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Autore: MadameZophie    28/11/2020    3 recensioni
[Traduzione dell'omonima storia di @Eguko sulla piattaforma AO3]
[Kagehina][Iwaoi][Side!Daisuga][Omegaverse]
Nel regno di Karasuno, gli Omega e gli Alpha partecipano ad una tradizionale festa dove il loro istinto è libero di scatenarsi. Ma dopo innumerevoli anni di leggi scritte solo a favore del governo degli Alpha, la festività è degenerata in un terreno di caccia in cui gli Alpha possono esibire la loro forza e la loro abilità, mentre per gli Omega... Per loro il festival è divenuto non dissimile da una stagione di caccia.
Genere: Angst, Azione, Omegaverse | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Hajime Iwaizumi, Koushi Sugawara, Shouyou Hinata, Tobio Kageyama, Tooru Oikawa
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Preambolino di zia Zophie

Come ho già scritto nell'introduzione, l'opera non è mia (Magari lo fosse), ma è della bravissima Eguko, di cui potete comodamente trovare il profilo su Archive of Our Own. La mia è una semplice traduzione (pubblicata con il suo pieno consenso), e mi premurerò di tradurre per lei le recensioni che verranno date qui su EFP così da renderla partecipe delle vostre opinioni. Mi sono innamorata di questa storia a prima vista, tanto che mi ha spinto a superare la mia timidezza per chiederle il consenso di tradurla e spero che su EFP avrà un successo simile a quello che ha avuto su AO3. Essendo stati già pubblicati da Eguko 11 capitoli su 13, cercherò di farne uscire almeno uno a settimana, due se il mio cervello collabora, ma vi chiedo pazienza ad ogni modo, i capitoli sono molto molto lunghi per i miei standard e ci potrei mettere un pochetto. 
Vi lascio ora alla lettura, facendo solo poche piccole premesse in merito ai dettagli sulla traduzione. 

1. Non sapendo bene come rendere adeguatamente la parola adattandola al contesto, i Lodgers rimarranno tali per tutta la storia, a meno che Eguko non mi aiuti ad individuare un sinonimo efficace <3
2. Essendo l'universo delle omegaverse basato su termini inglesi, ho scelto di tenerne alcuni invariati. Un esempio è il termine "bond", ovvero il legame tra Alpha e Omega, che ho preferito far rimanere tale perché la sua traduzione come "legame" non mi rendeva bene allo stesso modo. 

Per ora direi che abbiamo finito, sì. Buona lettura!



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«Natsu, calmati» Hinata parlò lentamente e con voce calma, un ordine dolce ma allo stesso tempo severo rivolto alla giovane. Stava facendo del suo meglio per calmare la sorella e richiamarne l’attenzione, la ragazza sembrava incapace di riprendersi dallo shock iniziale dovuto a quello che era appena successo.
«Ascoltami, ho bisogno che tu ti concentri». Continuò a fissarla intensamente, come se lanciarle insistentemente sguardi preoccupati fosse sufficiente a riscuoterla dal suo stordimento.

La ragazza tremante non diede risposta. Rimase lì, tremando inginocchiata a terra, fissandolo di rimando con gli occhi spalancati e la bocca aperta allo stesso modo, incapace di rispondere o di comprendere il significato delle sue parole. Il corpo di Natsu in quel momento le mandava segnali di allarme e pericolo, l’udito ovattato dalla paura e l’adrenalina a scorrere nel suo corpo. Il dolore pulsante alle sue ginocchia sbucciate e piene di lividi non aiutò a contrastare le ragioni della sua immobilità.

Hinata deglutì. L’ansia della sorella, insieme alla sua paura, stavano iniziando a permeare l’aria e, se il ragazzo aveva ragione su chi avesse messo quelle trappole, ciò si sarebbe presto tramutato in un problema scomodo e pericoloso. Doveva costringere Natsu a scappare. Era troppo tardi per lui, questo lo sapeva, ma se lei non fosse riuscita a salvarsi, non se lo sarebbe mai perdonato. Aveva promesso a sua madre che si sarebbe sempre preso cura della sorella minore, e da quando avevano iniziato la loro vita da nascosti e fuggitivi, aveva rispettato il giuramento. Iniziare a infrangere le sue promesse in quel momento, quando lei aveva maggiore bisogno di lui, era qualcosa che non aveva minimamente intenzione di fare.

«Natsu! Per favore, ascoltami! Devi tornare indietro. Koji, Izumi e gli altri saranno in pericolo se non lo fai. Devi avvisarli delle trappole, la foresta non è più un luogo sicuro».
Hinata percepì il tono di supplica nella propria stessa voce, ma la ragazza continuò a fissarlo, scuotendo la testa e sforzandosi di riprendersi da quello stordimento, provando a ragionare nonostante la paura per riuscire a prendere una decisione. Doveva trovare un modo per aiutarlo, ci doveva essere un modo. Non poteva di certo abbandonarlo, giusto?

Distolse lo sguardo dal fratello e iniziò a scansionare l’ambiente circostante, combattendo il suo stesso istinto che la spingeva a correre via e a seguire le direttive del fratello, analizzando ogni dettaglio e cercando una soluzione, un modo per rendersi utile in quella situazione, uno qualunque, una qualunque cosa che le permettesse di liberarsi dei sensi di colpa che si erano fermati a formare un doloroso e permanente groppo all’altezza della gola.

Era colpa sua. Natsu lo sapeva. Shouyo stava probabilmente pensando la stessa cosa, ma non lo avrebbe mai ammesso, perché era fatto così, semplicemente buono. Se lei non avesse insistito per uscire quel giorno, se non fosse stato per la sua sbadataggine… se non fosse stato per il suo non prestare attenzione… sarebbero riusciti ad evitare quella situazione. Avrebbero potuto notare le trappole e suo fratello non avrebbe dovuto spingerla via rimanendo tuttavia imprigionato lui stesso… Se lei non fosse stata così ingenua, in quel momento sarebbero stati sulla via per il ritorno, per avvertire i loro amici, la loro famiglia…

«Natsu!» Hinata strillò. Il suo atteggiamento calmo e controllato si era dissolto per tentare un’ultima volta di attirare l’attenzione della rossa. Se non avesse iniziato subito la sua ritirata, non ci sarebbe stata alcuna speranza di salvarsi per lei o per i loro compagni nel rifugio.

Natsu sussultò tornando a rivolgere a lui lo sguardo, ansimando mentre lo stupore si dissolveva. Le lacrime stavano iniziando a traboccare dai suoi occhi, mentre finalmente comprendeva la supplica del fratello. Shouyo era spaventato tanto quanto lei, se non di più, essendo quello costretto dietro le sbarre, ma si stava sforzando per darle l’impressione di non esserlo. Come se lui avesse il totale controllo della situazione, anche mentre era imprigionato in una gabbia metallica sospesa a numerosi metri dal suolo, pendendo come un uccello in trappola e senza alcuna via d’uscita per fuggire da lì. Anche in quella situazione, con le mani che tremavano furiosamente chiuse e strette attorno alle sbarre di metallo, si stava comportando come se non ci fosse nulla di cui aver paura e lei… lei voleva credergli. No.
Lei doveva credergli. Shouyo era l’unica famiglia che le fosse rimasta; certo, i loro amici d’infanzia erano il suo attuale branco ed avevano trascorso insieme a cercare di sopravvivere a quel nascondino senza fine così tanto tempo che ormai voleva loro bene come se fossero una famiglia, ma non sarebbero mai stati la sua vera famiglia. Hinata non l’avrebbe lasciata sola, non poteva. Lo aveva promesso. Natsu deglutì il groppo che le si era formato in gola nella speranza che, buttandolo giù, l’abbandono del suo unico fratello l’avrebbe pugnalata al cuore con meno forza.

«Okay» borbottò la ragazza, incapace di guardare suo fratello negli occhi. Il suo cuore infranto di fronte alla consapevolezza di ciò che stava per fare. «Mi dispiace Shouyo» una singola lacrima seguì le sue scuse cariche di sensi di colpa. «Mi dispiace, mi dispiace così tanto». Le sue parole erano poco più di un sussurro.

«Non dispiacerti» erano gli occhi del ragazzo quelli umidi, ora. «Non è mai stata colpa tua, per cominciare». Lasciò lentamente andare la presa sulle sbarre della sua gabbia, il sollievo fece dischiudere le sue mani di riflesso mentre osservava la sorella finalmente iniziare a muoversi per intraprendere la ritirata.

Natsu si voltò, lentamente spostando un piede di fronte all’altro, come se prendersi il suo tempo potesse in qualche modo infrangere l’orribile realtà che stavano vivendo. Si sarebbe risvegliata magicamente da quel terribile sogno, e lei e suo fratello non sarebbero usciti per andare a cercare della legna da ardere, Shouyo non avrebbe strillato il suo nome in quel modo tanto terrificante e angoscioso, lei non si sarebbe infuriata per essere stata spinta a terra pensando a quanto fosse stupido suo fratello per averle fatto uno scherzo simile solo per vederla sobbalzare dallo spavento. Lei non avrebbe sentito il suo cuore fermarsi per qualche secondo nell’udire lo stridente suono delle costrizioni di metallo che si chiudevano attorno a suo fratello e non avrebbe dovuto ascoltare le sue suppliche mentre la pregava di abbandonarlo lì… tutto solo, nel mezzo della foresta, implorante per la sua salvezza, piuttosto che per la propria libertà, o almeno per la possibilità che si potesse salvare. Come se il suo destino non fosse stato già segnato in quel momento, proprio di fronte a lei, senza che lei potesse far nulla per impedirlo.

«Promettilo» la sua voce era incrinata. Deglutì nuovamente quel groppo che continuava a rimanere immobile nella sua gola. «Che tu tornerai a casa» enfatizzò quelle poche parole, tutto il poco coraggio che le era rimasto in corpo si manifestò in quell’affermazione. «Devi farlo» concluse infine in appena un sussurro. Ella mantenne lo sguardo basso, le mani chiuse in pugni tremavano all’altezza dei fianchi. Voltò la schiena al suo stesso fratello, i sensi di colpa le impedirono di voltarsi un’ultima volta verso di lui. Lo stava abbandonando, ritirandosi senza neanche provare a combattere; come se non ci fosse assolutamente nulla che lei potesse fare, colpevolmente sollevata dal fatto che fosse ancora libera, quando la libertà di suo fratello gli era stata sottratta in cambio.

«Lo farò» rispose lui. Una lacrima solitaria minacciò di sfuggire dai suoi occhi ora che la sorella non lo stava guardando, l’intera facciata di sicurezza e calma collassò. E per una volta, non si sentì in colpa sapendo di aver mentito. Se le sue parole avrebbero tenuto sua sorella al sicuro, non si sarebbe preoccupato di quella piccola e innocente bugia.
Natsu iniziò finalmente la sua ritirata, all’inizio camminando e prendendo a correre sempre più rapidamente via via che si allontanava dal fratello; Hinata si sentì sollevato abbastanza da rilasciare il respiro che aveva fino a quel momento trattenuto. Con la sorella ormai lontana da un pericolo immediato, egli sentì finalmente il suo istinto di sopravvivenza prendere il controllo e la disperazione risalì la sua schiena in un brivido. Era in trappola. Imprigionato. Provò a riempire i suoi polmoni lentamente, nel tentativo di calmarsi così da poter pensare. Ogni muscolo e fibra del suo corpo gli urlava quanto fosse ristretto il tempo disponibile per progettare la sua fuga. Il ragazzo maledisse la propria genetica, la propria nascita e infine la sua incapacità di fare alcunché per cambiare la sua condizione.

Analizzò i dintorni, acquisendo qualsiasi informazione che i suoi sensi riuscissero a recepire. Immagini, odori, suoni, qualunque cosa avesse appreso e in cui si fosse esercitato negli ultimi quattro anni trascorsi in fuga. «Un omega catturato è utile quanto un omega morto» le parole del suo branco rimbombarono come un’eco senza fine nella sua testa. Una volta catturato, Hinata sapeva che non avrebbe mai più rivisto la sua famiglia o i suoi amici, sarebbe stato trattato come bestiame, costretto a vivere solamente come mezzo di intrattenimento e di piacere, praticamente uno schiavo o un animale da compagnia, o addirittura un giocattolo da mordere e poi buttar via. Sarebbe diventato la proprietà di qualcuno, solamente il guscio di un essere umano utile unicamente ad adempiere al suo ruolo nella gerarchia delle dinamiche. Se Hinata era certo di qualcosa nella sua vita, era che avrebbe certamente scelto una vita costantemente in fuga, affamato, infreddolito ed esausto, piuttosto che l’imprigionamento fisico e mentale del bond.
Con una certezza piuttosto assoluta, concluse che i suoi carcerieri non si trovassero nei dintorni, ma non poteva essere sicuro che non fossero in cammino verso la sua posizione. Tastò il proprio corpo per constatare il suo attuale equipaggiamento; doveva aver portato qualcosa che potesse aiutarlo in quel tipo di situazione, un’arma, un bastone, un utensile, qualunque cosa potesse aiutarlo a fuggire da quella prigione. Le sue mani raggiunsero un rigonfiamento nella tasca dei suoi pantaloni. Un coltello.
«Ma certo!» sorrise. Una piccola speranza si strinse con forza al suo cuore.

Non erano così stupidi. Era una delle più importanti regole che dovevano seguire. Ogni qual volta dovevano lasciare il rifugio e uscire alla ricerca di rifornimenti, dovevano portare con loro un qualche tipo di arma. Bhe, arma forse era una parola un po’ esagerata in quel caso. Il coltello smussato e usurato aveva appena un bordo affilato per poter anche solo essere definito tale; tendevano ad utilizzarlo più come un utensile per ottenere le provviste, piuttosto che come arma offensiva. In quel momento sarebbe stato più utile come tagliacarte che come mezzo per difendersi. Se lo poteva aspettare comunque, le regole prevedevano che loro dovessero scappare se si fossero imbattuti in una qualsiasi situazione pericolosa, non avvicendandosi in quelle più rischiose, specialmente visto il fatto che sapevano che, essendo a malapena addestrati, un’arma, che fosse affilata o smussata, avrebbe sortito lo stesso risultato in uno scontro con un Lodger. Ma portare con sé un’arma aveva un effetto psicologico calmante che non si manteneva anche non portandola.

Stringendo l’arma con forza con entrambe le mani come se temesse che potesse cadere attraverso gli spazi tra le sbarre della prigione, smise di analizzare la prigione che lo teneva recluso. Era una gabbia sferica di ferro leggero; aveva probabilmente un meccanismo a molla che si attivava e bloccava le varie parti al loro posto quando una pressione era applicata sul centro. La gabbia era abbastanza grande da permettergli di entrarci in maniera quasi confortevole, ma probabilmente non lo sarebbe stata altrettanto se Hinata fosse stato un prigioniero appena più grande; ma le sue dimensioni ridotte gli permettevano di muoversi abbastanza liberamente all’interno della prigione sospesa. Fu la prima volta nella sua vita che fu grato per la sua bassa statura, anche se non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce.

Poggiando le ginocchia sulle sbarre ed usando i piedi e i talloni come appoggi per non scivolare, cercò di dare un’occhiata al meccanismo che teneva chiusa la gabbia. Si dimostrò abbastanza difficile riuscire a raggiungere la cima della gabbia sferica e allo stesso tempo tentare di mantenersi in equilibrio. Ogni qual volta si muovesse per cercare di intravedere la cima, la gabbia oscillava per via dello sbilanciarsi del peso, facendogli perdere l’equilibrio e sbattere contro il metallo le ginocchia, i gomiti e i fianchi. “Quindi c’era un’altra ragione per cui la gabbia è stata sollevata verso l’alto dopo essersi attivata” pensò, imprecando ogni qual volta perdesse l’equilibrio e colpisse le sbarre di ferro. Dopo un paio di tentativi, riuscì finalmente ad aggrapparsi alla parte superiore e usando il suo stesso peso e la presa sulle sbarre riuscì a costringerla a ruotare per permettergli di vedere con cosa avesse a che fare.

Il filo che sorreggeva la gabbia era rinforzato e sembrava metallico. Non c’erano possibilità che l’arma smussata riuscisse a scalfirlo. Si sentì sollevato dall’idea che Natsu non fosse rimasta per tentare senza successo di tagliare il cavo, perdendo tempo nel processo insieme all’unico strumento di cui disponevano.

«Ed ecco che se ne va il piano A» ridacchiò fra sé e sé, in un certo senso quasi rassegnato.

Iniziò ad analizzare il meccanismo che teneva la gabbia al suo posto. Se ci fosse stato un modo per spingere abbastanza indietro la molla da aprire la gabbia, sarebbe stato in grado di liberarsi, applicando abbastanza forza nella parte centrale della gabbia. Osservò il terreno, cercando di calcolare l’altezza che lo separava da esso. Non c’erano dubbi che una caduta da quell’altezza avrebbe fatto male, ma probabilmente non si sarebbe rotto nulla. “Probabilmente” era una parola decisamente necessaria in quel discorso.

«Non verrò catturato oggi» borbottò come una specie di mantra. «Devo tornare a casa». Chiuse gli occhi mentre calmava le mani tremanti prendendo un grande respiro ed iniziò a colpire il meccanismo con il coltello. Avrebbe dovuto usare il coltello di fronte alla molla e cercare di spingerla indietro mentre usava il piede per creare uno spazio nella parte centrale. Se il suo piede fosse riuscito a passare, farsi strada strisciando verso l’esterno non sarebbe dovuto essere troppo difficile; avrebbe fatto un male indescrivibile, poiché la molla avrebbe tentato di chiudere di nuovo la gabbia premendo il suo corpo contro i bordi metallici mentre usciva, ma se fosse stato abbastanza attento da non lasciare il collo indifeso, non sarebbe stato troppo rischioso; giusto un paio di ferite e qualche livido, niente che non stesse già patendo. Applicare quella pressione sulla molla non sarebbe a sua volta dovuto essere troppo difficile, ma la necessità di mantenere la sua posizione, l’equilibrio e la forza della presa si stava rivelando un’impresa decisamente complessa per l’omega.

«Dannati Alpha» Imprecò quando la forza applicata fece scivolare e slittar via il coltello, spostandolo dalla posizione protetta e sicura della molla.

Prese un respiro profondo ed iniziò di nuovo a lavorare. In realtà incolpava sé stesso, era stato così imprudente, aveva anche esposto ad un enorme pericolo Natsu, la sua sorellina, che si era solo recentemente e spaventosamente presentata come un’omega. Sapeva che la festività era vicina, troppo vicina. Era stato troppo fiducioso, troppo ottimista. La foresta era stata totalmente priva di trappole da quando erano arrivati circa due anni prima, quindi quale era la possibilità che i Lodgers arrivassero lì quando non ne avevano visto neanche uno dal loro arrivo? Non avevano mai trascorso così tanto tempo senza un incontro ravvicinato con coloro che traevano profitto dalla loro miseria. Pensavano di essere al sicuro. Pensavano di essere riusciti a scappare, credevano che vivendo ai confini della società sarebbero stati risparmiati, ma, naturalmente, qualcuno doveva dimostrare loro che avevano torto.

La festività, conosciuta più formalmente come Festa Primiverile, aveva luogo durante la stagione primaverile del Regno. Il nome derivava dal gioco di parole tra Primavera e Primitivo, dimostrando come il suo intento originale fosse quello di celebrare le loro dinamiche e gli usi dei loro antenati, in cui i loro istinti primordiali emergevano per partecipare a quello che poteva essere riassunto in un appassionato gioco di inseguimenti. Anche se non c’erano testimonianze scritte di come avesse avuto inizio, i racconti degli antenati giustificavano le origini della festa narrando le storie dei suoi umili inizi. Alcuni parlavano di un gioco, altri preferivano il termine tradizione, ma più comuni erano dei racconti di incoraggiamento e celebrazione, un modo per commemorare le loro dinamiche nell’antica arte della caccia.

Sin dalla sua fondazione, il Regno di Karasuno era stato nel continente il paese con la popolazione maggiormente basata sulle dinamiche. Nessuno sapeva le vere ragioni dietro l’anormale abbondanza di Alpha e Omega nella popolazione, ma, che fosse una maledizione o una benedizione, il Regno aveva sempre accolto e celebrato tale particolarità biotipica. La festa veniva dunque celebrata durante la stagione primaverile, quando la foresta riprendeva vita ricolmandosi di foglie e le temperature più calde attiravano tanto gli Alpha quanto gli Omega a partecipare ad un’emozionante sfida, in cui gli Omega tentavano di correre e nascondersi, mentre gli Alpha davano loro la caccia affidandosi unicamente al loro istinto e ai loro sensi in modo tale da celebrare e incoraggiare a far maggior uso delle loro dinamiche in un inseguimento selvaggio ed esaltante.

Inizialmente era stato un modo per incoraggiare i giovani più timidi e schivi ad accettare le loro dinamiche e ad iniziare il corteggiamento. I giovani Alpha tentavano di catturare gli Omega mentre questi ultimi li guidavano verso i loro nascondigli cercando di risvegliare il loro istinto e aiutandosi a vicenda a risvegliare le loro dinamiche nel modo più salutare e confortevole possibile. Il gioco giungeva alla fine quando l’Alpha catturava l’Omega ed insieme alla fine della giornata ritornavano arrossendo e ridacchiando dalle rispettive famiglie. Inizialmente era stato quello, un semplice gioco di fuga e cattura.

Accadeva, nella maggior parte dei casi, che le coppie fossero ritenute predestinate dal regno, e ciò si traduceva in un augurio di salute e di un felice futuro per la nuova coppia. Alcune credenze divennero così importanti per i giovani partecipanti e per le loro famiglie che ben presto la festa divenne un modo, tanto per le famiglie nobili quanto per quelle più modeste, per stabilire relazioni e matrimoni combinati. I capofamiglia delle stirpi nobili avevano iniziato a condurre i loro eredi alla festa nella speranza di attirare altre famiglie più importanti o ricche e di riuscire ad accordarsi per i fidanzamenti. A causa di ciò divenne uso per gli Omega donare un capo d’abbigliamento (solitamente un fazzoletto) imbevuto del loro stesso odore ai candidati più idonei, mostrando il loro interesse verso gli Alpha e dando loro un vantaggio durante la caccia. Tutto ciò era, ovviamente, predisposto dalle corrispettive famiglie e la festa divenne ben presto un modo per dichiararsi, rendere pubblici i matrimoni combinati e annunciare pubblicamente il futuro bond.

La particolarità della festa Primiverile aveva attirato ben presto le attenzioni dei regni vicini, permettendo ad un gran numero di nobili e di popolani di partecipare ai giochi, dando vita ad un fiorente mercato e trasformando la settimana della festività in un’occasione per il Regno unica, che dava lavoro alla sua gente, stimolava il mercato e il commercio ed incrementava la sua ricchezza.

Facevano una bella vita e la festa e le sue tradizioni divennero ben presto molto care alla loro gente; almeno fino a che tutto non fu costretto a cambiare quando l’erede di Karasuno, il principe ereditario Arata, partecipò alla sua prima Festa Primiverile.

Da tradizione, ogni qual volta un membro della famiglia reale partecipava alla sua prima caccia, tutti gli Omega partecipanti dovevano donare al monarca un capo d’abbigliamento. Era un modo per soddisfare le tradizioni, tutti i partecipanti erano in realtà stati già abbinati da principio, ma il giovane principe non aveva gradito la compagna scelta dai suoi genitori, perché il più bell’Omega su cui avesse mai posato lo sguardo, originario del confinante regno di Shiratorizawa, gli aveva donato il suo fazzoletto. Avrebbe dovuto inseguire la figlia di un’importante famiglia aristocratica, un’unione, la loro, che i suoi genitori avevano deciso ancor prima che lui nascesse. Ma a lui non importava. Se la Festa era un modo per sfruttare i loro usi e le loro tradizioni a suo favore, lui lo avrebbe fatto secondo la propria volontà.

Una volta che la caccia era finita, essendo il principe riuscito con successo a catturare l’Omega di Shiratorizawa, lo aveva costretto al bond, causando un tumulto di dimensioni tali da sconvolgere il paese fin nelle sue fondamenta e da minacciare il regno con il rischio di una guerra.

Il caos e il risentimento avevano colpito la famiglia reale. Non c’era modo per placare le nobili famiglie coinvolte senza cambiare le regole del festival stesso. Nel tentativo di correggere il grande errore e proteggere tanto il loro prezioso figlio quanto il paese, i sovrani diedero la spinta alla pedina che sarebbe poi diventata la prima di un lunghissimo effetto domino che avrebbe cambiato per sempre le vite e la libertà degli Omega di Karasuno.

Il primo Decreto reale aveva annunciato che tutti gli eventi avvenuti durante il periodo della caccia erano legali e supportati dalla reggia. Questo significava che tutti i bond, forzati o consensuali, sarebbero stati conseguentemente vincolanti per entrambi i membri della coppia, e ciò significava chiudere un occhio di fronte agli Alpha più esaltati e costringere gli Omega che avevano ricevuto il bond durante la caccia a sposare gli Alpha che li avevano catturati.

Avendo sentito parlare dello scarso numero di Omega e della drastica diminuzione di nuove nascite nel regno di Shiratorizawa, come misura di sicurezza per evitare che la rabbia dei sovrani confinanti si abbattesse su Karasuno venne proposto un invito a partecipare all’evento come cacciatori, garantendo un numero sufficiente di Omega a quel paese costituito principalmente da Alpha tanto a lungo quanto sarebbe durata la pace fra i due regni. Il re era giunto alla conclusione che offrire annualmente un esiguo numero di persone fosse appena considerabile un sacrificio, quando si andava a considerare il potere militare degli avversari e la distruzione che il regno di Shiratorizawa avrebbe potuto causare.

Ad ogni modo, in un sorprendente atto di pietà il Re, animato dal rimorso e dalla compassione, aveva deciso di concedere agli Omega un modo per mantenere la loro libertà. Con la scusa di rendere più stimolante la caccia per gli Alpha e per frenare la scarsa volontà di partecipare degli Omega, aveva fatto annunciare che qualunque partecipante che non fosse stato catturato entro la fine della Festa sarebbe stato lasciato libero e sarebbe stato ricondotto dalla sua famiglia, senza dover mai più preoccuparsi di dover partecipare alla sfida. Quell’annuncio aveva del tutto cambiato e distrutto gli obiettivi di entrambi gli schieramenti durante la Festa. Per gli Alpha essa era diventata una vera ed esaltante caccia, mentre per gli omega era diventata una sfida di sopravvivenza.

Per onorare le sue parole, il re aveva fatto erigere nel regno un terreno apposito, un luogo creato unicamente per garantire una caccia giusta ed equa. Un territorio isolato, fiumi, montagne ed animali selvatici, tutto ciò di cui una persona avrebbe avuto bisogno per sopravvivere e nascondersi, ma allo stesso tempo sufficiente a creare un ambiente stimolante ed elettrizzante per gli Alpha per scatenarsi selvaggiamente e liberamente.

Con il tempo, ad ogni modo, la scomoda prospettiva per le famiglie più ricche di essere costrette a far sposare i loro eredi con la gente comune e il terrore degli Omega di poter essere costretti in una relazione che non avrebbe portato loro felicità né sicurezza, aveva creato un forte declino del numero di volontari pronti a partecipare alla caccia. Temendo la reazione della popolazione degli Alpha, il danno consistente alle entrate economiche che giungevano con la Festa e, naturalmente, la costante minaccia di una guerra con Shiratorizawa, il re era stato costretto, ancora una volta, a proclamare una legge che avrebbe diminuito il divario numerico fra cacciatori e prede.

Il nuovo decreto aveva stabilito che tutti coloro che si erano da poco presentati come Omega dovessero partecipare, esigendo la loro partecipazione nella Festa corrispondente all’anno in cui si erano presentati. Ciò si sarebbe dovuto accompagnare ad un’immediata rimunerazione come incentivo economico nel caso in cui il legame scaturito dalla caccia non fosse stato gradito dalle famiglie.

Comprendendo la minaccia a cui la corona stava esponendo le vite e la libertà dei loro Omega, le famiglie più ricche che non avevano avuto bisogno nell’immediato di denaro avevano iniziato a far sposare i loro eredi con esponenti dei regni vicini. Regni in cui le leggi non erano perverse come lo erano divenute quelle di Karasuno, nazioni in cui la salvezza dei loro eredi non sarebbe dipesa unicamente dalle loro abilità, ma per gran parte dai legami e dalle conoscenze della loro famiglia. Per le famiglie più sfortunate e povere, invece, gli Omega erano divenuti una forma di guadagno. Quando gli Omega delle famiglie nobili avevano iniziato a scarseggiare, le famiglie più bisognose di soldi e cibo avevano a loro volta preso l’uso di vendere le loro stesse figlie e figli alle famiglie più ricche degli Alpha, così che potessero partecipare alla caccia. Non era trascorso troppo tempo prima che le persone iniziassero a fare incursione nei villaggi per rapire coloro che non avevano famiglia così da ottenere un profitto quando i “loro cari” sarebbero stati presi per partecipare alla festa.

Quando la paura e la disperazione avevano iniziato a dilagare tra gli Omega, non era stata di certo una sorpresa. Genitori apprensivi, timorosi che i loro figli subissero la loro stessa fine, avevano iniziato a tentare di fuggire dal paese cercando rifugio in quelli confinanti, causando un esodo di massa degli Omega ed una grave diminuzione delle nuove nascite. Temendo le ripercussioni di un simile evento, era stato emesso un ultimo decreto: una legge che impediva agli Omega di lasciare il regno. Un ordine che implicava che qualunque Omega fosse stato colto nel tentativo di lasciare la nazione sarebbe stato considerato un traditore; come tale, non avendo rispettato il suo obbligo nei confronti della loro nazione di dare alla vita nuovi figli e figlie per il suo regno, aveva messo in pericolo il loro prezioso regno e sarebbe stato costretto a correggere il proprio errore ricevendo il bond da un Alpha scelto dalla corona. Una legge che aveva effettivamente trasformato ogni Omega del regno in un sacchetto pieno d’oro ambulante, essendo che un ghiotto premio in denaro sarebbe stato dato per ogni sospetto traditore consegnato alla giustizia.

Quest’ultimo decreto, unito al precedente compenso economico offerto a coloro che concedevano i loro familiari Omega per farli partecipare alla Festa Primiverile, aveva dato vita alle Logge; rifugi in cui si incontravano i bisogni di gente che necessitava di denaro e di mercanti interessati a trovare nuovo materiale per la caccia per i loro acquirenti. Persone disperatamente disposte a tutto per ottenere qualche spicciolo e uomini d’affari che sapevano come ottenere a buon prezzo Omega interessanti che potessero soddisfare i loro clienti, tanto nobili quanto popolani. Luoghi in cui si svolgevano tutti i loro annuali affari, durante le due settimane prima della Festa, quando le leggi erano più flessibili e i peccati inclini ad essere perdonati.

Questa era la realtà in cui viveva Hinata Shouyo. Un omega, nato a Karasuno, costretto a nascondersi per anni a causa delle leggi che risalivano ad ancor prima della sua nascita, attualmente imprigionato da una trappola dei Lodgers, uomini che cercavano i nascondigli degli Omega per venderli alle famiglie nobili. Omega che sarebbero stati costretti a partecipare alla caccia durante la Festa Primiverile, in una sfida che aveva solo una possibilità su due di permettergli di mantenere la sua libertà, durante una festività che aveva ormai perso troppo tempo prima il suo significato e i suoi propositi iniziali. Una libertà maledetta che lui e sua sorella Natsu, combattendo duramente, avevano cercato di mantenere, impresa in cui lui aveva fallito solo perché non era stato abbastanza attento.

Perché era stato troppo ingenuo nel pensare che la loro foresta fosse abbastanza lontana, che loro fossero speciali, che la legge non avrebbe avuto valore per loro perché stavano già soffrendo un’ingiustizia.

Era stato stupido. Era stato imprudente. Aveva sperato che il sacrificio di sua madre fosse stato sufficiente, che il suo essere stata portata via quando era appena un bambino avesse riequilibrato il karma di essere nato come Omega. Ma aveva dimenticato che il mondo non si curava delle loro sofferenze o della loro condizione. Le uniche cose che dovevano importargli in quel momento, ad ogni modo, erano il coltello stretto fra le sue dita, la pressione che con esso applicava alla molla della gabbia e il suono che produceva a contatto con le sbarre di ferro ogni volta che sbagliava ad applicare la giusta dose di forza.

Un odore catturato nel vento fece discendere un violento brivido lungo la sua schiena, risvegliando rapidamente tutti i suoi sensi. Ad un paio di miglia di distanza rispetto a dove era imprigionato, poteva percepire un piccolo gruppo di Alpha intento a camminare verso di lui. Dei Lodger, non c’erano dubbi.

I suoi sensi si acuirono al massimo delle sue possibilità, aveva solo pochi minuti prima che il gruppo notasse il suo imprigionamento. Se lui poteva percepire il loro odore, probabilmente anche loro potevano annusare la sua ansia. Poteva avere su di sé un aroma rustico e sconosciuto, ma l’intensità della paura che stava provando in quel momento avrebbe presto rivelato la sua presenza. Doveva necessariamente uscire dalla gabbia in pochi secondi, se voleva avere una qualche possibilità di fuga.
«… Lo giuro! Riesco a sentire l’odore di uno di loro in questa zona» Il suono della voce era distante ed era intrecciato ai rumori dei dintorni, ma Hinata fu in grado di distinguerlo dal sottofondo della foresta. Realizzò che il suo tempo era ormai agli sgoccioli, mentre per l’ultima volta spingeva il coltello contro la molla. Il suo piede destro faceva fatica ed inserirsi nello spazio fra le due metà della parte centrale della gabbia sferica, ma stava facendo dei progressi. Anche con la sua scarsa prestanza fisica, il giovane Omega stava facendo del suo meglio per sfruttare tutta la forza del suo corpo per uscire dalla gabbia.

«Non dico che non ti credo, ma non abbiamo visto né catturato nessuno negli scorsi giorni» qualcuno rispose. «Mancano appena due settimane alla Festa e sarà la prima caccia del principe ereditario. Non penso che sprecare qui il nostro tempo sia una buona idea».

«E cosa succederebbe se ti stessi sbagliando e non ci fosse nessun Omega?» una terza persona tornò a prendere in giro il primo uomo. «Avremmo sprecato una settimana per nulla. Se le gabbie si riveleranno vuote, dovrai risarcirmi». Una risata provenne dal gruppo, una manifestazione di spensieratezza e tranquillità che si scontrò duramente con la disperata concentrazione che Hinata continuava a cercare di mettere nel suo lavoro. La molla era stata spinta indietro abbastanza da permettere al suo piede di creare un’apertura da cui uscire. Doveva solo spingere la molla un po’ più indietro, mantenendo nel frattempo l’equilibrio e la presa sulle sbarre per permettere all’altro piede di uscire. Poi sarebbe stato un gioco da ragazzi.

«D’accordo, allora. Io ho catturato quello con le lentiggini» L’uomo che rispose sembrava pronto a sfidare il suo compagno. «Quindi, se non c’è nessuno nelle trappole, ti darò la mia parte di compenso per quello, che te ne pare?». La sua offerta venne accolta con un fischio e degli schiamazzi incoraggianti. «Ma se c’è un Omega qui, tu mi darai la tua parte di compenso per questo».

«Affare fatto!».

Numerosi battiti di mani e risate fecero da sottofondo mentre gli uomini continuavano a prendersi in giro. «Perderai parecchi soldi, allora». Lo sfidante lo sbeffeggiò ancora una volta. «Ti posso assicurare che ci sia almeno un Omega, se non di più, in questa foresta. Ci sono numerose prove nei dintorni, e nei pressi del fiume è rimasta la traccia di un aroma simile all’arancia candita. Le foreste non hanno quel profumo. Neanche gli animali hanno quel profumo» la voce attese l’arrivo di una replica, che tuttavia non giunse. «Vedi? Sai che ho ragione. Ci sono degli Omega in questa foresta» smise di parlare mentre gli altri uomini continuavano a stare in silenzio. «E’ solo questione di capire come attirarli fuori dalle loro tane».

Il modo in cui la voce si era interrotta prima di concludere il discorso raggelò il corpo di Hinata. L’eccessiva sicurezza e il tono minaccioso che erano emersi dalle sue parole indussero Hinata a lavorare ancor più rapidamente. Erano così vicini. Poteva sentire il loro odore; poteva udire i loro discorsi ed era ormai solo questione di pochi secondi prima che loro riuscissero a vederlo.

Con la disperazione che raggelava il corpo e la paura che gli faceva tremare le mani, impiegò tutta la sua forza con il coltello sino a ché non udì il rumore metallico che annunciava come la molla fosse stata totalmente spinta indietro e bastò un calcio perché la gabbia sferica si aprisse senza grandi difficoltà. Ora doveva iniziare a spingersi fuori, facendo attenzione che la parte superiore del suo corpo non entrasse in contatto con il bordo inferiore, perché ciò avrebbe significato che la molla non avrebbe ricevuto una pressione tale da far richiudere la gabbia. Doveva essere rapido, non aveva tempo per scivolare giù in maniera sicura. Doveva lasciarsi cadere dalla gabbia, in una caduta libera verso il terreno. Cercò di valutare l’altezza un’ultima volta. Sì, le probabilità di ferirsi erano alte, ma non erano niente in confronto alla possibilità di perdere la propria libertà.

«Ehy, guarda, avevo ragione!» l’uomo ridacchiò.

La voce allegra distrusse la concentrazione di Hinata e raddoppiò l’intensità della sua ansia. Era stato visto. Non aveva più tempo per analizzare tutti i possibili scenari; aveva solo pochi secondi, ora, se voleva avere anche solo la possibilità di fuggire. Fece oscillare assieme i piedi ed iniziò ad agitarsi violentemente per riuscire ad uscire dalla gabbia. Non lo stava facendo volontariamente, era solo disperato, il terrore e il panico rendevano i movimenti necessari ad uscire impossibili da compiere. L’intera gabbia iniziò a muoversi e ad agitarsi, non c’era più bisogno di essere discreti, era già stato notato dai suoi nemici.

«Cosa sta facendo…» il trio di Lodgers era rimasto immobile udendo quei rumori e osservando i movimenti di Hinata, a metà tra il confuso e il divertito per ciò che stava accadendo di fronte a loro. Fu quando il corpo di Hinata cadde poco delicatamente verso il suolo che i tre realizzarono con un certo shock che il loro piccolo uccellino era uscito dalla gabbia e stava per volare via.

«Hey, aspetta! Ehy» Uno di loro urlò, colto dallo stupore, sollevando le mani come se le sue parole e i suoi gesti fossero sufficienti a fermare la fuga dell’Omega.

«Merda» un altro imprecò di rimando. «Veloci! Sta scappando!».

Come se l’incanto si fosse spezzato, i tre uomini scattarono verso il rosso, che nel frattempo aveva già iniziato a correre nella direzione opposta rispetto a quella dei Lodgers. Era estremamente veloce; anni di corse e fughe avevano fatto meraviglie nel far sviluppare la stamina del giovane ragazzo.

«Dannazione! Il ragazzino è veloce» esalò l’uomo che fino a quel momento si era vantato di aver avuto ragione. «Sarà divertente!» reclinò la testa indietro ridacchiando mentre prendeva il suo ritmo di corsa nella foresta.
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