16.
«Alle
valige penserò io» dichiarò Rey,
stringendo le mani di Dev e Iris. «Ve le
spedirò indietro tramite Fed-Ex, non temete. Per il resto,
state attenti e
cercate di non rimetterci la pelle.»
«Poco
ma sicuro» assentì Dev, guardandosi intorno con
espressione tesa.
La
voce funerea di Lucas aveva esordito la chiamata avvisandolo
dell’arrivo dei
loro nemici, e mettendolo altresì al corrente del pericolo a
cui si erano
esposti due compagni di scuola di Liza.
Conosceva
personalmente sia gli Howthorne che i McBride – il padre di
Fergus aveva
lavorato alcuni anni in segheria, prima di trovare un impiego in una
ditta di
trasporti – e sapere del rischio che stavano correndo i loro
figli lo aveva
angustiato.
Non
era piacevole che fossero coinvolti anche degli umani
perché, oltre alle ovvie
implicazioni emotive, coprire le tracce di un eventuale scontro tra
esseri
magici sarebbe stato un fottuto casino.
Inoltre,
non osava neppure immaginare quanto Liza fosse in pensiero, e quanto
l’idea di
non potersi muovere per agire, le pesasse.
In
quanto Geri, aveva sì il compito di indagare su casi
riguardanti la sicurezza
del branco per conto di Fenrir ma, in prima istanza, avrebbe sempre
dovuto
riferire a Freki e, solo su suo ordine – o di Fenrir stesso
– avrebbe potuto
muoversi. E dubitava fortemente che Rock o Lucas le avrebbero permesso
di
unirsi alla squadra di salvataggio.
«Io
sono pronta» dichiarò Litha, strappandolo a quei
pensieri.
Dev
assentì e Iris, nell’osservare la donna,
domandò: «Cosa dobbiamo fare,
esattamente?»
«Siete
fan di Star Trek, per caso?» disse a sorpresa Litha,
scrutandoli con curiosità.
I
due assentirono dubbiosi e la dea, sollevata, aggiunse:
«Bene. Così mi sarà più
semplice spiegarvi ciò che accadrà. In parole
povere, agirò come un motore a
curvatura e piegherò tempo e spazio, sia davanti che dietro
di noi. Questo ci
permetterà di percorrere in brevissimo tempo distanze
abissali, e senza
l’utilizzo di alcun mezzo di trasporto.»
Iris
impallidì leggermente, a quella notizia, e
gracchiò: «Ma… per farlo, dovresti
utilizzare un tipo di combustibile che ancora
non esiste!»
«Oh,
credimi, esiste, solo che gli umani non l’hanno ancora
scoperto. Quanto a ciò
che faremo noi, sarà uno spostamento così rapido
da sembrare trasmutazione. Ho
solo bisogno di un punto focale su cui concentrarmi,
dopodiché i miei poteri
faranno il resto» dichiarò per contro Litha,
scrollando le spalle.
«Che
genere di punto focale ti serve?» domandò Dev,
ancora incredulo di fronte alla
spiegazione data da Litha. Non era del tutto sicuro di essere felice di
dover
impersonare la Enterprise.
«Qualcosa
che abbia una carica mistica abbastanza chiara e forte da guidarmi fino
a casa
vostra o, per lo meno, nelle vicinanze» gli spiegò
lei.
«La
forza del nostro Vigrond è sufficiente?»
«No.
La vostra quercia è troppo giovane, per emettere
un’energia sufficiente a
guidarmi. Qualcos’altro?» scosse il capo Litha.
Dev
e Iris si guardarono vicendevolmente e, all’unisono, dissero:
«Writing-on-Stone.
E’ il luogo in cui il nostro Fenrir parlò per la
prima volta con Madre.»
Litha
assentì nell’udire quel nome, chiudendo poi gli
occhi per concentrarsi su quel
luogo in particolare. Qualche istante dopo sorrise divertita e,
nell’ammiccare
una volta riaperti gli occhi, dichiarò: «A quanto
pare, vi eviterete il
tragitto più lungo. C’è una scorciatoia
che si può prendere direttamente
dall’Irlanda, e arriva giusto alle pietre che avete citato
voi.»
«Che
intendi dire?» esalò la coppia, ora completamente
frastornata. Quale altra
diavoleria si era inventata, adesso?
«Parlo
del complesso tombale di Labbacallee1, che si
trova a poche miglia
da qui. Da lì, si apre un portale per raggiungere quattro
punti strategici sul
globo e uno di questi, per l’appunto, è
Writing-on-Stone. Giunti lì,
procederemo verso il vostro Vigrond come vi ho spiegato
prima.»
«Se
preferisci questo percorso, mi viene da chiederti quanto
brutto sarebbe usare direttamente la curvatura
spazio-tempo»
si accigliò un poco Dev, scrutandola dubbioso.
Lei
sorrise contrita e ammise con una risatina tesa: «Se non
soffrite di mal
d’aria, non è neanche malaccio, diciamo. Il punto
è che non posso usarlo
spesso, o potrei causare dei problemi alla rotazione terrestre, e non
mi sembra
davvero il caso.»
Iris
guardò immediatamente Dev, che impallidì al solo
sentir nominare il mal d’aria
e Litha, nel notarlo, dichiarò lapidaria: «Si va a
Labbacallee. Assolutamente.»
***
Non
impiegarono più di quaranta minuti a raggiungere il sito
megalitico e, complice
anche la stagione autunnale, non trovarono turisti nei pressi che
potessero
ficcare il naso nei loro affari.
Una
volta scesi dall’auto, quindi, percorsero il breve tragitto a
piedi lungo il
sentiero che conduceva alla tomba. Si lasciarono così alle
spalle anche
l’ultimo frammento di civiltà, immergendosi in un
paesaggio sospeso nel tempo,
fatto di felci rigogliose e piante basse e nodose, ripiegate dai venti
perenni
che soffiavano su quella zona.
Il
canto degli uccellini si fece rado e spaventato, quasi che la natura
stessa si
fosse resa conto dello stato di tensione dei predatori che si erano
introdotti
nei loro territori.
Nell’avanzare
in quel luogo senza tempo, Iris venne colpita dagli odori che li
avvolsero come
una coperta. Sapevano di antico, di mistico e di potente e, quando
infine
raggiunsero il sito megalitico, Dev e Iris non si stupirono che fosse
anche un
portale spazio-temporale. Le energie di quel luogo si avvertivano a
pelle.
Litha
indicò lo stretto passaggio tra le rocce che conduceva
all’interno del
complesso sepolcrale e, a mo’ di spiegazione,
asserì: «Con le chiavi giuste,
questo passaggio ci
condurrà fino a Writing-on-Stone.»
Iris
e Dev assentirono, lanciarono un’ultima occhiata di saluto a
Rey – che li aveva
condotti fin lì – dopodiché seguirono
Litha all’interno della tomba, composta
da un complesso di rocce arrotondate dal tempo e ricoperte di muschio.
L’interno,
basso e angusto, odorava di chiuso, di umido e di putrefazione, ma
nessuno dei
tre vi badò. Litha proseguì carponi fino a
sfiorare una roccia su cui era stato
inciso il simbolo di un corvo, dopodiché disse:
«Sono Litha McElathain del clan
dei Tuatha, e sono depositaria dei poteri del Dagda
Mór. Ti chiedo di concederci il passaggio fino
alle Pietre
Parlanti dei Piedi Neri, Madre.»
Un
riverbero multicolore inondò la piccola camera tombale e,
grazie al potere
onnisciente di Madre, le pietre si scostarono per lasciar intravedere
una
scalinata rivolta verso il basso.
Litha
la imboccò per prima, a cui seguirono Iris e Dev. Non appena
l’ultimo di loro
oltrepassò l’ingresso, il passaggio venne chiuso
alle loro spalle e la dea,
illuminandosi tutta, disse: «Penserò io a
mostrarvi il passaggio.»
I
due assentirono, muti e sconvolti – non era cosa di tutti i
giorni veder
brillare le persone, dopotutto – e, sempre seguendo Litha, si
persero in
contemplazione dei bellissimi glifi che dipingevano come un quadro la
sua pelle
perfetta.
Per
quanto quella situazione rasentasse la follia, era impossibile non
rimanere
incantati dal gioco di ombre e luci create da quei glifi, che
sembravano
muoversi al ritmo del respiro della dea.
Sorridendo
nell’avvedersi dei loro sguardi curiosi, Litha aggiunse:
«Sono un retaggio di
mia madre. Ne ho su tutto il corpo e, quando uso i miei poteri, si
evidenziamo
come state vedendo voi ora.»
«Sono
la cosa più bella che io abbia mai visto»
mormorò ammirata Iris.
«A
suo tempo, quando ancora non sapevo la verità, furono fonte
di profondo
disagio, ma ora piacciono molto anche a me» ammise lei, prima
di indicare il
percorso alla loro sinistra. «Da questa parte.»
Dev
lanciò un’occhiata agli altri sentieri in ombra e,
nell’udire uno scrosciare
d’acqua in distanza, domandò: «Ci sono
dei fiumi sotterranei, in zona?»
«Solo
uno ma, al momento, a noi non interessa, poiché non dobbiamo
passare da un pianeta
a un altro» disse loro Litha, sorprendendoli ulteriormente.
«Quello che senti è
Bifröst, e collega altri portali terrestri ai nove regni di
Yggrdrasil.»
Dev
ricordava più che bene la lezione impartita loro da Joshua
Ridley, Fenrir di
Londra, in merito ai Nove Regni, a Madre e alla loro discendenza
divina, ma
quando toccava con mano certe
diavolerie, ancora ne rimaneva turbato.
Litha
sogghignò al suo indirizzo, chiosando: «Consolati.
Rey fa ancora fatica a usare
i suoi poteri, eppure sono anni che
è
un Tuatha di razza quasi pura.»
«Buono
a sapersi» bofonchiò Dev prima di chiedere:
«Se tanto mi dà tanto, però, non
stiamo percorrendo veramente tutto
il
tragitto da qui alle Pietre Parlanti, vero? Altrimenti, non avresti mai
intrapreso questa via.»
«No,
infatti. Questa è una dimensione parallela che,
però, fa ancora parte di
Midghardr, la Terra, ed è per questo che non abbiamo bisogno
né dei miei poteri
né di quelli di Bifröst, per spostarci. Se vuoi,
posso anche spiegartene la
natura metapsichica, ma credo che non ti interessi» ammise
Litha, facendo
spallucce.
«Grazie,
ma preferisco passare. Sto già tentando di prepararmi
psicologicamente alla
seconda parte del viaggio, figurarsi se questa la passerò a
cercare di capire
concetti di fisica quantistica che mi risulterebbero oscuri in ogni
caso»
brontolò Dev, scuotendo furiosamente il capo.
«Sono in fase ‘sospensione
dalla realtà’¸e credo che
ci rimarrò ancora per molto.»
Litha
ammiccò divertita ad Iris, che celiò:
«E’ il suo lato più ruvido che emerge,
scusalo.»
«Oh,
non c’è problema. Passa quattromila anni con
Thetra Mc Lir e sarai vaccinata
per tutto. Mio padre adottivo sapeva sempre creare nuovi sinonimi per
la parola
incazzato»
chiosò Litha, ghignando
furba.
«Non
stento a crederlo, visto il tempo che ha avuto e che, immagino,
avrà in futuro
per sondare l’argomento» ridacchiò Iris.
«Vedi
bene» assentì Litha prima di bloccarsi, ascoltare
un poco l’aere immoto e
infine dire: «Okay, siamo arrivati.»
Ciò
detto, bussò discretamente contro una pietra
all’apparenza uguale alle altre e,
all’improvviso, una seconda luce li inondò, quasi
accecandoli.
L’attimo
seguente, quella stessa pietra si scostò per lasciarli
passare e Iris, non
appena fu all’esterno di quello strano condotto
spazio-temporale che li aveva
fatti giungere fino a lì, esalò strabiliata:
«Sì, riconosco il posto!»
«Non
avevo dubbi. Queste pietre chiacchierano
all’inverosimile» celiò Litha,
bussando nuovamente contro le rocce perché richiudessero il
passaggio.
Dev
la fissò stranito ma preferì non chiedere lumi,
ligio al suo mantra del ‘meno
chiedi, meno mal di testa vengono’. In
tutta quella stramba storia, aveva già affrontato fin troppe
assurdità, e non
aveva davvero bisogno di capirle.
Dopo
aver richiuso il passaggio, Litha si volse verso i suoi due compagni di
viaggio
e, nel prendere le mani di entrambi tra le sue, domandò:
«Pronti per il secondo
round?»
«No,
ma fa lo stesso. Rientriamo a casa alla svelta»
sibilò Dev, serrando gli occhi
e digrignando i denti, già pronto a sostenere il
contraccolpo che, quella
seconda parte del viaggio, avrebbe lasciato sul suo corpo.
Litha
assentì seria in viso e, l’istante successivo, per
Dev e Iris fu come
attraversare le cascate del Niagara, venire investiti da un tornado F5
e
schiantarsi contro un treno in corsa. Tutto contemporaneamente.
L’effetto
sul loro corpo fu devastante e, quando finalmente poterono toccare
terra e
riprendere fiato, boccheggiarono alla ricerca di ossigeno… o
anche solo di far
funzionare i loro polmoni.
La
dea li fissò spiacente, più che conscia di quanto
potesse essere distruttivo,
per un corpo non divino, l’utilizzo di un simile potere.
Sapeva, comunque, che
i licantropi avevano un buon recupero perciò, dopo essersi
assicurata che
entrambi non avessero danni fisici, si levò in piedi per
guardarsi intorno.
Subito,
Litha notò una bella casa di tronchi disposta su due piani,
un’ampia radura
dove sorgeva nel mezzo una piccola quercia e, poco discostata da essa,
un’enorme voliera.
Non
poteva che essere la casa di Dev e Iris – la loro energia
residua gorgogliava
tutt’attorno come un cuore pulsante –,
perciò disse: «Direi che ci siamo.»
Nessuno
dei due poté risponderle ma, quando udirono dei passi
concitati alle loro
spalle e le voci turbate di Lucas, Liza e Chelsey, seppero di essere
effettivamente giunti a casa.
Peccato
non poter godere della faccia sicuramente sconvolta di Lucas. In quel
momento,
per entrambi, era più importante reimparare a respirare.
«Dev!
Iris! Ma come avete fatto ad arrivare?! Vi ho chiamato sì e
no un’ora fa!»
esalò sconvolto Lucas prima di posare lo sguardo su Litha
che, a sua volta, lo
stava scrutando con i profondi occhi viola. «Tu chi
sei?»
«Dea…»
gracchiò Dev, levando un braccio come a voler bloccare
qualsiasi manovra
difensiva da parte di Lucas.
Decidendo
di occuparsi dell’amico prima che della sconosciuta che, di
fatto, non sembrava
un pericolo per loro, Lucas si accosciò accanto a Dev per
sollevarlo a sedere –
mentre Liza e Chelsey si occupavano di Iris – e, dubbioso,
domandò: «Ho capito
bene e hai detto ‘dea’?»
Tossendo
liquido biancastro e saliva, Dev assentì più
volte finché anche i conati di
vomito cessarono e, più calmo, poté aggiungere:
«Lei è Litha McElathain. La
donna che ci ha ospitati. Tra le altre cose, è una dea
Tuatha. E’ lei che ci ha
riportati qui in fretta e furia.»
Lucas
lo fissò incredulo prima di puntare lo sguardo su Iris,
leggermente più in
salute rispetto a Dev, e perciò forse
in grado di chiarire le parole del marito. L’amica,
però, confermò quanto detto
da Devereux, e a Lucas non restò che accettare
quell’assurda affermazione come
un dato di fatto.
A
quel punto, con aria stranita e vagamente inquieta, tornò a
posare lo sguardo
sulla donna splendida che ancora li stava osservando in silenzio e,
cauto,
domandò: «Una dea, dunque?»
«Sì.
E l’uomo al tuo fianco è il mio primo suddito
fedele» dichiarò con un mezzo
sorriso Litha.
«Potrei
ripensarci, dopo questa batosta» gracchiò Dev,
cedendo finalmente a un più
salutare svenimento.
***
Quando
Devereux riaprì gli occhi, le prime cose che vide furono il
volto della figlia
rasserenarsi e quello della moglie farsi più colorato e
salubre. Evidentemente,
il suo crollo le aveva assai turbate.
Subito
dopo, registrò la presenza di Liza, Lucas e Litha,
quest’ultima poggiata contro
lo stipite della porta-finestra che conduceva al giardino sul retro
dell’abitazione. Aveva un’aria guardinga, come se
avvertisse il pericolo che li
aveva ricondotti a casa in tutta fretta, e questo pericolo non la
rendesse per
nulla contenta.
«Va
un po’ meglio, Dev?» domandò turbato
Lucas.
«Sì,
ora ho tutti gli organi interni al loro posto»
dichiarò lui, sollevandosi a
sedere sul divano su cui lo avevano sdraiato dopo il suo svenimento.
«Tu, tutto
bene?»
Iris
annuì con un sorriso e, dopo averlo baciato sulla fronte,
dichiarò: «Ho rimesso
un paio di volte, ma va tutto bene, adesso.»
Lui
assentì più tranquillo e, a quel punto,
domandò: «Allora, cosa è successo? E
siate rapidi. Non mi interessa conoscere tutti i fatti, ma solo il
riassunto
stringato.»
Lucas
sorrise rasserenato e, nel rimettersi in piedi, disse: «Ora
so che stai
veramente bene.»
Ciò
detto, riassunse per loro ciò che fino a quel momento
avevano scoperto, oltre a
quello che ipotizzavano potesse essere il loro nemico.
Alla
fine del racconto, Litha assentì turbata e
dichiarò: «Di una cosa sono sicura,
a questo punto. C’è una sola creatura che ha tutte
queste caratteristiche, ma
il punto è un altro. Parliamo di Akhlut,
il dio-orca… ed è insolito che si allontani
così tanto dai suoi territori
natii.»
«Quindi,
con chi abbiamo a che fare?»
«Sicuramente,
se si trova così lontano da casa, questo akhlut
è con il suo servo...
amarok. Quando akhlut
diventa anziano e debole – perché non è
immortale,
nonostante sia considerato un dio – si affida a uno o
più amarok, lupi a lui
devoti,
perché predino per loro, non obbligandolo così ad
abbandonare il nido» spiegò
loro Litha con aria aggrottata. «Se questo akhlut
si è spinto così lontano da casa con il suo amarok,
o sente vicina la morte, e vuole scongiurarla a tutti i costi, oppure
è giunto
ad amare troppo l’energia prodotta dagli umani.»
Lucas
si adombrò in volto e domandò:
«Spiegaci meglio cosa intendi dire.»
«Predando
in prima persona non otterrebbe mai il genere di energia che, invece,
l’amarok riesce a generare
per lui. Gli akhlut possono
camminare – e predare –
sulla terra, ma è un processo che richiede molte energie,
energie che l’amarok
può invece donargli senza
problemi e senza indebolirsi. Non predare, però, per un
cacciatore, è come
negare la musica a un pianista, o il pennello a un pittore. Credo,
perciò, che
sia divenuto dipendente da questo genere di simbiosi con il suo servo,
e che la
caccia prevalga sul buonsenso, che gli direbbe di stare vicino al nido
di
nascita.»
Vedendoli
annuire in silenzio, Litha espose quindi ciò che sapeva su
quella divinità inuit.
«Akhlut
è un dio assai raro da incontrare
e, durante la mia vita come fomoriana, non ne ho mai conosciuto
nessuno, ma so
che esiste perché se ne parla non solo nelle leggende inuit, ma anche in quelle dei fomoire.
E’ un dio potente e crudele, che si ciba della forza vitale
degli umani per
poter prolungare la propria esistenza. Quando però desidera
più potere, o è
troppo vecchio per predare, trasforma alcuni umani in amarok,
lupi asserviti al loro dio e che esaudiscono ogni suo
desiderio.»
«Perché
dici che è insolita la sua presenza in questi luoghi? Non
può muoversi
liberamente?» domandò Liza. «Hai parlato
di un nido, ma di che cosa parli, esattamente?»
«Akhlut
è legato al suo luogo di nascita,
come se esistesse una sorta di cordone ombelicale che lo trattiene
nelle terre
d’origine. Di solito, perciò, rimane in zona per
cacciare. Questo, come
ovviamente immaginerete, limita la sua quantità di prede,
specialmente in epoca
moderna, dove le notizie corrono veloci, e molte morti in poco
territorio
attirirerebbero l’attenzione. Solitamente, quindi, akhlut crea molti amarok,
così che raccolgano energia al posto suo anche in luoghi
distanti dal suo
tempio di nascita» spiegò loro Litha, sbuffando
leggermente.
Il
pensiero di dover combattere una simile creatura la metteva in ansia,
perché
non ne conosceva bene la forza, e non sapeva obiettivamente a chi
chiedere per
avere ulteriori informazioni su di essa.
«Da
quel che ci hai detto, però, questo akhlut
è lontano da casa» chiosò Lucas.
«Le
terre d’origine degli akhlut
sono i
fiordi alaskiani quindi sì, è assai distante dal
suo luogo d’origine ma a
volte, come dicevo prima, gli akhlut
possono
diventare dipendenti dalla caccia, se così vogliamo vederla.
Finiscono per
amare troppo quello che amarok
preda
per loro e così si spingono a sud per predare, e predare
ancora. Devono
comunque tornare al nord, ogni tanto, perché il richiamo del
mare è troppo
forte, e non possono sopprimerlo in alcun modo. Inoltre, ne hanno
bisogno anche fisicamente, per
poter risucchiare
appieno le energie che amarok ha
risucchiato per lui.»
Guardandosi
poi intorno turbata, aggiunse: «In questo periodo,
però, dovrebbero trovarsi in
Alaska, e non qui. Qualcosa deve essere andato storto… o
qualcuno lo ha
attirato fuori dal suo tempio.»
«E
quello che successe dieci anni fa? Può avere a che fare con
lo scheletro di cui
vi abbiamo parlato?» domandò Dev.
«Se
quello scheletro appartiene al corpo di un akhlut
morto, allora può darsi che quello attuale sia il suo
compagno, e si sia mosso
per vendetta. Gli akhlut non
concepiscono che l’uomo interferisca nella loro vita
– se non come prede da
divorare – e, forse, aver spostato quel corpo dal suo luogo
di sepoltura ha
scatenato la rabbia dell’attuale akhlut.
Questo può averlo spinto, quindi, a una caccia
indiscriminata che è perdurata
per tutti questi anni, e spiegherebbe tutti i casi di aggressione
avvenuti così
lontano da casa.»
Ciò
detto, si grattò pensierosa una guancia e
borbottò: «Se avessi studiato
maggiormente, ricorderei altro, ma è mio fratello, lo
studioso, non certo io.»
I
presenti la guardarono basiti e Chelsey, con uno sbuffo,
chiosò: «Piacerebbe
anche a me non sapere matematica
come
tu non sai di questo
argomento.»
Litha
sorrise indulgente alla ragazzina, replicando: «Oh, credimi,
quando hai un
fratello che conosce a memoria tutti i testi sacri di ogni
religione del pianeta, senza contare che è in
grado di
trascriverli in lingua originale, ti sentirai sempre
un’ignorante.»
Chelsey
borbottò uno scongiuro mentre Lucas, fissandola speranzoso,
domandava: «Conosci
per caso i suoi punti deboli?»
«Per
quel che ne so io, solo un altro dio» scrollò una
spalla Litha, lasciando
Fenrir nella spiacevole condizione di non sapere cosa dire.
«Lo so, è deprimente,
ma un akhlut può essere
battuto solo
da un suo pari in grado. Per questo
ho preferito venire; proprio perché, tra le
eventualità proposte da mio
fratello, era presente anche un
dio,
come nemico.»
«Cristo!»
sbottò Dev, digrignando i denti. «E quanto
all’amarcord?»
Litha
scoppiò a ridere di fronte a quel palese tentativo di fare
dell’ironia, così da
stemperare l’ansia che galleggiava tra loro come un cattivo
odore e, con
semplicità, disse: «Gli amarcord, come li hai
simpaticamente rinominati tu, si
uccidono come qualsiasi altra creatura vivente; staccando loro la
testa. Non
sono sensibili all’argento come voi, pur se non gli fa di
certo bene, se
finisce nel flusso sanguigno – ma quello capiterebbe anche a
me, per esempio – e,
da quel che so io, non hanno allergie specifiche a nulla. Tagliare la
testa,
però, risolve sempre il problema con tutte le creature
viventi.»
Liza
deglutì a fatica, digerendo quella notizia poco alla volta
mentre Chelsey,
tastandosi dolente il collo, esalava: «Perciò,
dovremmo andarcene in giro con
delle scimitarre?»
«Non
tu, cucciolo di lupo. Sei troppo giovane per affrontare un amarok…»
precisò Litha, sorridendole affettuosamente.
«… ma sì, vi
occorrerà qualcosa di diverso da una pistola o un pugnale,
per finirlo. Il
corpo a corpo contro un amarok
potrebbe essere molto pericoloso e le armi da fuoco possono soltanto
rallentarlo, ma non ucciderlo.»
Liza,
a quel punto, si volse per guardare con aria carica di ironi il suo
Fenrir e
lui, con un sospiro pieno di esasperazione e accettazione assieme,
bofonchiò:
«Lo giuro, non ti prenderò mai
più in
giro per aver chiesto la replica in argento della spada di Kirito2.»
«Fa
piacere sentirselo dire» sogghignò Liza,
affrettandosi poi a raggiungere il
guardaroba del pianterreno, dove teneva parte delle sue armi.
Litha
la seguì con lo sguardo, piena di curiosità,
finché non la vide riemergere con
una spada dalla lama nera e l’impugnatura più
strana che avesse mai visto.
Sollevandola
con competenza, Liza ghignò soddisfatta e disse:
«Sapevo che elucidator
sarebbe venuta buona, prima o
poi.»
«E’
il nome della spada?» domandò ammirata Litha,
sollevando entrambe le
sopracciglia con aria sorpresa.
La
giovane Geri assentì, rinfilandola nel suo fodero di pelle
nera per poi
poggiare l’arma sul vicino tavolo della cucina.
«E’
la coppia esatta di una spada tratta dall’anime Sword Art Online»
spiegò quindi Liza con un mezzo sorriso. «Visto
che sono una cacciatrice di licantropi – e una fan
dell’Anime – mi è parso
giusto avere sia armi di grosso calibro
che armi bianche degne di tale nome… ed elucidator
è spettacolare.»
«Detto
da vera guerriera» approvò con un sorriso Litha,
tornando però seria quando si
rivolse a Fenrir: «Avete una vaga idea di dove siano i nostri
nemici, in questo
momento?»
«Purtroppo
no. Nella zona delle ricerche si è abbattuto un temporale
che ha cancellato le
tracce olfattive, perciò stiamo brancolando nel buio.
Neppure i corvi riescono
a volare, con quel tempaccio, perciò siamo ciechi e privi di
prove che ci
guidino. Quel che è peggio che è dobbiamo
muoverci tra gli umani, essendo
scomparsi due ragazzi normali, e
non
possiamo pattugliare il bosco come vorremmo» gli
spiegò Lucas, scuotendo
irritato il capo.
«Maledizione!»
sbottò Litha, mordicchiando pensierosa l’unghia di
un pollice. «Se solo ci
fosse stato Krilash, non avremmo avuto questo problema.»
Ai
loro sguardi dubbiosi, la dea aggiunse a mo’ di spiegazione:
«Un altro mio
fratello. Ha il dono di interagire con l’elemento
acqua.»
«Una
famiglia assai dotata» chiosò Lucas, sollevando
nervosamente un sopracciglio.
«Davvero
molto» assentì Litha prima di avviarsi verso la
porta-finestra, spalancarla e
aggiungere: «Voi non potrete muovervi come lupi, ma io posso
farlo come dea.
Non sarò veloce come durante il nostro viaggio fino a qui,
ma tengo comunque
una buona media. A tra poco.»
L’attimo
seguente, svanì dinanzi ai loro occhi e Lucas, imprecando
vistosamente mentre
Liza e Chelsey si esprimevano in modo più elegante ma non
meno sorpreso, sbottò
dicendo: «Ma che succede?!»
«Non
è scomparsa… si muove a velocità
subsonica» dissero quasi in coro Dev e Iris,
come se fossero dei grandi conoscitori dei poteri della dea.
«Sai, la curvatura
non si può usare spesso.»
«Che!?»
gracchiò il loro Fenrir, ancor più sconvolto di
prima.
«Lascia
stare, Lucas. Prendi per buona la cosa, altrimenti non ne uscirai sano
di
mente» scosse una mano Dev, sbuffando. «Se
pensavamo che il mondo dei
licantropi fosse complesso, fatti spiegare quello dei fomoriani e dei
figli di
Dana. C’è veramente da perdere il senno.»
Lucas,
come sempre, cercò in Iris una conferma alle sparate di Dev
ma, anche in quel
caso, la vide assentire. A quel punto, quindi, lasciò
davvero perdere e si
limitò a dire: «Spero almeno che riesca a trovare
qualche traccia. Nel
frattempo, sarà il caso che io avverta le
sentinelle… non sia mai che venga un
infarto a qualcuna di loro, casomai se la vedessero comparire davanti
ai loro nasi.»
Dev
e Iris si dichiararono d’accordo. Con Litha, tutto poteva
succedere.
***
Allacciandosi
alla cintola un comodo marsupio contenente qualche barretta energetica,
la
borraccia termica e il telefono, Donovan scrutò determinato
la propria famiglia
e disse: «State tranquilli. Vedrete che non
succederà nulla. E’ solo una
ricerca su vasta scala di due ragazzi che si sono persi, non una
battuta di
caccia o quant’altro. Darò una mano, visto che
sono un escursionista esperto, e
mi limiterò a battere i sentieri. Inoltre, ogni gruppo di
volontari conterà
almeno un poliziotto al proprio interno. Non sarò da
solo.»
Diana
assentì piena di sicurezza e orgoglio e,
nell’allacciargli la giacca
idrorepellente, mormorò: «So benissimo che sei
bravo, ma fa comunque attenzione.
Non sappiamo in che guaio si sono cacciati quei poveri ragazzi e non
vorrei che
tu passassi la domenica con una caviglia rotta, dopo un sabato
pomeriggio
passato a bazzicare nei boschi.»
«Non
succederà, promesso. Tornerò a casa tutto intero,
anche se brancolare per i
boschi senza sapere cos’è successo, sicuramente
non aiuterà le ricerche»
dichiarò Donovan, dandole un bacetto sulla fronte.
Io
invece lo so!,
pensò tra sé
Mark, combattuto tra il mantenere la parola data e il mettere in
guardia suo
padre dai potenziali pericoli a cui stava andando incontro.
Quando
suo padre era rientrato a casa con la chiara intenzione di partecipare
alle
ricerche di Fergus e Chanel, Mark si era sentito cadere il terreno
sotto i
piedi.
Non
aveva minimamente messo in conto che il padre avrebbe potuto offrirsi
volontario e, quando lui li aveva messi al corrente, aveva sentito
sulle spalle
il peso enorme del silenzio e della colpa.
Aveva
tentato invano di farlo desistere, accampando scuse e paure che nulla
avevano a
che fare con la realtà e il padre, invece di cogliere i suoi
messaggi di
pericolo, lo aveva abbracciato, ringraziandolo per il suo affetto.
Ora,
di fronte alla porta di casa assieme alla madre, Mark tentò
di metterlo
nuovamente in guardia e, nello stringergli forte una mano, disse:
«Se puoi,
fatti mettere in gruppo con Rock, o con il signor Kendrick. Mi sentirei
più
tranquillo.»
Donovan
sorrise a mezzo, ammiccò all’indirizzo della
moglie e chiosò: «Il ragazzo
proprio non si fida di me, eh?»
Diana
sorrise di fronte allo sguardo compiaciuto e, al tempo stesso,
sbarazzino del
marito e, tra sé, ne fu lieta, pur sentendosi triste per i
motivi che avevano
fatto risorgere quella luce negli occhi di Donovan.
Non
aveva mai visto Don così in sintonia con il figlio e, anche
se si sentiva male
al pensiero di sapere quei ragazzi da soli, al buio, e sotto un
acquazzone
gelido, fu felice di vedere il marito come aveva sempre sperato di
poterlo
vedere.
Libero
dagli incubi, felice con suo figlio, di nuovo vivo.
Diana,
perciò celiò: «Noi poveri vecchi
dobbiamo sembrargli delle pappamolle, caro.»
«Non
mi prendete sul serio» sbottò Mark, fissandoli
malamente.
Donovan,
allora, gli poggiò una mano sulla spalla, gli sorrise
orgoglioso e disse più
seriamente: «Mi fa davvero piacere che tu ti preoccupi per
me, Mark. Ti giuro
che presterò la massima attenzione e che, al minimo sentore
di pericolo,
chiederò l’intervento della polizia. Va
bene?»
La
polizia potrà
fare ben poco,
pensò tra sé il giovane pur annuendo al padre.
Insistere ulteriormente non
sarebbe servito a nulla.
Il
suono del telefono interruppe qualsiasi altra elucubrazione mentale del
giovane
e, quando Mark scorse sul visore il nome di Liza, gracchiò:
«Liza? Ma cosa…»
«Ecco,
pensa alla tua fidanzata» ironizzò a quel punto
Donovan, strizzandogli l’occhio
mentre Mark diventava paonazzo nel sottolineare che non
erano affari suoi, come passava il tempo con Liza.
Allontanandosi
dai genitori ridacchianti, Mark accettò quindi la chiamata e
mormorò ansioso:
«Ciao! Si hanno novità?»
«Sì
e no. Non sappiamo ancora dove siano Fergus e Chanel, ma abbiamo
ricevuto
rinforzi, e ora sappiamo per certo chi sia il nostro nemico.»
«Bene,
perché mio padre si sta unendo alla squadra di volontari, e
ho il terrore che
possa incontrare chi sappiamo noi»
replicò Mark, sentendo l’ansito pieno di sorpresa
di Liza raggiungerlo
attraverso il microfono del telefono.
«Merda!
Dirò a Rock di prenderlo nel suo gruppo, così lo
terremo al sicuro. Nel
frattempo, vorrei che tu e tua madre veniste qui per qualsiasi
evenienza. A
quanto pare, nessuna arma del mio arsenale va bene per quelle bestie, a
parte
le lame da taglio di grosso calibro e, a meno che tu con possieda una
copia di Anduril3 in
casa, ti converrà
trovare una scusa per venire qui.»
Mark
strabuzzò gli occhi, nel sentirla parlare
dell’enorme spada apparsa nell’ultimo
film della Trilogia Jacksoniana de Il Signore degli Anelli e, dubbioso,
chiese:
«Perché… tu possiedi… una
spada? Vera?»
«Eccome.
E, a quanto pare, è l’unica arma in grado di
uccidere uno dei due mostri che ci
troviamo ad affrontare.»
Pur
riuscendo a digerire in qualche modo quelle notizie, una domanda gli
balenò
alla bocca senza che potesse fermarla. «Perché
parli di uno dei due? Non sono lo
stesso nemico?»
Silenzio.
Un silenzio così assordante da mettere in allarme Mark ancor
più di quanto non
lo fosse stato fino a quel momento.
Cosa
gli nascondeva? Cosa significava quel silenzio?
Alla
fine, comunque, Liza parlò e, titubante, ammise:
«Diciamo che avremo bisogno di
qualcuno molto più forte di un licantropo, per
l’altro.»
«Arrivo
subito da te» dichiarò lapidario Mark, chiudendo
la comunicazione.
Ciò
detto, tornò alla porta per salutare il padre e disse:
«Vorrei andare da Liza,
adesso. Chelsey è terrorizzata per quello che potrebbe
essere successo ai
nostri amici, e lei non riesce a calmarla. Visto che i genitori di Liza
sono
andati via ieri… sì, insomma, è da
sola, e non se la sente di disturbare i
nonni di Chelsey.»
Donovan
gli sorrise divertito ma assentì. «Tu e Diana
andate pure da lei. Anzi, starò
più tranquillo se vi saprò in compagnia di
qualcuno.»
«Grazie.
E stai attento, per favore» disse in fretta Mark,
abbracciandolo con forza
prima di correre in direzione della propria stanza.
Diana
lo guardò andarsene con un sorriso sulle labbra e, nel
baciare il marito,
mormorò: «E’ bello vedervi nuovamente
uniti.»
«Fa
piacere anche a me» assentì l’uomo.
«Porta i miei saluti alle ragazze e cerca
di tranquillare la bambina. Dille che troveremo i loro amici il prima
possibile.»
Diana
assentì e, con un ultimo saluto, lo vide raggiungere
l’auto con cui si sarebbe
recato alla locale centrale della Reale Polizia a Cavallo di Clearwater.
Nel
volgersi a mezzo per chiamare Mark, lo vide sulla soglia del corridoio,
ombroso
in viso e con uno zainetto sulle spalle.
«Pensi
di uscire per una passeggiata? Scordatelo»
sottolineò Diana, indicando il suo
zaino.
«Ci
sono dentro alcune cose per Liza, tutto qui» mentì
Mark, preferendo non
accennare al fatto che, dentro lo zaino, aveva messo un kit di primo
soccorso e
i suoi coltelli da campeggio. Era l’unico arsenale a cui
potesse avvicinarsi
senza incorrere in scomode domande, visto che non poteva raggiungere la
cucina
per recuperare la mannaia.
«Ah,
va bene. Allora, possiamo andare» annuì a quel
punto la donna, afferrando
borsetta, cappotto e chiavi dell’auto.
Non
visto – ma sempre presente – Huginn
registrò i loro movimenti e li trasmise a
Muninn perché avvertisse Liza dopodiché,
involandosi alla loro partenza, li
tenne d’occhio in ogni istante.
Aveva
promesso alla sua mamma la massima attenzione e, se fosse servito, si
sarebbe
anche battuto per proteggerli. Avrebbe reso Liza fiera di lui.
***
Quando
Liza vide arrivare Diana e Mark, Dev, Iris e Lucas si erano
già inoltrati nel
bosco per attendere le istruzioni di Litha.
Sarebbe
parsa assurda la loro presenza, visto che ufficialmente Dev e Iris
erano ancora
in Irlanda, e Liza aveva dichiarato di essere sola con Chelsey.
Quest’ultima,
al suo fianco, si premurò di apparire spaventata e con gli
occhi lucidi e
pronti per il pianto – qualità discutibile che
Liza scoprì proprio quel giorno.
Quando
perciò vide scendere Diana dall’auto, la ragazzina
si catapultò fuori per
abbracciarla con calore e dimostrare tutta la sua ansia alla donna.
«Grazie
per essere venuta!» esclamò Chelsey, stringendosi
alla donna come se ne andasse
della propria vita.
«Oh,
tesoro, calmati. Vedrai che andrà tutto bene» le
sorrise Diana, carezzandole i
lunghi capelli rilasciati sulle spalle.
Lei
assentì fiduciosa e, assieme alla donna, risalirono le scale
fino a raggiungere
l’entrata. Lì, Liza salutò con un certo
imbarazzo Diana che, però, si comportò
egregiamente e non fece battute di nessun genere in merito alla novella
storia
sentimentale tra lei e Mark.
Mark
che, una volta raggiuntala, la strinse a sé e
mormorò contro il suo orecchio:
«Ma Chelsey è davvero spaventata?»
«E’
un’attrice diabolica. Ho appena scoperto che piange a
comando» sussurrò Liza,
sorprendendolo non poco. «Comunque, emergenza a parte,
è sempre bello vedervi.
Vorrei fosse chiaro.»
Mark
si scostò da lei per sorriderle e, nell’annuire,
entrò in casa con Liza dopo
che ella ebbe saggiamente chiuso a chiave la porta blindata.
Mentre
Chelsey stordiva di chiacchiere ansiose una inconsapevole Diana, Liza
attirò in
cucina Mark per parlare più agevolmente –
nonostante il pianterreno fosse un
ambiente unico – e, in un sussurro, aggiunse: «Dev
e Iris sono tornati assieme
al nostro aiuto insperato… non chiedermi come,
però. Prendi la cosa per buona.
Al momento, stanno scandagliando la foresta in lungo e in largo, e a
noi è
stato assegnato il compito di stare accucciati e coperti. Le mie
pallottole ad
argento non hanno grossi effetti contro l’unico dei due
mostri a cui possiamo
approcciarci, a parte rallentarlo un po’. Se fosse un
licantropo, sarebbe stato
tutto più facile.»
«Quindi,
ora siete certi che non sia un mannaro» chiosò
Mark, turbato.
«Sì,
e da quel che abbiamo scoperto, è un nemico assai potente e
pericoloso» assentì
Liza, indicandogli poi con un cenno del capo il bancone della cucina.
Mark
avanzò per curiosare e, poco dietro l’isola in
legno, Mark vide la fantomatica
spada a cui Liza aveva accennato nella loro telefonata. Quando,
però, si avvide
della sua forma, scoppiò in una risatina spontanea e
celiò: «Oddio! Sei una fan
di Kirito?»
Lei
allargò un sorriso tutto fossette che fece arrossire Mark e,
annuendo,
dichiarò: «C’era un motivo, se mi
piacevi così tanto.»
Lui
si massaggiò nervosamente la nuca – non era ancora
abituato a sentir parlare
Liza a quel modo – e, reclinando il viso,
borbottò: «Spero non sia solo per la
mia conoscenza dei videogiochi e dei fumetti.»
«No.
C’è anche questo tuo rossore spontaneo…
tu lo odierai, forse, ma io lo adoro»
mormorò Liza, avvicinandosi a lui per dargli un veloce bacio
sulle labbra prima
di fuggire in salotto con un sorrisino imbarazzato.
Mark
considerò l’idea di correrle dietro per fargliela
pagare ma, preferendo lasciar
perdere, si godette la sensazione del sapore delle labbra di Liza sulle
proprie
e, più lentamente, raggiunse le tre donne nei pressi dei
divani.
Lì,
si accomodò su una poltrona e cominciò ad
ascoltare il soliloquio di Chelsey e,
al tempo stesso, si chiese a che punto fossero le ricerche. Trovarsi in
quell’ambiente relativamente sicuro, sapendo che i suoi amici
invece non lo
erano affatto, lo faceva sentire tremendamente in colpa.
Allo
stesso tempo, però, comprendeva più che bene che
nulla avrebbe potuto per
cambiare quello stato di cose, anche se fosse stato nel bosco a
cercarli. Attendere
che persone più capaci di lui trovassero una soluzione a
quel dannato problema,
era l’unica cosa giusta da fare.
1:
Labbacallee: Sito megalitico che si trova realmente in Irlanda, e
proprio nei
pressi di Cork.
2:
si tratta di Kazuto Kirigaya, personaggio principale
dell’Anime Sword Art Online,
che sfoggia per
l’appunto Elucidator tra
le sue armi
preferite, assieme a Dark Repulser.
(Non parlo del videogioco visto che non lo conosco né ci ho
mai giocato)
3: parlo della “Lama che fu Spezzata”, la spada che Aragorn sfoggia nella battaglia finale contro Mordor né “Il Ritorno del Re”, nel film di Peter Jackson.
N.d.A.:
capitolo un po' lungo, ma era quasi impossibile fermarsi,
perciò ho pensato di lasciare al prossimo capitolo il
confronto con akhlut. Per
il momento, assistiamo al ritorno rocambolesco dei nostri amici e
all'avvicinarsi sempre più pressante dei nostri nemici. Non
è più il momento di temporeggiare. La battaglia
incombe!