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Autore: Mahlerlucia    13/12/2020    3 recensioni
Ci sono ferite che non guariscono, quelle ferite che ad ogni pretesto ricominciano a sanguinare.
(Oriana Fallaci)
[Bokuto x Akaashi || BokuAka]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Keiji Akaashi, Koutaro Bokuto, Tenma Udai
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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Anime/Manga: Haikyuu!!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale
Rating: giallo
Avvertimenti: Missing moment, Spoiler!, Tematiche delicate
Personaggi: Bokuto Koutarou, Akaashi Keiji
Pairing: #BokuAka
Tipo di coppia: Shonen-ai

 
 
 
 Verde
 
 
 
Novembre

 
Il telefono aveva squillato a vuoto almeno per una decina di volte prima che Keiji si decidesse a dargli tregua. Gli ingombranti vissuti emotivi tornati a galla nel corso della seduta con la dottoressa Masaki gli avevano fatto accantonare provvisoriamente quelle che erano le più elementari questioni logistiche legate alla vita di sua madre, come ad esempio, l’orario in cui si sarebbe finalmente liberata dalle proprie incombenze lavorative. Supportare gli insegnanti da un punto di vista formativo non era mai stato compito semplice nemmeno per una donna precisa e puntuale com’era sempre stata e spesso i meeting e le nuove iniziative educative che insorgevano o che – nella maggior parte dei casi – lei stessa proponeva, la costringevano a tornare a casa non prima dell’orario di cena.
Il giovane editore non aveva il benché minimo dubbio sul fatto che sarebbe stato richiamato quanto prima, visto il forte interesse che la sua genitrice aveva mostrato per l’esito dellìincontro odierno con la psicoterapeuta. Decise d’ingannare l’attesa preparandosi un bagno caldo, per poi trovarsi a soffiar via la schiuma creatasi come non gli capitava più di fare da quando aveva circa nove o dieci anni. Cercò di non pensare a nulla che potesse ingarbugliare i suoi pensieri più di quanto non lo fossero già abitualmente, ma gli attori che calcavano – o che aveva calcato in passato – il palcoscenico della sua vita non si decidevano a dargli respiro nemmeno in quel frangente.
Devo chiamare Kōtarō... il prima possibile. E domani penserò anche a Udai-san, considerando tutto il tempo che gli sto facendo perdere a causa delle mie paturnie.

Ayame non gli lasciò il tempo di asciugarsi adeguatamente quei capelli divenuti oramai troppo lunghi per non pensare a una prossima visita al suo parrucchiere di fiducia. Keiji sistemò rapidamente l’asciugamano che teneva tra le mani a mo’ di turbante e si affrettò a recuperare il suo smartphone lasciato appositamente nei pressi della presa elettrica posta affianco al divano affinché si ricaricasse. Per scrupolo diede un’occhiata al nome comparso sul display, ma non poteva sbagliarsi. Un sommesso sospiro lo aiutò infine a trovare le forze necessarie per sostenere quella nuova raffica di domande che sarebbe stata avviata non appena si fosse preso la briga di far scorrere il dito sull’icona a forma di cornetta verde.

“Ciao mamma.”

“Keiji, tesoro. Scusami se non sono riuscita a risponderti poco fa, ma il consiglio d’istituto è durato un po’ più del previsto a causa dell’arrivo del nuovo dirigente scolastico. Avrei dovuto avvertirti almeno con un messaggio, ma tra una faccenda da sbrigare e l’altra, mi sono davvero dimenticata. Perdonami!”

Akaashi sapeva che dietro a ciascuna di quelle scuse che proferiva sua madre negli ultimi tempi vi era il sincero desiderio di essere assolta da tutti gli errori commessi nel passato, specie quelli dovuti ad una condivisione fittizia di idee con un marito che non le aveva mai lasciato spazi aperti e utili alla sua stessa espressione di pensiero. Era finita per diventare doppiamente vittima di sé stessa, trascinando con sé quell’unico figlio che gli dèi le avevano concesso e che le chiedeva solamente di essere compreso. Chiedere supporto vero e proprio gli era da sempre sembrato fin troppo, dato che non si trattava di uno degli alunni o dei docenti che seguiva abitualmente per professione.

“Non ti preoccupare. Spero che questo nuovo dirigente accolga con un po’ più di entusiasmo i tuoi progetti.”

Ayame non riuscì a proferire parola per un breve lasso di tempo che all’altro capo del telefono apparve quasi infinito. Com’era possibile che dopo tutta l’indifferenza che aveva riversato nei suoi confronti, Keiji avesse ancora voglia di supportare le sue sciocchezze lavorative? Con quale forza di volontà riusciva a esplicitare quell’amore profondo che aveva sempre provato per lei, nonostante tutto, nonostante il suo pessimo esempio di madre?
Una lacrima silenziosa le rotolò dispettosamente lungo la guancia arrossata, per quanto avesse cercato altrettanto di soppiatto di non farsene sopraffare. Fortunatamente non erano in video-call per cui poteva ancora concedersi il lusso di maledirsi senza evitare ci corrucciare la fronte mentre digrignava i denti.

“Grazie tesoro, lo spero tanto anch’io. Ad ogni modo... co-come è andata con la dottoressa Masaki?”

Sapeva di essersi tradita, di aver lasciato trapelare quella voce rotta da un singhiozzo capace di sorprendere quel ragazzo che a sua volta non sapeva ancora come muoversi all’interno di quell’intricato sistema di relazioni in cui era capitato da quando era venuto al mondo. In fin dei conti, Akaashi stava cercando di rimediare proprio con la persona con cui aveva instaurato il suo primo attaccamento vitale, con colei che aveva provveduto alla sua sopravvivenza e sussistenza per diversi anni, fino al momento in cui non decise tacitamente che fosse giunto per lui il momento di cominciare a camminare per il mondo con la forza delle sue sole gambe.
L’essere così simili l’una all’altro non aveva fatto altro che innalzare quella barriera d’incomunicabilità che si era creata tra loro nel corso della sua prima adolescenza, sino ad arrivare all’inesorabile scoperta del suo amore sconfinato per una persona del suo stesso sesso.

“Abbastanza bene. È stata una seduta piuttosto produttiva.”

Keiji sapeva di non aver mai perso il vezzo di esprimersi in termini di utilità e profitto personale anche nei momenti in cui si ritrovava a toccare parametri puramente emotivi, come in quel caso. Tentò di esplicitare con maggior logica e rigore quell’affermazione che poteva far intendere tutto e niente. Per quanto cercasse di mantenere la dovuta lucidità in un frangente di palese rottura interiore, le lacrime di sua madre stavano inesorabilmente iniziando a straziargli l’anima. Non che nel suo stato di profonda vulnerabilità ci volesse poi molto, ben inteso.

“Sai... ha detto una cosa che mi ha colpito molto.”


Posso chiederti di cosa si tratta o c’è di mezzo il famoso segreto professionale?”

L’editore sorrise, pensando a quante cose avessero in comune sua madre e Bokuto, le due persone per lui più importanti al mondo. Non faticava a immaginare l’ace intento a porgergli la stessa domanda con toni simili, con il rischio di doversi poi fermare a spiegargli per filo e per segno cosa fosse “il segreto professionale” per chi esercita un lavoro in ambito medico o giuridico.
Senza contare quanto fosse palese che in quel contesto quel termine fosse stato utilizzato con l’accezione di mero scudo protettivo dall’invadenza di un’ansia che avrebbe potuto impedirle di chiedergli se provasse ancora un minimo di fiducia nei suoi riguardi.

“Non ci dovrebbe mai essere alcun segreto professionale tra una madre e suo figlio, non credi?”

“Hai ragione, Keiji.”

Avrebbe voluto fargli sapere quanto si sentiva piccola e impotente di fronte all’immensità dei sentimenti che trapelavano dalle sue parole. Avrebbe voluto lasciar intendere a quell’unico figlio che continuava ad amare più di quanto non avesse mai fatto con sé stessa che non avrebbe mai potuto reggere il confronto con la maturità che stava mostrando nei suoi riguardi, andando oltre a tutte le ferite e gli strascichi di un passato talmente recente da fare ancora terribilmente male.
Lo lasciò libero di formulare le sue informazioni personali, di decidere cosa rivelare e cosa mantenere celato nelle infinite segrete del suo giovane cuore, di quale filtro usufruire per non lasciarsi sfuggire quei particolari che sarebbero stati per sempre unicamente suoi. Perché Ayame sapeva bene che il suo bambino – divenuto ormai uomo – ne aveva sempre avuti a bizzeffe, allo scopo di rifugiarvisi in caso di estremo soffocamento emotivo.

“La dottoressa mi ha chiesto di pensare a un’attività che mi rendeva felice da piccolo. Ho pensato al disegno, ma le ho specificato che non sono mai stato particolarmente portato.”

Ayame ricordava perfettamente in quale cantuccio di quell’enorme appartamento – nel quale viveva praticamente in solitudine – avesse conservato tutte le piccole opere d’arte che Keiji aveva realizzato, specie nel periodo compreso tra la scuola dell’infanzia e i primi anni della scuola primaria. Erano tentativi di un certo livello per quanto potessero essere usciti dalla mano di un bambino tanto piccolo e inesperto. Di tanto in tanto si concedeva il lusso di mostrarne qualcuno agli alunni con disabilità di cui si occupava a scuola, senza mai specificare più del dovuto quanto quelle linee e quei colori impressi su carta rappresentassero ben più di quello che chiunque altro avrebbe potuto vederci.
Il suo bambino aveva un discreto talento, specie per quanto riguardava la rappresentazione di animali e personaggi di fantasia. E non era di certo un mistero per lei immaginarlo ancora attivo con una matita alla mano ogniqualvolta riceveva le bozze del suo collega mangaka.

“Non puoi saperlo, visto che non hai mai approfondito la cosa. Ma potrei anche sbagliarmi su questo,visto che attualmente ti stai occupando di seguire una persona che si occupa di storie illustrate.”

“Sì, Udai-san. Lui sì che è un vero portento in tal senso.”

“E tu... tu cosa vorresti realizzare oltre a questo?”

Keiji strabuzzò gli occhi, sinceramente colpito da quella domanda che se solo fosse arrivata con qualche anno di anticipo sarebbe stata in grado di alleggerire determinate dinamiche familiari che, al contrario, finirono per dirigersi verso sentieri avversi per tutte le parti in causa; compreso il perennemente assente “Mister-Akaashi”.
Prese fiato per non crollare di fronte alla reazione approssimativa di una madre che con ogni probabilità puntava a qualcosa di più concreto per suo figlio, soprattutto dal punto di vista lavorativo. La costanza e l’impegno mostrati da sempre nello studio e nei propri interessi personali non le avevano mai mentito a tal proposito.

“Vorrei scrivere un libro.”

“Solo uno?”

Eh no, calma! Prima decidi di prendere il posto della psicoterapeuta con le tue domande a trabocchetto e adesso arrivi persino a controbattere a un mio remoto desiderio usando le stesse parole di Kōtarō?! Si può sapere che ti è successo, mamma?

“Partiamo da una base. In futuro... beh, mai dire mai!”

“Mi piace questo tuo spirito legato al concetto di futuro. Il percorso terapeutico sta sorbendo i suoi effetti positivi e non sai quanto mi renda felice ed orgogliosa tutto ciò.”

Orgogliosa.
Un aggettivo che non era mai stato usato nei suoi riguardi nemmeno a seguito delle numerose volte in cui si ritrovava a tornare da scuola con voti più che buoni, per non dire praticamente eccellenti. Gli insegnanti avevano da sempre manifestato sostegno per il talento e l’intelligenza di un ragazzino che però, spesso e non troppo volentieri, si mostrava esageratamente taciturno e chiuso in un mondo interiore fatto di fantasia e passioni prive di alcuna condivisione. Per quanto alludessero a qualche consiglio per aiutarlo ad uscire da quel piccolo guscio immaginario dentro il quale tendeva a isolarsi, non erano mai riusciti a smuovere reali intenzioni di supporto per quel piccolino che, in fin dei conti, non aveva mai creato problemi a nessuno, se non a sé stesso.

“Se mi dai il tempo di fare un paio di commissioni vengo a cena a casa tua. Mi hai detto che il ritiro della squadra di Bokuto durerà ancora qualche giorno. Tuo padre, come al solito, è all’estero per lavoro...”

Si tacque volontariamente.
Citare indirettamente l’uomo che aveva causato loro così tanto dolore aveva inevitabilmente riaperto uno squarcio che tendeva ad aumentare le proprie dimensioni a mano a mano che passavano i mesi e gli anni.
Citare Bokuto, di contro, aveva riscaldato il cuore di entrambi, nonostante la nostalgia impedisse a Keiji di pensare alla stella dei Black Jackals in maniera del tutto serena. Difatti, c’erano delle questioni da dover regolare anche con il compagno, seppur non erano da considerarsi particolarmente gravose, specie se paragonate con tutto ciò che aveva lasciato in sospeso con l’intero “clan Akaashi”.
Oltretutto, realizzare che sua madre fosse attenta ai rari momenti in cui citava il suo compagno durante le loro conversazioni aveva senza alcun dubbio riacceso le speranze di poter rendere quel rapporto madre-figlio ancor più saldo di quanto già non lo stessero spontaneamente rendendo.
Aveva ben chiaro che sua madre era finalmente stata in grado di andare ben oltre la fase di “accettazione” per quanto concerneva Kōtarō e la relazione che quest’ultimo aveva intrapreso anni prima con suo figlio. Per quanto il contesto in cui vivevano fosse ancora piuttosto restio a fronte di relazioni di questo tipo, Ayame aveva deciso di agire seguendo solamente il suo istinto materno, arrivando persino a rinfacciare più volte a suo marito quanto fosse stato ingiusto ad allontanarsi a quel modo, trascinandola in quel baratro senza fine.

Keiji non fremeva all’idea di passare la serata assieme a sua madre, per quanto quest’amara sensazione lo facesse sentire piuttosto in debito dinnanzi alla sua semplice richiesta di compagnia e confronto. Ne aveva parlato con la terapeuta, la quale lo aveva confortato cercando di fargli comprendere che le sue reazioni nei riguardi della sua famiglia non erano “anomale” come lui stesso le aveva più volte definite in fase di seduta, tutt’altro. A seguito di quelli che erano stati i suoi trascorsi fatti di pregiudizi e solitudine malcelata, stava solo cercando di difendere le sue scelte a fronte del timore della perdita di quello che era riuscito a costruire sino a quel momento con le sue sole forze, a partire dal suo lavoro, sino ad arrivare alla sua relazione con Bokuto.
Non avrebbe mai avuto la faccia tosta di rifiutare la sua offerta, per quanto avesse tutte le ragioni per poterlo fare. Una volta spazzata via la polvere di superficie, serviva pulire a fondo le ultime macchie d’incomprensione che s’insinuavano tra i loro sentimenti, tra quella miriade di remore che ancora non permettevano loro di potersi abbracciare come una qualunque madre avrebbe tranquillamente fatto con il proprio figlio, qualunque percorso avesse mai deciso d’intraprendere nella sua ancor acerba e sprovveduta esistenza.
E senza dover per forza incorrere in questi flussi cognitivi che spesso lo portavano solamente a dolenti capogiri e lacrime che segnalavano quanto si sentisse nuovamente vittima di sé stesso, gli sarebbe stato sufficiente ricordare quanto fosse speciale la cucina di Ayame, ancor di più quando si dedicava alla preparazione meticolosa dei suoi “onigiri-tutti-i-gusti”, come aveva imparato a ribattezzarli quando Keiji non aveva più di tre o quattro anni e aveva già preso il piacevole vizio di gustarseli a tutte le ore del giorno.
 
 
“Se posso permettermi di darti un consiglio,  cogli sempre il lato positivo rispetto a tutto ciò che hanno da offrirti le persone che ti circondano, anche il dettaglio che di primo acchito può apparirti  come il più insignificante tra tutti.”

“Dovrei dare per scontato che ogni persona con cui ho avuto o con cui avrò a che fare possa mostrarmi il suo lato più gradevole... a prescindere?”

“Certo. Questo accade soprattutto con coloro che più di altri hanno segnato la nostra vita. Pensaci... se non fossero così importanti per noi non impiegheremmo gran parte del nostro tempo a rimuginare sulle loro parole e sui loro agiti, anche a discapito della nostra stessa volontà.”

“Immagino che la mia famiglia rientri appieno in questo discorso.”

“Keiji, i genitori sono il primo punto di riferimento per ognuno di noi. Sono in cima alla nostra personalissima lista anche quando siamo fermamente convinti del contrario. Anzi, è proprio così: quanto più ci impunteremo su questa posizione, tanto più finiremo per dimostrare l’esatto contrario. Si cerca solo un modo per rifuggire da ciò che fa più male ai nostri cuori, pur sapendo inconsciamente che quel male è direttamente proporzionale al bene che rivolgiamo proprio a quelle stesse persone. Forse il discorso è un po’ complesso ma-”

“No, non si preoccupi. È chiarissimo. Non poteva spiegarlo meglio e la ringrazio.”
 
 
Le parole di Umeko gli tornarono alla mente come un boomerang richiamato dalla situazione di partenza in cui era finito senza averlo mai programmato, come suo solito. D’altronde non aveva programmato nemmeno il suo amore fuori controllo per quello stravagante ragazzo dai capelli sale e pepe. Nonostante questo, non aveva potuto fare a meno di accoglierlo e coltivarlo, fino a scoprire che quel sentimento era felicemente ricambiato, e persino da tempi per nulla sospetti.

“Keiji, tesoro. Sei ancora in linea?”

“Eh!? Sì mamma, scusami. Va benissimo, ci vediamo dopo.”

Riattaccò così repentinamente da non poterle consentire una dovuta replica, o perlomeno un saluto ben più cospicuo. Del resto, non erano così necessari come Ayame avrebbe potuto ipotizzare, visto e considerato quanto fosse lieta del fatto che il suo Keiji le avesse concesso la possibilità di passare la serata assieme. Evento più unico che raro, dato le vicissitudini più o meno amare in cui erano rispettivamente incappati negli ultimi tempi.

Tornò a dedicarsi nuovamente ai propri capelli rimasti umidi, soffermandosi sulla sua immagine riflessa allo specchio come non capitava da tempo. Sorvolando su quelle fastidiose occhiaie che non si decidevano a riconsegnargli il candore dei suoi vent’anni, aveva realizzato la particolarità di un dettaglio che fino ad allora gli era parso talmente utopico da non prenderlo più in considerazione. Sprovvisto di occhiali, strizzò le palpebre per mettere a fuoco la parte inferiore del suo viso, in modo tale da essere sicuro di non essersi semplicemente lasciato bleffare da un eccesso di positività imprevisto.
No, non aveva più alcun dubbio al riguardo: stava sorridendo e persino in maniera del tutto sincera. Non un sorriso appariscente capace di mettere in mostra i suoi denti bianchi al pari della reclame di un dentifricio di ultima generazione; non un ghigno forzato che avrebbe avuto l’unico scopo di celare un pensiero “impuro” o l’ironica rassegnazione di fronte alla scoperta di una nuova briciola di quell’ignota realtà che lo circondava; bensì un flebile accenno di sollievo mostrato dal sollevamento di entrambi gli angoli della bocca, da un leggero arrossamento del viso e da una nuova luce negli occhi: il bagliore vivo della speranza.

 
***


Ayame arrivò con oltre un quarto d’ora d’anticipo, senza che nessuno si stupisse più del dovuto. Salutò affettuosamente Keiji come non capitava da quando ancora poteva concedersi il privilegio di aspettarlo al cancello della scuola elementare, osservandolo col cuore ricolmo di gioia mentre le correva incontro distinguendosi dal marasma di bambini festosi per l’ennesima giornata di fatiche giunta finalmente al suo termine.
Si addentrò nella modesta cucina dall’aspetto immacolato, segnale del suo sempre più scarso utilizzo. Sistemò tutto quello che era riuscita a recuperare al konbini situato nei pressi della scuola presso cui lavorava e aprì le porte al suo desiderio di cucinare finalmente per ben due persone.
Akaashi tentò di avvicinarsi in un paio di occasioni allo scopo di darle una mano, ma Ayame gli intimò di restare in salotto a rilassarsi: avrebbe provveduto lei stessa a ogni minuzia necessaria.
Ramen, miso e onigiri di ogni specie fecero la loro rapida traversata dal piano della cucina alla tavola, catturando rapidamente l’attenzione di Keiji che non per nulla avvertiva un discreto languore.

“Ma non ti dovevi disturbare in questo modo. Hai praticamente preparato la cena per l’intero vicinato!”

“Oh, ma sentilo! Quello che con ogni probabilità non consumerà un pasto decente da quando qualcuno è partito. Guarda che lo so bene cosa significa e non credo che sia sbagliato cogliere l’occasione per riempirci la pancia un po’ più del dovuto, non credi? Sei dimagrito a vista d’occhio, tesoro... e non ne avevi di certo bisogno.”

“Anche tu, mamma.”

“Anche io... cosa?”

“Ecco... forse non è carino che io faccia un’osservazione del genere, ma... hai perso parecchio peso.”

La donna non arrestò il suo andirivieni dalla cucina alla sala da pranzo, per quanto le parole appena venute a galla per bocca di quel suo unico figlio l’avessero toccata nel profondo. Non era di certo la prima persona che le faceva presente di aver notato un cambiamento tanto delicato da dover essere spiegato a parole, ma le colleghe non avevano di certo la stessa rilevanza affettiva di un suo stesso pezzo di cuore. Anche per questa ragione aveva preso la saggia decisione di dedicare la serata alla cura e all’attenzione di ciò che aveva lasciato da parte per troppo tempo, compresa sé stessa.

“Troppo lavoro fa male a tutti, Keiji.”

“Hai ragione. Siamo simili anche in questo.”

Sì, hai ragione mamma.
Ci somigliamo parecchio anche quando utilizziamo espedienti banali come lo stress lavorativo per celare quello che realmente ci rende così vulnerabili; quella parte delle nostre anime che abbiamo lasciato in mani sbagliate per troppo tempo, finendo sempre per crederci per davvero.
 
 

 
… Vieni qui
Ma portati gli occhi e il cuore
Io ti porto un gelato che non puoi mangiare
E piangiamo insieme che non piangi mai, mai
E non nasconderti con le battute, non mi allontanare
Invece dimmi cosa ti andrebbe di fare
E ridiamo insieme che ridiamo sempre, sempre, sempre
Ma non basta mai, mai...










 

Angolo dell’autrice


Ringrazio in anticipo tutti coloro che avranno voglia di leggere e recensire questa mia mini-long! :)

Capitolo 3: Verde.
Questo capitolo è dedicato alla riconciliazione tra il nostro Keiji e Ayame (è il nome che uso sempre per indicare la signora Akaashi). Nessuno dei due se la passa particolarmente bene, anche se alcuni nodi devono ancora venire al pettine, specie se c’è di mezzo il famoso terzo elemento mancante della famiglia (“Mister Akaashi”). Ho ripreso un estratto della conversazione tra Keiji e la terapeuta avvenuta nella stessa seduta di cui vi ho raccontato nel finale del precedente capitolo utilizzando un font diverso, a mo’ di flashback (come avevo fatto anche nel precedente capitolo, per l’appunto).
Nei prossimi capitoli torneremo su terreni un po’ più vicini all’universo di Haikyuu, dato che torneranno a trovarci Udai e – ovviamente – il nostro mitico e immancabile Bokuto-san! E la dottoressa Masaki, a modo suo, continuerà a vegliare sul nostro giovane editore preferito! Stay tuned! :)

Il titolo generale della mini-long riprende quello della nota canzone di Elisa ‘Anche fragile’ (della quale riporto il ritornello al termine del capitolo).
Il testo è scritto in terza persona e al tempo passato.

Grazie a tutti coloro che passeranno di qua!

Al prossimo capitolo,

Mahlerlucia

 



 
   
 
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