Sono in ritardissimo, cazzarola! Doccia di corsa e via, più veloce della luce! Tuo padre, il solito genio del male, mi raggiunge direttamente a casa Cartridge. Spero si sia portato a lavoro un cambio d’abito decente- trillò Faith, tutta trafelata, salvo poi attardarsi a salutare William, comparso sulla soglia. –La cena è in frigo, pronta da riscaldare. Tranquilla, ha cucinato tuo padre. Oh, ciao, William! Come stai? Scusa, non ti avevo visto; sai, vado un po’ di fretta.
–Me ne sono accorto. Buonasera, signora.
La successiva affermazione di Frida venne accolta dal gelo più totale.
Meine Mutter non è una signora.
–Frida!- esclamarono in coro gli altri due, allibiti.
–Che c’è?- esclamò lei di rimando, ostentando una finta innocenza assai poco credibile, per chi la conosceva bene. –È la verità: lo sarai per educazione, ma tecnicamente… tu e Papi non siete sposati. Mi avete concepita nel peccato!
Faith fulminò la figlia con un’occhiataccia degna di Franz e marciò a prepararsi per la cena elegante che la attendeva.
William, invece, pensò che, per quanto assurdo, il discorso non faceva una piega. Gli sfuggì una risatina: la Weil era un vero spasso, oltre che intelligente e sexy.
“Ok, datti una calmata, c’è sua madre in casa. Attivare modalità doccia fredda! Però… Chissà che altro sa fare, con quella lingua biforcuta che si ritrova. Non vedo l’ora di scoprirlo!”
 
Note dell’autrice
Premessa iniziale: Zelda non è un rimando alla principessa del videogame (confesso di non averci mai giocato), bensì a Zelda Sayre, moglie di Francis Scott Fitzgerald. Un modo come un altro per omaggiare, indirettamente, uno dei miei scrittori preferiti.
A proposito di Frida: non so come l’abbiate immaginata, ma nella mia mente ha il fisico di Cara Dune (personaggio di “The Mandalorian”, serie che adoro). In pratica, è una “Faith palestrata”: muscolosa, ma con le curve.
Informazione di servizio: il paradosso della tolleranza è stato enunciato dal filosofo Karl Popper, e stabilisce che una collettività caratterizzata da tolleranza indiscriminata è inevitabilmente destinata ad essere stravolta dalle frange intolleranti al suo interno. Pertanto, paradossalmente, l'intolleranza nei confronti dell'intolleranza stessa è condizione necessaria per la preservazione della natura tollerante di una società aperta. Grendel, invece, è il mostro sconfitto dall'eroe Beowulf. 
Spero traspaia il simbolismo della scena in cui Frida si purifica con l’acqua di ciò che ha fatto, in una sorta di battesimo. L’acqua ha da sempre un forte valore simbolico: veicola l’idea di trasparenza, purezza, lealtà, bellezza; l’atto di lavarsi riveste, quindi, un valore non solo igienico, ma anche, in un certo senso, “sacrale”.
1Dannato pezzo di merda
2Queste idee di merda
3Non osare, stronzo!
   
 
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