N.d.A.: io comincerei a prendere fazzoletti e cioccolatini (se vi piacciono)...
15.
Erano
passati otto giorni da quando Liza aveva chiesto a Lucas di far
conoscere il
loro segreto a Mark e, da quel momento, per il giovane tutto era
cambiato.
Se,
da una parte, il suo rapporto con il padre era nettamente migliorato
– anche in
considerazione del fatto che Donovan aveva rinunciato a cercare oltre
la
creatura dei suoi incubi – Mark aveva però dovuto
mettere in conto il peso del
silenzio.
Liza,
in questo, lo aveva aiutato molto e, anche con il contributo di Sasha e
Chesley, era riuscito in qualche modo a venire a patti con
l’assoluta necessità
di non mettere al corrente della verità entrambi i genitori.
Conoscere
ogni segreto di Liza, però, aveva dato anche la
possibilità a Mark di scoprire
tanti piccoli altri particolari su di lei che, per un motivo o per un
altro,
non era mai riuscito a spiegarsi.
Le
volte in cui l’aveva vista sovrappensiero, o quando
l’aveva sorpresa a scrutare
il cielo senza alcun apparente motivo, erano state le occasioni in cui
ella
discuteva con il suo corvo, Muninn.
In
altri momenti, l’aveva invece sorpresa a scrutare suo padre
con un’attenzione
che andava ben oltre quella di uno studente appassionato. In almeno un
paio di occasioni,
Mark aveva temuto che lei si fosse presa la proverbiale cotta per
l’affascinante
professore di scuola.
Sapere
la verità aveva chiarito un sacco di dubbi, ma lo aveva
anche reso consapevole
del pericolo imminente a lui legato, e che Huginn aveva scorto nelle
sue
visioni.
Il
fatto che il Corvo del Pensiero non avesse avuto altri lampi di
precognizione
poteva essere un buon auspicio, ma non se la sentiva di tirare un
sospiro di
sollievo. In pratica, nulla era cambiato e questo significava che,
ciascuno di
loro, avrebbe dovuto continuare a stare in allerta, salvo cambiamenti
dell’ultima ora.
«Sei
pensieroso, tesoro» disse Diana, strappandolo ai suoi
pensieri.
Quel
giorno, Mark si era recato al cantiere assieme alla madre per vedere di
persona
gli sviluppi del suo lavoro e, quando era entrato nella lussuosa villa
in cui
stava lavorando, era rimasto impressionato.
La
struttura a tronchi era enorme e mirabilmente assemblata, e ogni pezzo
di legno
pareva essere stato ricoperto di seta. Ammaliato, si era ritrovato a
sfiorare
con dita leggere quelle superfici levigate, apprezzandone la magnifica
manifattura.
Non
da meno, si era rivelata essere l’operatività
umana all’interno del cantiere.
Il
lavorio degli operai sembrava interminabile e guidato da fili
invisibili, e
ognuno si muoveva in giro per l’ampio chalet come una
macchina ben oliata. A
tutti gli effetti, sembrava la coreografia di un balletto ben
collaudato.
Rock
– che ora Mark sapeva essere anche il Freki del branco
– dirigeva il tutto con
cipiglio militare ma, per Diana, era sempre prodigo di attenzioni,
sorrisi e
commenti spiritosi.
Accennando
un sorriso alla madre nello scacciare quei pensieri errabondi, Mark
asserì:
«Oh, scusa… ma questo posto è talmente
spettacolare che ne sono rimasto molto
colpito.»
«I
ragazzi lavorano davvero bene» annuì orgogliosa
Diana. «Sono molto contenta di
essere entrata a far parte di questo team. E vedrai quando
arriverà il nuovo
piano di lavoro che ho commissionato! Sarà in legno
massello, ovviamente, ma
lucidato a specchio e, alla fine dell’opera, sarà
come sfiorare il marmo più
puro.»
«Denoto
una leggera vena di esaltazione, nella tua voce»
ironizzò Mark, dandole un
colpetto con la spalla.
Lei
sorrise divertita, annuendo, e ammise: «E’ raro
trovare una squadra così ben
affiatata, e ancor di più trovarne una che accetti una nuova
arrivata. Ma con
questi ragazzoni mi ci trovo bene, perciò lavorare non costa
fatica.»
Ciò
detto, tornò seria e aggiunse: «Papà mi
ha detto che vi siete parlati in merito
alla sua ricerca.»
Mark
assentì, mormorando: «Mi ha detto che intende
rinunciare. Per me e per te. Da
una parte mi fa piacere, perché questo viavai non faceva
bene a nessuno, però…
non so se sia del tutto giusto nei suoi confronti. So quanto teneva a
scoprire
la verità sull’assassino degli zii.»
Diana
annuì gravemente alle sue parole e, nello sfiorare
un’alta colonna portante
della casa, replicò pensierosa: «A volte, anche se
si tiene fortemente a una
cosa, si deve rinunciare se, per conseguirla, si rischia di perdere
tutto il
resto. Come dici tu, non faceva bene neppure a lui seguire quelle piste
ai
limiti del credibile. Lo stavano logorando dentro, e stava logorando il
vostro
rapporto.»
Mark
si lasciò andare a un sospiro pesante e Diana, nel dargli
una pacca sulla
spalla, aggiunse: «Non devi pensare che sia per colpa tua, se
rinuncia.
Rinuncia perché sa di
avervi dedicato
tutto il tempo possibile, ma che adesso è giunto il momento
di guardare avanti.
Nessuno potrebbe criticarlo per questo.»
Se solo
sapesse quanto ci è andato vicino!,
pensò tra sé Mark
prima di notare Rock, in lontananza, e il suo sguardo cupo. Parlava
fittamente
al cellulare e sembrava assai turbato da qualcosa.
«Parliamo
di cose più leggere, ora…»
dichiarò a quel punto Diana, battendo le mani con
aria eccitata. «… tuo padre mi ha detto anche qualcos’altro!»
A
quell’accenno, Mark divenne scarlatto in volto –
con Diana non ne aveva ancora
parlato perché, nel frattempo, lui e Liza avevano dovuto
fare finta di nulla, a
scuola, per coprire le subdole manovre di Chanel. Questo, a sua volta,
aveva
comportato per i due giovani il dover mantenere un comportamento
assolutamente
normale, in pubblico, pur se i due si erano visti in segreto
– e più volte –
sulle sponde del lago, protetti dalla vista di Huginn e Muninn, che
avevano
fatto loro da palo.
Sorridendo
nervosamente alla madre adottiva, perciò, Mark
esalò: «Ah… sì.
C’è… beh, c’è
stato un bacio.» Più di
uno, in realtà,
ma perché sottilizzare?, pensò poi.
«Raccontami
tutto. Nei dettagli.»
«Cosa
vuoi che ci sia da raccontare? Io e Liza eravamo sulle sponde del lago,
intenti
a chiacchierare, ed è venuto spontaneo a entrambi»
si limitò a dire lui,
scrollando le spalle con fare apparentemente noncurante.
In
realtà, stava fibrillando al pensiero di poterle dire ogni
cosa, anche ciò che
era vietato ma, come aveva ormai imparato a fare suo malgrado, si
astenne.
Diana
sbuffò infastidita, di fronte a una frase così
superficiale e, piccata,
borbottò: «Sei un cuor di pietra. Dimmi di cosa
stavate parlando, se le hai
accarezzato la guancia prima di baciarla, se lei era soddisfatta o
meno…»
Accentuando
il proprio imbarazzo, Mark si grattò una guancia e
replicò: «Mamma! Ma non sei
un tantino impicciona?!»
«Dammi
un po’ di spago! Non è mai successo prima,
dopotutto!»
Mark
scosse il capo per l’esasperazione ma, prima di poter dire
alcunché, vide
sopraggiungere Rock a passo lesto, l’aria ombrosa e gli occhi
illuminati da una
luce feroce e guardinga.
Era
successo qualcosa.
«Diana…
Mark… mi spiace disturbarvi ma pensavo doveste
saperlo.» Ciò detto, lanciò
un’occhiata penetrante al giovane Sullivan prima di
aggiungere: «Nel pomeriggio
si sono perse le tracce di due tuoi compagni di classe, Mark, e i
genitori ne
hanno denunciato la scomparsa perché avrebbero dovuto essere
a casa già da ore.
E’ stata diramata un’allerta per un possibile
rapimento e/o una scomparsa
volontaria, ma ho preferito avvertirvi perché prestiate
maggiormente attenzione
alla prima opzione.»
Mark
comprese al volo cosa non avesse appena
detto Rock e, tra sé, tremò. La
visione di Huginn aveva parlato di lui
ma nessuno vietava che, per
stanarlo, si potessero usare delle vittime innocenti come, per esempio,
i suoi
amici.
Diana
afferrò immediatamente la mano del figlio e
domandò turbata: «Chi sono?»
«Si
tratta di Chanel Howthorne e Fergus McBride»
spiegò loro Rock.
Al
giovane venne un groppo in gola, alla sola idea che i suoi amici
potessero
essere dispersi da qualche parte, e magari preda di un feroce assassino
con le
sembianze di un lupo. Ugualmente, si trattenne dal fare qualsiasi
commento, o
apparire più ansia dell’accettabile, e si
limitò a scuotere il capo con
espressione turbata.
«So
che Chanel stava tentando di fare colpo su Fergus. Oggi, tra
l’altro, è il
compleanno di Fergus e, stasera, avremmo dovuto festeggiare a casa sua,
ma…»
tentennò Mark, non credendo neppure lui alle ipotesi che
stava formulando pur
desiderando metterle a voce. «… forse hanno deciso
di vedersi da soli, e così…»
Se
la notizia era stata data a Rock, era stato per mettere in allerta
tutti gli
alfa del branco, forse per paura che i fantomatici lupi a cui loro
stavano
dando la caccia fossero nei paraggi.
Avevano
evidentemente timore che fossero tornati al sud prima del tempo, e che
quella
scomparsa non fosse intenzionale, ma un vero e proprio rapimento.
Se
dietro alla sparizione dei suoi amici c’erano i lupi che
avevano ucciso i suoi
zii, poteva succedere davvero di tutto ma, di sicuro, nulla di buono.
«La
polizia sta setacciando tutti i posticini per
coppiette che si conoscono in giro ma, se nulla
salterà fuori, da domani si
procederà a pattugliare i boschi con i cani e la guardia
forestale» spiegò loro
Rock, scrollando impotente le spalle.
«Non
oso immaginare come stiano i loro genitori»
sospirò Diana. «Grazie per avercelo
detto, Rock. Presteremo attenzione.»
Lui
assentì con vigore, diede una pacca sulla spalla a Mark
dopodiché risalì le
scale per avvisare anche gli altri. Diversi dipendenti avevano figli
che
andavano a scuola a Clearwater e che, forse, potevano ritenere
necessario
sapere della notizia.
Diana,
nel frattempo, mandò un breve messaggio a Donovan
dopodiché, determinata, portò
fuori Mark e disse: «Andiamo subito a casa. Finché
non sapremo nulla di certo,
ti terrò d’occhio di persona.»
«E
cosa pensi di poter fare, visto che non sappiamo neanche cosa sia
successo?»
ironizzò Mark per stemperare la tensione.
«Affrontare dei potenziali rapitori
imbracciando il tuo portatile?»
«Oh,
qualcosa mi inventerò. Credimi. Non sottovalutare mai
un’arredatrice d’interni»
borbottò la donna prima di bloccarsi a metà di un
passo, sorridere appena e
aggiungere: «Toh… guarda chi
c’è accanto all’auto. Ciao, bel corvo
nero.»
Mark
ne seguì lo sguardo e, sorpreso, vide Huginn sulla
staccionata che delimitava
la proprietà ove stava lavorando la ditta di Devereux Saint
Clair, e proprio in
corrispondenza della loro auto.
La
sua vista lo fece rabbrividire ma, quando lo vide involarsi ed esibirsi
in ampi
cerchi, seppe che stava comunicando a Muninn la sua buona salute,
così che
anche Liza lo sapesse.
«E’
davvero un bel corvo, vero?» dichiarò Diana,
salendo in fretta in auto. «Ne ho
visti alcuni davvero splendidi, da queste parti.»
«Sì,
è molto bello» assentì Mark,
allacciandosi la cintura di sicurezza. «Spero però
che non faccia l’uccello del malaugurio.»
Sorridendo
divertita, Diana mise in moto e, nel fare manovra, replicò:
«Oh, ma su! Non
sarai mica superstizioso?»
Più
o meno,
pensò lui.
***
Lucas
chiuse la chiamata con Curtis prima di guardare suo padre e domandare:
«Come
stiamo, a scorte di sangue e medicazioni?»
«Non
ti preoccupare di questo, ragazzo. Abbiamo tutto sotto controllo.
Adesso,
aspettiamo di sentire come procedono le ricerche, prima di fasciarci la
testa.
Non è detto che questa emergenza sia stata causata da chi dite voi»
sottolineò Chuck, ripulendosi le mani dopo aver
sistemato l’ultimo scatolone nel magazzino della sua Clinica
Veterinaria.
«Dopotutto, quei ragazzi fanno parte del gruppo locale di
orienteering, perciò
non sono dei completi sprovveduti.»
Assieme
a Douglas Cooper, medico mannaro giunto a Clearwater sei mesi addietro
da
Vancouver, Chuck aveva messo in piedi un Santuario per Mannari
all’interno
della sua clinica.
Unendo
le rispettive conoscenze, avevano iniziato a studiare le analisi di
laboratorio
fornite loro da Brianna McAlister, oltre a produrre medicine con
l’aconito per
poter curare i mannari. Al tempo stesso, avevano aperto un consultorio
medico
per lenire i contraccolpi psicologici di coloro i quali erano stati
vittime di
Logan e Julia, fossero essi adulti o bambini.
Quei
mesi – a volte anni – passati nelle mani di quei
due squilibrati avevano
causato non pochi danni, a livello mentale, perciò il
reintegro in società
stava procedendo con cautela e molta, moltissima
attenzione.
Da
quando, però, era scattato l’allerta nei confronti
della famiglia Sullivan,
Chuck e Douglas si erano preparati al peggio anche senza ricevere
ordini
diretti da Lucas. Previdenti, si erano premurati di riempire i
magazzini con
scorte di bendaggi, medicamenti e quant’altro ma, non appena
avevano saputo di
un cambio di rotta nelle indagini, ogni cosa si era bloccata.
Sempre
più in ansia, avevano quindi ascoltato le parole cupe di
Fenrir in merito a un
nemico del tutto nuovo e di cui non sapevano assolutamente nulla. Di
fronte a
simili notizie, ogni loro sforzo era parso vano e inutile ma, in ogni
modo, non
si erano dati per vinti.
Qualunque
emergenza fosse loro capitata, avrebbero messo in campo il meglio delle
loro
conoscenze e, per nulla al mondo, avrebbero abbandonato la lotta.
Foss’anche
stata senza speranza.
«So
che siete pronti a tutto, ma preferisco avere sott’occhio il
quadro d’insieme,
e non darlo per scontato» replicò Lucas,
guardandosi intorno con espressione
torva.
«Detto
da buon capo, ovviamente» assentì Chuck, uscendo
dal magazzino assieme al
figlio. «Metti però in conto che potrebbe essere
semplicemente una scappatella
tra due innamorati.»
«Credimi…
lo spero ardentemente.»
Ciò
detto, Lucas sospirò e si mise in contatto con le sentinelle
del branco per
avere notizie anche da parte loro.
Non
voleva allertare Dev e Iris prima del tempo, e chiamarli per una fuga
d’amore
mal interpretata sarebbe stato assurdo. Quando avessero avuto notizie
certe per
un verso o per un altro, avrebbe deciso il da farsi.
***
“Mark
e Diana
stanno bene. Dico a Huginn di rimanere con loro?” domandò Muninn,
sorvolando il bosco nei pressi del campeggio, mentre Liza era impegnata
con
Chelsey e i suoi compiti di matematica.
“Sì,
digli pure
di rimanere con loro anche quando saranno arrivati a casa. Voglio
notizie fresche
su qualsiasi movimento nei pressi della loro abitazione” gli ordinò Liza
prima di sospirare e dire per Chelsey: «Per ora, è
tutto a posto.»
«Meno
male. Mi spiacerebbe che succedesse qualcosa a Mark»
annuì la ragazzina,
picchiettandosi la matita sul mento. «Se penso che gli altri
sono fuori a
cercarli, mentre io sono ferma qui con i compiti da fare, mi sento
davvero
inutile.»
Liza
sorrise comprensiva, replicando: «Ognuno di noi ha un compito
da svolgere, e il
tuo è quello di studiare. Il mio è quello di
sorvegliare la situazione
dall’alto tramite Muninn e Huginn, e quello delle sentinelle
è di pattugliare.»
«Studiare
non servirà a tenere i nemici lontani da noi»
brontolò per contro Chelsey.
«Non
ti posso dare torto, ma Lucas non ti permetterebbe mai di combattere.
Sei
piccola, e non hai ancora affrontato la tua battaglia al primo sangue.
Perciò,
niente interventi diretti, mi spiace» sottolineò
con un’alzata di spalle
l’amica.
Chelsey
borbottò qualche lamentela riguardo alla sua giovane
età, ma Liza non le diede
corda. Sapeva cosa voleva dire essere messi in panchina e, anche se a
lei era
stato dato un compito in quella sorta di missione preliminare, era solo
marginale e compiuta da terzi.
Sapevano
ancora troppo poco, di quei nemici, per far intervenire anche un Geri,
e
lasciare il tutto in mano ai soli mannari era obbligatorio, oltre che
scontato.
Entro
mezzanotte, se non fossero stati trovati né Chanel
né Fergus, la polizia
avrebbe dato inizio a un pattugliamento ufficiale
nei boschi, tramite un piccolo contingente di poliziotti e
volontari.
Quello ufficioso, d’altro canto, era iniziato nel momento
stesso in cui si
aveva avuto notizia della sparizione dei due ragazzi.
Liza
sperò ardentemente che non si arrivasse al punto di far
intervenire anche i
cani molecolari. Allora sì che avrebbe dovuto preoccuparsi
davvero.
***
Il
cuore di Chanel pompava a mille, mentre le mani si muovevano nevrotiche
e
scostanti sulla ferita aperta e sanguinante.
Era
successo tutto troppo in fretta, non era riuscita a capire cosa stesse
accadendo intorno a loro. Aveva scorto solo un’ombra nel
fitto bosco dove lei e
Fergus si erano allontanati per una passeggiata romantica e, di colpo,
come in
un incubo a occhi aperti, era scorso sangue.
Fergus
era finito a terra con il ventre scorticato, l’aria sconvolta
a distorcere i
suoi lineamenti e un singhiozzare convulso seguito da dolenti mugugni
di dolore
a stento trattenuti.
Subito,
lei era accorsa in suo aiuto, cercando le ferite sul suo ventre e
mettendo alla
luce quattro segni da artiglio non particolarmente profondi,
sufficienti a
mutilare epidermide e derma ma non la muscolatura profonda, o gli
organi
interni.
Piangendo
e tremando, lo aveva fatto sedere a terra e, cercando a tentoni
qualcosa di
utile all’interno del suo zaino, aveva tentato di tamponare
la ferita con le
garze del suo kit di primo soccorso. Un secondo colpo, però,
l’aveva atterrata,
strappandole il fiato dai polmoni.
L’attimo
seguente, aveva percepito un liquido caldo e denso colarle sul collo e,
terrorizzata, aveva portato le mani alla testa, trovando il cuoio
capelluto
distaccato in più punti.
Con
un grido pieno di terrore e gesti febbrili delle mani, aveva quindi
cercato di
ricomporre chioma e pelle, mentre gli stimoli del dolore cominciavano a
esplodere nella sua mente come tanti fuochi d’artificio.
Fergus, ansimante e
con occhi colmi di un panico sempre più divorante, aveva
comunque tentato di
aiutarla offrendole la sua cuffia.
Non
avendo altro a cui aggrapparsi, Chanel l’aveva indossata
nonostante il dolore
bruciante dopodiché, guardandosi intorno con aria scioccata
e impaurita
insieme, aveva tentato di capire chi li avesse attaccati.
Nulla,
però, erano riusciti a scorgere. Solo le ombre lunghe della
foresta che, da
benevola e piacevole quale era sempre stata, era improvvisamente
diventata cupa
e spaventosa.
Erano
passate due ore da quei terribili momenti, e lei e Fergus non avevano
più
tentato di muoversi, terrorizzati al pensiero di poter incontrare sul
loro
cammino di rientro la creatura che li aveva assaliti.
«Vedrai
che prima o poi ci verranno a cercare…» disse per
l’ennesima volta Chanel, tornando
al presente e tastandosi distrattamente il capo, dove il sangue
coagulato si
era incollato alla cuffia.
Molto
probabilmente, avrebbero dovuto strapparle i capelli per riuscire a
tirarla via
ma, a quel punto, poco le importava. Le bastava che qualcuno venisse a
salvarli.
Fergus
assentì suo malgrado alle parole dell’amica, pur
non credendovi molto.
Solitamente si aspettavano molte più ore, prima di
mobilitare la polizia, e
loro non avevano tutto quel tempo. Vero era che, quella sera, avrebbero
dovuto
festeggiare il suo compleanno perciò, non vedendolo tornare
per le cinque,
molto probabilmente i suoi genitori avrebbero allertato chi di dovere.
Il
punto era un altro. Per quell’uscita imprevista – e
che lui aveva gradito
moltissimo, almeno all’inizio – avevano scelto di
percorrere un vecchio
sentiero poco utilizzato, lasciandolo poco tempo dopo per esercitarsi
nell’orienteering. Per lui e Chanel era
un’occupazione quasi settimanale e, nel
corso degli anni, erano diventati piuttosto bravi.
Il
fatto che Chanel gli avesse proposto quell’uscita a due per
allenarsi senza il
resto del loro gruppo, lo aveva galvanizzato, portandolo ad accettare
subito
l’invito. Giusto per godersi l’idea di
quell’uscita privata, non
aveva detto nulla ai genitori, aveva afferrato il suo
zaino da trekking – sempre pronto – ed era uscito.
Il
solo pensiero di poter stare da solo con Chanel lo aveva reso cieco e
sordo a
qualsiasi precauzione. Pur se una cosa del genere davvero non se la
sarebbe mai
aspettata, era pur vero che, se i genitori avessero saputo della loro
uscita,
avrebbero potuto intervenire e venire a cercarli.
Nulla
sapendo, anche gli eventuali ricercatori avrebbero impiegato un sacco
di tempo
a trovare le loro tracce e forse…
Scuotendo
il capo, Fergus ripensò ai loro primi passi nel bosco, al
sentiero quasi
cancellato dal bosco che avevano deciso di imboccare e della gioia nel
poter
condividere assieme quell’avventura.
Tutto
era andato bene per la prima ora e mezzo, e Fergus aveva anche sperato
che
Chanel facesse il primo passo con lui, dopo quell’invito, ma
tutto era andato a
rotoli nel momento stesso in cui erano stati attaccati.
Ogni
cosa era diventata un incubo a occhi aperti e ora, con quella
cosa che li aveva presi di mira e che, quasi sicuramente,
stava giocando al gatto col topo con loro, non sapeva più
che pesci prendere, o
cosa pensare.
Un
fruscio tra il sottobosco li fece entrambi tremare di paura e Chanel,
nel
tentativo di aiutare Fergus ad alzarsi, ringhiò:
«Dobbiamo provare a
riavvicinarsi a Clearwater, se vogliamo che ci trovino alla
svelta.»
Lui
annuì a fatica, tenendosi a lei e alla pianta contro cui era
rimasto poggiato
fino a quel momento e, con voce resa roca dal dolore,
borbottò: «Dove vai tu,
vado io.»
«E
ti ci è voluta un’esperienza di premorte, per
dirmelo?» esalò lei, con un
risolino nervoso.
«Che
ci vuoi fare… i maschi sono tardi»
dichiarò lui, facendo spallucce prima di
tentare di approcciare un passo in avanti.
Sì,
le gambe reggevano, anche se l’addome gli doleva come se vi
fosse passato sopra
un camion. In qualche modo, comunque, avrebbe fatto.
Chanel
assentì al suo indirizzo e, sorreggendosi l’un
l’altra, iniziarono a muoversi
in direzione della cittadina da cui si erano allontanati per stare un
po’ soli.
Col
senno di poi, Chanel non avrebbe mai e poi mai ideato
quell’uscita a due, se
avesse anche soltato immaginato che qualcuno si aggirasse nei boschi
per
inscenare un delirio di follia come quello. Non potendo rimediare a
quell’errore involontario, però, ora le rimaneva
soltanto una cosa; riportare
Fergus a casa.
Dovevano
rientrare a tutti i costi, o le loro ferite si sarebbero infettate
più
dell’accettabile, portandoli a una morte per setticemia.
Un
risolino stridulo li raggelò sul posto, cancellando
qualsiasi traccia di
risolutezza.
Comparendo
da dietro un alto abete sitka, la figura di un uomo imponente e
completamente
nudo si parò innanzi a loro, fissandoli con bramosia animale
mentre loro,
raggelati sul posto, non riuscivano quasi a emettere fiato.
Per
quanto ferito e dolorante, Fergus comunque si sporse in avanti per
proteggere
Chanel che, però, si ancorò al ragazzo
perché lui non fosse l’unico oggetto di
interesse di quel tizio. Non desiderava interpretare la parte della
principessa
da salvare, anche se stava tremando come una foglia e aveva una paura
fottuta
di morire.
«Cosa
diavolo vuoi, da noi?» riuscì a dire Fergus, pur
sentendo il panico rimordergli
le viscere.
«Giocare»
disse unicamente l’uomo continuando ad avanzare lentamente
verso di loro.
I
ragazzi indietreggiarono di un passo, sgomenti e spaventati e, per
diretta
conseguenza, una risata di scherno si levò dal petto villoso
dell’uomo, che
aggiunse: «Dove pensate di andare?»
Chanel
e Fergus si guardarono vicendevolmente per alcuni istanti e,
all’unisono, si
mossero nella direzione opposta a quella dell’uomo che
bloccava loro la strada,
pregando che quel tentativo disperato di fuga funzionasse.
Quella
manovra diversiva non aveva tenuto però conto
dell’eventualità che l’uomo fosse
in compagnia. Dopo qualche passo, infatti, Chanel ruzzolò a
terra con un grido strozzato
e Fergus, volgendosi disperato verso di lei, vide con sommo orrore una
donna
piegata sulla sua amica.
Ghignante
e soddisfatta, la donna appena apparsa la stava trattenendo a terra
tenendola
bloccata a un braccio.
Anch’ella,
come l’uomo, era nuda e, nonostante
l’assurdità di in un simile pensiero,
Fergus non poté che trovarla la donna più bella
che avesse mai visto in vita
sua. Forse proprio a causa della crudeltà con cui stava
bloccando Chanel,
quella peculiarità gli balzò agli occhi come
qualcosa di assurdo.
Come
poteva, una creatura così celestiale, essere anche tanto
brutale?
«Dobbiamo
allontanarci da qui, se vogliamo divertirci con loro in santa
pace» dichiarò
dopo alcuni istanti la donna, sollevando con facilità Chanel
e strattonandole
il braccio fino a disarticolarle la spalla.
Lo
schiocco secco dell’osso coincise con un urlo carico di
dolore e sorpresa da
parte della ragazza, a cui seguì un quasi immediato
svenimento. Quel colpo
inferto proditoriamente aveva fatto crollare del tutto Chanel, ora
preda inerme
della donna che l’aveva catturata.
Fergus
la vide crollare a terra priva di sensi, impossibilitato a muoversi
perché più
che consapevole della propria debolezza, oltre che
dell’inutilità di qualsiasi
gesto dettato dalla rabbia. Era chiaro che quella donna possedeva una
forza molto
superiore alla sua, e sarebbe stata in grado di abbatterlo con
facilità,
esattamente come aveva appena fatto con Chanel.
Ugualmente,
però, digrignò i denti e sibilò:
«Perché ci state facendo questo?! Chi
siete?!»
L’uomo
gli si avvicinò rapido e letale e, senza alcun preavviso,
gli torse il braccio
dietro la schiena fino a farlo piegare in ginocchio
dopodiché, furioso, gli
sibilò a un centimetro dal volto: «Non ti
è concesso rivolgerle la parola, è
chiaro?!»
Ciò
detto, abbatté il taglio della mano libera sul collo di
Fergus e, quand’anche
il giovane crollò svenuto ai suoi piedi, l’uomo
domandò alla sua compagna e
dea: «Dove desideri andare?»
«Ci
sono un mucchio di cascate e anfratti riparati, da queste parti,
così come di
alture isolate e ben lontane dai centri abitati. Uno vale
l’altra. Avremo il
tempo di cibarci senza fretta, così da essere pronti per
combattere» dichiarò
lei, sollevando su una spalla il corpo afflosciato e privo di sensi di
Chanel.
L’uomo
assentì, imitandola e, con un sorriso pieno di aspettativa,
mormorò: «Non vedo
l’ora di affrontarli.»
«Pazienta,
mio amore… avremo tutto il tempo di farlo, una volta che tu
avrai divorato
questa carne fresca» dichiarò lei, carezzandogli
il viso prima di correre via a
passo svelto. «Dopo la nostra visita a Qiugyat,
hai bisogno di cibarti, e loro sono morbidi e gustosi al
punto giusto.»
***
Piegandosi
su un ginocchio per sfiorare la felce schiacciata che si trovava a poco
meno di
un passo da lui, Steve Greyson – sentinella beta del branco
– sfiorò le foglie
lanceolate e sporche di liquido denso e scuro, portandosi poi le dita
al volto.
Annusato
meglio ciò che lo aveva attirato lì dopo almeno
due ore e mezzo di
pellegrinaggio vano nei boschi, storse il naso e borbottò:
«Merda. E’ umano.»
Ciò
detto, afferrò la radio a onde lunghe che portava alla
cintura e si sintonizzò
sulla frequenza che Curtis aveva destinato al gruppo di sentinelle
uscito in
avanscoperta.
«Ehi,
capo… brutte notizie. Ho trovato tracce di sangue umano.
Sono di almeno tre ore
fa, forse quattro, e si trovano a nord-ovest della città, a
circa quattro
miglia dal Clearwater River, a poca distanza da un vecchio sentiero in
disuso.
I ragazzi devono aver guadato il fiume e deciso di fare orienteering da
soli,
per questo abbiamo faticato tanto a trovare le loro tracce»
dichiarò Steve,
guardandosi intorno con espressione turbata. «Stando a quello
che mi ha
riferito mia figlia, Fergus e Chanel sono molto bravi, in quello sport.
Lei si
è allenata spesso, con loro, perciò
l’ipotesi che siano usciti per un
allenamento fuori cartellone, è più che lecita.
Il punto è un altro, però.»
«Parla»
ordinò lesto Curtis.
Steve
continuò a esaminare la scena con occhi attenti. Non
sembravano esservi segni
di una colluttazione violenta, solo qualche genere di schiacciamento a
terra – come
di corpi distesi – ma poco altro. Il sangue presente,
inoltre, non era
sufficiente per far pensare a un eventuale decesso dei due giovani, il
che gli permetteva
ancora di sperare in una buona riuscita di quella caccia.
Perché
di ciò si trattava, a questo punto. Oltre al sangue umano
trovato sulla scena, infatti,
c’era anche qualcos’altro, qualcosa che mai prima
di allora aveva percepito.
Era
odore di lupo, ma aveva un che di salmastro che non rassomigliava
affatto ad
aroma di licantropo, o di lupi naturali.
«C’è
un odore di lupo che non ho mai sentito prima, e non è di
lupo naturale»
sottolineò a quel punto Steve.
«A
volte i ragazzi hanno una capacità innata per cacciarsi nei
guai…» brontolò
preoccupato Curtis. «…comunque, non possiamo farci
niente, a questo punto. Se
sono così bravi nell’orienteering, a
quest’ora sarebbero riusciti a rientrare
anche se feriti, perciò è successo altro,
lì e, se hai percepito un odore
inconsueto, la cosa non mi fa ben sperare. Avverto Lucas e istituisco
immediatamente un gruppo di volontari per una ricerca ufficiale.
Forse, con il bosco pieno di gente, chi ha fatto loro
del male si sentirà braccato e non proseguirà con
due pesi sulle spalle.»
«Prega
che li considerino tali, e li lascino indietro»
sospirò Steve, guardandosi
intorno sempre più turbato.
«Lo
spero sempre» sospirò Curtis, chiudendo la
comunicazione.
Steve,
a quel punto, si lasciò guidare dall’olfatto nel
tentativo di trovare qualche
altra traccia ma, nel farlo, imprecò di fronte a un nuovo
ostacolo e sollevò irritato
il viso a scrutare il cielo plumbeo. Nel giro di mezz’ora
sarebbe piovuto,
rendendo vano qualsiasi loro intervento.
«Maledetto
tempo canadese» ringhiò il lupo, affrettandosi a
seguire la traccia olfattiva
residua. Ben presto, non gli sarebbe rimasta neppure quella.
***
Lucas
chiuse la chiamata con Curtis proprio mentre Chelsey e Liza scendevano
dabbasso
dopo essersi fatte una doccia. Aveva preferito prendersi personalmente
cura di
loro, dopo la notizia della scomparsa dei due giovani studenti di
Clearwater
ma, dopo quella telefonata, avrebbe desiderato trovarsi da
tutt’altra parte.
Ammettere
con loro la gravità della situazione era proprio
ciò che voleva evitare, ma non
poteva più tacere. Liza era Geri e doveva
sapere, e Chelsey era un licantropo, quindi non poteva essere
tenuta
all’oscuro del potenziale pericolo che stava per abbattersi
sul branco.
Poggiato
perciò il cellulare sul divano, Lucas si avvicinò
alle due ragazze e,
sospirando, disse: «Ci sono brutte notizie. Hanno trovato
sangue umano fresco,
nel bosco, a poco meno di quattro miglia a ovest del fiume.»
Liza
strinse i denti, sibilando furiosa e sorpresa mentre Chelsey,
stringendo
istintivamente la mano dell’amica, domandava turbata:
«Era… era molto?»
«Non
sufficiente a lasciar presagire la morte di qualcuno ma, almeno per il
momento,
non sappiamo più di questo. E’ di circa tre,
quattro ore fa. Oltre a questo, è
stata confermata la presenza di almeno un lupo dalle caratteristiche
particolari, anomale.»
«Che
genere di anomalia?» domandò Liza, stringendo a
sé Chelsey per darle coraggio e
darsi forza.
«Steve
ha riferito a Curtis di aver avvertito un odore salmastro, oltre a
quello di
lupo.»
«Avrebbe
senso, se pensiamo a chi è akhlut.
Quella creatura ha a che fare con il mare, non solo con la
terra» annuì torva
Liza.
«Questo
potrebbe confermarci la loro identità…»
assentì suo malgrado Lucas. «…e, a
questo punto, non posso più procrastinare oltre questa
chiamata.»
«Chiamerai
Dev e Iris?» domandò Liza.
«Non
posso fare altrimenti. Ho fatto loro una promessa»
dichiarò controvoglia Lucas,
pigiando il numero due per la chiamata rapida del cellulare di Dev.
***
A
migliaia di miglia di distanza, di fronte a un ottimo stufato di manzo,
Dev
sollevò il cellulare con espressione torva e, nello scrutare
Iris e i suoi
ospiti, dichiarò torvo: «Vacanze finite.»
Litha
annuì pratica, lanciò un’occhiata ai
suoi figli e dichiarò: «Siamo intesi, con
voi, vero? Niente baruffe, e aiutate papà.»
«Sì,
mamma» assentirono in coro i figli.
Ciò
detto, Litha scrutò poi Dev, alle prese con la telefonata
che li aveva appena
messi in allarme e, quando lo vide annuire a più riprese,
seppe che il tempo era
giunto.
I
Tuatha de Danann sarebbero tornati sul campo di battaglia.