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Autore: Miryel    06/12/2020    10 recensioni
L'immenso dolore che provoca la perdita di un amore troppo grande, deriva dalla consapevolezza che in ogni individuo v'è qualcosa che è solo suo e che, attraverso la morte, è perduto per sempre.
Tony lo ha perso una volta, Peter, e basta per una vita intera. C'è la possibilità che ritorni, ma è solo un Protocollo scientifico, a cui non crede più e a cui non vuole dare Speranza.
[ Tony Stark - Past!Tony x Peter - Post Infinity War - Angst - Prequel di "Protocollo Speranza" ]
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Harley Keener, Harley Keener, Morgan Stark, Pepper Potts, Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tales About a Spider Kid and an Iron Guy'
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Questa storia fa parte della raccolta di One Shots “Tales About a Spider Kid and an Iron Guy”.
 
 
 
 
 

proof that tony stark has a heart by Wolfenwarrior101 on DeviantArt


For The Damaged Heart of Tony Stark

 
We lay my love and I beneath the weeping willow. A broken heart have I. 
Oh willow I die, oh willow I die.

-The Innocents - O Willow Waly

 

| Capitolo III


 


          

 

                       Oramai la sua mente è solo un accumulo di energia statica. Si concentra tutta in mezzo alla fronte e, pesante come un’incudine, gli pesa sull’anima. È come se la gravità fosse distorta, in quella casa, a maggior ragione ora che è costretto a viverla da solo – «Per un po’, Tony. Solo per un po’» – e le pareti sembrano una prigione fatta di echi che rimbombano nella testa e gli ricordano solo quanto è solo e dannatamente infame. Fissa il televisore spento, con le dita strette a quella poltrona che lui e Pepper hanno scelto insieme. No, non è vero, le ha lasciato carta bianca. Non è mai stato bravo a scegliere qualcosa che non fosse scientifico o prendere decisioni sbagliate che lo stanno logorando. Ci ha sempre pensato lei, a mettere tutto in ordine nella sua vita, raccogliendo i cocci che lasciava in giro e rimettendoli al loro posto. Questo lo ha sempre reso una statua piena zeppa di crepe, eppure è ancora in piedi. Forse ancora per poco. Forse non per molto. Ha la sensazione che, prima o poi, si infrangerà sul pavimento e, ora che Pepper non c’è, non ci sarà nessuno pronto a ricomporlo. Lui non è mai stato capace a tenere insieme niente. Non ce la fa con ciò che concerne se stesso, figurarsi con i rapporti umani.

Quando suonano alla porta gli salta un battito al cuore. Non dovrebbe sorprendersi, lo ha chiamato lui e sapeva che sarebbe arrivato, ma è solo da troppo e quasi si è pentito di aver fatto quella telefonata.

«Ti va di lavorare su qualcosa?» 

«Certo. Per la salvezza del mondo?» 

«No, sciocchezze. Qualcosa per passare il tempo.» 

E lui ha accettato, senza fare domande, come sempre. 

Si alza da quella poltrona e raggiunge la porta. Quando la apre si ritrova davanti l’immagine sovrapposta di un bambino e quella di un adolescente oramai quasi uomo, che gli sorride con un certo velo furbastro e, tra le mani, stringe un cellulare con lo schermo acceso. 

«Stavo per chiamarti, ci hai messo un sacco ad aprire.» 

«Le prediche le le faccio io, qui, Keener!», cerca di ironizzare e, spostandosi sulla destra, fa cenno a Harley di entrare in casa.

«Permesso!», esclama il ragazzo, mentre si guarda intorno e Tony chiude la porta. Si lascia sfuggire un sospiro, finché fanno qualche passo verso il centro del salotto.

«Ci sono solo io», risponde, atono e Harley si gira a guardarlo, mentre ripone il cellulare nella tasca posteriore dei jeans scoloriti.

«La signorina Potts? No, aspetta, la signora Stark, oramai!» 

Tony non ha idea se Pepper voglia ancora esserlo, dopo quello che è successo, ma non ha voglia di spiegare a Harley i loro trascorsi. Specie perché non ha ancora superato l’idea che quel ragazzino sia cresciuto e che non sia più un bambino geniale che costruisce una pistola spara patate e che gli insegna a tenere a bada un attacco di panico. Non è semplice, da mandare giù, che il mondo nel frattempo è andato avanti e che le persone, intorno a lui, continuano a cambiare senza che lui possa farci niente. E non può fare a meno di pensare che è passato più di un anno da quanto Thanos ha schioccato le dita e che Peter avrà diciassette anni per sempre. Non vedrà il mondo mutare, non vedrà la vita scorrere, non avrà l’onore di trovare il primo capello bianco o la prima ruga a contornare il suo sorriso. Non studierà, non lavorerà mai, non sarà mai più Spider-Man e, non meno importante, smetterà di essere l’errore più grande che gli sia capitato di fare. Ma Tony lo sa, che quel senso di colpa se lo porterà dietro fino alla tomba. Ed è giusto che sia così.

«No, io e Pepper abbiamo… preso una specie di pausa. La gravidanza, la situazione e altre problematiche insorte, niente di irrisolvibile, ma per ora sono qui da solo.» 

«Oh», è il solo commento di Harley, che sembra capire e non capire, o forse finge di non averlo fatto. Tony ha sempre la sensazione che il mondo intero conosca i suoi peccati e sia pronto a giudicarlo finché non andrà all’inferno ad espiare le sue colpe, ma fino a quel momento la realtà è questa. Che gli piaccia o no, dovrebbe smetterla di vedere tutto come se non stesse accadendo davvero e, magari, Harley è quel ponte che serve a riportarlo dove deve stare: sulla terra e non su Titano. Tra le braccia di chi c’è ancora e non tra quelle di Peter.

«Ho trovato un vecchio elmo di una vecchia armatura. Ci sono alcuni circuiti che si sono arrugginiti, altri sono troppo vecchi e volevo sostituirli», spiega, e gli fa cenno di seguirlo di sotto, lungo una scalinata di legno che scricchiola ad ogni passo – la notte gli sembra persino di sentire dei passi e no, non ha paura dei fantasmi, ma ha solo racchiusa nel cuore la speranza di veder tornare qualcuno che ha deciso di perdonarlo. 

«E volevi un po’ di compagnia», afferma Harley. Traduce i suoi bisogni, nascosti in sterili spiegazioni distaccate dal mondo. Lo dice con la sua solita schiettezza che, con la crescita, ha reso un po’ più spinosa e appuntita. Dolorosa, certe volte. Gli ricorda se stesso, ogni tanto, e la cosa non lo fa esattamente impazzire. Spera che non diventi sbiadito e accartocciato come lui, perché Harley è meglio di così. E a volte pensa, con quel sentimentalismo un po’ distaccato che lo contraddistingue, che forse lui e Peter avrebbero potuto instaurare un bel rapporto d’amicizia, in qualche modo. 

Peccato che non lo scoprirà mai. 

Non risponde a quella frase, accende solo la luce di quel laboratorio meno sfarzoso di quanto dovrebbe essere e, al centro della stanza, campeggia quello che è un elmo vecchio, uno dei primi, e che ha ritrovato in uno scatolone pieno zeppo di cianfrusaglie che forse avrebbe solo dovuto buttare. 

Harley si avvicina e la studia, poi la prende tra le mani. «E tu non vuoi più essere Iron Man», commenta.

«Per ora.» Non dice altro, ma almeno lo fa con un sorrisetto dei suoi. Si sente per un attimo libero dal tempo che lo bracca, ma poi tutto torna come al solito, passivo e sbiadito, quando Harley lascia la maschera e raccoglie tra le dita quella foto che Tony non riesce a nascondere ma nemmeno a guardare, che però è appoggiata al tavolo da lavoro, come se non potesse trovarle un posto migliore di quello. 

«Potresti anche farlo, un sorriso, ogni tanto», ironizza Harley, inconsapevole del dolore che quel piccolo scatto gli provoca nel cuore. Tony si avvicina e gliela toglie delicatamente dalle mani; la guarda fingendo distacco, ma c’è troppo da dire e non sa come dirlo. «Quello è Peter?», gli chiede il giovane, e solo sentire quel nome lo uccide un’altra volta. 

«Sì, è Peter», risponde, poi la porta altrove, la mette su uno scaffale a faccia in giù. Non la vuole più guardare, quella maledettissima foto. Non vuole più che gli capiti tra le mani. Non la vuole più tra i filamenti distorti dei suoi ricordi, eppure lei torna sempre a riempire i suoi vuoti, insieme a incubi che non riesce a scacciare – di quel giorno su Titano in cui lo ha perso, e quelli di una realtà che non gli appartiene più e che se n’è andata via con Peter.

«Immagino che la sua famiglia sia molto addolorata, per la perdita.»

«Viveva con sua zia. È sparita anche lei. Almeno non ha dovuto fare i conti con quel fatto e io non l’ho dovuta informare che è morto», tra le mie braccia.

Harley fa un suono strano con la bocca e quando Tony torna a guardarlo, lo trova con un sopracciglio alzato. Giudizio e delusione, infilati in iridi celesti che non hanno filtri che nascondono la verità. «Dio, Tony, la sensibilità è proprio un pregio che ti manca.» 

Lui alza un sopracciglio. Un sorriso schifoso gli compare sul viso. Lo sente tirare. È forzato come la sua vita. «Ne sei sorpreso?» 

«Decisamente, se scendo quaggiù e mi ritrovo davanti la foto tua e del tuo pupillo vicino alla testa staccata di una tua armatura. Pensavo fosse più importante di così. Ci trovi sempre il lato positivo, ma nel modo più macabro possibile.» 

«Si chiama ammettere la realtà e non lasciarsi illudere.» 

«Che non tornano?»

Che non tornano. «Che non c’è soluzione. E non ti ho chiamato per parlare di questo», risponde duro. Lancia un’ultima occhiata allo scaffale e poi raggiunge il centro del tavolo. Prende un cacciavite e glielo porge, mentre Harley segue ogni suo gesto con una certa riluttanza nei suoi riguardi. Spiazzato. Ecco cosa gli legge in faccia. 

«D’accordo, okay. Pensavo che fare conversazione facesse parte del gioco. Non mi hai chiamato solo per schiavizzarmi, ma anche per un po’ di compagnia, no?» 

«Non ho mai ammesso che fosse per questo. Voglio svecchiare la maschera e basta. Mi puoi parlare dei tuoi progetti, di cosa combini, come va la vita ma non c’è motivo di parlare di quello che è successo un anno fa. È inutile, è come parlare del niente.» 

Harley gli strappa via il cacciavite dalle mani e inizia a svitare un chip particolarmente arrugginito. Ha di certo già individuato le parti da sostituire. Dopotutto è sempre stato bravo, con quella roba. 

«Del niente? Metà universo è sparito e tu me lo chiami niente?»

«Non mi piace parlare di cose che non hanno una soluzione. Sono più pratico che nostalgico.» 

«Ci potrei anche credere, se non sapessi che tu eri lì e che sai più di quanto saprebbe chiunque. Una cosa così non si cancella. Crederei di più al fatto che non ti va di parlarne e basta, piuttosto che non te ne freghi un accidente.» 

Colpito. Come se un colpo di pistola lo avesse appena trafitto da parte a parte, dritto in fronte, in mezzo agli occhi. Ma sono solo verità. Scomode, ma sono verità. Gli importa, e siccome gli importa sta perdendo tutto, per questo. Qualcuno una volta gli ha detto che nulla accade a caso, e aver chiamato Harley proprio adesso forse era un modo per convincerlo a tirar fuori tutto e sfogarsi. Parlarne. Ammettere colpe, realtà e sensi di colpa. Almeno con qualcuno. Qualcuno che magari non ha alcun interesse nel giudicarlo davvero. 

«Siamo tutti sulla stessa barca, Tony. Inutile non ammettere che stiamo affondando, perché il mondo sta andando a rotoli. La guerra sarà pure finita, persa, ma Dio, quanto accidenti ci ha portato via, in un secondo?»,  continua Harley, e non smette di svitare componenti e poggiarli sul tavolo, in un modo tanto automatico quanto maturo. Non mette nemmeno più la lingua tra i denti, mentre lo fa, come era solito fare da bambino. È grande, un uomo, un adulto, capace di pensare, avere un giudizio e esternarlo tra altri adulti che vogliono – devono ascoltarlo.
Lo vede crescere in un attimo e quasi gli sale il magone. 

Scende il silenzio e Tony non lo sostiene. Vibra, ferisce, fa troppo rumore. Poggia i palmi aperti sulla superficie del tavolo e guarda il vuoto. Il suono delle viti che si sfilano cessa e Harley lo guarda. Non dice niente, aspetta e forse sa che è il momento di tacere e di ascoltare. Un adulto fa anche questo: ascolta.

«Non c’è soluzione. O almeno per ora non ce n’è una. Gli altri stanno cercando un modo per riportare indietro chi è sparito, ma non ne hanno trovata una. Continuano e nemmeno falliscono, perché non c’è niente su cui fallire. Non c’è modo di trovare niente che valga la pena di rischiare un tentativo.»

«E tu, intanto, che cosa hai fatto?» 

Niente. Ho cercato di rimettere in riga la mia vita, di farmi una famiglia e quando ci sono quasi riuscito l’ho fatta cadere e l’ho ridotta in mille pezzi.

«Niente. Non c’è soluzione, cosa avrei dovuto fare?» 

Harley sbuffa e guarda altrove, già stufo delle sue scuse. «Cristo, Tony, sei tipo la persona più geniale del pianeta! Impossibile che non ti sia venuto in mente nulla!»

«Solo idee che non portano a niente e dove ci sono troppi rischi per metterle in atto.»

«E da quando tu ti poni certi limiti?» 

Da quando ho già perso abbastanza e non voglio perdere altro. 

«Da quando le cose si sono fatte più grandi di quel che potessimo credere.» 

«E quindi non ci provi nemmeno a riportare Peter indietro?» Tony non è certo che Harley abbia detto così. Forse è la sua mente che ha focalizzato quella frase solo ed esclusivamente su Peter – forse ha detto tutti quanti – perché, egoisticamente, è solo lui che vorrebbe portare indietro. Anche tornasse solo lui andrebbe bene così, non gli interessa un accidente del resto dell’universo. Se fosse sparita anche Pepper? Sì, vero, avrebbe voluto riportare indietro anche lei, ma solo loro. Nessun altro. Basta così, il suo mondo è questo. Era questo. Pepper, comunque, alla fine l’ha persa lo stesso.

«No», risponde solo e, senza aspettare alcuna risposta, va a recuperare una scatola piena zeppa di componenti nuovi da posizionare in quella testa vuota; in quella maschera che sa non indosserà mai più. 

Quando torna, Harley ha già smesso di fare domande. Forse ha capito, forse non vuole più discutere con un muro. Si è aperto un po’, ma poi si è chiuso inesorabilmente non appena le cose sono diventate scomode. Un vizio che ha sempre avuto e che, con gli anni, è solo peggiorato. Così tanto che è come un vestito buttato addosso con colla a presa rapida e pungiglioni a ferirlo. 

Non si esporrà mai più. 

 

 
 

«Io e la classe andiamo al MoMa, domani. Non venire a prendermi, quindi.» 

«Non ne avevo alcuna intenzione!», risponde, alzando gli occhi dalla sua rivista di auto sportive, che decisamente stava consultando con troppo interesse rivolto verso un nuovo modello di ibrida niente male. Uno spunto per crearne una sua, migliore di quella, e metterla sul mercato.

Peter gli dà una gomitata sul braccio, quando gli passa accanto con un bicchiere di spremuta stretto tra una mani e un fumetto nell’altra. Ridacchia fintamente indignato, poi gli si siede accanto, su quel divanetto di pelle nera nel suo studio del complesso. Un pomeriggio di relax, dopo aver passato tutta la mattina a lavorare sulla tuta di Spider-Man e a non parlare più di Pepper, del suo ritorno, e del fatto che Tony stia facendo quello che tutti chiamano un doppio gioco, solo perché non ha il coraggio di chiudere con nessuno dei due. 

Peter si accoccola sulla sua spalla, e quando alza la testa gli ruba un bacio sottile dalle labbra, prima di tornare a guardare la sua rivista, senza nemmeno vederla.

Sembrano tranquilli, immuni al dolore, ma Tony la sente un po’, quella tristezza che Peter si porta dietro da quando sa. Peter non è felice che Tony lo condivida con Pepper, ma egoisticamente anche lui non vuole che tra loro le cose cambino ancora e tornino – anzi, tentino di tornare – al passato. Quando erano solo un mentore e un allievo e nient’altro che due anime costrette comunque a non staccarsi mai. In qualunque caso. 

Tony non ama pensare che il destino sia già scritto, ma forse Peter, in quel percorso arduo che ha intrapreso, è destinato a starci in ogni modo possibile. Per ora, però, non ha intenzione di cambiare le cose. Sente che non è il momento e, in certi casi, forse il momento non lo è mai. 

«Che gran rottura di palle, il MoMa», commenta, in tono fintamente ostico e sente Peter alzare le spalle, accanto a lui.

«Non ci sono mai stato.»

«Non è una di quelle esperienze culturali necessarie. Un mucchio di roba spacciata per arte, buttata in stanze gigantesche senza alcuna logica. Loro cercano di convincerti che ci sia, ma credimi, non c’è.» 

«Ah, sei anche un critico d’arte. Non lo sapevo!» 

«La scienza è anche arte, Parker. Quando capirai che ti basterebbe ammirare il mio operato, per vederne un po’, io ti avrò già proibito di entrare nel mio laboratorio», ironizza, e Peter ridacchia. Gli occhi fissi su quel fumetto tutto colorato.

Peter ridacchia e gli si infila nelle ciglia, che Tony sbatte veloci mentre lo guarda e, inesorabilmente, se ne innamora di più ad ogni istante. Lo fa stare bene, lo fa sentire vivo, gli fa provare sensazioni che aveva dimenticato e, vinto, non può far altro che restare aggrappato alla sua anima e lasciarsi salvare ancora, e ancora, e ancora…

E nemmeno sa che, quel viaggio al MoMa, Peter non lo farà mai. Ne intraprenderà un altro,  su Titano, per non tornare mai più.

Forse se lo sente, che qualcosa non andrà per il verso giusto, e allora Tony tira fuori il telefono e decide da solo che quella sera può pure non tornare a casa, e le manda un messaggio. Non chiede nemmeno a Peter cosa vuole. Sa che gli dirà di sì, che vuole restare con lui e che, domattina, a scuola, ce lo porterà lui. Lo lascerà come al solito ad un isolato prima, perché Peter non vuole che gli altri li vedano. Non perché se ne vergogni, ma perché non gli piace che la gente lo veda come il privilegiato che non è. 

«Resto al complesso, stasera. Non mi aspettare.»

E lei risponde, con un cuore. «Non lavorare troppo.»

Non risponde. Come sempre. Non che sia una novità. Poggia la testa su quella di Peter, ignaro e vuole che lo rimanga. Fissa il vuoto e si lascia corrodere. E domani, non lo sa ancora, sarà consumato del tutto come una candela che non ha più nulla da bruciare.

 


Fine Capitolo III

 


 
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Note Autore:
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em — Here's the thing: they could have used a picture...
Salve a tutti,
Come butta dalle vostre parti? Ah, io sono particolarmente euforica (RAGAZZI SONO VERAMENTE EUFORICO) e il motivo è che ho vinto i Wattys e lo so che chi si loda si imbroda ma sono feliciah, quindi sopportatemi DAI XD 
Ma passiamo a noi! Non so quanti di voi siano rimasti contenti del RITORNO di Harley, ma io lo sono un bel po' e lo reputo un personaggio fondamentale in questo mio headcanon dove Tony si distrugge piano piano, senza trovare un equilibrio – non c'è alcun rapporto al di fuori di quello della fiducia, tra loro, un'amicizia, una crescita e Tony NON vede Harley come un sostituto di Peter sotto l'ambito sentimentale... quindi vi prego, non shippateli in questa storia çç! La sua schiettezza la trovo quasi una cura a tutti i mali e scrivere di lui è sempre un maledetto piacere. Dovrei dargli più spazio ç_ç
E... nel passato l'amore continua a crescere e a logorare queste due anime che, boh, ma che gli volete dire? Ma quanto sono tutta la mia esistenza? Ma quanto mi fanno soffrire? Ma quanto li amo da 1 a schiocco di Thanos che dimezza la terra? Sono tutto ç_ç
Ma mi sa che lo avevate capito!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e, se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate **
A presto!

 
Un abbraccio a tutti e a domenica prossima ♥
 
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La vostra amichevole Miryel di quartiere.
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