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Autore: Mary P_Stark    07/12/2020    1 recensioni
Liza Wallace è la nuova Geri del branco di Clearwater e, a discapito della sua giovane età, dimostra fin da subito di avere un potenziale enorme; il rapporto davvero unico con i suoi Huginn e Muninn, i magici corvi al servizio del Sicario Umano del branco colpisce fin dall'inizio l'intero branco. Questo suo potenziale verrà subito messo alla prova quando, a sorpresa, giungerà a Clearwater una famiglia proveniente da New York. I Sullivan sembrano una famiglia normale, almeno all'apparenza, ma il figlio Mark e suo padre Donovan metteranno in allarme il branco a causa del loro comportamento sospetto. Saranno dei temuti Cacciatori, o qualcun altro si cela nell'ombra, più pericolo e subdolo, tentando di portare lo scompiglio nel branco di Lucas, Devereux e Iris? (particolari della storia presenti nei racconti precedenti della Trilogia della Luna)
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'TRILOGIA DELLA LUNA'
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16.

 

 

 

 

«Alle valige penserò io» dichiarò Rey, stringendo le mani di Dev e Iris. «Ve le spedirò indietro tramite Fed-Ex, non temete. Per il resto, state attenti e cercate di non rimetterci la pelle.»

«Poco ma sicuro» assentì Dev, guardandosi intorno con espressione tesa.

La voce funerea di Lucas aveva esordito la chiamata avvisandolo dell’arrivo dei loro nemici, e mettendolo altresì al corrente del pericolo a cui si erano esposti due compagni di scuola di Liza.

Conosceva personalmente sia gli Howthorne che i McBride – il padre di Fergus aveva lavorato alcuni anni in segheria, prima di trovare un impiego in una ditta di trasporti – e sapere del rischio che stavano correndo i loro figli lo aveva angustiato.

Non era piacevole che fossero coinvolti anche degli umani perché, oltre alle ovvie implicazioni emotive, coprire le tracce di un eventuale scontro tra esseri magici sarebbe stato un fottuto casino.

Inoltre, non osava neppure immaginare quanto Liza fosse in pensiero, e quanto l’idea di non potersi muovere per agire, le pesasse.

In quanto Geri, aveva sì il compito di indagare su casi riguardanti la sicurezza del branco per conto di Fenrir ma, in prima istanza, avrebbe sempre dovuto riferire a Freki e, solo su suo ordine – o di Fenrir stesso – avrebbe potuto muoversi. E dubitava fortemente che Rock o Lucas le avrebbero permesso di unirsi alla squadra di salvataggio.

«Io sono pronta» dichiarò Litha, strappandolo a quei pensieri.

Dev assentì e Iris, nell’osservare la donna, domandò: «Cosa dobbiamo fare, esattamente?»

«Siete fan di Star Trek, per caso?» disse a sorpresa Litha, scrutandoli con curiosità.

I due assentirono dubbiosi e la dea, sollevata, aggiunse: «Bene. Così mi sarà più semplice spiegarvi ciò che accadrà. In parole povere, agirò come un motore a curvatura e piegherò tempo e spazio, sia davanti che dietro di noi. Questo ci permetterà di percorrere in brevissimo tempo distanze abissali, e senza l’utilizzo di alcun mezzo di trasporto.»

Iris impallidì leggermente, a quella notizia, e gracchiò: «Ma… per farlo, dovresti utilizzare un tipo di combustibile che ancora non esiste

«Oh, credimi, esiste, solo che gli umani non l’hanno ancora scoperto. Quanto a ciò che faremo noi, sarà uno spostamento così rapido da sembrare trasmutazione. Ho solo bisogno di un punto focale su cui concentrarmi, dopodiché i miei poteri faranno il resto» dichiarò per contro Litha, scrollando le spalle.

«Che genere di punto focale ti serve?» domandò Dev, ancora incredulo di fronte alla spiegazione data da Litha. Non era del tutto sicuro di essere felice di dover impersonare la Enterprise.

«Qualcosa che abbia una carica mistica abbastanza chiara e forte da guidarmi fino a casa vostra o, per lo meno, nelle vicinanze» gli spiegò lei.

«La forza del nostro Vigrond è sufficiente?»

«No. La vostra quercia è troppo giovane, per emettere un’energia sufficiente a guidarmi. Qualcos’altro?» scosse il capo Litha.

Dev e Iris si guardarono vicendevolmente e, all’unisono, dissero: «Writing-on-Stone. E’ il luogo in cui il nostro Fenrir parlò per la prima volta con Madre.»

Litha assentì nell’udire quel nome, chiudendo poi gli occhi per concentrarsi su quel luogo in particolare. Qualche istante dopo sorrise divertita e, nell’ammiccare una volta riaperti gli occhi, dichiarò: «A quanto pare, vi eviterete il tragitto più lungo. C’è una scorciatoia che si può prendere direttamente dall’Irlanda, e arriva giusto alle pietre che avete citato voi.»

«Che intendi dire?» esalò la coppia, ora completamente frastornata. Quale altra diavoleria si era inventata, adesso?

«Parlo del complesso tombale di Labbacallee1, che si trova a poche miglia da qui. Da lì, si apre un portale per raggiungere quattro punti strategici sul globo e uno di questi, per l’appunto, è Writing-on-Stone. Giunti lì, procederemo verso il vostro Vigrond come vi ho spiegato prima.»

«Se preferisci questo percorso, mi viene da chiederti quanto brutto sarebbe usare direttamente la curvatura spazio-tempo» si accigliò un poco Dev, scrutandola dubbioso.

Lei sorrise contrita e ammise con una risatina tesa: «Se non soffrite di mal d’aria, non è neanche malaccio, diciamo. Il punto è che non posso usarlo spesso, o potrei causare dei problemi alla rotazione terrestre, e non mi sembra davvero il caso.»

Iris guardò immediatamente Dev, che impallidì al solo sentir nominare il mal d’aria e Litha, nel notarlo, dichiarò lapidaria: «Si va a Labbacallee. Assolutamente.»

***

Non impiegarono più di quaranta minuti a raggiungere il sito megalitico e, complice anche la stagione autunnale, non trovarono turisti nei pressi che potessero ficcare il naso nei loro affari.

Una volta scesi dall’auto, quindi, percorsero il breve tragitto a piedi lungo il sentiero che conduceva alla tomba. Si lasciarono così alle spalle anche l’ultimo frammento di civiltà, immergendosi in un paesaggio sospeso nel tempo, fatto di felci rigogliose e piante basse e nodose, ripiegate dai venti perenni che soffiavano su quella zona.

Il canto degli uccellini si fece rado e spaventato, quasi che la natura stessa si fosse resa conto dello stato di tensione dei predatori che si erano introdotti nei loro territori.

Nell’avanzare in quel luogo senza tempo, Iris venne colpita dagli odori che li avvolsero come una coperta. Sapevano di antico, di mistico e di potente e, quando infine raggiunsero il sito megalitico, Dev e Iris non si stupirono che fosse anche un portale spazio-temporale. Le energie di quel luogo si avvertivano a pelle.

Litha indicò lo stretto passaggio tra le rocce che conduceva all’interno del complesso sepolcrale e, a mo’ di spiegazione, asserì: «Con le chiavi giuste, questo passaggio ci condurrà fino a Writing-on-Stone.»

Iris e Dev assentirono, lanciarono un’ultima occhiata di saluto a Rey – che li aveva condotti fin lì – dopodiché seguirono Litha all’interno della tomba, composta da un complesso di rocce arrotondate dal tempo e ricoperte di muschio.

L’interno, basso e angusto, odorava di chiuso, di umido e di putrefazione, ma nessuno dei tre vi badò. Litha proseguì carponi fino a sfiorare una roccia su cui era stato inciso il simbolo di un corvo, dopodiché disse: «Sono Litha McElathain del clan dei Tuatha, e sono depositaria dei poteri del Dagda Mór. Ti chiedo di concederci il passaggio fino alle Pietre Parlanti dei Piedi Neri, Madre.»

Un riverbero multicolore inondò la piccola camera tombale e, grazie al potere onnisciente di Madre, le pietre si scostarono per lasciar intravedere una scalinata rivolta verso il basso.

Litha la imboccò per prima, a cui seguirono Iris e Dev. Non appena l’ultimo di loro oltrepassò l’ingresso, il passaggio venne chiuso alle loro spalle e la dea, illuminandosi tutta, disse: «Penserò io a mostrarvi il passaggio.»

I due assentirono, muti e sconvolti – non era cosa di tutti i giorni veder brillare le persone, dopotutto – e, sempre seguendo Litha, si persero in contemplazione dei bellissimi glifi che dipingevano come un quadro la sua pelle perfetta.

Per quanto quella situazione rasentasse la follia, era impossibile non rimanere incantati dal gioco di ombre e luci create da quei glifi, che sembravano muoversi al ritmo del respiro della dea.

Sorridendo nell’avvedersi dei loro sguardi curiosi, Litha aggiunse: «Sono un retaggio di mia madre. Ne ho su tutto il corpo e, quando uso i miei poteri, si evidenziamo come state vedendo voi ora.»

«Sono la cosa più bella che io abbia mai visto» mormorò ammirata Iris.

«A suo tempo, quando ancora non sapevo la verità, furono fonte di profondo disagio, ma ora piacciono molto anche a me» ammise lei, prima di indicare il percorso alla loro sinistra. «Da questa parte.»

Dev lanciò un’occhiata agli altri sentieri in ombra e, nell’udire uno scrosciare d’acqua in distanza, domandò: «Ci sono dei fiumi sotterranei, in zona?»

«Solo uno ma, al momento, a noi non interessa, poiché non dobbiamo passare da un pianeta a un altro» disse loro Litha, sorprendendoli ulteriormente. «Quello che senti è Bifröst, e collega altri portali terrestri ai nove regni di Yggrdrasil.»

Dev ricordava più che bene la lezione impartita loro da Joshua Ridley, Fenrir di Londra, in merito ai Nove Regni, a Madre e alla loro discendenza divina, ma quando toccava con mano certe diavolerie, ancora ne rimaneva turbato.

Litha sogghignò al suo indirizzo, chiosando: «Consolati. Rey fa ancora fatica a usare i suoi poteri, eppure sono anni che è un Tuatha di razza quasi pura.»

«Buono a sapersi» bofonchiò Dev prima di chiedere: «Se tanto mi dà tanto, però, non stiamo percorrendo veramente tutto il tragitto da qui alle Pietre Parlanti, vero? Altrimenti, non avresti mai intrapreso questa via.»

«No, infatti. Questa è una dimensione parallela che, però, fa ancora parte di Midghardr, la Terra, ed è per questo che non abbiamo bisogno né dei miei poteri né di quelli di Bifröst, per spostarci. Se vuoi, posso anche spiegartene la natura metapsichica, ma credo che non ti interessi» ammise Litha, facendo spallucce.

«Grazie, ma preferisco passare. Sto già tentando di prepararmi psicologicamente alla seconda parte del viaggio, figurarsi se questa la passerò a cercare di capire concetti di fisica quantistica che mi risulterebbero oscuri in ogni caso» brontolò Dev, scuotendo furiosamente il capo. «Sono in fase ‘sospensione dalla realtà’¸e credo che ci rimarrò ancora per molto.»

Litha ammiccò divertita ad Iris, che celiò: «E’ il suo lato più ruvido che emerge, scusalo.»

«Oh, non c’è problema. Passa quattromila anni con Thetra Mc Lir e sarai vaccinata per tutto. Mio padre adottivo sapeva sempre creare nuovi sinonimi per la parola incazzato» chiosò Litha, ghignando furba.

«Non stento a crederlo, visto il tempo che ha avuto e che, immagino, avrà in futuro per sondare l’argomento» ridacchiò Iris.

«Vedi bene» assentì Litha prima di bloccarsi, ascoltare un poco l’aere immoto e infine dire: «Okay, siamo arrivati.»

Ciò detto, bussò discretamente contro una pietra all’apparenza uguale alle altre e, all’improvviso, una seconda luce li inondò, quasi accecandoli.

L’attimo seguente, quella stessa pietra si scostò per lasciarli passare e Iris, non appena fu all’esterno di quello strano condotto spazio-temporale che li aveva fatti giungere fino a lì, esalò strabiliata: «Sì, riconosco il posto!»

«Non avevo dubbi. Queste pietre chiacchierano all’inverosimile» celiò Litha, bussando nuovamente contro le rocce perché richiudessero il passaggio.

Dev la fissò stranito ma preferì non chiedere lumi, ligio al suo mantra del ‘meno chiedi, meno mal di testa vengono’. In tutta quella stramba storia, aveva già affrontato fin troppe assurdità, e non aveva davvero bisogno di capirle.

Dopo aver richiuso il passaggio, Litha si volse verso i suoi due compagni di viaggio e, nel prendere le mani di entrambi tra le sue, domandò: «Pronti per il secondo round?»

«No, ma fa lo stesso. Rientriamo a casa alla svelta» sibilò Dev, serrando gli occhi e digrignando i denti, già pronto a sostenere il contraccolpo che, quella seconda parte del viaggio, avrebbe lasciato sul suo corpo.

Litha assentì seria in viso e, l’istante successivo, per Dev e Iris fu come attraversare le cascate del Niagara, venire investiti da un tornado F5 e schiantarsi contro un treno in corsa. Tutto contemporaneamente.

L’effetto sul loro corpo fu devastante e, quando finalmente poterono toccare terra e riprendere fiato, boccheggiarono alla ricerca di ossigeno… o anche solo di far funzionare i loro polmoni.

La dea li fissò spiacente, più che conscia di quanto potesse essere distruttivo, per un corpo non divino, l’utilizzo di un simile potere. Sapeva, comunque, che i licantropi avevano un buon recupero perciò, dopo essersi assicurata che entrambi non avessero danni fisici, si levò in piedi per guardarsi intorno.

Subito, Litha notò una bella casa di tronchi disposta su due piani, un’ampia radura dove sorgeva nel mezzo una piccola quercia e, poco discostata da essa, un’enorme voliera.

Non poteva che essere la casa di Dev e Iris – la loro energia residua gorgogliava tutt’attorno come un cuore pulsante –, perciò disse: «Direi che ci siamo.»

Nessuno dei due poté risponderle ma, quando udirono dei passi concitati alle loro spalle e le voci turbate di Lucas, Liza e Chelsey, seppero di essere effettivamente giunti a casa.

Peccato non poter godere della faccia sicuramente sconvolta di Lucas. In quel momento, per entrambi, era più importante reimparare a respirare.

«Dev! Iris! Ma come avete fatto ad arrivare?! Vi ho chiamato sì e no un’ora fa!» esalò sconvolto Lucas prima di posare lo sguardo su Litha che, a sua volta, lo stava scrutando con i profondi occhi viola. «Tu chi sei?»

«Dea…» gracchiò Dev, levando un braccio come a voler bloccare qualsiasi manovra difensiva da parte di Lucas.

Decidendo di occuparsi dell’amico prima che della sconosciuta che, di fatto, non sembrava un pericolo per loro, Lucas si accosciò accanto a Dev per sollevarlo a sedere – mentre Liza e Chelsey si occupavano di Iris – e, dubbioso, domandò: «Ho capito bene e hai detto ‘dea’

Tossendo liquido biancastro e saliva, Dev assentì più volte finché anche i conati di vomito cessarono e, più calmo, poté aggiungere: «Lei è Litha McElathain. La donna che ci ha ospitati. Tra le altre cose, è una dea Tuatha. E’ lei che ci ha riportati qui in fretta e furia.»

Lucas lo fissò incredulo prima di puntare lo sguardo su Iris, leggermente più in salute rispetto a Dev, e perciò forse in grado di chiarire le parole del marito. L’amica, però, confermò quanto detto da Devereux, e a Lucas non restò che accettare quell’assurda affermazione come un dato di fatto.

A quel punto, con aria stranita e vagamente inquieta, tornò a posare lo sguardo sulla donna splendida che ancora li stava osservando in silenzio e, cauto, domandò: «Una dea, dunque?»

«Sì. E l’uomo al tuo fianco è il mio primo suddito fedele» dichiarò con un mezzo sorriso Litha.

«Potrei ripensarci, dopo questa batosta» gracchiò Dev, cedendo finalmente a un più salutare svenimento.

***

Quando Devereux riaprì gli occhi, le prime cose che vide furono il volto della figlia rasserenarsi e quello della moglie farsi più colorato e salubre. Evidentemente, il suo crollo le aveva assai turbate.

Subito dopo, registrò la presenza di Liza, Lucas e Litha, quest’ultima poggiata contro lo stipite della porta-finestra che conduceva al giardino sul retro dell’abitazione. Aveva un’aria guardinga, come se avvertisse il pericolo che li aveva ricondotti a casa in tutta fretta, e questo pericolo non la rendesse per nulla contenta.

«Va un po’ meglio, Dev?» domandò turbato Lucas.

«Sì, ora ho tutti gli organi interni al loro posto» dichiarò lui, sollevandosi a sedere sul divano su cui lo avevano sdraiato dopo il suo svenimento. «Tu, tutto bene?»

Iris annuì con un sorriso e, dopo averlo baciato sulla fronte, dichiarò: «Ho rimesso un paio di volte, ma va tutto bene, adesso.»

Lui assentì più tranquillo e, a quel punto, domandò: «Allora, cosa è successo? E siate rapidi. Non mi interessa conoscere tutti i fatti, ma solo il riassunto stringato.»

Lucas sorrise rasserenato e, nel rimettersi in piedi, disse: «Ora so che stai veramente bene.»

Ciò detto, riassunse per loro ciò che fino a quel momento avevano scoperto, oltre a quello che ipotizzavano potesse essere il loro nemico.

Alla fine del racconto, Litha assentì turbata e dichiarò: «Di una cosa sono sicura, a questo punto. C’è una sola creatura che ha tutte queste caratteristiche, ma il punto è un altro. Parliamo di Akhlut, il dio-orca… ed è insolito che si allontani così tanto dai suoi territori natii.»

«Quindi, con chi abbiamo a che fare?»

«Sicuramente, se si trova così lontano da casa, questo akhlut è con il suo servo... amarok. Quando akhlut diventa anziano e debole – perché non è immortale, nonostante sia considerato un dio – si affida a uno o più amarok, lupi a lui devoti, perché predino per loro, non obbligandolo così ad abbandonare il nido» spiegò loro Litha con aria aggrottata. «Se questo akhlut si è spinto così lontano da casa con il suo amarok, o sente vicina la morte, e vuole scongiurarla a tutti i costi, oppure è giunto ad amare troppo l’energia prodotta dagli umani.»

Lucas si adombrò in volto e domandò: «Spiegaci meglio cosa intendi dire.»

«Predando in prima persona non otterrebbe mai il genere di energia che, invece, l’amarok riesce a generare per lui. Gli akhlut possono camminare – e predare – sulla terra, ma è un processo che richiede molte energie, energie che l’amarok può invece donargli senza problemi e senza indebolirsi. Non predare, però, per un cacciatore, è come negare la musica a un pianista, o il pennello a un pittore. Credo, perciò, che sia divenuto dipendente da questo genere di simbiosi con il suo servo, e che la caccia prevalga sul buonsenso, che gli direbbe di stare vicino al nido di nascita.»

Vedendoli annuire in silenzio, Litha espose quindi ciò che sapeva su quella divinità inuit.

«Akhlut è un dio assai raro da incontrare e, durante la mia vita come fomoriana, non ne ho mai conosciuto nessuno, ma so che esiste perché se ne parla non solo nelle leggende inuit, ma anche in quelle dei fomoire. E’ un dio potente e crudele, che si ciba della forza vitale degli umani per poter prolungare la propria esistenza. Quando però desidera più potere, o è troppo vecchio per predare, trasforma alcuni umani in amarok, lupi asserviti al loro dio e che esaudiscono ogni suo desiderio.»

«Perché dici che è insolita la sua presenza in questi luoghi? Non può muoversi liberamente?» domandò Liza. «Hai parlato di un nido, ma di che cosa parli, esattamente

«Akhlut è legato al suo luogo di nascita, come se esistesse una sorta di cordone ombelicale che lo trattiene nelle terre d’origine. Di solito, perciò, rimane in zona per cacciare. Questo, come ovviamente immaginerete, limita la sua quantità di prede, specialmente in epoca moderna, dove le notizie corrono veloci, e molte morti in poco territorio attirirerebbero l’attenzione. Solitamente, quindi, akhlut crea molti amarok, così che raccolgano energia al posto suo anche in luoghi distanti dal suo tempio di nascita» spiegò loro Litha, sbuffando leggermente.

Il pensiero di dover combattere una simile creatura la metteva in ansia, perché non ne conosceva bene la forza, e non sapeva obiettivamente a chi chiedere per avere ulteriori informazioni su di essa.

«Da quel che ci hai detto, però, questo akhlut è lontano da casa» chiosò Lucas.

«Le terre d’origine degli akhlut sono i fiordi alaskiani quindi sì, è assai distante dal suo luogo d’origine ma a volte, come dicevo prima, gli akhlut possono diventare dipendenti dalla caccia, se così vogliamo vederla. Finiscono per amare troppo quello che amarok preda per loro e così si spingono a sud per predare, e predare ancora. Devono comunque tornare al nord, ogni tanto, perché il richiamo del mare è troppo forte, e non possono sopprimerlo in alcun modo. Inoltre, ne hanno bisogno anche fisicamente, per poter risucchiare appieno le energie che amarok ha risucchiato per lui.»

Guardandosi poi intorno turbata, aggiunse: «In questo periodo, però, dovrebbero trovarsi in Alaska, e non qui. Qualcosa deve essere andato storto… o qualcuno lo ha attirato fuori dal suo tempio.»

«E quello che successe dieci anni fa? Può avere a che fare con lo scheletro di cui vi abbiamo parlato?» domandò Dev.

«Se quello scheletro appartiene al corpo di un akhlut morto, allora può darsi che quello attuale sia il suo compagno, e si sia mosso per vendetta. Gli akhlut non concepiscono che l’uomo interferisca nella loro vita – se non come prede da divorare – e, forse, aver spostato quel corpo dal suo luogo di sepoltura ha scatenato la rabbia dell’attuale akhlut. Questo può averlo spinto, quindi, a una caccia indiscriminata che è perdurata per tutti questi anni, e spiegherebbe tutti i casi di aggressione avvenuti così lontano da casa.»

Ciò detto, si grattò pensierosa una guancia e borbottò: «Se avessi studiato maggiormente, ricorderei altro, ma è mio fratello, lo studioso, non certo io.»

I presenti la guardarono basiti e Chelsey, con uno sbuffo, chiosò: «Piacerebbe anche a me non sapere matematica come tu non sai di questo argomento.»

Litha sorrise indulgente alla ragazzina, replicando: «Oh, credimi, quando hai un fratello che conosce a memoria tutti i testi sacri di ogni religione del pianeta, senza contare che è in grado di trascriverli in lingua originale, ti sentirai sempre un’ignorante.»

Chelsey borbottò uno scongiuro mentre Lucas, fissandola speranzoso, domandava: «Conosci per caso i suoi punti deboli?»

«Per quel che ne so io, solo un altro dio» scrollò una spalla Litha, lasciando Fenrir nella spiacevole condizione di non sapere cosa dire. «Lo so, è deprimente, ma un akhlut può essere battuto solo da un suo pari in grado. Per questo ho preferito venire; proprio perché, tra le eventualità proposte da mio fratello, era presente anche un dio, come nemico.»

«Cristo!» sbottò Dev, digrignando i denti. «E quanto all’amarcord?»

Litha scoppiò a ridere di fronte a quel palese tentativo di fare dell’ironia, così da stemperare l’ansia che galleggiava tra loro come un cattivo odore e, con semplicità, disse: «Gli amarcord, come li hai simpaticamente rinominati tu, si uccidono come qualsiasi altra creatura vivente; staccando loro la testa. Non sono sensibili all’argento come voi, pur se non gli fa di certo bene, se finisce nel flusso sanguigno – ma quello capiterebbe anche a me, per esempio – e, da quel che so io, non hanno allergie specifiche a nulla. Tagliare la testa, però, risolve sempre il problema con tutte le creature viventi.»

Liza deglutì a fatica, digerendo quella notizia poco alla volta mentre Chelsey, tastandosi dolente il collo, esalava: «Perciò, dovremmo andarcene in giro con delle scimitarre?»

«Non tu, cucciolo di lupo. Sei troppo giovane per affrontare un amarok…» precisò Litha, sorridendole affettuosamente. «… ma sì, vi occorrerà qualcosa di diverso da una pistola o un pugnale, per finirlo. Il corpo a corpo contro un amarok potrebbe essere molto pericoloso e le armi da fuoco possono soltanto rallentarlo, ma non ucciderlo.»

Liza, a quel punto, si volse per guardare con aria carica di ironi il suo Fenrir e lui, con un sospiro pieno di esasperazione e accettazione assieme, bofonchiò: «Lo giuro, non ti prenderò mai più in giro per aver chiesto la replica in argento della spada di Kirito2

«Fa piacere sentirselo dire» sogghignò Liza, affrettandosi poi a raggiungere il guardaroba del pianterreno, dove teneva parte delle sue armi.

Litha la seguì con lo sguardo, piena di curiosità, finché non la vide riemergere con una spada dalla lama nera e l’impugnatura più strana che avesse mai visto.

Sollevandola con competenza, Liza ghignò soddisfatta e disse: «Sapevo che elucidator sarebbe venuta buona, prima o poi.»

«E’ il nome della spada?» domandò ammirata Litha, sollevando entrambe le sopracciglia con aria sorpresa.

La giovane Geri assentì, rinfilandola nel suo fodero di pelle nera per poi poggiare l’arma sul vicino tavolo della cucina.

«E’ la coppia esatta di una spada tratta dall’anime Sword Art Online» spiegò quindi Liza con un mezzo sorriso. «Visto che sono una cacciatrice di licantropi – e una fan dell’Anime – mi è parso giusto avere sia armi di grosso calibro che armi bianche degne di tale nome… ed elucidator è spettacolare.»

«Detto da vera guerriera» approvò con un sorriso Litha, tornando però seria quando si rivolse a Fenrir: «Avete una vaga idea di dove siano i nostri nemici, in questo momento?»

«Purtroppo no. Nella zona delle ricerche si è abbattuto un temporale che ha cancellato le tracce olfattive, perciò stiamo brancolando nel buio. Neppure i corvi riescono a volare, con quel tempaccio, perciò siamo ciechi e privi di prove che ci guidino. Quel che è peggio che è dobbiamo muoverci tra gli umani, essendo scomparsi due ragazzi normali, e non possiamo pattugliare il bosco come vorremmo» gli spiegò Lucas, scuotendo irritato il capo.

«Maledizione!» sbottò Litha, mordicchiando pensierosa l’unghia di un pollice. «Se solo ci fosse stato Krilash, non avremmo avuto questo problema.»

Ai loro sguardi dubbiosi, la dea aggiunse a mo’ di spiegazione: «Un altro mio fratello. Ha il dono di interagire con l’elemento acqua.»

«Una famiglia assai dotata» chiosò Lucas, sollevando nervosamente un sopracciglio.

«Davvero molto» assentì Litha prima di avviarsi verso la porta-finestra, spalancarla e aggiungere: «Voi non potrete muovervi come lupi, ma io posso farlo come dea. Non sarò veloce come durante il nostro viaggio fino a qui, ma tengo comunque una buona media. A tra poco.»

L’attimo seguente, svanì dinanzi ai loro occhi e Lucas, imprecando vistosamente mentre Liza e Chelsey si esprimevano in modo più elegante ma non meno sorpreso, sbottò dicendo: «Ma che succede?!»

«Non è scomparsa… si muove a velocità subsonica» dissero quasi in coro Dev e Iris, come se fossero dei grandi conoscitori dei poteri della dea. «Sai, la curvatura non si può usare spesso.»

«Che!?» gracchiò il loro Fenrir, ancor più sconvolto di prima.

«Lascia stare, Lucas. Prendi per buona la cosa, altrimenti non ne uscirai sano di mente» scosse una mano Dev, sbuffando. «Se pensavamo che il mondo dei licantropi fosse complesso, fatti spiegare quello dei fomoriani e dei figli di Dana. C’è veramente da perdere il senno.»

Lucas, come sempre, cercò in Iris una conferma alle sparate di Dev ma, anche in quel caso, la vide assentire. A quel punto, quindi, lasciò davvero perdere e si limitò a dire: «Spero almeno che riesca a trovare qualche traccia. Nel frattempo, sarà il caso che io avverta le sentinelle… non sia mai che venga un infarto a qualcuna di loro, casomai se la vedessero comparire davanti ai loro nasi.»

Dev e Iris si dichiararono d’accordo. Con Litha, tutto poteva succedere.

***

Allacciandosi alla cintola un comodo marsupio contenente qualche barretta energetica, la borraccia termica e il telefono, Donovan scrutò determinato la propria famiglia e disse: «State tranquilli. Vedrete che non succederà nulla. E’ solo una ricerca su vasta scala di due ragazzi che si sono persi, non una battuta di caccia o quant’altro. Darò una mano, visto che sono un escursionista esperto, e mi limiterò a battere i sentieri. Inoltre, ogni gruppo di volontari conterà almeno un poliziotto al proprio interno. Non sarò da solo.»

Diana assentì piena di sicurezza e orgoglio e, nell’allacciargli la giacca idrorepellente, mormorò: «So benissimo che sei bravo, ma fa comunque attenzione. Non sappiamo in che guaio si sono cacciati quei poveri ragazzi e non vorrei che tu passassi la domenica con una caviglia rotta, dopo un sabato pomeriggio passato a bazzicare nei boschi.»

«Non succederà, promesso. Tornerò a casa tutto intero, anche se brancolare per i boschi senza sapere cos’è successo, sicuramente non aiuterà le ricerche» dichiarò Donovan, dandole un bacetto sulla fronte.

Io invece lo so!, pensò tra sé Mark, combattuto tra il mantenere la parola data e il mettere in guardia suo padre dai potenziali pericoli a cui stava andando incontro.

Quando suo padre era rientrato a casa con la chiara intenzione di partecipare alle ricerche di Fergus e Chanel, Mark si era sentito cadere il terreno sotto i piedi.

Non aveva minimamente messo in conto che il padre avrebbe potuto offrirsi volontario e, quando lui li aveva messi al corrente, aveva sentito sulle spalle il peso enorme del silenzio e della colpa.

Aveva tentato invano di farlo desistere, accampando scuse e paure che nulla avevano a che fare con la realtà e il padre, invece di cogliere i suoi messaggi di pericolo, lo aveva abbracciato, ringraziandolo per il suo affetto.

Ora, di fronte alla porta di casa assieme alla madre, Mark tentò di metterlo nuovamente in guardia e, nello stringergli forte una mano, disse: «Se puoi, fatti mettere in gruppo con Rock, o con il signor Kendrick. Mi sentirei più tranquillo.»

Donovan sorrise a mezzo, ammiccò all’indirizzo della moglie e chiosò: «Il ragazzo proprio non si fida di me, eh?»

Diana sorrise di fronte allo sguardo compiaciuto e, al tempo stesso, sbarazzino del marito e, tra sé, ne fu lieta, pur sentendosi triste per i motivi che avevano fatto risorgere quella luce negli occhi di Donovan.

Non aveva mai visto Don così in sintonia con il figlio e, anche se si sentiva male al pensiero di sapere quei ragazzi da soli, al buio, e sotto un acquazzone gelido, fu felice di vedere il marito come aveva sempre sperato di poterlo vedere.

Libero dagli incubi, felice con suo figlio, di nuovo vivo.

Diana, perciò celiò: «Noi poveri vecchi dobbiamo sembrargli delle pappamolle, caro.»

«Non mi prendete sul serio» sbottò Mark, fissandoli malamente.

Donovan, allora, gli poggiò una mano sulla spalla, gli sorrise orgoglioso e disse più seriamente: «Mi fa davvero piacere che tu ti preoccupi per me, Mark. Ti giuro che presterò la massima attenzione e che, al minimo sentore di pericolo, chiederò l’intervento della polizia. Va bene?»

La polizia potrà fare ben poco, pensò tra sé il giovane pur annuendo al padre. Insistere ulteriormente non sarebbe servito a nulla.

Il suono del telefono interruppe qualsiasi altra elucubrazione mentale del giovane e, quando Mark scorse sul visore il nome di Liza, gracchiò: «Liza? Ma cosa…»

«Ecco, pensa alla tua fidanzata» ironizzò a quel punto Donovan, strizzandogli l’occhio mentre Mark diventava paonazzo nel sottolineare che non erano affari suoi, come passava il tempo con Liza.

Allontanandosi dai genitori ridacchianti, Mark accettò quindi la chiamata e mormorò ansioso: «Ciao! Si hanno novità?»

«Sì e no. Non sappiamo ancora dove siano Fergus e Chanel, ma abbiamo ricevuto rinforzi, e ora sappiamo per certo chi sia il nostro nemico.»

«Bene, perché mio padre si sta unendo alla squadra di volontari, e ho il terrore che possa incontrare chi sappiamo noi» replicò Mark, sentendo l’ansito pieno di sorpresa di Liza raggiungerlo attraverso il microfono del telefono.

«Merda! Dirò a Rock di prenderlo nel suo gruppo, così lo terremo al sicuro. Nel frattempo, vorrei che tu e tua madre veniste qui per qualsiasi evenienza. A quanto pare, nessuna arma del mio arsenale va bene per quelle bestie, a parte le lame da taglio di grosso calibro e, a meno che tu con possieda una copia di Anduril3 in casa, ti converrà trovare una scusa per venire qui.»

Mark strabuzzò gli occhi, nel sentirla parlare dell’enorme spada apparsa nell’ultimo film della Trilogia Jacksoniana de Il Signore degli Anelli e, dubbioso, chiese: «Perché… tu possiedi… una spada? Vera?»

«Eccome. E, a quanto pare, è l’unica arma in grado di uccidere uno dei due mostri che ci troviamo ad affrontare.»

Pur riuscendo a digerire in qualche modo quelle notizie, una domanda gli balenò alla bocca senza che potesse fermarla. «Perché parli di uno dei due? Non sono lo stesso nemico?»

Silenzio. Un silenzio così assordante da mettere in allarme Mark ancor più di quanto non lo fosse stato fino a quel momento.

Cosa gli nascondeva? Cosa significava quel silenzio?

Alla fine, comunque, Liza parlò e, titubante, ammise: «Diciamo che avremo bisogno di qualcuno molto più forte di un licantropo, per l’altro

«Arrivo subito da te» dichiarò lapidario Mark, chiudendo la comunicazione.

Ciò detto, tornò alla porta per salutare il padre e disse: «Vorrei andare da Liza, adesso. Chelsey è terrorizzata per quello che potrebbe essere successo ai nostri amici, e lei non riesce a calmarla. Visto che i genitori di Liza sono andati via ieri… sì, insomma, è da sola, e non se la sente di disturbare i nonni di Chelsey.»

Donovan gli sorrise divertito ma assentì. «Tu e Diana andate pure da lei. Anzi, starò più tranquillo se vi saprò in compagnia di qualcuno.»

«Grazie. E stai attento, per favore» disse in fretta Mark, abbracciandolo con forza prima di correre in direzione della propria stanza.

Diana lo guardò andarsene con un sorriso sulle labbra e, nel baciare il marito, mormorò: «E’ bello vedervi nuovamente uniti.»

«Fa piacere anche a me» assentì l’uomo. «Porta i miei saluti alle ragazze e cerca di tranquillare la bambina. Dille che troveremo i loro amici il prima possibile.»

Diana assentì e, con un ultimo saluto, lo vide raggiungere l’auto con cui si sarebbe recato alla locale centrale della Reale Polizia a Cavallo di Clearwater.

Nel volgersi a mezzo per chiamare Mark, lo vide sulla soglia del corridoio, ombroso in viso e con uno zainetto sulle spalle.

«Pensi di uscire per una passeggiata? Scordatelo» sottolineò Diana, indicando il suo zaino.

«Ci sono dentro alcune cose per Liza, tutto qui» mentì Mark, preferendo non accennare al fatto che, dentro lo zaino, aveva messo un kit di primo soccorso e i suoi coltelli da campeggio. Era l’unico arsenale a cui potesse avvicinarsi senza incorrere in scomode domande, visto che non poteva raggiungere la cucina per recuperare la mannaia.

«Ah, va bene. Allora, possiamo andare» annuì a quel punto la donna, afferrando borsetta, cappotto e chiavi dell’auto.

Non visto – ma sempre presente – Huginn registrò i loro movimenti e li trasmise a Muninn perché avvertisse Liza dopodiché, involandosi alla loro partenza, li tenne d’occhio in ogni istante.

Aveva promesso alla sua mamma la massima attenzione e, se fosse servito, si sarebbe anche battuto per proteggerli. Avrebbe reso Liza fiera di lui.

***

Quando Liza vide arrivare Diana e Mark, Dev, Iris e Lucas si erano già inoltrati nel bosco per attendere le istruzioni di Litha.

Sarebbe parsa assurda la loro presenza, visto che ufficialmente Dev e Iris erano ancora in Irlanda, e Liza aveva dichiarato di essere sola con Chelsey.

Quest’ultima, al suo fianco, si premurò di apparire spaventata e con gli occhi lucidi e pronti per il pianto – qualità discutibile che Liza scoprì proprio quel giorno.

Quando perciò vide scendere Diana dall’auto, la ragazzina si catapultò fuori per abbracciarla con calore e dimostrare tutta la sua ansia alla donna.

«Grazie per essere venuta!» esclamò Chelsey, stringendosi alla donna come se ne andasse della propria vita.

«Oh, tesoro, calmati. Vedrai che andrà tutto bene» le sorrise Diana, carezzandole i lunghi capelli rilasciati sulle spalle.

Lei assentì fiduciosa e, assieme alla donna, risalirono le scale fino a raggiungere l’entrata. Lì, Liza salutò con un certo imbarazzo Diana che, però, si comportò egregiamente e non fece battute di nessun genere in merito alla novella storia sentimentale tra lei e Mark.

Mark che, una volta raggiuntala, la strinse a sé e mormorò contro il suo orecchio: «Ma Chelsey è davvero spaventata?»

«E’ un’attrice diabolica. Ho appena scoperto che piange a comando» sussurrò Liza, sorprendendolo non poco. «Comunque, emergenza a parte, è sempre bello vedervi. Vorrei fosse chiaro.»

Mark si scostò da lei per sorriderle e, nell’annuire, entrò in casa con Liza dopo che ella ebbe saggiamente chiuso a chiave la porta blindata.

Mentre Chelsey stordiva di chiacchiere ansiose una inconsapevole Diana, Liza attirò in cucina Mark per parlare più agevolmente – nonostante il pianterreno fosse un ambiente unico – e, in un sussurro, aggiunse: «Dev e Iris sono tornati assieme al nostro aiuto insperato… non chiedermi come, però. Prendi la cosa per buona. Al momento, stanno scandagliando la foresta in lungo e in largo, e a noi è stato assegnato il compito di stare accucciati e coperti. Le mie pallottole ad argento non hanno grossi effetti contro l’unico dei due mostri a cui possiamo approcciarci, a parte rallentarlo un po’. Se fosse un licantropo, sarebbe stato tutto più facile.»

«Quindi, ora siete certi che non sia un mannaro» chiosò Mark, turbato.

«Sì, e da quel che abbiamo scoperto, è un nemico assai potente e pericoloso» assentì Liza, indicandogli poi con un cenno del capo il bancone della cucina.

Mark avanzò per curiosare e, poco dietro l’isola in legno, Mark vide la fantomatica spada a cui Liza aveva accennato nella loro telefonata. Quando, però, si avvide della sua forma, scoppiò in una risatina spontanea e celiò: «Oddio! Sei una fan di Kirito?»

Lei allargò un sorriso tutto fossette che fece arrossire Mark e, annuendo, dichiarò: «C’era un motivo, se mi piacevi così tanto.»

Lui si massaggiò nervosamente la nuca – non era ancora abituato a sentir parlare Liza a quel modo – e, reclinando il viso, borbottò: «Spero non sia solo per la mia conoscenza dei videogiochi e dei fumetti.»

«No. C’è anche questo tuo rossore spontaneo… tu lo odierai, forse, ma io lo adoro» mormorò Liza, avvicinandosi a lui per dargli un veloce bacio sulle labbra prima di fuggire in salotto con un sorrisino imbarazzato.

Mark considerò l’idea di correrle dietro per fargliela pagare ma, preferendo lasciar perdere, si godette la sensazione del sapore delle labbra di Liza sulle proprie e, più lentamente, raggiunse le tre donne nei pressi dei divani.

Lì, si accomodò su una poltrona e cominciò ad ascoltare il soliloquio di Chelsey e, al tempo stesso, si chiese a che punto fossero le ricerche. Trovarsi in quell’ambiente relativamente sicuro, sapendo che i suoi amici invece non lo erano affatto, lo faceva sentire tremendamente in colpa.

Allo stesso tempo, però, comprendeva più che bene che nulla avrebbe potuto per cambiare quello stato di cose, anche se fosse stato nel bosco a cercarli. Attendere che persone più capaci di lui trovassero una soluzione a quel dannato problema, era l’unica cosa giusta da fare.

 

 

 

1: Labbacallee: Sito megalitico che si trova realmente in Irlanda, e proprio nei pressi di Cork.

2: si tratta di Kazuto Kirigaya, personaggio principale dell’Anime Sword Art Online, che sfoggia per l’appunto Elucidator tra le sue armi preferite, assieme a Dark Repulser. (Non parlo del videogioco visto che non lo conosco né ci ho mai giocato)

3: parlo della “Lama che fu Spezzata”, la spada che Aragorn sfoggia nella battaglia finale contro Mordor né “Il Ritorno del Re”, nel film di Peter Jackson.

N.d.A.: capitolo un po' lungo, ma era quasi impossibile fermarsi, perciò ho pensato di lasciare al prossimo capitolo il confronto con akhlut. Per il momento, assistiamo al ritorno rocambolesco dei nostri amici e all'avvicinarsi sempre più pressante dei nostri nemici. Non è più il momento di temporeggiare. La battaglia incombe!

  
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