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Autore: LadyHeather83    11/12/2020    2 recensioni
Marinette si trova in coma, dopo una brutta caduta durante l'allestimento della recita di fine anno.
Durante il suo risveglio, avrà una brutta sorpresa: non riesce a trovare Tikki, le foto di Adrien appese in camera sua, non ci sono, ed in più la madre le dà una notizia sconvolgente, dovrà servire al catering di fidanzamento di Adrien Agreste e Kagami Tsurugi.
Riuscirà a portare tutto alla normalità?
Genere: Azione, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Kagami Tsurugi, Luka Couffaine, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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REALTA’ PARALLELA

*

Capitolo 6 – Cuore

*

Gabriel Agreste, si fece largo tra la folla “Permesso, scusate, spostatevi” continuava a ripetere e scansare le persone che gli ostruivano la visuale.

Non aveva capito molto bene cosa fosse successo, aveva sentito delle urla e sua moglie accasciata al suolo, inerme.

Per quanto la stesse strattonando, invocando il suo nome, questa, non si svegliava.

Il suo respiro era molto debole.

“Spostatevi, lasciatela respirare” Ripeteva ai curiosi che li avevano accerchiati “…chiamate un’ambulanza” Disse infine.

Tutti erano increduli a ciò che stava accadendo, non poteva essere che una festa si potesse tramutare in una tragedia.

Molti dei presenti, soprattutto gli amici più stretti e i famigliari, erano a conoscenza dei problemi di salute della donna, ma solo il marito e il figlio Adrien, sapevano che ultimamente si era aggravata e che non le restava ancora molto tempo da vivere.

L’unico modo per salvarla, era un trapianto di cuore, ma i donatori non si comprano dietro l’angolo, e la ricerca per trovarne uno di compatibile con il suo gruppo sanguigno raro, si faceva sempre più estenuante.

Era da un po' in lista d’attesa con priorità assoluta.

“Che succede?” Chiese Adrien raggiungendo i suoi genitori al centro del salone, sbiancò vedendo il corpo della madre esanime e suo padre che tratteneva a stento le lacrime, non ottenne risposta.

“Andate via tutti…subito!” Cacciò via i suoi ospiti, senza dare troppe spiegazioni, e loro capendo la situazione, non se lo fecero ripetere due volte, anche perché l’ambulanza era già arrivata alla villa, e dopo aver prestato le prime cure alla donna, i sanitari caricarono sulla barella la donna, e partirono a sirene spiegate verso l’ospedale più vicino, seguiti dalla berlina degli Agreste.

*

Passarono ore interminabili nella sala d’attesa di quel pronto soccorso, ormai deserto.

Era mezzanotte passata e le porte automatiche si erano chiuse, si sarebbero aperte, solo per le emergenze, o al massimo per l’indomani alle sei.

Gabriel si accomodò in una poltroncina di legno chiaro, scomoda, forse le avevano fatte apposta così, perché la gente ci passasse il minor tempo possibile o fosse restia a recarsi lì per delle cose frivole e di poco conto.

Si tolse gli occhiali che appoggiò sulle ginocchia, mentre si massaggiava gli occhi stanchi.

Adrien si accomodò vicino a lui, stanco, provato e quasi in lacrime.

Non era pronto a perdere la madre, non così giovane, chi si sarebbe preso cura di lui? Chi lo avrebbe confortato, se ne avesse avuto bisogno?

Il suo cellulare vibrò, un messaggio di Kagami che gli chiedeva se aveva novità.

Da quando era partito dietro l’ambulanza, si era completamente dimenticato di lei, di avvisarla se ci fossero state notizie.

Siamo ancora in pronto soccorso” Si limitò a scrivere

Se hai bisogno chiama, o se hai novità, ti amo” Gli rispose al messaggio, ma lui dopo averlo letto, spense il telefono, non voleva più sentire nessuno, solo il medico che sarebbe uscito dalla sala emergenze.

“Era Kagami?” Gli chiese suo padre, rivolgendogli finalmente la parola.

Per tutto il tempo, da quando erano arrivati, se ne era stato sempre alzato a contemplare le porte dell’ingresso della sala rianimazione, attendendo l’arrivo di qualche medico.

“Si” Rispose portandosi le mani dentro il casco biondo, puntellando con i gomiti, le ginocchia.

“Chiamo la guardia del corpo che ti porti a casa, è stata una giornata stancante” Gabriel prese il cellulare e fece per comporre il numero, quando venne fermato dalla mano di Adrien “Voglio restare qui, accanto la mamma. Non riuscirei a dormire non conoscendo le sue condizioni”.

Lo stilista, anche se contrariato, ripose il telefono dentro la giacca, era pieno di notifiche, alle quali non aveva ancora risposto.

Tutti gli chiedevano se aveva notizie circa le condizioni della moglie, soprattutto i giornalisti, che appena appreso lo scoop, si erano anche appostati al di fuori dell’ospedale.

Sciacalli, pensò Gabriel, non veniva lasciato in pace nemmeno in quei momenti lì.

Con enorme sorpresa, le porte che portavano alla sala emergenza, si aprirono, facendo uscire il primario.

La sua espressione non preannunciava nulla di buono.

Gabriel ed Adrien gli andarono incontro.

Un silenzio quasi spettrale aleggiava in quella stanza, che venne spezzato dallo stri dolio delle loro scarpe eleganti, che strusciavano contro il linoleum azzurro.

“Come sta, dottore?” Deglutì il marito seriamente preoccupato.

Lo specialista incurvò le labbra e sospirò “Conoscete le condizioni di Emilie, per il momento l’abbiamo stabilizzata, ma è ancora molto grave. Ha bisogno con urgenza di un cuore nuovo”.

“E allora dateglielo, per la miseria” Imprecò urlando, facendoli sobbalzare entrambi.

“Papà” Lo richiamò Adrien, facendogli notare che forse aveva un tantino esagerato.

“Mi scusi” Si ricompose togliendosi gli occhiali e massaggiandosi il seno paranasale.

“Sua moglie è in lista d’attesa, ma sapete anche voi che ha un gruppo sanguigno raro e trovare un donatore…”.

“Posso darglielo io” Lo interruppe Adrien “…io ho lo stesso sangue di mia madre, non sarà un problema per voi fare l’operazione”.

“Non facciamo queste cose, in questa clinica” Lo rimbeccò il medico.

“Non dire assurdità, figliolo” Gabriel gli diede man forte al dottore.

“E quindi, cosa facciamo? Dovremo guardarla mentre muore? Io non ci sto, mi dispiace” Adrien lasciò quella stanza, con una malsana idea.

“Lo scusi, è molto stanco, e le precarie condizioni della madre, non aiutano”.

“Non si preoccupi signor Agreste, non è facile accettare queste cose. Abbiamo un ottimo team di psicologi in questa struttura, senza impegno possiamo farvi parlare con loro, per cercare di superare la cosa”.

“Grazie, ma prima vorrei parlarne con mio figlio, se non le dispiace”.

“Si figuri, mi sono sentito in dovere di aiutarvi, per quanto mi sia possibile”.

Gabriel gli sorrise forzato “Possiamo vederla?” Chiese.

“Ma certo, mi segua” Gli indicò la strada.

“Un attimo che vado a chiamare Adrien”.

Lo stilista lasciò la stanza, credendo di trovare suo figlio a piagnucolare nel corridoio, si sorprese del contrario.

Adrien era sparito e sul volto dello stilista, si materializzò un’espressione sconvolta, suo figlio aveva detto una frase prima, a cui aveva dato poca importanza, ma che ora assumeva un altro contorno.

*

Aveva percorso corridoi vuoti e bui, annusando nell’aria l’odore di medicinali.

Storse il naso per quanto gli davano il voltastomaco, in quanto nell’ultimo periodo si recava spesso in quella struttura per fare visita alla madre ricoverata.

Le scale d’emergenza, erano deserte, ed avrebbe agito indisturbato, senza dare nell’occhio, usò la pila del suo smartphone per fare luce e non rischiare di cadere o sbattere contro qualcosa.

Arrivò in cima le scale, all’ultimo piano senza fatica, pensò che gli allenamenti di scherma di quegli anni, fossero serviti a qualcosa.

Tirò la maniglia nera di quella porta arrugginita alle estremità, e ne fu sorpreso di trovarla accessibile, probabilmente qualche inserviente l’aveva erroneamente lasciata priva di sicurezza.

Avanzò con passo lento verso il cornicione che non aveva nessun tipo di barriera.

Il luogo perfetto per mettere in atto il suo piano, voleva salvare la madre, e per farlo, avrebbe dovuto perdere lui stesso la vita.

Deglutì, e prendendo coraggio, scalò quell’ostacolo, restando in piedi ad osservare per l’ultima volta il suo orizzonte.

La Tour Eiffel era bellissima, il suo contorno delineato da una miriade di luci, spiccava in quella notte stellata, ed una bellissima luna piena si era posizionata perfettamente sulla sua cima.

In lontananza il rombo del motore della auto, sovrastava quello di un aereo che gli stava passando sopra la sua testa.

“Che vuoi fare?” Gli chiese una voce femminile conosciuta, alle sue spalle, costringendolo a voltarsi.

Marinette?” Chiese inarcando un sopracciglio sorpreso.

“Non ho sentito la tua risposa”

“Tu che ci fai qui?” Domandò mentre anche lei si apprestava a salire su quel cornicione accanto a lui.

“Salti tu, salto io” Fece spallucce.

“No, non ti permetterò di seguirmi. Io devo salvare mia madre, e tu che scusa hai?”

“Salvo te”.

 

“Vattene!” Le disse riluttante.

“Non funziona così”. Gli disse sorridendo “Troppo facile”.

“Lasciami stare” Adrien si sporse un po' di più, poteva vedere la fine di quel baratro, un prato dal terreno puntellato da luci a led, dietro l’edificio, dove i degenti, quelli che riuscivano, potevano tranquillamente passeggiare.

Notò un po' più distante un pioppo con una panchina che apparve ai suoi occhi, scura, la stessa panchina dove di solito lui e sua madre rimanevano ore a parlare.

“Non dovresti farlo” Le disse Marinette.

“E’ l’unico modo che ho per salvarla”. Spiegò stringendo i pugni lungo i fianchi.

“Non spetta a te questa cosa, lascia fare ai medici”.

Adrien si voltò verso di lei con sguardo terrificante e gonfiò la voce “Non possono fare più niente per lei, sono degli incapaci”.

Marinette gli mise una mano sulla spalla, e si accorse che grosse lacrime gli stavano rigando il volto.

“Non è colpa tua, se non riescono a salvarla, e non sta a te farlo”.

“Non posso lasciare che muoia”.

“Non puoi morire tu, per lei.”

“Si che posso” Insistette avanzando di un altro passo.

“Ok, mettiamo caso che tu riesca nel tuo intento. Secondo te, come si potrebbe sentire tua madre sapendo che è viva grazie ad un gesto così sconsiderato”.

Adrien rinsavì per un breve attimo, aveva ragione, Marinette.

Emilie sarebbe vissuta sapendo che suo figlio, è morto per dare la vita a colei che gliel’ha donata.

“Cosa dovrei fare?” La guardò dritta negli occhi.

Marinette scese dal cornicione e gli tese la mano “Per prima cosa, venire qua” Adrien toccò con le dita affusolate il palmo della sua mano e obbedì a quella richiesta.

“Seconda cosa: stai vicino a tua madre”.

“Grazie, Marinette” Le sorrise, poi sentì dei rumori provenire in direzione della porta da cui era entrato, si voltò per vedere cosa stesse succedendo.

*

Adrien era appena sceso dal cornicione, quando suo padre ansimante, seguito dal dottore, spalancarono la porta di ferro, ritrovandosi in quel terrazzo, composto principalmente da condotti d’aerazione, ed antenne televisive.

“Grazie al cielo, ti abbiamo cercato dappertutto” Disse tenendosi il petto.

“Ero uscito per prendere una boccata d’aria” Rispose spicciolo facendo spallucce guardandosi attorno.

Marinette era sparita.

Lo stilista si avvicinò con fare amorevole al figlio e gli mise le mani sulle sue spalle “Ho temuto il peggio, mi hanno fatto paura le tue parole di prima”.

Adrien gli sorrise, avrebbe voluto tanto dirgli che aveva ragione, che aveva pensato a buttarsi di sotto per salvare una persona che amava, un gesto che probabilmente sua madre non gli avrebbe mai perdonato, come gli aveva appena detto Marinette, oppure era stata la sua coscienza a parlare?

“Non vado da nessuna parte, papà…e poi chi baderebbe a te?” Gli domandò scherzando.

“Forza, rientriamo, andiamo da tua madre”.

Adrien si guardò ancora attorno, in cerca nell’oscurità della figura di Marinette, che non trovò.

*

continua

  
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