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Autore: Roscoe24    17/12/2020    2 recensioni
"Arthur sapeva essere estremamente premuroso, quando non si comportava come un totale babbeo.
E questo pensiero fece sfarfallare il cuore di Merlin, in un modo che lui decise volutamente di ignorare per tutta una serie di innumerevoli motivi (...). Non poteva innamorarsi del suo capo. Sarebbe stato poco professionale, decisamente poco etico, e oltraggiosamente scontato."
Genere: Commedia, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Gwen, Merlino, Morgana, Principe Artù | Coppie: Gwen/Lancillotto, Merlino/Artù
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Erano passati due giorni dal fattaccio.
Non che Merlin li stesse contando. In realtà sì, contava i giorni che passavano come se stesse aspettando la sua imminente condanna a morte, o decapitazione, o arsione sul rogo… insomma, si è capito.
Ma, nonostante un incombente Mietitore che aleggiava sulla sua testa in attesa di… beh, mietere, Merlin continuava a fare il suo lavoro. Quello ufficiale e quello clandestino.
Tutto sembrava filare liscio, per ora, quindi non doveva preoccuparsi.
Non. Doveva. Preoccup– Merda.
Rettifica: doveva preoccuparsi. Doveva preoccuparsi alla grande.
Morgana si stava dirigendo a passo di marcia verso l’ufficio di Arthur. E solamente guardarla camminare in quel modo battagliero era sinonimo di guai.
Lei e Arthur erano fratelli da parte di madre e Merlin era sicuro che la bellezza che caratterizzava entrambi dovesse necessariamente essere merito di Igraine.
Arthur gli aveva parlato della storia della sua famiglia, di come Igraine avesse avuto un primo marito, il padre di Morgana, e di come avesse divorziato da lui quando la bambina aveva poco più di un anno. Arthur non aveva mai parlato dei motivi di quel divorzio, ma gli aveva raccontato di come Uther, dopo essersi innamorato follemente di Igraine, avesse deciso di adottare Morgana, dandole il suo cognome. Poco tempo dopo il terzo compleanno di Morgana, Arthur era venuto alla luce e Igraine, invece, a causa di una malformazione cardiaca che le aveva impedito di reggere un altro parto, se n’era andata.
“Guardo mia sorella e non capisco come faccia a non odiarmi profondamente. Le ho portato via nostra madre.” Gli aveva confessato una sera Arthur, nella penombra del suo salotto, dopo aver bevuto un po’. Non era ubriaco, ma era in quello stato in cui l’alcol toglie i freni inibitori e rende la lingua sciolta, propensa a confessioni che da sobri non si esternerebbero mai.
“Non devi colpevolizzarti.” Si era limitato a rispondergli Merlin, prima di avvicinarsi di più a lui. Erano rimasti in silenzio, fianco a fianco, a guardare il fuoco che scoppiettava e a lasciare che il fantasma di Igraine si allontanasse da quella casa e dai ricordi di Arthur, sebbene, Merlin ne era consapevole, avrebbe per sempre gravato sul suo cuore.
Non era una situazione facile.
In quella famiglia c’erano alti e bassi continuamente e i litigi tra i due fratelli erano estremamente frequenti. Complice anche il comportamento di Uther che, per quanto continuasse a sostenere il contrario, aveva una palese preferenza per Arthur. Lui era il maschio, colui che avrebbe portato avanti il nome di famiglia e la sua attività, per questo a soli trent’anni si trovava ad essere socio senior, mentre Morgana era ancora un socio junior.
Il rapporto tra i Pendragon non era facile. I due fratelli si volevano bene, ma spesso Uther, con i suoi comportamenti, creava degli attriti nel loro rapporto che finivano inevitabilmente con uno scontro.
Per questo Merlin pensava che non fosse assolutamente un buon segno vedere Morgana marciare battagliera verso l’ufficio di Arthur.
Si alzò velocemente dalla sua scrivania, piazzandosi davanti alla porta nel vano tentativo di frapporsi tra Morgana e la sua meta.
La donna, infatti, si arrestò davanti all’assistente e alzò un sopracciglio con fare risoluto. E arrogante. Cos’era, dannazione, una caratteristica di famiglia??
“Buongiorno, Morgana.” Temporeggiò Merlin.
“Buongiorno. Devo parlare con Arthur.” Tagliò corto, cercando di sorpassarlo.
Ma Merlin glielo impedì. “È impegnato.”
“Sono sicura che per me ha tempo.” 
Morgana cercò nuovamente di raggiungere la porta, ma Merlin la precedette di nuovo. Quel gesto non piacque per nulla alla donna che piantò glacialmente gli occhi in quelli di Merlin. Quando lo guardava in quel modo – ed era successo parecchie volte – Merlin sapeva che stava rischiando grosso. E che, di conseguenza, se non voleva che la sua testa finisse su una picca, doveva spostarsi.
Sospirò, sconfitto, e si fece da parte.
Prevedeva già la lavata di capo che Arthur gli avrebbe fatto per averla lasciata passare. E infatti…
MERLIN!” Si sentì chiamare, non appena Morgana ebbe varcato la soglia dell’ufficio di Arthur. Merlin entrò a sua volta, preparandosi alla ramanzina.
“Cosa ti avevo detto? Non devi mai lasciare avvicinare la strega al mio ufficio. MAI!”
Morgana alzò teatralmente gli occhi al cielo. “Sai che sono qui, vero, mocciosetto?”
Arthur boccheggiò, gli occhi sgranati per l’offesa subita. “Non sono un mocciosetto!”
“Lo sei.”
“Al massimo sei tu che sei una vecchiaccia! Una vecchia strega, ecco cosa sei!”
“Ho trentatré anni, Arthur…” Puntualizzò, ruotando gli occhi al cielo.
“Li porti malissimo.”
“Come osi, tu, brutto… troll puzzolente!”
“Rimangiatelo! Sono bellissimo!”
“Mai! A meno che tu non ti penta per primo!”
Arthur emise un sonoro sbuffo frustrato. “Merlin! È tutta colpa tua, dovrei licenziarti!”
“Pff, ma per favore.” Lo derise Morgana. “Non sapresti nemmeno cambiarti le mutande, senza Merlin!”  
Merlin arrossì violentemente per quell’insinuazione. Lui non si era mai avvicinato alle mutande di Arthur! Non che volesse farlo. Cioè, in realtà sì, ma non era questo il punto. Cosa diamine stava blaterando?? E perché quei due l’avevano tirato nel bel mezzo del loro infantile battibecco? Dannati Pendragon!
Arthur le lanciò un’occhiata assassina, ma poi si accasciò esausto sulla sua sedia senza ribattere nulla a quell’infamia. “C’è un motivo per cui rovini la mia mattinata con la tua infausta presenza?”
“Devo parlarti.” E poi, prima che Merlin avesse il tempo per dirigersi di nuovo verso l’uscita – e verso la salvezza, perché un Pendragon poteva anche gestirlo, ma due contemporaneamente… Dio abbi pietà della sua anima – la donna si voltò verso di lui. “In realtà devo parlare ad entrambi. So che lavorate insieme.”
Dio non aveva pietà della sua anima. Mai, a quanto pare.
Merlin iniziava davvero a credere di aver ucciso il famoso unicorno di cui si era nutrito Voldermort. Lo diceva, lui, che uccidere animali non portava mai a nulla di buono!
“Il caso pro-bono che Uther ha rifiutato. So che ci state lavorando. Ho letto il nome di Merlin nel libro di Geoffrey.”
Un silenzio gelido calò in quell’ufficio. Merlin lanciò occhiate ad Arthur ed Arthur a Merlin, come se si stessero telepaticamente parlando. Una conversazione silenziosa che sarebbe servita a trovare una scusa plausibile, o quanto meno a trovare un modo credibile per negare le parole di Morgana.
“Smettetela di guardarvi come se doveste miracolosamente leggere le risposte l’uno negli occhi dell’altro!” Sbottò Morgana, spazientita. “Voglio solo aiutarvi, idioti!”
Arthur assottigliò lo sguardo, diffidente. “Perché?”
“Perché è ingiusto che una donna debba subire un simile destino ed essere lasciata sé stessa.” Il tono della sua voce mutò, insieme al suo sguardo. Si fecero entrambi più docili, più comprensivi. Morgana era sincera. Li avrebbe aiutati sul serio. Arthur lanciò un’occhiata a Merlin, come per chiedergli silenziosamente cosa ne pensasse, e quando Merlin annuì, tornò a concentrarsi sulla sorella.
“D’accordo, va bene. Stasera ci vediamo a casa mia.”
“Perfetto.”
Morgana diede le spalle al fratello e si incamminò verso l’uscita. Merlin si spostò per farla passare. Resistette all’impulso di dirle di non fare parola con nessuno di quello che stavano facendo, ma, quasi come se Arthur fosse in grado di leggergli nel pensiero, la richiamò.
“Ah, Morgana?”
La donna si voltò.
“Non devi parlarne con nessuno, intesi?”
“Intesi.”
Con un ultimo cenno del capo, Morgana uscì dall’ufficio, lasciando solamente il suo profumo come unica testimonianza del suo passaggio.





*






“Arthur, ha chiamato Elen–”
Merlin bloccò la frase a metà, con ancora la mano sulla maniglia della porta e l’espressione di un pesce che è appena stato preso all’amo. Ecco come si sentiva. Preso all’amo. E sapeva che se avesse cominciato ad agitarsi le cose sarebbero solo peggiorate, per lui, quindi decise di darsi una calmata e di non lasciarsi andare a… scenate di gelosia?
Scacciò quel pensiero. Cominciava ad odiare la vocina della sua coscienza, che aveva cominciato a sussurrargli verità scomode da qualche giorno a questa parte.
Lui non era geloso. Di certo non di una odiosa spocchiosetta che tendeva ad allungare un po’ troppo le mani su Arthur nemmeno fosse un polpo, o un serpente che avvolge la propria preda nelle sue spire.
Ma no, lui non era geloso di quella sciacquetta viziata di Vivian.
Tuttavia non riuscì a trattenere una smorfia disgustata, quando la vide allungata sulla scrivania di Arthur, intenta a stringergli le mani. La ragazza si voltò di tre quarti verso di lui, senza staccare le sue manacce ingorde da quelle di Arthur, e lo salutò con un gran sorriso. Era finto come il suo seno rifatto – che spuntava vistoso dalla scollatura – e Merlin dovette mordersi la lingua per non farglielo notare.
Il padre di Vivian, Olaf, e Uther erano molto amici. Entrambi fondatori di due importanti studi legali. Vivian pensava che fosse una buona idea che si unissero, diventando soci. Merlin, invece, pensava che le uniche buone idee di Vivian fossero quelle che coinvolgevano le rare volte in cui decideva di stare in silenzio.
“Merlin! Ciao!” Lo salutò Barbie Fasulla.
“Vivian…” Si limitò a rispondere lui, monocorde, cercando di suonare il più educato possibile, avvicinandosi alla scrivania. Lanciò un’occhiata alle loro mani ancora intrecciate e poi una ad Arthur, che si affrettò a ritirarle, imbarazzato.
“Cosa devi dirmi?”
“Ha chiamato Elena. Vorrebbe sapere se andrai all’inaugurazione della sua mostra, venerdì prossimo.”
“Dille di sì.”
“Ci andrai da solo?” Si intromise Vivian, civettuola. Merlin alzò gli occhi al cielo. Non riuscì a trattenersi: non la sopportava. Cercava in tutti i modi di accalappiarsi Arthur. Sembrava quasi che fosse ossessionata da lui!
Come te?
Silenzio! Lui non era ossessionato proprio da nessuno!
“Ehm,” Arthur lanciò un’occhiata a Merlin, in segno d’aiuto.
“No. Non andrai da solo. Elena ha chiesto anche la presenza di Morgana e tua sorella ha già accettato. Andrete insieme.”
Arthur emise un impercettibile sospiro di sollievo. Merlin sapeva che anche lui non trovava gradevole Vivian, la riteneva maleducata ed arrogante, ma si impegnava a mantenere un rapporto civile con lei solamente per l’amicizia che legava i loro padri.
“Che peccato!” Piagnucolò Vivian.
“Già. Sarà per un’altra volta.” Arthur si alzò dalla scrivania e si abbottonò un bottone della giacca del completo scuro che indossava. Era un gesto automatico, qualcosa che faceva sempre. E qualcosa che Merlin trovava letalmente affascinante ogni volta. Arthur aveva un’eleganza innata, un fascino che emergeva anche da piccoli gesti come quelli.
Dio, stava impazzendo.
Sopprimere certi pensieri stava diventando sempre più difficile, quasi come se improvvisamente fosse stato un lupo mannaro vittima dell’influenza della luna piena.
Non voleva riempirsi di peli e ululare alla luna nello stesso modo in cui non voleva venire a patti con sentimenti sempre più prorompenti.
Non potevano starsene buoni, in silenzio, come avevano sempre fatto?
“Ora, se vuoi scusarmi, Vivian, io e Merlin abbiamo una riunione.”
“Oh, ma sì, certo.” Cinguettò Vivian. “A presto, Arthur!” E uscì, senza nemmeno degnare Merlin di uno sguardo. Non che a lui importasse, sia chiaro.
Quando furono ufficialmente loro due da soli, Merlin si voltò verso Arthur. “Noi non abbiamo una riunione. L’unica segnata per oggi è con tuo padre fra due ore.”
“Lo so. Ma non ce la facevo più. Sai che Vivian non è la migliore delle compagnie.”
“Cosa voleva, a proposito?”
“Illustrarmi i risultati dello studio legale della sua famiglia. Le solite cose. Sai che si è intestardita con la faccenda di diventare soci, ma non voglio nemmeno prendere questa idea in considerazione.” Arthur si sedette di nuovo alla sua scrivania e Merlin si sedette di fronte a lui.
“Ma Arthur,” Civettò, alzando la voce di un’ottava in un’accurata imitazione di Vivian, “Potremmo fare così grandi cose insieme!” intrecciò le dita sotto al mento e sfarfallò esageratamente le ciglia.
Arthur si coprì la bocca con una mano, ma Merlin sapeva che stava ridendo. I suoi occhi si erano illuminati e piccole rughe d’espressione li circondavano.
“Sei un idiota, Merlin.”
Ma dal tono di voce morbido che aveva usato, sembrava tutto fuorché un insulto.





*



La brigata della clandestinità, così l’aveva ufficialmente rinominata Merlin, adesso era a quota quattro e prevedeva Gwen e Morgana come nuovi membri. Evidentemente, per Morgana l’avvertimento non farne parola con nessuno escludeva automaticamente Gwen, ma andava bene lo stesso. Sapevano quanto Gwen fosse una persona fidata.
La casa di Arthur era diventata la base per le loro attività clandestine e Merlin sperava davvero che in quattro sarebbero riusciti a trovare qualcosa di utile.
Sentiva il peso di quel nuovo caso addosso e gli bastava lanciare un’occhiata ad Arthur di tanto in tanto per sapere che per lui era lo stesso.
Le ore passate a leggere informazioni che sembrava non li avrebbero portati da nessun parte – avevano bisogno di elementi solidi e non di prove circostanziali, di cui, apparentemente, erano pieni – lo stavano stancando e Merlin credette che fosse arrivato il momento di fare una piccola pausa.
“Vado a fare il caffè.” Si alzò dal tavolo in salotto e si diresse verso la cucina. Arthur si passò una mano sul viso e annuì. Merlin aveva il potere di leggergli nel pensiero, ne era certo.
“Vengo con te.” Affermò Gwen, seguendo l’amico in cucina.
Arthur seguì Merlin con lo sguardo fino a quando la sua figura sottile e slanciata non sparì all’interno della cucina. Una volta che furono rimasti soli, Arthur si voltò verso la sorella, attirando la sua attenzione.
“Ho sentito della lite tra te e papà, oggi.”
Morgana non alzò gli occhi grigi dal foglio che stava esaminando. “Credo che tutto lo studio abbia sentito le sue grida.” Sfogliò il foglio successivo. Tutto pur di non guardarlo negli occhi. Arthur sapeva che non stava davvero leggendo le informazioni sul foglio, almeno non da quando aveva attirato la sua attenzione. Ma sapeva che si stava impegnando per evitare il suo sguardo. Con Morgana ci voleva pazienza. Una pazienza che lui, il più delle volte, purtroppo non aveva. Si assomigliavano così tanto, testardi e cocciuti, troppo propensi a farsi dominare dall’orgoglio.
Ma Arthur sapeva anche tornare sui suoi passi, indietreggiare e guardare i danni che i suoi comportamenti avevano portato per cercare di porvi rimedio.
Teneva davvero a sua sorella.
“Papà ha le sue idee…” Cominciò Arthur e quelle parole ebbero il potere di far sì che Morgana intrecciasse i suoi occhi con quelli del fratello.
“Certo, delle idee retrograde e offensive! È un’ipocrita, Arthur! Mi chiama figlia, ma continua a vedere solamente te come suo unico erede.” Sbottò, innervosita.
“Se mi avessi lasciato finire, sapresti che credo tu abbia ragione. Voglio fare felice nostro padre, voglio che sia fiero di me, ma non voglio escluderti, Mo. Non è giusto.”
Quel pomeriggio, Uther aveva indetto una riunione dei soci per analizzare l’andamento dello studio legale, i bilanci e i risultati. Morgana era stata esclusa da quella riunione, mentre Arthur vi aveva partecipato. Uther aveva pensato fosse giusto così, dal momento che un giorno, il posto occupato da Uther sarebbe stato occupato da Arthur.
Morgana era piombata nel suo ufficio, furiosa e frustrata, chiedendo spiegazioni. Ne era nata una lite che era echeggiata per tutte le mura dello studio.
“Non chiamarmi così, non hai più tre anni.”
Arthur le riservò un’occhiata complice. “Ti chiamo come più mi piace. Preferisci strega?”
“Dipende, tu preferisci mocciosetto?”
Arthur le rivolse una linguaccia e per un attimo ebbero entrambi l’impressione di essere tornati bambini. Nessun pensiero, nessun genere di preoccupazione. Solo due bambini che si raccontano segreti sussurrati, prima di scegliere a quale gioco giocare.
Ad Arthur mancavano quei momenti di spensieratezza, prima che la vita, inevitabilmente, andasse ad intaccare l’innocenza, portandosi via la spontaneità tipica dell’infanzia.
“Preferisco averti dalla mia parte.”
“La tua parte è quella di Uther, Art. Non puoi capire come mi sento.”
“Allora spiegamelo.” Arthur si allungò per afferrarle la mano. Tra loro si era rotto qualcosa, inevitabilmente, quando avevano smesso di essere due ragazzini ed erano diventati adulti. La preferenza che Uther aveva nei confronti di Arthur era diventata sempre più palese, crescendo giorno dopo giorno. Lo ricopriva di responsabilità, pretendendo il massimo da lui, ma arrivava inevitabilmente anche ad elogiarlo. Voleva forgiarlo per farlo diventare il migliore.
Per Morgana era diverso: l’aveva fatta studiare nelle stesse scuole di Arthur, ma non l’aveva mai trattata come se si aspettasse che, un giorno, aiutasse Arthur a dirigere lo studio.
Perché lui era quello che avrebbe portato avanti il nome di famiglia. Lui avrebbe avuto dei figli Pendragon.
Era un comportamento, questo, che lacerava Morgana dentro. Oltre che a ricordarle, inevitabilmente, che il suo sangue non era Pendragon. Comportandosi in quel modo non faceva altro che ricordarle che, biologicamente, non era figlia sua.
Morgana si sentiva lasciata a sé stessa più volte di quanto le piacesse ammettere e tutto ciò le provocava una rabbia furiosa, che straripava a tal punto dal suo cuore avvelenato dal rancore da rispecchiarsi anche su Arthur, che, invece, era un uomo completamente diverso da suo padre.
Non meritava la sua collera. Ma Morgana la provava così intensamente da non riuscire a trattenerla, nemmeno con lui.
E spesso provava rimorso, nei confronti dell’unico vero familiare che le fosse rimasto.
Morgana sapeva che se Igraine fosse stata ancora viva, le cose sarebbero state diverse. Ma si premurava sempre di evitare di dirlo ad alta voce perché sapeva quanto una frase simile avrebbe ferito Arthur nel profondo, che si sentiva ancora in colpa per la morte della loro madre, quasi come se fosse stato lui il responsabile e non il cuore precario della donna che aveva dato la vita ad entrambi.
“Mi fa sentire sola, messa da parte.” Si limitò a dirgli, riassumendo tutti i suoi pensieri in un’unica frase. Sapeva che non era sufficiente per spiegare tutta la marea di emozioni che le albergava dentro, ma lo ritenne comunque un inizio. Una buona alternativa al silenzio più assoluto, che finiva inevitabilmente per trasformare la sua frustrazione in attacchi d’ira rivolti anche ad Arthur, che non c’entrava niente con i comportamenti del padre. Forse, se avessero nuovamente cominciato ad essere loro due, come quando erano bambini, le cose sarebbero migliorate.
“Ma non sei sola. Hai me.”
“Credo che entrambi tendiamo a dimenticarcelo. Io per un verso, tu per un altro. Il tuo desiderio di approvazione paterna è più grande di qualsiasi cosa.”
Arthur sapeva che c’era della verità nelle parole della sorella. Aveva rinunciato a così tante cose, pur di ricevere l’approvazione di Uther. Cose che l’avrebbero reso felice. Il fatto era che il suo senso di colpa lo divorava a tal punto che credeva che se fosse riuscito ad essere il figlio perfetto che lui si aspettava che fosse, non avrebbe mai avuto modo, un giorno, di potergli rinfacciare la morte di Igraine. Non che l’avesse mai fatto, ma Arthur aveva questo costante terrore che un giorno, per una qualsiasi inaspettata ed improvvisa occasione, sarebbe successo. E lui non voleva che succedesse. Non l’avrebbe sopportato, se fosse successo.
Ma non voleva nemmeno che Morgana soffrisse.
“Facciamo così: da oggi ci impegneremo per ricordarci a vicenda che abbiamo l’un l’altra. E io parlerò con papà.”
Morgana gli sorrise e annuì. Sapeva che le cose non sarebbero cambiate a breve, c’erano troppi anni di incomprensioni che aleggiavano nella loro famiglia, ma lo vedeva pur sempre un inizio. Voleva sperare che avrebbero avuto qualcosa di buono, da questa conversazione.
Arthur non era Uther, dopotutto. Era più buono, più giusto. Ed era cocciuto abbastanza da riuscire a cambiare le cose, se solo si metteva in mente di farlo.
“Ora però basta fare i sentimentali. Non ci si addice.”
Arthur emise una risata nasale. “Già.” Le strinse un’ultima volta la mano, prima di lasciare la presa su di lei. Si guardarono un ultimo istante, complici, e poi tornarono a concentrarsi sul loro lavoro.
Dopo pochi minuti, furono nuovamente raggiunti da Gwen e Merlin muniti di caffè per tutti, ignari di quello che era appena avvenuto tra i due fratelli.





*





“I tempi cominciano a stringere, Merlin.”
Merlin alzò gli occhi dal suo pc, a cui stava scrivendo la marea di relazioni che Arthur gli lasciava scrivere ogni giorno. Lo oberava di lavoro e poi si lamentava se ci metteva un’eternità.
“Lo so.”
Non aveva bisogno di chiedergli a cosa si riferisse. Sapeva che stava parlando del caso clandestino, che lo preoccupava a tal punto da averlo spinto ad alzarsi dalla sua comoda scrivania e a raggiungere quella di Merlin, fuori dal suo ufficio, piuttosto che chiamare l’assistente e farlo andare da lui, come faceva sempre.
Erano passati cinque giorni da quando Merlin aveva sottratto il fascicolo dall’archivio.
“E allora perché non ti sbrighi?”
“Perché i miei compiti non sono diminuiti da quando lavoriamo a tu-sai-cosa, che porta via un mucchio di tempo che viene sottratto a tutte le cose che avevo da fare prima.”
Tutta questa situazione lo stressava.
Arthur alzò un sopracciglio biondo estremamente curato. Vanesio, pensò Merlin, notando quel particolare.
“Credi che i miei di compiti, invece, lo siano?”
“No, ma quando tu non riesci a finire una cosa, la devo finire io. Se io non riesco a finire una cosa, devo fare le ore piccole. E finirla comunque io. Non dormo bene da giorni.”
Arthur notò le occhiaie sotto gli occhi cerulei di Merlin. Era stanco, si notava da come la sua pelle fosse più bianca del solito. Indugiò un tantino su come aderisse perfettamente ai suoi zigomi alti e pronunciati, prima di distogliere in fretta lo sguardo.
“Hai mangiato?”
Merlin, che si aspettava più che altro una rispostaccia sarcastica alle sue lamentele, abbandonò lo schermo del computer per guardare il suo capo in viso. Quella domanda aveva sempre il potere di stupirlo, quasi come se ogni volta riuscisse a vedere sempre un po’ di più di quella premura che era ben celata dentro al cuore di Arthur. E Merlin era consapevole di aprirsi in un sorriso soffice, ogni volta che Arthur si preoccupava per lui in quel modo genuino.
“No, mi sono dimenticato.”
“Probabilmente anche io mi dimenticherei, se il mio cibo consistesse in erbette condite con una dose spropositata di tristezza.”
Arthur, comunque, rimaneva sempre un babbeo, sia chiaro. Anche quando provava ad essere premuroso, la sua idiozia aveva sempre la meglio su tutto.
Merlin gli lanciò un’occhiataccia. “Sai che essere vegetariano non comporta mangiare solo insalata, vero?”
“Ah no? E cosa comporta? Dopo un tot di anni ti regalano anche il manuale dell’animagus così puoi completare la metamorfosi in capra?”
“Non saprei. Con te hanno fatto così? Il premio per mangiare carne tutta la vita è la trasformazione in asino? È un po’ ironico, non trovi?”
“Merlin!” Esclamò, gli occhi azzurri sgranati in quell’espressione tipica che metteva su ogni volta che veniva punzecchiato.
“Te la sei cercata.”
“Sta’ zitto e muoviti. Ti porto a pranzo.”
“Sono le tre del pomeriggio passate, Arthur.” Gli fece notare Merlin, guardando l’ora sul computer. “E devo lavorare.”
Arthur alzò gli occhi al cielo. “Per una volta nella tua vita puoi, gentilmente, non ribattere a qualcosa che dico? Accetta e basta. Alzati e vieni con me. Ti porto a mangiare.”
Merlin mise il pc in standby e si alzò. “Se poi ritardo, è colpa tua. Non puoi venire a lamentarti che i tempi stringono, intesi?”
“A volte ho l’impressione che ti dimentichi che non sei tu quello che comanda, sai?”
Merlin serrò le labbra all’interno della bocca. Era consapevole di prendersi troppe libertà con Arthur. Ma in fondo, quello era stato il loro rapporto fin dai primi inizi. Veniva naturale ad entrambi comportarsi in quel modo.
“Tu invece non lo dimentichi mai, che sei il capo. Ti piace troppo.” Lo punzecchiò, alzando solo un angolo della bocca in un mezzo sorriso.
Arthur scosse la testa, cercando di non farsi contagiare da quell’espressione, inutilmente. Ancora prima che se ne accorgesse, anche uno degli angoli della sua bocca era sollevato.
“Sei un idiota.”
E, di nuovo, non suonava minimamente come un insulto.




*





“Dai, assaggialo, per favore!”
Arthur osservò il crostino dal dubbio colore che gli veniva sventolato sotto il naso e fece una smorfia contrariata. Si erano recati in un posto che, a quanto pare, Merlin frequentava con Gwen, quando faceva la pausa pranzo. Era una specie di tavola calda vicino allo studio che faceva anche cose vegetariane. Da quando aveva visto Arthur storcere il naso davanti alla sua ordinazione, Merlin aveva insistito affinché assaggiasse.
“Smettila di fare l’altezzoso. Non puoi dire che non ti piace, se non lo assaggi!”
Arthur gli fece una boccaccia. Non gli piaceva essere rimproverato come se fosse un infante, per Dio!
“Se lo assaggio, deciderai finalmente di tacere? Mangerai in silenzio?”
“Promesso, croce sul cuore.” Merlin mimò persino una croce sulla parte sinistra del suo petto. Arthur lo osservò compiere quel gesto e, inevitabilmente, si trovò a sorridere. Merlin era un idiota per la maggior parte delle volte, ma riusciva ad avere un potere su di lui che lo spaventava a morte.
Aveva il potere di renderlo felice. E Arthur sapeva che una sensazione del genere era pericolosa. Avrebbe portato verso un sentiero rischioso. Un sentiero che suo padre, in ogni caso, gli avrebbe impedito di prendere.
Quel pensiero gravò sulla sua mente e sul suo cuore. Per questo, decise di scacciarlo.
“D’accordo, allora. Se questo servirà a farti stare zitto, assaggerò il crostino con la melma verde.”
Merlin gli scoccò un’occhiata di rimprovero. “È guacamole, Arthur.” E senza aggiungere altro lo avvicinò alla sua bocca. Arthur avrebbe potuto benissimo prendere il cibo dalle mani di Merlin e mangiarlo per conto proprio, ma ancora prima che riuscisse ad elaborare questo pensiero, il suo istinto aveva già scelto per lui, guidandolo verso quella strada che prevedeva sporgersi verso la mano di Merlin e addentare il crostino direttamente da essa.
Aveva lasciato che Merlin lo imboccasse.
C’era un che di fortemente intimo, in un gesto simile.
Come un infante che viene nutrito dalla madre.  
O come un amante che nutre l’amato in un gesto spontaneo di condivisione. Ciò che è mio, è tuo.
E Arthur sentì il panico al solo pensiero, mentre il suo cuore martellava all’impazzata. Masticò piano il boccone, cercando almeno in qualche modo di calmarsi. Si concentrò sul sapore. Tutto purché evitasse di concentrarsi su determinate sensazioni, su certi pensieri.
Il sapore era buono, doveva ammetterlo.
Gli occhi di Merlin che non lo lasciavano un istante, studiandolo in quel modo attento e profondo, invece, stavano avendo un effetto deleterio su di lui.
E sul suo povero cuore, che non ne voleva sapere di calmarsi.
Distolse lo sguardo. Se avesse guardato ancora un po’ dentro agli occhi cerulei di Merlin, era sicuro che lui sarebbe stato in grado di leggergli dentro.
Lo faceva sempre, dopotutto. A Merlin bastava uno sguardo per capirlo. Ed era questo a spaventarlo e ad attrarlo allo stesso tempo. Con lui aveva un’intesa che non aveva mai avuto con nessun altro essere umano.
“Ti piace, vero? Altrimenti avresti già cominciato a dire quanto non ti piaccia, ma non dici niente per non darmi ragione!”
Ecco, appunto.
Lo conosceva meglio di chiunque altro.
“È passabile.” Gli concesse, fingendo sufficienza.
Merlin gli regalò un sorriso ampio e luminoso, un’espressione che andò ad accendere anche i suoi occhi. Un’espressione che infierì sul cuore agitato di Arthur ancora di più.
“Vedi? Se evitassi di essere sempre prevenuto, magari scopriresti anche cose nuove che ti piacciono.”
“Ho detto che è passabile, non che diventerà il mio nuovo cibo preferito.”
“Acido.” Lo appellò Merlin, finendo il crostino che Arthur aveva addentato. Il suo piatto, adesso, era ufficialmente vuoto.
Arthur sorvolò su quel commento. Sentiva la necessità di tornare al lavoro, di avere la mente occupata e di concentrarsi su qualcosa che non fossero quelle sensazioni che l’avevano investito e che non lo lasciavano.
“Se hai finito, direi di andare.”
“Sì, certo.” Merlin si alzò e recuperò giubbotto e sciarpa dallo schienale della seggiola. Arthur lo osservò per qualche istante mentre si imbacuccava come un pinguino che si prepara ad affrontare il gelido Polo Nord.
Merlin possedeva una quantità spropositata di sciarpe. Le adorava.
E Arthur mentirebbe se dicesse di non avergliene regalate almeno cinque, da quando lo conosceva, solamente per vederlo sorridere ogni volta come se avesse ricevuto la cosa più preziosa del mondo.
Merlin era speciale perché riusciva a trovare felicità anche nelle piccole cose.
“Ti sei coperto per bene? Non vorrei che nei cinque metri che separano questo posto dallo studio tu congelassi.”
“Stai facendo dell’ironia, Arthur?”
“Grato che tu te ne sia accorto. Non sei sempre stupido, allora.”
“A differenza tua, ho momenti di genialità.” Merlin gli si piazzò davanti. Era più alto di lui di qualche centimetro. “Chissà come dev’essere, riuscire a vivere senza avere un cervello nella scatola cranica.” E per calcare il concetto, bussò lievemente sulla sua fronte.
Arthur scacciò malamente la mano di Merlin da sé. “E chissà come riesci a vivere con il sangue freddo come i rettili.”
Merlin si aprì in un sorriso. “Chissà, magari in una vita precedente sono stato un drago e il suo sangue scorre ancora nelle mie vene.”
“In un’altra vita sei stato un idiota, come lo sei in questa, come lo sarai se ne avrai un’altra dopo questa.”
Merlin assottigliò lo sguardo. “Ti credi tanto divertente?”
“Io sono divertente.” Affermò, gonfiando il petto come un pavone vanitoso.
“No, Arthur, non lo sei. Non quanto credi, almeno.” Merlin gli rivolse un sorriso sghembo e un’espressione gongolante che Arthur avrebbe voluto cancellargli dalla faccia con un…
Con cosa?
Un bacio.
Ma sapeva che era sbagliato, che quella era un’idea sciocca, e che quel sentiero portava inevitabilmente ad un campo minato.
Un campo che per anni aveva dovuto evitare per cause di forza maggiore. Un lato di sé che ormai si era rassegnato a dover tenere nascosto tutta la vita.
Ma poi il destino gli aveva messo davanti Merlin, con la sua corporatura sottile e longilinea, gli occhi grandi e le ciglia lunghe, il sorriso radioso e gli zigomi più affilati dell’universo. Nemmeno le sue orecchie a sventola erano riuscite a distoglierlo dalla bellezza del suo viso.
Il destino gli aveva giocato un brutto tiro mancino. Il fato si divertiva a torturalo, a scombinargli i piani che lui aveva impiegato una vita intera per preparare. Piani che non prevedevano l’attrazione verso un uomo.
“Arthur?” Lo chiamò l’oggetto dei suoi pensieri. Immerso com’era nei suoi rimugini non si era nemmeno accorto che Merlin si era diretto verso la cassa.
Si voltò verso di lui e lo raggiunse.
“Perché questa gentile signorina dice che è già tutto pagato?”
“Perché ho pagato, Merlin, mi pare ovvio. Fortuna che ti credevi intelligente.”
Merlin gli lanciò un’occhiata truce. “Sorvolerò sull’offesa. Ma perché hai pagato tu? Non hai nemmeno mangiato!”
“In realtà ho mangiato un pezzo del tuo crostino alla melma, ricordi? Quindi ho mangiato, puoi vederla così se ti fa stare meglio.”
“Non mi fa stare meglio! Non avresti dovuto pagare!”
Portare qualcuno fuori a pranzo, significa offrirgli il pranzo. Funziona così, lo sanno tutti.”
“E da quando, di grazia?”
“Da sempre!” ribatté Arthur, riflettendo lo stesso tono risentito di Merlin. Perché se la prendeva tanto, poi? Era solo un pranzo, non poteva accettare e basta?
“Il suo ragazzo ha fatto un gesto molto galante, signore.” Si intromise la cameriera, convinta che una frase simile avrebbe in qualche modo rasserenato gli animi.
In realtà ebbe solo il potere di far arrossire entrambi come due pomodori fino alla punta delle orecchie.
“Lui non è il mio ragazzo!” Affermarono all’unisono, la voce che uscì un’ottava più alta del necessario – sfiorando quasi l’isteria.  
Ponendo fine a quel battibecco, uscirono dal locale in fretta, lasciandosi dietro le scuse della cameriera per aver frainteso la situazione.




*





Non parlarono dell’accaduto. Quel fraintendimento venne completamente ignorato da entrambi per il resto della giornata. Dopotutto, non dovevano darci peso, giusto?
Era stato solo un errore da nulla. Una bazzecola.
Ma entrambi non poterono fare a meno di pensare perché quella sconosciuta l’avesse pensato. Quali fossero stati i motivi che l’avessero spinta ad arrivare ad una tale conclusione.
E non poterono fare a meno di notare con quanta facilità avesse usato la parola ragazzo, quasi come se fosse ovvio che stessero insieme come una coppia.
Merlin decise di non dare troppo peso alla faccenda perché l’ultima cosa di cui aveva bisogno era un’illusione che l’avrebbe inevitabilmente portato verso la sofferenza.
Arthur decise di ignorare l’accaduto perché non doveva fantasticare su una cosa che non sarebbe mai e poi mai accaduta, un qualcosa che scombinava i suoi piani di vita. Un qualcosa che rischiava di andare a risvegliare ciò che lui, anni indietro, si era impegnato a soffocare. C’erano cose che gli erano proibite. E Merlin era una di queste.
Entrambi sapevano che non aveva senso stare a rimuginare su qualcosa che non avrebbero mai potuto avere, quindi decisero di passare oltre.








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Ciao a tutti! Ecco il secondo capitolo!
Vorrei fare una precisazione: nella serie Morgana è figlia biologica di Uther, in questa storia ho preferito seguire anzi ciò che viene scritto in La morte di Artù di Thomas Malory, nel quale viene scritto che Morgana sia figlia di Igraine. Non ho letto il libro in questione, mi sono limitata semplicemente a riportare quell’informazione.
Questo perché pensavo che una dinamica simile avrebbe potuto “aiutarmi” di più a gestire gli attriti tra Uther e Morgana “modernizzando” gli scontri che tra di loro avvengono nella serie a causa della magia.
Il personaggio di Morgana nelle prime stagioni mi piaceva tantissimo. Adoravo il suo rapporto con Arthur e soprattutto con Gwen. Il suo diventare la cattiva della situazione è stato fondamentale per la storia e la serie – altrimenti non avremmo mai avuto un antagonista, in pratica – ma ammetto che mi mancava vederla a palazzo ad interagire con qualcuno che non concordi con lei sull’uccidere Arthur.
Per quanto riguarda il personaggio di Uther… ho cercato di adattarlo il più possibile ad un contesto moderno anche nei capitoli successivi e spero di non aver fatto un casino con quello originale. Il più delle volte temo di uscire dall’IC e sfociare nell’OOC e fare i miei affari, ma spero vivamente di non essere uscita troppo dal carattere originale, sia con lui che con altri personaggi. In tal caso, mi farebbe piacere saperlo 😊
In questo capitolo c’è un accenno alla possibilità che Arthur pensi di provare qualcosa per Merlin. Nel prossimo capitolo verrà approfondito un pochino di più. E chissà cosa succederà! :D
La storia è già scritta fino al capitolo 5, a breve comincerò a scrivere il 6 che credo anche potrebbe essere l’ultimo.
Probabilmente aggiornerò una volta a settimana! Non l’ho mai fatto di programmare la pubblicazione di una storia, in genere scrivo capitolo per capitolo e quando è finito pubblico – infatti, la maggior parte delle mie storie subisce dei ritardi assurdi perché non riesco mai a trovare il tempo per scrivere – quindi non so se questo sia effettivamente il modo giusto di fare, ma spero di sì.
Ringrazio immensamente chi ha recensito il primo capitolo, le vostre parole sono state di enorme conforto. Ringrazio anche i lettori silenziosi, che sono molti di più di quanti mi sarei mai aspettata, e chiunque abbia messo la storia tra le preferite/seguite/ricordate. Lo apprezzo immensamente! Vi mando un abbraccio fortissimo!
A presto!
   
 
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