18.
Ben
lontano dal Vigrond, sole e forse temporaneamente dimenticate dal resto
del
branco, Litha e akhlut combattevano
furiosamente per il predominio.
Ruzzolarono
avvinghiate per diversi metri tra le sterpaglie della radura dove si
trovavano,
mentre Chanel osservava l’intera scena con occhi sgranati e
pieni di terrore.
Non
comprendeva cosa stesse accadendo, né chi fosse la
misteriosa donna che si era
gettata tra lei e il pericolo, pur di difenderla. Sperò
soltanto che fosse
abbastanza forte per difendere se stessa, o non avrebbe sopportato che
un’altra
vita venisse strappata a causa sua.
Lei
aveva insistito con Fergus per quella gita nei boschi.
Lei
aveva insistito per rimanere al riparo degli abeti – invece
di affrontare il
sentiero di ritorno – per paura di venire aggredita da colui
che li aveva
feriti.
Lei non aveva avuto
il coraggio di esternare i propri sentimenti a Fergus, prima che lui
morisse.
Non aveva parlato, era rimasta in silenzio, bloccata dal terrore invece
di
urlargli quanto gli volesse bene, quanto fosse importante per lei.
Erano
stati amici per una vita, si erano sempre spalleggiati in ogni campo
ma, solo
grazie all’arrivo di Liza – e alla gelosia che ne
era seguita – lei aveva
compreso la verità sui propri sentimenti.
E
ora, Fergus non c’era più, dilaniato da
quell’uomo-lupo che le aveva
scoperchiato l’intero mondo, che le aveva dimostrato quanto
leggende e credenze
non fossero solo mere sciocchezze.
Era
stata testimone dell’impossibile e ora, che lei lo volesse o
meno, la sua
esistenza non sarebbe mai più stata la stessa.
Appiattendosi
sul terreno, quindi, osservò le due donne rialzarsi da terra
per fronteggiarsi
nuovamente e, senza più avere la forza di sorprendersi, vide
la donna corvina
illuminarsi come un sole e puntare un dito contro la creatura bionda.
«Potrai
avere anche più anni di me, ma non pensare che io ne sia
intimorita» dichiarò
spavalda Litha, pur non sentendosi affatto sicura di sé.
Quella
donna, quella dea possedeva
più anni
di lei quanto a esperienza nella lotta e nella conoscenza del proprio
nemico.
Quanto a lei, sapeva poco o nulla circa le abilità degli akhlut in battaglia, e tutto
perché aveva delegato a Rohnyn quel
genere di conoscenza.
Durante
i suoi studi nelle senturion,
Rohnyn
l’aveva coperta un sacco di volte, nei test scritti, e questo
le aveva sì
permesso di passarli agevolmente, ma la danneggiava ora, quando ne
aveva più
bisogno.
Maledizione,
ricorda, Litha, ricorda qualcosa di questi maledetti akhlut, disse
tra sé Litha nel tentativo di
spremersi le meningi.
La
donna bionda, nel frattempo, rise della sua intimidazione e
replicò: «Sei
spaventata a morte, invece, figlia di Dana, perché non hai
la più pallida idea
del nemico che hai di fronte.»
Litha
cercò di non mostrare alcun cedimento ma ancora la donna
rise e, tastandosi una
tempia col dito: «Percepisco la tua paura, figlia di Dana.
Dovresti saperlo che
io sono una creatura di terra e di mare e che, le creature di
mare…»
«…possiedono
un sistema sonar molto sviluppato» terminò per lei
Litha, accigliandosi suo
malgrado. «Il tuo sonar percepisce le frequenze interne del
mio corpo
esattamente come facciamo noi fomoriani, giusto?»
«Vedo
che capisci, se le cose ti vengono spiegate»
ironizzò la donna prima di
accigliarsi, volgere lo sguardo verso valle e ringhiare indispettita:
«Quell’idiota…»
Litha
levò le sopracciglia con aria sorpresa e la donna, suo
malgrado, tornò in
posizione rilassata e chiosò: «A quanto pare, il
nostro incontro è rimandato,
figlia di Dana. Tornerò per i miei nuovi figli, quando essi
saranno pronti per
la muta, e allora ci rivedremo.»
Ciò
detto, scomparve letteralmente dall’altura e Litha, con
un’imprecazione, borbottò
dicendo: «Merda! Anche lei hai il sistema a
curvatura!»
In
quel mentre, Lucas giunse sulla vetta del Grizzly Mountain,
lanciò un’occhiata
rapida a Litha e infine si accucciò accanto a una sconvolta
Chanel, esalando:
«Tesoro! Ti senti bene?»
Lei
sobbalzò nell’udire quella voce del tutto
imprevista, pur se conosciuta. Si
volse quindi nella direzione da cui proveniva quel suono e, nel vedere
Lucas – conosceva
il proprietario del campeggio da quando era piccola –
scoppiò in un pianto
dirotto e si gettò tra le sue braccia con il cuore a pezzi.
Litha
sospirò addolorata nell’udire quel pianto e, dopo
aver coperto con la propria
giacca il corpo dilaniato del giovane ormai morto, si
avvicinò alla coppia e
disse sommessamente: «Deve essere successo qualcosa che
l’ha preoccupata,
perché se n’è andata di colpo, ma ha
detto che tornerà per i suoi figli.»
«Charlotte
ci ha mandato un messaggio via radio, in cui confermava la morte
dell’amarok, ma anche il
ferimento di Liza e
Mark. Credo intenda loro, per ‘figli’,
oltre a lei» spiegò Lucas, continuando a carezzare
la schiena tremante di
Chanel.
Nell’udire
quelle parole, la ragazza si scostò appena per squadrare
spaventata Lucas in
volto e, roca, domandò: «Quel… quella
creatura ha ferito anche Liza e Mark?!»
Lucas
assentì grave ma disse: «Sono vivi entrambi, e
Liza ha ucciso colui che ha
dilaniato il tuo amico. E’ stato vendicato. Ma ora, tutti voi
avete bisogno di
cure e… beh, di essere monitorati a vista.»
Chanel
si tastò debolmente la ferita sulla testa, ancora
sanguinante, e mormorò
turbata: «Potrei ammalarmi di qualcosa, vero?»
«Non
di una semplice malattia, temo» ammise spiacente Lucas,
sollevandola
delicatamente tra le braccia.
Chanel
impiegò diversi attimi prima di ricollegare le parole della
donna bionda a
quelle sibilline di Lucas e, iniziando a tremare, esalò:
«Diventerò c-come…
come quell’essere? C-come succede n-nei film?»
«Lei
ne era sicura, perciò immagino di sì, ma noi
vigileremo su di voi e vi
proteggeremo da quella donna» le promise Litha prima di
guardare Lucas e
aggiungere torva: «Ho idea che dovrete spiegarle un sacco di
cose.»
«A
tempo debito. Ora, riportiamola a casa e facciamola curare. Per il
momento, non
possiamo fare di più.»
Ciò
detto, guardò per un istante il corpo di Fergus e Litha,
annuendo, dichiarò:
«Lo trasporterò a valle io. Non lascerò
che qualche creatura selvatica lo
deturpi ulteriormente. I suoi genitori meritano di riaverlo indietro
subito.»
«Grazie»
mormorò Lucas.
«Non
mi devi niente. Anzi, vi devo chiedere scusa perché non sono
arrivata in tempo
per salvarlo. I corvi di Liza mi sono stati utili perché mi
hanno indirizzata
correttamente, ma le manovre dell’amarok
sono
state troppo repentine, e io non ho potuto bloccarlo per tempo. Quanto
a
quell’altra… non so davvero che dire»
sospirò Litha, sollevando con delicatezza
il corpo di Fergus sotto gli occhi pieni di lacrime di Chanel e quelli
turbati
di Lucas.
***
A
differenza dei licantropi, che riprendevano forma umana una volta
morti, l’amarok mantenne
le sembianze di un lupo
e, seppur in modo indiretto, diede la possibilità alla
polizia di assicurare
alla giustizia un colpevole.
La
famiglia McBride ringraziò profusamente Liza per
ciò che aveva fatto – vedere
il cadavere del lupo che aveva ucciso il figlio fu, per loro, di grosso
aiuto –
e il fascicolo aperto su di lei per l’uso di una pistola
venne chiuso nel giro
di ventiquattro ore.
Trattandosi
di un animale, fu Chuck Johnson a redigere il verbale
dell’autopsia; il
veterinario, quindi, non fece che confermare la morte per colpi
d’arma da fuoco,
oltre alle ferite da arma da taglio.
Naturalmente,
non menzionò l’uso dei caricatori ad argento
liquido né, tanto meno, di una
spada dalla lama argentata lunga più di un metro.
Per
evitare problemi o domande scomode, Curtis inviò a casa
Saint Clair un
poliziotto mannaro, che prese nota solo dell’indispensabile
per redigere il
verbale, tralasciando il resto. Ufficialmente, il lupo era morto a
causa dei
colpi sparati dalla pistola regolarmente registrata da Devereux, e Mark
aveva
usato un paio di coltelli per difendere se stesso e Liza.
In
accordo con i poliziotti, venne quindi redatta una dichiarazione
ufficiale di
Liza e Mark, che poi sarebbe stata presentata anche alla stampa.
Ufficialmente,
Mark e Liza avevano incrociato il cammino del lupo quando
quest’ultimo si era
intrufolato sui terreni dei Saint Clair. Nel ritrovarselo dinnanzi,
Liza era
corsa in casa per recuperare l’arma di Devereux dal suo
armadietto – di cui conosceva
la combinazione – e di essere rimasta ferita prima di poter
uccidere il lupo.
Mark
era rimasto a sua volta ferito dal lupo mentre difendeva, con un paio
di
coltelli da cucina, i due corvi di proprietà di Liza, che
erano stati a loro
volta feriti nella colluttazione.
A
tal proposito, il poliziotto mannaro aveva preparato ad arte la scena
del
crimine, sistemando dei resti di interiora di pollo sparse accanto alla
voliera, assieme a una ciotola sporca di sangue e ai due coltelli ‘usati’ da Mark.
Il
tutto era servito per riempire i buchi narrativi riguardanti le
molteplici
ferite visibili sul corpo dell’amarok,
così
da non insospettire la famiglia del ragazzo morto o eventuali
giornalisti
troppo curiosi.
Per
quanto riguardava le ferite dei ragazzi, trattandosi di lesioni da
difesa
causate dagli artigli dell’animale, non vennero eseguiti
esami scientifici di
nessun genere.
Ricoverati
i tre giovani in ospedale, Liza e Chanel vennero sistemate nella stessa
camera,
mentre Mark venne condotto nell’ala riservata agli uomini.
Trattandosi di una
piccola clinica di provincia, a separarli erano di fatto solo pochi
metri di
corridoio.
A
occuparsi di loro pensò il dottor Douglas Cooper, medico
mannaro e collega di
Chuck all’interno del Santuario. Di buona lena, e con
l’aiuto di altri medici e
infermiere, suturò ferite e sistemò garde, oltre
a richiedere ogni possibile
esame del sangue.
In
via ufficiale, ciò si rese necessario per scongiurare
eventuali problemi
infettivi causati dai morsi e dalle artigliate procurate dal lupo. In
via
ufficiosa, per poter inviare tali dati a Brianna, così da
poter essere
coadiuvato per una eventuale diagnosi di contagio da agenti patogeni
sconosciuti.
A
Liza e Mark, una volta che le notizie si rincorsero tra giornali, TV e
radio
locali, toccò la parte degli eroi.
I
successivi due giorni furono per loro colmi di domande, ringraziamenti
e
telefonate e, per tutto il tempo, l’unica cosa che
desiderarono entrambi, fu lo
stare assieme, pur non potendo.
Trattandosi
di un ospedale umano, e non della
clinica di Chuck, non fu concesso loro di vedersi se non quando
entrambi furono
dichiarati fuori pericolo.
Al
quarto giorno di degenza, quindi, armata di stampella e in compagnia di
Chanel,
le due giovani si presentarono all’entrata dell’ala
maschile del reparto e,
accompagnate da un’infermiera, fecero irruzione nella stanza
del giovane.
Trovandolo
in compagnia della madre, Liza sorrise contrita a Diana che,
però, si alzò per
raggiungerla e abbracciarla. Tremante, dopodiché,
mormorò: «Tesoro… ti
ringrazio per quello che hai fatto per lui. Sono felice di vedere che
stai
meglio!»
«Avrebbe
dovuto darmi retta e rimanere in casa» sospirò
Liza, lanciando poi un’occhiata
a Mark, che scrollò appena una spalla, come se la sua
replica non lo toccasse
minimamente.
Diana
si deterse una lacrima dal viso e, dopo aver abbracciato delicatamente
anche
Chanel, chiuse la porta della stanza a doppia mandata e
domandò: «Si è più
saputo niente?»
Liza
sapeva bene a cosa si stesse riferendo, con quella domanda e,
nell’accomodarsi
su una sedia libera al pari di Chanel, mormorò:
«Le analisi del sangue sono
normali, ma di questo non mi stupisco affatto. Anche per i licantropi
è così.
Quando sono in forma umana, il loro sangue non è differente
da quello di
qualsiasi altra persona.Può darsi che neppure il DNA
dell’amarok sia visibile
con tecniche tradizionali.»
Chanel
rabbrividì a quell’accenno, ma Liza
preferì non indorarle la pillola. Aveva
dovuto raccontarle la verità su ogni cosa, visto
ciò che avrebbe potuto diventare
e, pur sentendola piangere spesso nell’oscurità
della stanza d’ospedale,
l’aveva anche vista accettare per buona ogni sua parola.
Ciò
che aveva visto le era bastato per credere a qualsiasi spiegazione.
Quello di
cui aveva realmente timore Chanel e, in massima parte, anche Mark e
Liza, era
scoprire se sarebbero davvero
divenuti
amarok, e come si sarebbero
comportati una volta divenuti tali.
Non
era tanto l’idea di prendere sembianze di lupo a turbarli,
quanto il pensiero
di dover essere costretti a predare umani per sopravvivere, ed essere
costretti
a vivere alle dirette dipendenze di un akhlut.
Da
quello che Lucas aveva detto loro, il DNA dell’amarok
era attivo in tutti e tre loro. L’odore del loro sangue,
infatti, era già cambiato, il che poteva voler dire una cosa
sola; sarebbero
mutati.
Anche
Liza, pur se neutra. Restava solo da capire quando
e in che modo.
Sospirando,
Liza aggiunse dopo alcuni attimi di turbato silenzio: «Stiamo
svolgendo
indagini più approfondite sugli akhlut,
ma ci vorrà ancora qualche giorno per giungere a qualcosa di
più concreto. Se
comunque, come sospettiamo, la nostra mutazione avverrà solo
con il cambio
della luna, abbiamo ancora dieci giorni per capire cosa
accadrà a ognuno di
noi.»
«Ma…
il tuo essere… diversa,
non ti mette
al sicuro da un cambiamento?» domandò Chanel,
stringendosi le braccia al petto
e rabbrividendo subito dopo.
Scrollando
impotente le spalle, Liza replicò: «Io sono immune
al DNA dei licantropi, ma l’amarok
non è un licantropo di stirpe
norrena, ma inuit e, da quel che ha
detto il mio capoclan, anche il mio odore è cambiato, non
soltanto il vostro.»
Chanel
assentì prima di guardare Mark, accennare un sorriso e
ammettere: «Non avertene
a male, Mark, ma vorrei che mutasse anche lei. Mi sentirei
più tranquilla, a
sapere di avere un’altra femmina come me, al
fianco.»
Il
giovane annuì, per nulla irritato da quel commento e,
sorridendole comprensivo,
asserì: «Credimi, Chanel, non mi sento per nulla
offeso. Anzi, Liza è quella –
di noi – più addentro all’argomento lupi
perciò, anche se le apparirò un egoista nel
dirlo, desidero anch’io che diventi
una lupa al pari nostro.»
Liza
allungò entrambe le mani per stringere quelle degli amici e,
sorridendo mesta,
ammise: «Se può esservi di consolazione, desidero
a mia volta diventare un
lupo, anche se per un motivo assai meschino. Questa cosa del non poter
essere
un licantropo, ma solo un Geri, mi pesava. Ora, però, vorrei
essere sicura di
non dover mangiare carne umana, per vivere e, finché i
nostri amici
intellettuali non finiranno di consultare i libri che ci hanno portato
da Mag
Mell, non ne sapremo un bel nulla, del nostro futuro.»
Diana
sorrise al trio di giovani cercando di non piangere – stavano
dimostrando una
forza d’animo non da poco, e lei voleva essere al pari loro
– e, con un tono
che sperò essere fermo e deciso, disse: «Io vi
aiuterò in tutti i modi
possibili e, se vorrai dire la verità ai tuoi genitori,
Chanel, io sarò
presente per aiutarli ad accettare questo cambiamento.»
Chanel
la ringraziò con un sorriso, ma replicò:
«Per ora, preferisco essere la sola ad
affrontare la cosa. Quando ne sapremo di più, ci
penserò. Ma ti ringrazio,
Diana.»
Mark,
a quel punto, tornò a guardare la madre e
domandò: «Papà come sta?»
Diana
non poté dargli buone notizie, purtroppo. Reclinando il
viso, lei sospirò e
ammise: «Non accetta la cosa in alcun modo. Non sopporta
l’idea che tu possa
diventare come l’essere che mi ha ferita e ha ucciso suo
fratello, e niente di
quanto gli ho detto sembra averlo convinto a cambiare
opinione.»
Il
giovane sospirò deluso e Liza, nell’alzarsi dalla
sedia, lo abbracciò e si
accomodò sul bordo del letto per stargli il più
vicino possibile.
Anche
Chanel la imitò e, nel sedersi sul letto dal lato opposto,
strinse una mano a
Mark a mo’ di sostegno emotivo mentre Diana aggiungeva:
«Gli parlerò ancora, te
lo prometto. Riuscirò a convincerlo che tu non hai colpa
alcuna, in questa
faccenda, e che non meriti il suo biasimo.»
Mark
si limitò ad annuire e la madre, dopo un ultimo saluto,
riaprì la porta e uscì
dalla stanza per lasciarli soli.
Liza,
a quel punto, lo fissò malamente e borbottò:
«Se avessi seguito le mie
direttive, ora non ti troveresti in questo casino.»
«Davvero
pensavi che ti avrei lasciata là fuori da sola, dopo averti
vista sanguinante,
e a terra, in balia di quel mostro?» la irrise lui, dandole
un colpetto alla
fronte con un dito.
Lei
sbuffò ancora ma Chanel, sorridendo all’amica,
replicò: «Devi capirlo, Liza. Al
cuor non si comanda.»
«Sarà
anche vero, ma…» tentennò Liza, prima
di spalancare allibita la bocca quando vide
comparire, sullo specchio della porta, la figura di sua madre.
E
dire che si era raccomandata di non venire!
Rachel
Wallace scrutò il trio di ragazzi per alcuni attimi prima di
scoppiare a
piangere e raggiungere Liza a braccia aperte.
«Oh,
tesoro! Non ho resistito e sono dovuta venire ugualmente!»
esalò la donna,
stringendo con forza la figlia per poi baciarla più volte
sul capo.
«Guarda,
mamma… non l’avevo capito»
cercò di ironizzare Liza mentre Chanel e Mark
osservavano l’intera scena con aria comprensiva.
Carezzandole
più e più volte il viso dopo essersi scostata da
lei, Rachel lanciò poi uno
sguardo a Mark e, sorridendogli grata, mormorò:
«Iris mi ha raccontato ciò che
hai tentato di fare. Non sai quanto la cosa mi renda orgogliosa di te,
caro.»
«Ho
fatto ben poco, oltre a farmi affettare» si
denigrò il giovane.
«Oh,
no, mio caro! Hai rischiato la vita per la mia bambina, e niente
sarà mai
abbastanza, per ripagarti» replicò la donna,
chinandosi per dargli un bacio
sulla fronte e farlo così avvampare d’imbarazzo.
Fatto
ciò, Rachel si avventurò dalla parte del letto
dove si trovava Chanel e,
abbracciata delicatamente anche lei, mormorò:
«Tesoro… mi hanno raccontato ogni
cosa. Non immagino neppure quanto tu possa sentirti male, ma sappi che
non devi
sentirti affatto in colpa. Le uniche colpe sono da imputare a
quell’essere, non
certo a te.»
«Grazie,
signora Wallace» sussurrò Chanel, lasciandosi
cullare dalla dolcezza della
madre di Liza.
«Solo
Rachel, per voi, ragazzi. Solo Rachel» replicò la
donna dando un’ultima stretta
a Chanel prima di aggiungere per Liza: «Tuo padre e Helen non
sono potuti
venire, ma ti chiameranno via chat stasera. Io mi fermerò
finché non sapremo
qualcosa di più, va bene?»
«D’accordo,
ma non c’era davvero bisogno che ti sobbarcassi un altro
viaggio per me» le
ricordò Liza pur apprezzando la sua presenza a Clearwater.
Che
le piacesse o meno ammetterlo, saperla lì le dava un
coraggio che, fino a quel
momento, non aveva affatto provato. Dopotutto, la mamma era sempre la
mamma.
Rachel
si limitò a esporre un gran sorriso, chiosando:
«Sei mia figlia, e hai bisogno
di me. Punto.»
***
Chiedere
l’aiuto di Krilash e Stetha, oltre che di Rohnyn, si era
rivelato
indispensabile. Non soltanto, i libri che riguardavano gli akhlut si trovavano tutti a Mag Mell, e
perciò i fratelli maggiori
erano stati indispensabili per reperirli, ma l’inimitabile
capacità di studio
di Rohnyn era basilare per poter terminare il lavoro in tempi utili.
Per
quel motivo, Litha si era assentata temporaneamente da Clearwater per
raggiungere le sponde dell’Atlantico e lì, dopo
aver richiesto la presenza dei
fratelli maggiori, aveva chiesto loro aiuto per recuperare i tomi
necessari per
le sue ricerche.
Dopo
essersi occupata di quello, aveva quindi chiamato Rohnyn, mettendolo al
corrente del fallimento della sua missione e della necessità
di averlo a
Clearwater per poter studiare i tomi assieme a lui.
Naturalmente,
Rohnyn aveva accettato così, grazie all’aiuto di
Rey e mediante lo stesso
passaggio utilizzato da Litha, Iris e Dev, era giunto nel Nuovo Mondo.
Lì, la
sorella era giunta per dargli un passaggio supplementare fino alla
cittadina
canadese e, da quel momento, era stato ospite dei Saint Clair al pari
di Litha.
Dopo
quattro giorni di intensi studi e altrettanti fallimenti, Litha
però cominciava
a dubitare che vi fosse una soluzione per il loro caso.
Sospirando
quando gettò sul divano l’ennesimo tomo dalla
copertina sbiadita, Litha ringhiò
irritata un’imprecazione e disse: «E’ mai
possibile che in nessuno di questi
libri ci sia qualcosa di utile?»
Rohnyn
levò il capo dal libro che stava consultando e, serafico,
replicò: «Non credo
che esista un’agenda intitolata ‘I
10
modi in cui essere un bravo amarok’,
ti
pare?»
Litha
gli fece la lingua mentre Iris, nel consegnare loro una bevanda calda,
asseriva: «Se fossero leggibili anche per noi, vi avrei dato
volentieri una
mano, ma non conosco il fomoriano. Mi spiace.»
«Ah,
non è colpa tua, Iris… il problema sono la
quantità di notizie inutili che ci
sono qui dentro. I fomoriani sono famosi per essere prolissi, ma qui si
esagera. Venti capitoli soltanto per dire che gli akhlut
vivono fino a ventimila anni! In pratica, un capitolo a
millennio!» sbottò Litha, levandosi in piedi per
sgranchirsi la schiena.
In
realtà, non sentiva dolore da nessuna parte, era
innanzitutto un’abitudine,
quella di stiracchiarsi. Più che altro, era il nervosismo a
renderla incapace
di stare ferma come, invece, stava riuscendo egregiamente a fare il
fratello.
Lui
era uno studioso nato, non c’era nulla da fare, e il fatto
che suo padre
adottivo non lo avesse mai compreso appieno, la infastidiva ancora
adesso.
Iris,
nel frattempo, sorrise a un’irritata Litha e disse:
«Ricordo bene quando giunsi
qui, dopo due anni di vane ricerche, e incontrai Lucas. Pensai di aver
trovato
una miniera di informazioni, ma in realtà neppure lui
conosceva nulla del
proprio passato genealogico, così passammo un sacco di tempo
a cercare, e
cercare, e il più delle volte erano craniate contro il muro,
piuttosto che
risultati veri e propri. Ci è voluto tempo, ma alla fine ci
siamo riusciti.»
«Già,
ma stavolta abbiamo solo otto giorni – non voglio arrivare
scannata all’arrivo
– e, se mio fratello non avrà la classica fortuna
del principiante…» borbottò
Litha, guadagnandosi un dito medio da parte del fratello, ancora
intento a
leggere. «…non so davvero dove andremo a
finire.»
«Non
replico alle tue offese solo perché sono orgoglioso di te,
sorella…» dichiarò a
un certo punto Rohnyn, attirando l’attenzione delle due donne
presenti in sala.
«Cos’hai
scoperto?!» esclamò Litha, raggiungendolo in un
paio di passi.
Iris
si accodò a lei e, nell’osservare le pagine
incomprensibili del tomo appena
letto da Rohnyn, si chiese cosa vi avesse trovato di interessante.
«Non
scaldarti tanto. Ho solo trovato notizie su akhlut,
ma riguardano ciò che già sapevi, e
cioè che riesce a ottenere energia a
sazietà solo nel suo nido mentre, per il resto del tempo,
può solo sopravvivere
con ciò di cui riesce a cibarsi.»
Sbuffando,
Litha intrecciò le braccia sotto i seni e
ringhiò: «Sono cose che già sappiamo,
grazie.»
«Quel
che forse non sai è che gli amarok
furono creati da Qiugyat, chiamata
anche l’Aurora Insanguinata. Non sono creature nate da akhlut.»
«Quindi…
non è akhlut a
comandarli?» esalò
sorpresa Litha.
«Stando
al libro, gli akhlut si approfittarono dei figli
di Qiugyat quando
quest’ultima perse potere
sugli uomini e divenne immateriale. Gli akhlut
che, infatti, non necessitano delle preghiere delle persone
per
sopravvivere in forma umana perché, di fatto, sono mortali,
pur se potentissimi
e con un’aspettativa di vita simile – se non
superiore – a quella dei fomoriani.
In quanto entità senza corpo, Qiugyat
divenne
soltanto l’Aurora del Nord che tutti noi conosciamo, mentre gli akhlut presero
il
sopravvento sugli amarok tramite
un
patto di sangue, e questi ultimi si
tramutarono nei loro fedeli servitori.»
Ciò
detto, si grattò pensieroso la nuca, continuando a leggere
qualche altra riga
prima di aggiungere: «Stando a questo scritto, sono solo gli akhlut ad avere la necessità
di tornare
sempre al nido per cibarsi dell’energia degli amarok,
mentre questi ultimi non sono affatto legati alle terre del
nord.»
Ciò
detto, inarcò un momento il sopracciglio e indicò
un pezzo del brano appena
letto per poi aggiungere: «Se vuoi sbellicarti dalle risate,
la scoperta fu
fatta da Muath, circa settemila anni fa. Era incuriosita da quegli
strani lupi
che si accoppiavano con gli akhlut,
e
così iniziò a seguirli per scoprirne i
segreti.»
«Quella
vacca» sbottò Litha mentre Iris sgranava gli occhi
nell’udire quella parola
tutt’altro che elegante.
Rohnyn
sorrise spiacente alla loro ospite e le disse a mo’ di
spiegazione: «Muath è
mia madre e, tra le altre cose, sua madre adottiva. Non si sono
lasciate
benissimo, quando Muath azzerò il potere della rihall di Litha, così il solo
sentirla nominare la fa smoccolare.»
Iris
sbatté le palpebre con espressione sconcertata ed
esalò: «Mi domando cosa
direbbe di lei, se si fossero lasciate andare a strilla e lanci di
piatti come
in alcune famiglie.»
«Non
lo hanno fatto solo perché si sentono troppo superiori per
abbassarsi a simili
scenate» ironizzò Rohnyn, trovandosi addosso gli
occhi gelidi di Litha.
«Questo
comunque non ci aiuta, Rohnyn… dobbiamo scoprire come
spezzare il legame tra amarok e akhlut o, al ritorno di quella stronza,
non saprò cosa fare»
brontolò la dea, avviandosi quindi verso l’esterno
della casa con espressione
contrariata.
Né
Iris né Rohnyn tentarono in alcun modo di fermarla e il
fratello, non appena
vide la sorella camminare nervosamente nei pressi della piccola quercia
del
Vigrond, l’espressione tesa e insoddisfatta,
sospirò e disse: «Litha è sempre
stata una donna d’azione, che risolveva con i fatti
– e non con le parole – ciò
che la infastidiva. Era l’orgoglio dell’esercito
fomoriano, mai paga di
battaglie quanto di vittorie. Il fatto che ora sia così
turbata da questa akhlut, la dice
lunga su quanto il loro
incontro le abbia messo una strizza del diavolo addosso.»
«Speravo
di raggiungerla in tempo per poterle dare una mano con i miei poteri di
lændvettir, ma niente
andò per il verso
giusto, quel giorno. Forse, se fossi stata presente, in due avremmo
potuto
ucciderla o, quanto meno, fermarla» sospirò Iris,
irritata con se stessa.
Niente
era andato bene, in quella terribile giornata di vane ricerche e
ritardi
inaccettabili, e Liza era stata costretta a difendere il Vigrond pur
essendo
solo un’umana contro un sanguinario amarok.
Certo, la sua spada si era infine rivelata l’unica arma utile
allo scopo, anche
se l’argento liquido aveva aiutato a rallentare un poco il
lupo, rendendole
possibile non essere uccisa.
Ugualmente,
però, Iris si sentiva in colpa per non aver potuto
proteggerla.
Zio
Richard non le aveva imputato nulla, si era solo dichiarato dispiaciuto
e
addolorato per la morte dell’amico di Liza. Con lei, si era
limitato a
rincuorarla e a ricordarle di non farsi carico dei problemi del mondo,
ma Iris
si era comunque sentita in colpa.
Dopotutto,
Liza era sotto la sua custodia, e lei aveva rischiato di morire.
Anche
zia Rachel si era limitata ad abbracciarla e a chiederle come si
sentisse,
desiderando poi conoscere nei minimi dettagli cosa fosse successo e
come si
fosse arrivati all’assassinio dell’amarok.
Non
aveva ceduto neppure di fronte alle parti più macabre del
racconto e, pur
avendo avuto bisogno di qualche fazzoletto, era rimasta ferma e
incrollabile.
Iris non aveva potuto che rivedere in lei la forza del padre, che di
Rachel era
stato il fratello maggiore.
Pur
se in modo differente, i due fratelli Walsh si somigliavano; entrambi
avrebbero
dato tutto, per la famiglia.
«Accettando
la vita della figlia, hanno preso atto anche dei potenziali pericoli a
cui
poteva incorrere» dichiarò dopo qualche attimo di
silenzio Rohnyn, sorridendole
comprensivo e strappandola ai suoi pensieri errabondi.
«Si
vedeva lontano un miglio che stavo pensando a Liza, vero?»
ironizzò Iris,
passandosi nervosamente una mano tra i capelli.
Annuendo,
Rohnyn ammise cupo: «Per anni mi isolai dai miei fratelli e
da mia sorella,
convinto com’ero di dover sopportare da solo la perdita della
mia prima moglie.
Fu Sherry a farmi capire che soffrire da soli non serviva a nulla, e
che le
famiglie che si vogliono bene ci sono anche e soprattutto quando
abbiamo
bisogno di una spalla a cui aggrapparci. La tua famiglia ti sostiene,
così come
sostiene Liza nel suo nuovo ruolo di Geri e sa che, quanto
potrà succedere
all’una o all’altra, dipenderà ben
difficilmente da un vostro demerito quanto,
piuttosto, dalla vita stessa e dai suoi continui tranelli.»
«A
cosa serve, però, tanto potere, se non posso proteggere chi
amo?» sospirò Iris,
allargando impotente le braccia.
Rohnyn
allora indicò con un cenno del capo la sorella che,
solitaria e affranta,
osservava il cielo come se potesse contenere i segreti
dell’universo.
«Lei
si sta ponendo gli stessi dilemmi e si colpevolizza per non essersi
diretta
prima verso Grizzly Mountain, …neanche vi fosse stata una
bandiera di avviso
che lei non ha visto. Ci basiamo sempre sulle scelte, e possono andare
bene
come male. Fortunatamente, gli occhi dei corvi di Liza
l’hanno indirizzata alla
montagna prima che uccidessero anche Chanel, ma questo non le
basta.»
«La
capisco più che bene. Se fossimo stati più
veloci, Liza non si sarebbe ferita,
e Mark con lei» sospirò Iris con aria abbattuta.
«Come
dicevo prima, contro il Destino si può fare poco, e noi non
conosciamo appieno
il disegno delle Menti Superiori che hanno intessuto le nostre vite.
Possiamo
tentare di condizionare il nostro futuro ma, in merito a certi punti
fermi, non
avremo mai speranza di cambiarli» asserì laconico
Rohnyn, lanciando un’altra
occhiata preoccupata alla sorella. «Io ero immortale, e
possedevo conoscenze in
moltissimi campi, eppure non potei salvare la mia prima moglie.
E’ una cosa che
ormai ho accettato e, presto o tardi, dovrete farlo anche voi. Non
siete
infallibili, ma non è un vostro demerito.»
Iris
annuì debolmente, lo sguardo puntato su Litha e sulle
lacrime che stavano
solcando il suo viso. Per quanto volesse apparire forte e determinata,
la morte
di Fergus l’aveva colpita nel profondo.
L’idea
di non essere giunta in tempo per salvarlo, nonostante tutti i suoi
poteri, la
stava facendo sentire debole e sciocca. Esattamente come si sentiva
Iris in
quel momento.
«Poiché
siete entrambe donne forti, sono sicuro che giungerete a una
risoluzione dei
vostri drammi interiori. Ora, però, entrambe avete bisogno
di staccare un
attimo, o impazzirete. Corri nel bosco, Iris, e porta con te Litha.
Dovete
svuotare la mente, per essere pronte per ciò che
verrà» dichiarò convinto il
fomoriano, tornando a leggere il pesante tomo.
Non
potendo fare altro se non aspettare e pazientare, Iris prese per buone
le
parole del fomoriano e, dopo essere uscita da casa e aver raggiunto
Litha, mutò
in lupo. Assieme alla dea, quindi, corsero verso il cuore della foresta
per
staccare da tutto e da tutti.
Finché
Rohnyn non avesse trovato la chiave del mistero legato agli amarok, era inutile restare in casa e
dargli il tormento. Tanto valeva che si sfogassero un po’.
N.d.A.: Sorpresona sorpresona, anche Liza sta per diventare un amarok, nonostante - come neutra - non possa essere una licantropa? A quanto pare, tutti se sono convinti, anche se lei non è del tutto sicura che possa succedere. Inoltre, c'è un altro piccolissimo problema... che amarok saranno, i ragazzi? Avranno le stesse tendenze omicide del lupo di akhlut? Rohnin deve sbrigarsi a trovare qualche risposta, o qualcuno potrebbe avere un esaurimento nervoso prima del tempo.