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Autore: Star_Rover    01/12/2020    6 recensioni
Fronte Occidentale, 1917.
La guerra di logoramento ha consumato l’animo e lo spirito di molti ufficiali valorosi e coraggiosi.
Dopo anni di sacrifici e sofferenze anche il tenente Richard Green è ormai stanco e disilluso, ma nonostante tutto è ancora determinato a fare il suo dovere.
Inaspettatamente l’ufficiale ritrova speranza salvando la vita di un giovane soldato, con il quale instaura un profondo legame.
Al fronte però il conflitto prosegue inesorabilmente, trascinando chiunque nel suo vortice di morte e distruzione.
Genere: Angst, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Il Novecento, Guerre mondiali
Capitoli:
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XXXIX. Il ritorno
 

Una gran confusione regnava al Centro di smobilitazione, i mezzi arrivavano e partivano di continuo. La folla diventava sempre più impaziente, gli uomini si ammassavano e si accalcavano creando un caos indescrivibile.
I soldati, ormai esausti, erano stanchi di attendere e cercavano di carpire qualsiasi tipo di informazione. Ogni tanto qualcuno perdeva la pazienza e le sue richieste si tramutavano in grida di frustrazione.
Hugh vide un ufficiale che stremato dalla situazione continuava a camminare avanti e indietro facendosi spazio tra la folla. Ripeteva sempre le stesse parole, rivolgendosi a tutti e a nessuno in particolare.
«State calmi! Non sappiamo ancora nulla! Dovete avere pazienza!»
I soldati non esitarono a rispondere in modo brusco e irriverente, molti di loro erano in attesa da giorni.
Hugh si passò una mano sul viso, aveva gli occhi stanchi, era in piedi da ore, le membra dolevano per lo sforzo.
D’istinto controllò il taschino della giubba, i documenti erano ancora al loro posto.
Al suo fianco un soldato si mostrava sempre più agitato, inveiva di continuo e si lamentava per ogni cosa, il suo alito odorava di whiskey.
Hugh tentò di ignorare la sua presenza, in altre condizioni avrebbe trovato la situazione davvero insopportabile.
Ad un tratto quell’uomo iniziò a litigare con un maggiore. L’ufficiale era in difficoltà nel mantenere un atteggiamento pacato nei confronti di quel soldato che si rivolgeva a lui senza alcun rispetto.
Hugh notò l’espressione sconvolta del maggiore, il quale se ne andò senza replicare. In trincea un comportamento del genere sarebbe stato considerato intollerabile.
La confusione aumentò ulteriormente, Hugh mosse pochi passi, avanzando nel mezzo della folla. Poco distante due soldati si ritrovarono coinvolti in una discussione piuttosto animata. Hugh non riuscì a comprendere cosa avesse provocato quella lite, ma la situazione degenerò in fretta, i due finirono per azzuffarsi. Gli altri furono costretti a separarli con la forza, ma i contendenti continuarono a scambiarsi volgari insulti anche dopo esser stati allontanati.
Hugh scosse le spalle, erano tutti uomini abituati alla violenza, dopo quattro anni di guerra nessuno di loro era pronto ad affrontare la vita civile. Questi episodi sempre più frequenti ne erano la prova.
Il giovane tornò a prestare attenzione alla massa informe di soldati, sospirando tra la frustrazione e la rassegnazione.
 
«Credevo che dovesse arrivare un treno supplementare» disse qualcuno.
«Già, è arrivato e poi è ripartito» rispose un altro.
«Davvero? E perché nessuno di noi è salito su quel treno?»
«Era già pieno quando è arrivato in stazione»
«Non è giusto! Noi stiamo aspettando da più tempo, abbiamo il diritto di tornare a casa prima degli altri!»
Hugh ascoltava discorsi simili in continuazione. Alla fine nessuno sapeva niente e non c’erano mai informazioni certe.
Trascorreva tutte le ore del giorno impilato nella sua colonna, anche per dormire e mangiare doveva attendere il suo turno.
«Dannazione, questa sbobba è peggio della segatura che ci davano in trincea!» commentò un caporale con una smorfia di disgusto.
Gli altri scoppiarono in una sonora risata.
 
Hugh iniziò a mostrare segni di insofferenza, la folla lo stava asfissiando. Veniva urtato in continuazione, in ogni luogo si fermasse trovava sempre qualcuno che per superarlo gli infilava una gomitata nel fianco o lo colpiva con forza alle spalle.
La testa doleva per la confusione, le urla gli provocavano un’emicrania costante.
Finalmente Hugh riuscì a raggiungere la scrivania dove si trovava un gendarme che con innaturale calma e tranquillità sistemava centinaia di fogli e documenti. Scriveva con la testa china, si sistemava gli occhialetti tondi sul naso, poi rileggeva con premurosa attenzione.
Hugh si domandò se quell’uomo si stesse divertendo a far perdere la pazienza a tutti quanti.
Il giovane consegnò i documenti nelle sue mani, sperando che tutto fosse in ordine.
Il gendarme gli rivolse uno sguardo freddo e severo, rimase qualche istante ad analizzare la sua foto, poi alzò ancora la testa.
«Lei è il soldato Hugh McKee?»
Egli confermò.
«Non sembra scozzese»
«Appartengo al Secondo battaglione dell’Essex, se avesse letto la seconda riga potrebbe già saperlo»
L’altro mostrò un sarcastico sorriso.
«Scusi, ma devo esserne certo. Come può immaginare ci sono molti imbroglioni e truffatori che cercano di svignarsela dall’esercito con la paga da soldato»
«Io voglio solo tornare a casa»
«Nell’Essex ci sono molti irlandesi, lei invece è scozzese»
«Mio nonno era scozzese, e comunque che cosa c’entra tutto questo? Uno scozzese non può combattere a fianco di inglesi e irlandesi?»
Il gendarme rimase impassibile: «dunque è vero che voi scozzesi siete così irascibili»
Hugh strinse i pugni, non poteva credere che non avrebbe potuto tornare a casa perché quell’uomo odiava gli scozzesi.
«Può controllare tutti i documenti che vuole, non sono un impostore!»
«Vede, il problema è che qui ho già segnato un soldato McKee, il quale è partito per Londra ieri»
«Di certo non sono l’unico McKee dell’intero Esercito britannico!»
«Già…immagino. Deve esserci stato un disguido»
«Be’, lo risolva! Non è questo il suo lavoro?»
Il gendarme non parve troppo preoccupato a riguardo, allungò un braccio per afferrare la cornetta del telefono e con aria svogliata compose un numero.
Hugh attese con impazienza, battendo con insistenza il piede a terra.
L’uomo chiuse la chiamata e tornò a rivolgersi a lui.
«Soldato McKee…» disse con aria pensierosa.
«La prego, mi dica quel che devo fare per salire su quel dannato treno!»
«Le ho già spiegato il problema, lei potrebbe non essere la persona giusta»
«Chi ha chiamato? Non le hanno dato informazioni?»
«Purtroppo la documentazione è già stata archiviata, ci vorrà del tempo per recuperare quegli elenchi…»
«E se quelle carte fossero state perse? Allora dovrei tornare in Francia?»
«Se dipendesse solo da me potrebbe salire anche sul prossimo treno, ma come può ben immaginare ci sarebbero delle conseguenze»
«Sì, certo. Ma…»
«Non sa in quanti si sono presentati con un libretto militare falso, o in quanti lo abbiano perduto. Vede, questa faccenda è davvero complessa»
«Io però non ho nulla a che fare con questi imbrogli! Voglio solo tornare a casa dalla mia famiglia. Non ho combattuto per tre anni in prima linea per farmi trattare come un criminale!»
«Come le ho già detto, non posso fidarmi ciecamente di lei»
Hugh avvertì che i soldati in fila dietro di lui stavano iniziando a spazientirsi, ma egli era deciso a restare al suo posto finché non gli avrebbero concesso di tornare a casa.
«Che succede? C’è qualche problema?»
Il soldato voltò lo sguardo, fu lieto di sentire una voce conosciuta. Il capitano Howard sbucò da quella massa color kaki, i gradi sulla divisa misero in soggezione il gendarme.
«Non posso autenticare l’identità di questo soldato, ma egli sembra essere particolarmente insistente»
 «Conosco quest’uomo. Il soldato McKee è un reduce di Passchendaele, dovrebbe essere trattato con il giusto rispetto»
«Sissignore, se garantisce per lui posso lasciarlo passare»
«Bene, vede che non era difficile? Questione risolta» concluse Howard con soddisfazione.
Il gendarme registrò i dati e poi riconsegnò i documenti al proprietario.
Hugh emise un sospiro di sollievo.
«Grazie capitano»
Howard si limitò a salutarlo con un cenno, poi scomparve nuovamente tra la folla.
 
Hugh osservò i cartelli appesi fuori dalla stazione.
«Non ci sono treni per Londra oggi» lo informò un ferroviere.
«Quando partirà il prossimo treno?»
«Non lo so»
«Che cosa significa che lei non lo sa?» chiese il soldato ormai esasperato.
«Non lo so significa che non lo so! Dovrà attendere domani mattina come tutti gli altri»
Hugh fu costretto ad arrendersi, avrebbe potuto tornare a casa entro ventiquattro ore oppure dopo una settimana. In quelle condizioni non c’era alcuna certezza.
 
***

La signora Dawber era una donna di particolare bellezza, il suo viso dai lineamenti gentili e delicati e i suoi grandi occhi castani le donavano un’aria dolce e innocente.
Quando il medico di turno la vide entrare nell’enorme atrio del Queen Mary’s Convalescent Hospital provò una profonda tristezza, era certo che non avrebbe potuto darle buone notizie, gli sarebbe spiaciuto essere causa della sua disperazione.
Alla fine si fece coraggio e si presentò con la sua solita professionalità.
«Buongiorno signora, sono il dottor Hales, posso fare qualcosa per lei?»
Lei rispose con evidente preoccupazione: «sono qui per far visita a un vostro paziente, il suo nome è Jack Dawber. Egli è mio marito»
Il medico notò che aveva pronunciato con particolare enfasi quell’ultima frase, come per sottolineare ancor più quel concetto.
«Suppongo che sia già stata informata a riguardo delle sue condizioni»
Lei si limitò ad annuire con un lieve cenno del capo.
«Io credo che dovrebbe prendersi un po’ di tempo prima, l’aspetto di suo marito non è più quello che lei ricorda. Potrebbe non riconoscerlo, per molti questa è un’esperienza dal forte impatto emotivo»
«Non vedo mio marito da prima della guerra, credo di aver già atteso abbastanza»
Hales non osò contraddirla: «d’accordo, se lei si ritiene pronta non ho nulla in contrario. Prego, mi segua»
La signora Dawber seguì il medico attraverso il lungo corridoio, Hales si fermò davanti alla porta.
La donna entrò nella camera fredda e asettica. Si avvicinò a con passi lenti e incerti al letto, ebbe un lieve sussulto quando notò le reali condizioni del ferito.
L’uomo che giaceva inerme sul materasso era deperito e deturpato. Il suo aspetto era ormai irriconoscibile, ma lei volle credere che il giovane che aveva conosciuto e di cui si era innamorata non fosse svanito per sempre.
«Jack…»
Egli riaprì gli occhi, immediatamente riconobbe la sua voce: «Catherine …»
«Sono così contenta che tu sia tornato» disse lei con la voce interrotta dai singhiozzi.
Dawber rimase in silenzio, in quel momento provò solo vergogna, non avrebbe mai voluto farsi vedere dalla donna che amava in quelle condizioni.
«Per quale motivo sei qui?»
«Volevo vederti»
Jack sospirò: «sono ridotto male, vero? Suppongo peggio di quanto pensassi»
«Io…sono solo felice che tu sia vivo. Ho davvero temuto di averti perso per sempre»
Dawber non poté restare insensibile davanti al sincero dolore della moglie.
«Per favore Jack, torna a casa con me e i bambini»
«Mi dispiace, non posso»
«Per quale ragione?»
Egli dovette sforzarsi per guardare la coniuge negli occhi.
«I nostri figli, che cosa potrebbero mai pensare di me?»
«Quei bambini hanno bisogno di un padre»
«Ho già deluso abbastanza tutti voi» affermò con rammarico.
«Siamo disposti a perdonarti»
«Dopo tutto quello che ho fatto?»
«So che non hai mai avuto cattive intenzioni. Hai commesso degli errori in passato, ma hai sempre cercato di fare del tuo meglio per la tua famiglia»
«Ho fallito come padre e come marito. Credevo che sareste stati felici senza di me»
«Come puoi aver pensato una simile assurdità?»
Dawber osservò il dolce viso di sua moglie.
«Oh, Catherine…ho sempre saputo di non essere abbastanza per te»
Lei si rattristò nel sentire quelle parole.
«Io non ho mai preteso nulla da te»
«Meriteresti un uomo migliore di me»
«Non ho mai desiderato nessun altro»
Dawber era certo che ella fosse sincera, forse era proprio questo a turbarlo.
«Ti prego, ti prometto che affronteremo tutto questo insieme come una vera famiglia»
«Tu…mi ami ancora?»
«Certo che ti amo»
Jack avvertì gli occhi umidi dalle lacrime: «anche se…se ora sono orribile?»
Catherine sfiorò la cicatrice sul suo volto con una lieve carezza.
«Tu non sei orribile. Sei l’uomo che ho sposato e il padre dei miei figli. Ti ho amato dal primo istante e ti amerò per sempre»
Jack strinse la sua mano: «mi dispiace per essermene andato quando avevi bisogno di me»
Lei tentò di rassicurarlo: «l’importante ora è che tu sia qui»
Dawber si commosse nel sentire quelle parole. Forse Hugh aveva ragione, nonostante tutto non era troppo tardi.
 
***

Horace osservò la scatola chiusa con ansia e preoccupazione, procurarsi la morfina diventava sempre più difficile e rischioso. George aveva le conoscenze giuste tra medici disonesti e spacciatori di periferia. Era sempre stato lui a procurarsi la droga. Waddington era certo che prima o poi sarebbe finito in qualche brutta situazione ed ora che ciò era davvero accaduto non poteva più ignorare la realtà.
George era steso sulla poltrona con un braccio fasciato, non aveva voluto dire troppo, solo che c’era stata una rissa e qualcuno aveva tirato fuori un coltello. Quei ragazzi avevano commesso un errore ad assalire un soldato, George si era difeso a dovere. Horace non aveva posto domande, il sangue sui suoi vestiti era stato un segnale di avvertimento.
Waddington aprì la scatola trovandola piena di fiale, ma notò subito che qualcosa non andava.
«Che cos’è questa roba?»
George sorrise: «credevi davvero che mi sarei fatto accoltellare per della schifosa morfina?»
«Dannazione, io non prendo eroina!»
Il suo compagno scoppiò in una risata nervosa.
«Che ti prende? Adesso vuoi sostenere di essere una brava persona?»
Waddington richiuse la scatola abbandonando il suo contenuto sul tavolo.
«La morfina mi serve solo per dormire»
«Sì, certo…»
«Non mi importa che cosa pensi di me, per quel che mi riguarda questa storia finisce qui»
«Dunque è così…ti credi migliore di me perché hai paura di sporcarti le mani?»
«Siamo entrambi stati in guerra, nessuno di noi ha paura di sporcarsi le mani!»
«Già…la guerra. È sempre colpa della guerra»
«Ascolta, non mi interessa che cosa inietti nelle tue vene, io ho chiuso con te!»
L’altro non parve particolarmente sorpreso: «sono certo che tornerai quando sarai rimasto senza morfina»
«Posso provvedere da solo a procurarmi ricette false, non mi serve più il tuo aiuto»
George avvertì la porta di legno sbattere alle sue spalle, rimase immobile sulla poltrona, pensando solo al fatto che in quel caso non avrebbe dovuto dividere il suo bottino con nessuno.
Horace rimase solo a riflettere sulla situazione. Era vero, era dipendente dalla morfina, su questo non aveva mai discusso, ma da quando era tornato dal fronte aveva tentato di mantenere la situazione sotto controllo. Annotava ogni cosa: numero di iniezioni, orari e dosi.
Non sapeva per quale motivo, forse in fondo sperava ancora di poter essere salvato.
 
***

Le giornate trascorrevano lente e noiose al St Thomas’s Hospital. Il tenente Green era stato trasferito in un reparto per soli ufficiali, a lui avevano riservato una stanza privata con un’ampia finestra che offriva una bella vista sul Tamigi.
Richard aveva avuto bisogno di tempo per riprendersi dal lungo viaggio che aveva messo a dura prova il suo fisico stanco e indebolito. Le sue condizioni restavano stabili, i medici sembravano ottimisti, ma non avevano ancora espresso alcuna opinione decisiva.
Richard trascorreva la maggior parte del tempo da solo da quando Finn era tornato nell’Essex per far visita alla sua famiglia. Il tenente non aveva molte distrazioni, ma almeno poteva trovare un po’ di compagnia quando i suoi commilitoni giungevano a fargli visita.
Quella mattina si presentò il sergente Redmond. Il sottufficiale era stato ferito nell’ultima battaglia e ancora faticava a camminare. Egli entrò zoppicando, reggendosi sulla stampella.
«Tenente, sono davvero felice di rivederla!»
Richard sorrise: «anche per me è un piacere ricevere la sua visita»
I due si intrattennero con una lunga conversazione, il sergente era sempre gentile e disponibile nei confronti del giovane ufficiale. Tra i due si era instaurato un rapporto sincero e profondo.
«Quando ho saputo che era stato ferito sul campo di battaglia ho davvero temuto il peggio» disse Redmond con apprensione.
«Per fortuna non ero solo, il mio attendente mi ha salvato la vita»
Il sergente non fu sorpreso da quella notizia.
«Il suo attendente ha dimostrato di essere davvero leale e fedele nei suoi confronti»
«Già…al fronte sono stato davvero fortunato ad avere qualcuno come lui al mio fianco»
«Quel ragazzo è importante per lei, e lo stesso vale per lui. Questo va oltre a ciò che è accaduto durante la guerra»
«Le cose qui sono diverse» affermò Richard con amarezza.
Redmond notò un velo di tristezza e rammarico nel suo sguardo.
«Signor tenente, lei ha già sofferto abbastanza a causa di questa guerra. Se ha trovato qualcosa di speciale in grado di renderla felice non dovrebbe lasciarla andare»
Richard fu colpito da quelle parole, il sergente era davvero un uomo buono e comprensivo.
«Non credo di averla mai ringraziata per tutto quello che ha fatto in questi anni»
«Non è necessario»
«Non deve essere stato semplice restare un punto di riferimento per i suoi uomini dopo la sua dolorosa perdita»
«Con Arthur è morta anche una parte di me, ma laggiù eravate tutti miei figli»
Richard rivolse al sergente uno sguardo colmo di rispetto e ammirazione.
Il sottufficiale si rialzò poggiandosi alla stampella: «è meglio che vada ora, lei ha bisogno di riposare»
«Spero di rivederla presto»
«Certamente. Arrivederci tenente, abbia cura di sé»
 
Dopo l’incontro con Redmond Richard rifletté attentamente sulla propria situazione. Per la prima volta si ritrovò a pensare seriamente al suo futuro, in fondo poteva ancora esistere una speranza dopo quella guerra.
Era ancora assorto in quei pensieri quando avvertì dei battiti alla porta.
Richard si stupì nello scoprire che secondo visitatore di quella giornata era il tenente Foley.
William si avvicinò lentamente al letto iniziando la conversazione con i soliti convenevoli.
«Ho saputo quel che è ti è accaduto, come stai?»
Richard poggiò la testa sul cuscino: «pian piano mi sto riprendendo. I dottori hanno detto che sono stato fortunato»
«Se non ti senti bene posso tornare un’altra volta. Sai…non vorrei disturbarti»
«No, puoi restare. A dire il vero sono felice di vederti»
Il tenente Foley si sistemò sulla sedia di legno accanto al ferito.
«Ho bisogno di parlarti di una questione importante» disse con tono serio.
«Di che si tratta?»
William guardò il suo commilitone negli occhi: «devo dirti la verità sulla morte di Albert»
Richard sussultò nel sentire quelle parole, in tutto quel tempo non aveva mai smesso di pensare a suo fratello, ma aveva perso ormai ogni speranza nel cercare la verità. Fino a quel momento aveva sempre temuto che fosse troppo tardi.
«Che cosa hai scoperto?»
Foley esitò prima di rispondere: «Albert non si è suicidato»
Richard abbassò tristemente lo sguardo.
«Forse è assurdo, ma…io credo di averlo sempre saputo»
William comprese le sue parole.
«Tuo fratello voleva accusare il caporale Randall per l’omicidio del soldato Flannigan. Aveva le prove e un testimone. È stato ucciso perché non si è lasciato corrompere dal marciume dell’esercito e perché era determinato ad ottenere giustizia»
«Dunque è stato davvero Randall ad ucciderlo?» chiese Richard con gli occhi umidi di lacrime.
William si limitò ad annuire con un lieve cenno.
«Ma…tu come hai fatto a scoprire tutto questo?»
«È stato lo stesso Randall a rivelarmi la verità. Durante l’ultima battaglia mi si è presentata l’occasione di interrogarlo e…io ho approfittato delle situazione»
Richard intuì che i metodi del suo compagno non erano stati del tutto leciti.
«Devo supporre che tu abbia già provveduto a denunciarlo»
William scosse la testa.
«Che diamine stai dicendo? Per quale motivo non dovresti consegnare quel bastardo alla giustizia?»
Foley prese un profondo respiro: «il colonnello Harrison avrebbe insabbiato il caso per la seconda volta e la faccenda si sarebbe conclusa senza che alcuna vittima potesse ottenere giustizia»
Richard rabbrividì nel sentire quelle parole: «questo significa che…»
«Già…in questo momento stai parlando con un assassino» confessò William.
Green fu scosso da un intenso brivido.
«Per quale motivo l’hai fatto?»
«Per mantenere fede alla promessa che avevo fatto ad Albert. Se l’assassino di tuo fratello fosse tornato in libertà tu cosa avresti fatto?»
Richard fu costretto ad essere sincero: «di certo non sarei rimasto indifferente. Avrei provato rabbia e rancore per questa ingiustizia. Probabilmente avrei cercato la mia vendetta»
«Adesso capisci? Non avrei mai potuto permetterlo»
«Ti sei macchiato le mani di sangue per proteggermi?»
William rimase impassibile: «l’ho fatto per Albert, prima della sua morte gli avevo promesso che avrei pensato a te»
Richard rimase colpito da quell’estremo gesto di fedeltà.
I due restarono a lungo in silenzio, fu Foley il primo a riprendere la parola.
«Ora che sai la verità è tua la scelta…»
Richard gli rivolse uno sguardo perplesso.
«Puoi denunciarmi, sono un criminale a tutti gli effetti»
«Non potrei mai fare nulla di simile!»
«Tu hai ucciso mio fratello perché era tuo dovere, io invece ho scelto liberamente di giustiziare un mio commilitone. Alla fine tu sei un buon soldato ed io un crudele assassino»
«No, sai bene che in realtà non è così!»
Foley era ormai rassegnato: «a causa di questa guerra ho perso le due persone più importanti della mia vita. Non mi rimane più nulla, sono pronto ad affrontare le conseguenze delle mie azioni»
«Sei sempre stato un uomo onesto e leale, io credo che tu abbia dimostrato di meritare una seconda occasione»
William guardò il suo compagno, per un attimo in lui rivide Albert.
«Volevo che tu sapessi tutta la verità»
«Ti ringrazio per la tua onestà»
Il tenente Foley si rialzò, mosse qualche passo verso l’uscita, soffermandosi poi davanti alla porta.
«Non credo che ci rivedremo…»         
«So che non potrai mai perdonarmi per quello che ho fatto»
«Mio fratello è stato condannato a morte, non posso incolparti per quel che è successo, ma non posso nemmeno dimenticare il fatto che sia stato tu a premere il grilletto»
Richard poté comprendere le sue motivazioni e apprezzò la sua sincerità.
«Suppongo che sia giusto così» concluse con profonda tristezza.
William gli rivolse un ultimo saluto: «addio tenente Green, è stato comunque un onore combattere insieme sul campo di battaglia»
   
 
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