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Autore: Mary P_Stark    30/11/2020    2 recensioni
Liza Wallace è la nuova Geri del branco di Clearwater e, a discapito della sua giovane età, dimostra fin da subito di avere un potenziale enorme; il rapporto davvero unico con i suoi Huginn e Muninn, i magici corvi al servizio del Sicario Umano del branco colpisce fin dall'inizio l'intero branco. Questo suo potenziale verrà subito messo alla prova quando, a sorpresa, giungerà a Clearwater una famiglia proveniente da New York. I Sullivan sembrano una famiglia normale, almeno all'apparenza, ma il figlio Mark e suo padre Donovan metteranno in allarme il branco a causa del loro comportamento sospetto. Saranno dei temuti Cacciatori, o qualcun altro si cela nell'ombra, più pericolo e subdolo, tentando di portare lo scompiglio nel branco di Lucas, Devereux e Iris? (particolari della storia presenti nei racconti precedenti della Trilogia della Luna)
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'TRILOGIA DELLA LUNA'
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N.d.A.: io comincerei a prendere fazzoletti e cioccolatini (se vi piacciono)...

15.

 

 

 

 

Erano passati otto giorni da quando Liza aveva chiesto a Lucas di far conoscere il loro segreto a Mark e, da quel momento, per il giovane tutto era cambiato.

Se, da una parte, il suo rapporto con il padre era nettamente migliorato – anche in considerazione del fatto che Donovan aveva rinunciato a cercare oltre la creatura dei suoi incubi – Mark aveva però dovuto mettere in conto il peso del silenzio.

Liza, in questo, lo aveva aiutato molto e, anche con il contributo di Sasha e Chesley, era riuscito in qualche modo a venire a patti con l’assoluta necessità di non mettere al corrente della verità entrambi i genitori.

Conoscere ogni segreto di Liza, però, aveva dato anche la possibilità a Mark di scoprire tanti piccoli altri particolari su di lei che, per un motivo o per un altro, non era mai riuscito a spiegarsi.

Le volte in cui l’aveva vista sovrappensiero, o quando l’aveva sorpresa a scrutare il cielo senza alcun apparente motivo, erano state le occasioni in cui ella discuteva con il suo corvo, Muninn.

In altri momenti, l’aveva invece sorpresa a scrutare suo padre con un’attenzione che andava ben oltre quella di uno studente appassionato. In almeno un paio di occasioni, Mark aveva temuto che lei si fosse presa la proverbiale cotta per l’affascinante professore di scuola.

Sapere la verità aveva chiarito un sacco di dubbi, ma lo aveva anche reso consapevole del pericolo imminente a lui legato, e che Huginn aveva scorto nelle sue visioni.

Il fatto che il Corvo del Pensiero non avesse avuto altri lampi di precognizione poteva essere un buon auspicio, ma non se la sentiva di tirare un sospiro di sollievo. In pratica, nulla era cambiato e questo significava che, ciascuno di loro, avrebbe dovuto continuare a stare in allerta, salvo cambiamenti dell’ultima ora.

«Sei pensieroso, tesoro» disse Diana, strappandolo ai suoi pensieri.

Quel giorno, Mark si era recato al cantiere assieme alla madre per vedere di persona gli sviluppi del suo lavoro e, quando era entrato nella lussuosa villa in cui stava lavorando, era rimasto impressionato.

La struttura a tronchi era enorme e mirabilmente assemblata, e ogni pezzo di legno pareva essere stato ricoperto di seta. Ammaliato, si era ritrovato a sfiorare con dita leggere quelle superfici levigate, apprezzandone la magnifica manifattura.

Non da meno, si era rivelata essere l’operatività umana all’interno del cantiere.

Il lavorio degli operai sembrava interminabile e guidato da fili invisibili, e ognuno si muoveva in giro per l’ampio chalet come una macchina ben oliata. A tutti gli effetti, sembrava la coreografia di un balletto ben collaudato.

Rock – che ora Mark sapeva essere anche il Freki del branco – dirigeva il tutto con cipiglio militare ma, per Diana, era sempre prodigo di attenzioni, sorrisi e commenti spiritosi.

Accennando un sorriso alla madre nello scacciare quei pensieri errabondi, Mark asserì: «Oh, scusa… ma questo posto è talmente spettacolare che ne sono rimasto molto colpito.»

«I ragazzi lavorano davvero bene» annuì orgogliosa Diana. «Sono molto contenta di essere entrata a far parte di questo team. E vedrai quando arriverà il nuovo piano di lavoro che ho commissionato! Sarà in legno massello, ovviamente, ma lucidato a specchio e, alla fine dell’opera, sarà come sfiorare il marmo più puro.»

«Denoto una leggera vena di esaltazione, nella tua voce» ironizzò Mark, dandole un colpetto con la spalla.

Lei sorrise divertita, annuendo, e ammise: «E’ raro trovare una squadra così ben affiatata, e ancor di più trovarne una che accetti una nuova arrivata. Ma con questi ragazzoni mi ci trovo bene, perciò lavorare non costa fatica.»

Ciò detto, tornò seria e aggiunse: «Papà mi ha detto che vi siete parlati in merito alla sua ricerca.»

Mark assentì, mormorando: «Mi ha detto che intende rinunciare. Per me e per te. Da una parte mi fa piacere, perché questo viavai non faceva bene a nessuno, però… non so se sia del tutto giusto nei suoi confronti. So quanto teneva a scoprire la verità sull’assassino degli zii.»

Diana annuì gravemente alle sue parole e, nello sfiorare un’alta colonna portante della casa, replicò pensierosa: «A volte, anche se si tiene fortemente a una cosa, si deve rinunciare se, per conseguirla, si rischia di perdere tutto il resto. Come dici tu, non faceva bene neppure a lui seguire quelle piste ai limiti del credibile. Lo stavano logorando dentro, e stava logorando il vostro rapporto.»

Mark si lasciò andare a un sospiro pesante e Diana, nel dargli una pacca sulla spalla, aggiunse: «Non devi pensare che sia per colpa tua, se rinuncia. Rinuncia perché sa di avervi dedicato tutto il tempo possibile, ma che adesso è giunto il momento di guardare avanti. Nessuno potrebbe criticarlo per questo.»

Se solo sapesse quanto ci è andato vicino!, pensò tra sé Mark prima di notare Rock, in lontananza, e il suo sguardo cupo. Parlava fittamente al cellulare e sembrava assai turbato da qualcosa.

«Parliamo di cose più leggere, ora…» dichiarò a quel punto Diana, battendo le mani con aria eccitata. «… tuo padre mi ha detto anche qualcos’altro

A quell’accenno, Mark divenne scarlatto in volto – con Diana non ne aveva ancora parlato perché, nel frattempo, lui e Liza avevano dovuto fare finta di nulla, a scuola, per coprire le subdole manovre di Chanel. Questo, a sua volta, aveva comportato per i due giovani il dover mantenere un comportamento assolutamente normale, in pubblico, pur se i due si erano visti in segreto – e più volte – sulle sponde del lago, protetti dalla vista di Huginn e Muninn, che avevano fatto loro da palo.

Sorridendo nervosamente alla madre adottiva, perciò, Mark esalò: «Ah… sì. C’è… beh, c’è stato un bacio.» Più di uno, in realtà, ma perché sottilizzare?, pensò poi.

«Raccontami tutto. Nei dettagli

«Cosa vuoi che ci sia da raccontare? Io e Liza eravamo sulle sponde del lago, intenti a chiacchierare, ed è venuto spontaneo a entrambi» si limitò a dire lui, scrollando le spalle con fare apparentemente noncurante.

In realtà, stava fibrillando al pensiero di poterle dire ogni cosa, anche ciò che era vietato ma, come aveva ormai imparato a fare suo malgrado, si astenne.

Diana sbuffò infastidita, di fronte a una frase così superficiale e, piccata, borbottò: «Sei un cuor di pietra. Dimmi di cosa stavate parlando, se le hai accarezzato la guancia prima di baciarla, se lei era soddisfatta o meno…»

Accentuando il proprio imbarazzo, Mark si grattò una guancia e replicò: «Mamma! Ma non sei un tantino impicciona?!»

«Dammi un po’ di spago! Non è mai successo prima, dopotutto!»

Mark scosse il capo per l’esasperazione ma, prima di poter dire alcunché, vide sopraggiungere Rock a passo lesto, l’aria ombrosa e gli occhi illuminati da una luce feroce e guardinga.

Era successo qualcosa.

«Diana… Mark… mi spiace disturbarvi ma pensavo doveste saperlo.» Ciò detto, lanciò un’occhiata penetrante al giovane Sullivan prima di aggiungere: «Nel pomeriggio si sono perse le tracce di due tuoi compagni di classe, Mark, e i genitori ne hanno denunciato la scomparsa perché avrebbero dovuto essere a casa già da ore. E’ stata diramata un’allerta per un possibile rapimento e/o una scomparsa volontaria, ma ho preferito avvertirvi perché prestiate maggiormente attenzione alla prima opzione.»

Mark comprese al volo cosa non avesse appena detto Rock e, tra sé, tremò. La visione di Huginn aveva parlato di lui ma nessuno vietava che, per stanarlo, si potessero usare delle vittime innocenti come, per esempio, i suoi amici.

Diana afferrò immediatamente la mano del figlio e domandò turbata: «Chi sono?»

«Si tratta di Chanel Howthorne e Fergus McBride» spiegò loro Rock.

Al giovane venne un groppo in gola, alla sola idea che i suoi amici potessero essere dispersi da qualche parte, e magari preda di un feroce assassino con le sembianze di un lupo. Ugualmente, si trattenne dal fare qualsiasi commento, o apparire più ansia dell’accettabile, e si limitò a scuotere il capo con espressione turbata.

«So che Chanel stava tentando di fare colpo su Fergus. Oggi, tra l’altro, è il compleanno di Fergus e, stasera, avremmo dovuto festeggiare a casa sua, ma…» tentennò Mark, non credendo neppure lui alle ipotesi che stava formulando pur desiderando metterle a voce. «… forse hanno deciso di vedersi da soli, e così…»

Se la notizia era stata data a Rock, era stato per mettere in allerta tutti gli alfa del branco, forse per paura che i fantomatici lupi a cui loro stavano dando la caccia fossero nei paraggi.

Avevano evidentemente timore che fossero tornati al sud prima del tempo, e che quella scomparsa non fosse intenzionale, ma un vero e proprio rapimento.

Se dietro alla sparizione dei suoi amici c’erano i lupi che avevano ucciso i suoi zii, poteva succedere davvero di tutto ma, di sicuro, nulla di buono.

«La polizia sta setacciando tutti i posticini per coppiette che si conoscono in giro ma, se nulla salterà fuori, da domani si procederà a pattugliare i boschi con i cani e la guardia forestale» spiegò loro Rock, scrollando impotente le spalle.

«Non oso immaginare come stiano i loro genitori» sospirò Diana. «Grazie per avercelo detto, Rock. Presteremo attenzione.»

Lui assentì con vigore, diede una pacca sulla spalla a Mark dopodiché risalì le scale per avvisare anche gli altri. Diversi dipendenti avevano figli che andavano a scuola a Clearwater e che, forse, potevano ritenere necessario sapere della notizia.

Diana, nel frattempo, mandò un breve messaggio a Donovan dopodiché, determinata, portò fuori Mark e disse: «Andiamo subito a casa. Finché non sapremo nulla di certo, ti terrò d’occhio di persona.»

«E cosa pensi di poter fare, visto che non sappiamo neanche cosa sia successo?» ironizzò Mark per stemperare la tensione. «Affrontare dei potenziali rapitori imbracciando il tuo portatile?»

«Oh, qualcosa mi inventerò. Credimi. Non sottovalutare mai un’arredatrice d’interni» borbottò la donna prima di bloccarsi a metà di un passo, sorridere appena e aggiungere: «Toh… guarda chi c’è accanto all’auto. Ciao, bel corvo nero.»

Mark ne seguì lo sguardo e, sorpreso, vide Huginn sulla staccionata che delimitava la proprietà ove stava lavorando la ditta di Devereux Saint Clair, e proprio in corrispondenza della loro auto.

La sua vista lo fece rabbrividire ma, quando lo vide involarsi ed esibirsi in ampi cerchi, seppe che stava comunicando a Muninn la sua buona salute, così che anche Liza lo sapesse.

«E’ davvero un bel corvo, vero?» dichiarò Diana, salendo in fretta in auto. «Ne ho visti alcuni davvero splendidi, da queste parti.»

«Sì, è molto bello» assentì Mark, allacciandosi la cintura di sicurezza. «Spero però che non faccia l’uccello del malaugurio.»

Sorridendo divertita, Diana mise in moto e, nel fare manovra, replicò: «Oh, ma su! Non sarai mica superstizioso?»

Più o meno, pensò lui.

***

Lucas chiuse la chiamata con Curtis prima di guardare suo padre e domandare: «Come stiamo, a scorte di sangue e medicazioni?»

«Non ti preoccupare di questo, ragazzo. Abbiamo tutto sotto controllo. Adesso, aspettiamo di sentire come procedono le ricerche, prima di fasciarci la testa. Non è detto che questa emergenza sia stata causata da chi dite voi» sottolineò Chuck, ripulendosi le mani dopo aver sistemato l’ultimo scatolone nel magazzino della sua Clinica Veterinaria. «Dopotutto, quei ragazzi fanno parte del gruppo locale di orienteering, perciò non sono dei completi sprovveduti.»

Assieme a Douglas Cooper, medico mannaro giunto a Clearwater sei mesi addietro da Vancouver, Chuck aveva messo in piedi un Santuario per Mannari all’interno della sua clinica.

Unendo le rispettive conoscenze, avevano iniziato a studiare le analisi di laboratorio fornite loro da Brianna McAlister, oltre a produrre medicine con l’aconito per poter curare i mannari. Al tempo stesso, avevano aperto un consultorio medico per lenire i contraccolpi psicologici di coloro i quali erano stati vittime di Logan e Julia, fossero essi adulti o bambini.

Quei mesi – a volte anni – passati nelle mani di quei due squilibrati avevano causato non pochi danni, a livello mentale, perciò il reintegro in società stava procedendo con cautela e molta, moltissima attenzione.

Da quando, però, era scattato l’allerta nei confronti della famiglia Sullivan, Chuck e Douglas si erano preparati al peggio anche senza ricevere ordini diretti da Lucas. Previdenti, si erano premurati di riempire i magazzini con scorte di bendaggi, medicamenti e quant’altro ma, non appena avevano saputo di un cambio di rotta nelle indagini, ogni cosa si era bloccata.

Sempre più in ansia, avevano quindi ascoltato le parole cupe di Fenrir in merito a un nemico del tutto nuovo e di cui non sapevano assolutamente nulla. Di fronte a simili notizie, ogni loro sforzo era parso vano e inutile ma, in ogni modo, non si erano dati per vinti.

Qualunque emergenza fosse loro capitata, avrebbero messo in campo il meglio delle loro conoscenze e, per nulla al mondo, avrebbero abbandonato la lotta. Foss’anche stata senza speranza.

«So che siete pronti a tutto, ma preferisco avere sott’occhio il quadro d’insieme, e non darlo per scontato» replicò Lucas, guardandosi intorno con espressione torva.

«Detto da buon capo, ovviamente» assentì Chuck, uscendo dal magazzino assieme al figlio. «Metti però in conto che potrebbe essere semplicemente una scappatella tra due innamorati.»

«Credimi… lo spero ardentemente.»

Ciò detto, Lucas sospirò e si mise in contatto con le sentinelle del branco per avere notizie anche da parte loro.

Non voleva allertare Dev e Iris prima del tempo, e chiamarli per una fuga d’amore mal interpretata sarebbe stato assurdo. Quando avessero avuto notizie certe per un verso o per un altro, avrebbe deciso il da farsi.

***

“Mark e Diana stanno bene. Dico a Huginn di rimanere con loro?” domandò Muninn, sorvolando il bosco nei pressi del campeggio, mentre Liza era impegnata con Chelsey e i suoi compiti di matematica.

“Sì, digli pure di rimanere con loro anche quando saranno arrivati a casa. Voglio notizie fresche su qualsiasi movimento nei pressi della loro abitazione” gli ordinò Liza prima di sospirare e dire per Chelsey: «Per ora, è tutto a posto.»

«Meno male. Mi spiacerebbe che succedesse qualcosa a Mark» annuì la ragazzina, picchiettandosi la matita sul mento. «Se penso che gli altri sono fuori a cercarli, mentre io sono ferma qui con i compiti da fare, mi sento davvero inutile.»

Liza sorrise comprensiva, replicando: «Ognuno di noi ha un compito da svolgere, e il tuo è quello di studiare. Il mio è quello di sorvegliare la situazione dall’alto tramite Muninn e Huginn, e quello delle sentinelle è di pattugliare.»

«Studiare non servirà a tenere i nemici lontani da noi» brontolò per contro Chelsey.

«Non ti posso dare torto, ma Lucas non ti permetterebbe mai di combattere. Sei piccola, e non hai ancora affrontato la tua battaglia al primo sangue. Perciò, niente interventi diretti, mi spiace» sottolineò con un’alzata di spalle l’amica.

Chelsey borbottò qualche lamentela riguardo alla sua giovane età, ma Liza non le diede corda. Sapeva cosa voleva dire essere messi in panchina e, anche se a lei era stato dato un compito in quella sorta di missione preliminare, era solo marginale e compiuta da terzi.

Sapevano ancora troppo poco, di quei nemici, per far intervenire anche un Geri, e lasciare il tutto in mano ai soli mannari era obbligatorio, oltre che scontato.

Entro mezzanotte, se non fossero stati trovati né Chanel né Fergus, la polizia avrebbe dato inizio a un pattugliamento ufficiale nei boschi, tramite un piccolo contingente di poliziotti e volontari. Quello ufficioso, d’altro canto, era iniziato nel momento stesso in cui si aveva avuto notizia della sparizione dei due ragazzi.

Liza sperò ardentemente che non si arrivasse al punto di far intervenire anche i cani molecolari. Allora sì che avrebbe dovuto preoccuparsi davvero.

***

Il cuore di Chanel pompava a mille, mentre le mani si muovevano nevrotiche e scostanti sulla ferita aperta e sanguinante.

Era successo tutto troppo in fretta, non era riuscita a capire cosa stesse accadendo intorno a loro. Aveva scorto solo un’ombra nel fitto bosco dove lei e Fergus si erano allontanati per una passeggiata romantica e, di colpo, come in un incubo a occhi aperti, era scorso sangue.

Fergus era finito a terra con il ventre scorticato, l’aria sconvolta a distorcere i suoi lineamenti e un singhiozzare convulso seguito da dolenti mugugni di dolore a stento trattenuti.

Subito, lei era accorsa in suo aiuto, cercando le ferite sul suo ventre e mettendo alla luce quattro segni da artiglio non particolarmente profondi, sufficienti a mutilare epidermide e derma ma non la muscolatura profonda, o gli organi interni.

Piangendo e tremando, lo aveva fatto sedere a terra e, cercando a tentoni qualcosa di utile all’interno del suo zaino, aveva tentato di tamponare la ferita con le garze del suo kit di primo soccorso. Un secondo colpo, però, l’aveva atterrata, strappandole il fiato dai polmoni.

L’attimo seguente, aveva percepito un liquido caldo e denso colarle sul collo e, terrorizzata, aveva portato le mani alla testa, trovando il cuoio capelluto distaccato in più punti.

Con un grido pieno di terrore e gesti febbrili delle mani, aveva quindi cercato di ricomporre chioma e pelle, mentre gli stimoli del dolore cominciavano a esplodere nella sua mente come tanti fuochi d’artificio. Fergus, ansimante e con occhi colmi di un panico sempre più divorante, aveva comunque tentato di aiutarla offrendole la sua cuffia.

Non avendo altro a cui aggrapparsi, Chanel l’aveva indossata nonostante il dolore bruciante dopodiché, guardandosi intorno con aria scioccata e impaurita insieme, aveva tentato di capire chi li avesse attaccati.

Nulla, però, erano riusciti a scorgere. Solo le ombre lunghe della foresta che, da benevola e piacevole quale era sempre stata, era improvvisamente diventata cupa e spaventosa.

Erano passate due ore da quei terribili momenti, e lei e Fergus non avevano più tentato di muoversi, terrorizzati al pensiero di poter incontrare sul loro cammino di rientro la creatura che li aveva assaliti.

«Vedrai che prima o poi ci verranno a cercare…» disse per l’ennesima volta Chanel, tornando al presente e tastandosi distrattamente il capo, dove il sangue coagulato si era incollato alla cuffia.

Molto probabilmente, avrebbero dovuto strapparle i capelli per riuscire a tirarla via ma, a quel punto, poco le importava. Le bastava che qualcuno venisse a salvarli.

Fergus assentì suo malgrado alle parole dell’amica, pur non credendovi molto. Solitamente si aspettavano molte più ore, prima di mobilitare la polizia, e loro non avevano tutto quel tempo. Vero era che, quella sera, avrebbero dovuto festeggiare il suo compleanno perciò, non vedendolo tornare per le cinque, molto probabilmente i suoi genitori avrebbero allertato chi di dovere.

Il punto era un altro. Per quell’uscita imprevista – e che lui aveva gradito moltissimo, almeno all’inizio – avevano scelto di percorrere un vecchio sentiero poco utilizzato, lasciandolo poco tempo dopo per esercitarsi nell’orienteering. Per lui e Chanel era un’occupazione quasi settimanale e, nel corso degli anni, erano diventati piuttosto bravi.

Il fatto che Chanel gli avesse proposto quell’uscita a due per allenarsi senza il resto del loro gruppo, lo aveva galvanizzato, portandolo ad accettare subito l’invito. Giusto per godersi l’idea di quell’uscita privata, non aveva detto nulla ai genitori, aveva afferrato il suo zaino da trekking – sempre pronto – ed era uscito.

Il solo pensiero di poter stare da solo con Chanel lo aveva reso cieco e sordo a qualsiasi precauzione. Pur se una cosa del genere davvero non se la sarebbe mai aspettata, era pur vero che, se i genitori avessero saputo della loro uscita, avrebbero potuto intervenire e venire a cercarli.

Nulla sapendo, anche gli eventuali ricercatori avrebbero impiegato un sacco di tempo a trovare le loro tracce e forse…

Scuotendo il capo, Fergus ripensò ai loro primi passi nel bosco, al sentiero quasi cancellato dal bosco che avevano deciso di imboccare e della gioia nel poter condividere assieme quell’avventura.

Tutto era andato bene per la prima ora e mezzo, e Fergus aveva anche sperato che Chanel facesse il primo passo con lui, dopo quell’invito, ma tutto era andato a rotoli nel momento stesso in cui erano stati attaccati.

Ogni cosa era diventata un incubo a occhi aperti e ora, con quella cosa che li aveva presi di mira e che, quasi sicuramente, stava giocando al gatto col topo con loro, non sapeva più che pesci prendere, o cosa pensare.

Un fruscio tra il sottobosco li fece entrambi tremare di paura e Chanel, nel tentativo di aiutare Fergus ad alzarsi, ringhiò: «Dobbiamo provare a riavvicinarsi a Clearwater, se vogliamo che ci trovino alla svelta.»

Lui annuì a fatica, tenendosi a lei e alla pianta contro cui era rimasto poggiato fino a quel momento e, con voce resa roca dal dolore, borbottò: «Dove vai tu, vado io.»

«E ti ci è voluta un’esperienza di premorte, per dirmelo?» esalò lei, con un risolino nervoso.

«Che ci vuoi fare… i maschi sono tardi» dichiarò lui, facendo spallucce prima di tentare di approcciare un passo in avanti.

Sì, le gambe reggevano, anche se l’addome gli doleva come se vi fosse passato sopra un camion. In qualche modo, comunque, avrebbe fatto.

Chanel assentì al suo indirizzo e, sorreggendosi l’un l’altra, iniziarono a muoversi in direzione della cittadina da cui si erano allontanati per stare un po’ soli.

Col senno di poi, Chanel non avrebbe mai e poi mai ideato quell’uscita a due, se avesse anche soltato immaginato che qualcuno si aggirasse nei boschi per inscenare un delirio di follia come quello. Non potendo rimediare a quell’errore involontario, però, ora le rimaneva soltanto una cosa; riportare Fergus a casa.

Dovevano rientrare a tutti i costi, o le loro ferite si sarebbero infettate più dell’accettabile, portandoli a una morte per setticemia.

Un risolino stridulo li raggelò sul posto, cancellando qualsiasi traccia di risolutezza.

Comparendo da dietro un alto abete sitka, la figura di un uomo imponente e completamente nudo si parò innanzi a loro, fissandoli con bramosia animale mentre loro, raggelati sul posto, non riuscivano quasi a emettere fiato.

Per quanto ferito e dolorante, Fergus comunque si sporse in avanti per proteggere Chanel che, però, si ancorò al ragazzo perché lui non fosse l’unico oggetto di interesse di quel tizio. Non desiderava interpretare la parte della principessa da salvare, anche se stava tremando come una foglia e aveva una paura fottuta di morire.

«Cosa diavolo vuoi, da noi?» riuscì a dire Fergus, pur sentendo il panico rimordergli le viscere.

«Giocare» disse unicamente l’uomo continuando ad avanzare lentamente verso di loro.

I ragazzi indietreggiarono di un passo, sgomenti e spaventati e, per diretta conseguenza, una risata di scherno si levò dal petto villoso dell’uomo, che aggiunse: «Dove pensate di andare?»

Chanel e Fergus si guardarono vicendevolmente per alcuni istanti e, all’unisono, si mossero nella direzione opposta a quella dell’uomo che bloccava loro la strada, pregando che quel tentativo disperato di fuga funzionasse.

Quella manovra diversiva non aveva tenuto però conto dell’eventualità che l’uomo fosse in compagnia. Dopo qualche passo, infatti, Chanel ruzzolò a terra con un grido strozzato e Fergus, volgendosi disperato verso di lei, vide con sommo orrore una donna piegata sulla sua amica.

Ghignante e soddisfatta, la donna appena apparsa la stava trattenendo a terra tenendola bloccata a un braccio.

Anch’ella, come l’uomo, era nuda e, nonostante l’assurdità di in un simile pensiero, Fergus non poté che trovarla la donna più bella che avesse mai visto in vita sua. Forse proprio a causa della crudeltà con cui stava bloccando Chanel, quella peculiarità gli balzò agli occhi come qualcosa di assurdo.

Come poteva, una creatura così celestiale, essere anche tanto brutale?

«Dobbiamo allontanarci da qui, se vogliamo divertirci con loro in santa pace» dichiarò dopo alcuni istanti la donna, sollevando con facilità Chanel e strattonandole il braccio fino a disarticolarle la spalla.

Lo schiocco secco dell’osso coincise con un urlo carico di dolore e sorpresa da parte della ragazza, a cui seguì un quasi immediato svenimento. Quel colpo inferto proditoriamente aveva fatto crollare del tutto Chanel, ora preda inerme della donna che l’aveva catturata.

Fergus la vide crollare a terra priva di sensi, impossibilitato a muoversi perché più che consapevole della propria debolezza, oltre che dell’inutilità di qualsiasi gesto dettato dalla rabbia. Era chiaro che quella donna possedeva una forza molto superiore alla sua, e sarebbe stata in grado di abbatterlo con facilità, esattamente come aveva appena fatto con Chanel.

Ugualmente, però, digrignò i denti e sibilò: «Perché ci state facendo questo?! Chi siete?!»

L’uomo gli si avvicinò rapido e letale e, senza alcun preavviso, gli torse il braccio dietro la schiena fino a farlo piegare in ginocchio dopodiché, furioso, gli sibilò a un centimetro dal volto: «Non ti è concesso rivolgerle la parola, è chiaro?!»

Ciò detto, abbatté il taglio della mano libera sul collo di Fergus e, quand’anche il giovane crollò svenuto ai suoi piedi, l’uomo domandò alla sua compagna e dea: «Dove desideri andare?»

«Ci sono un mucchio di cascate e anfratti riparati, da queste parti, così come di alture isolate e ben lontane dai centri abitati. Uno vale l’altra. Avremo il tempo di cibarci senza fretta, così da essere pronti per combattere» dichiarò lei, sollevando su una spalla il corpo afflosciato e privo di sensi di Chanel.

L’uomo assentì, imitandola e, con un sorriso pieno di aspettativa, mormorò: «Non vedo l’ora di affrontarli.»

«Pazienta, mio amore… avremo tutto il tempo di farlo, una volta che tu avrai divorato questa carne fresca» dichiarò lei, carezzandogli il viso prima di correre via a passo svelto. «Dopo la nostra visita a Qiugyat, hai bisogno di cibarti, e loro sono morbidi e gustosi al punto giusto.»

***

Piegandosi su un ginocchio per sfiorare la felce schiacciata che si trovava a poco meno di un passo da lui, Steve Greyson – sentinella beta del branco – sfiorò le foglie lanceolate e sporche di liquido denso e scuro, portandosi poi le dita al volto.

Annusato meglio ciò che lo aveva attirato lì dopo almeno due ore e mezzo di pellegrinaggio vano nei boschi, storse il naso e borbottò: «Merda. E’ umano.»

Ciò detto, afferrò la radio a onde lunghe che portava alla cintura e si sintonizzò sulla frequenza che Curtis aveva destinato al gruppo di sentinelle uscito in avanscoperta.

«Ehi, capo… brutte notizie. Ho trovato tracce di sangue umano. Sono di almeno tre ore fa, forse quattro, e si trovano a nord-ovest della città, a circa quattro miglia dal Clearwater River, a poca distanza da un vecchio sentiero in disuso. I ragazzi devono aver guadato il fiume e deciso di fare orienteering da soli, per questo abbiamo faticato tanto a trovare le loro tracce» dichiarò Steve, guardandosi intorno con espressione turbata. «Stando a quello che mi ha riferito mia figlia, Fergus e Chanel sono molto bravi, in quello sport. Lei si è allenata spesso, con loro, perciò l’ipotesi che siano usciti per un allenamento fuori cartellone, è più che lecita. Il punto è un altro, però.»

«Parla» ordinò lesto Curtis.

Steve continuò a esaminare la scena con occhi attenti. Non sembravano esservi segni di una colluttazione violenta, solo qualche genere di schiacciamento a terra – come di corpi distesi – ma poco altro. Il sangue presente, inoltre, non era sufficiente per far pensare a un eventuale decesso dei due giovani, il che gli permetteva ancora di sperare in una buona riuscita di quella caccia.

Perché di ciò si trattava, a questo punto. Oltre al sangue umano trovato sulla scena, infatti, c’era anche qualcos’altro, qualcosa che mai prima di allora aveva percepito.

Era odore di lupo, ma aveva un che di salmastro che non rassomigliava affatto ad aroma di licantropo, o di lupi naturali.

«C’è un odore di lupo che non ho mai sentito prima, e non è di lupo naturale» sottolineò a quel punto Steve.

«A volte i ragazzi hanno una capacità innata per cacciarsi nei guai…» brontolò preoccupato Curtis. «…comunque, non possiamo farci niente, a questo punto. Se sono così bravi nell’orienteering, a quest’ora sarebbero riusciti a rientrare anche se feriti, perciò è successo altro, lì e, se hai percepito un odore inconsueto, la cosa non mi fa ben sperare. Avverto Lucas e istituisco immediatamente un gruppo di volontari per una ricerca ufficiale. Forse, con il bosco pieno di gente, chi ha fatto loro del male si sentirà braccato e non proseguirà con due pesi sulle spalle.»

«Prega che li considerino tali, e li lascino indietro» sospirò Steve, guardandosi intorno sempre più turbato.

«Lo spero sempre» sospirò Curtis, chiudendo la comunicazione.

Steve, a quel punto, si lasciò guidare dall’olfatto nel tentativo di trovare qualche altra traccia ma, nel farlo, imprecò di fronte a un nuovo ostacolo e sollevò irritato il viso a scrutare il cielo plumbeo. Nel giro di mezz’ora sarebbe piovuto, rendendo vano qualsiasi loro intervento.

«Maledetto tempo canadese» ringhiò il lupo, affrettandosi a seguire la traccia olfattiva residua. Ben presto, non gli sarebbe rimasta neppure quella.

***

Lucas chiuse la chiamata con Curtis proprio mentre Chelsey e Liza scendevano dabbasso dopo essersi fatte una doccia. Aveva preferito prendersi personalmente cura di loro, dopo la notizia della scomparsa dei due giovani studenti di Clearwater ma, dopo quella telefonata, avrebbe desiderato trovarsi da tutt’altra parte.

Ammettere con loro la gravità della situazione era proprio ciò che voleva evitare, ma non poteva più tacere. Liza era Geri e doveva sapere, e Chelsey era un licantropo, quindi non poteva essere tenuta all’oscuro del potenziale pericolo che stava per abbattersi sul branco.

Poggiato perciò il cellulare sul divano, Lucas si avvicinò alle due ragazze e, sospirando, disse: «Ci sono brutte notizie. Hanno trovato sangue umano fresco, nel bosco, a poco meno di quattro miglia a ovest del fiume.»

Liza strinse i denti, sibilando furiosa e sorpresa mentre Chelsey, stringendo istintivamente la mano dell’amica, domandava turbata: «Era… era molto?»

«Non sufficiente a lasciar presagire la morte di qualcuno ma, almeno per il momento, non sappiamo più di questo. E’ di circa tre, quattro ore fa. Oltre a questo, è stata confermata la presenza di almeno un lupo dalle caratteristiche particolari, anomale.»

«Che genere di anomalia?» domandò Liza, stringendo a sé Chelsey per darle coraggio e darsi forza.

«Steve ha riferito a Curtis di aver avvertito un odore salmastro, oltre a quello di lupo.»

«Avrebbe senso, se pensiamo a chi è akhlut. Quella creatura ha a che fare con il mare, non solo con la terra» annuì torva Liza.

«Questo potrebbe confermarci la loro identità…» assentì suo malgrado Lucas. «…e, a questo punto, non posso più procrastinare oltre questa chiamata.»

«Chiamerai Dev e Iris?» domandò Liza.

«Non posso fare altrimenti. Ho fatto loro una promessa» dichiarò controvoglia Lucas, pigiando il numero due per la chiamata rapida del cellulare di Dev.

***

A migliaia di miglia di distanza, di fronte a un ottimo stufato di manzo, Dev sollevò il cellulare con espressione torva e, nello scrutare Iris e i suoi ospiti, dichiarò torvo: «Vacanze finite.»

Litha annuì pratica, lanciò un’occhiata ai suoi figli e dichiarò: «Siamo intesi, con voi, vero? Niente baruffe, e aiutate papà.»

«Sì, mamma» assentirono in coro i figli.

Ciò detto, Litha scrutò poi Dev, alle prese con la telefonata che li aveva appena messi in allarme e, quando lo vide annuire a più riprese, seppe che il tempo era giunto.

I Tuatha de Danann sarebbero tornati sul campo di battaglia.


 

  
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