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Autore: Mary P_Stark    21/12/2020    2 recensioni
Liza Wallace è la nuova Geri del branco di Clearwater e, a discapito della sua giovane età, dimostra fin da subito di avere un potenziale enorme; il rapporto davvero unico con i suoi Huginn e Muninn, i magici corvi al servizio del Sicario Umano del branco colpisce fin dall'inizio l'intero branco. Questo suo potenziale verrà subito messo alla prova quando, a sorpresa, giungerà a Clearwater una famiglia proveniente da New York. I Sullivan sembrano una famiglia normale, almeno all'apparenza, ma il figlio Mark e suo padre Donovan metteranno in allarme il branco a causa del loro comportamento sospetto. Saranno dei temuti Cacciatori, o qualcun altro si cela nell'ombra, più pericolo e subdolo, tentando di portare lo scompiglio nel branco di Lucas, Devereux e Iris? (particolari della storia presenti nei racconti precedenti della Trilogia della Luna)
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'TRILOGIA DELLA LUNA'
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18.

 

 

 

 

Ben lontano dal Vigrond, sole e forse temporaneamente dimenticate dal resto del branco, Litha e akhlut combattevano furiosamente per il predominio.

Ruzzolarono avvinghiate per diversi metri tra le sterpaglie della radura dove si trovavano, mentre Chanel osservava l’intera scena con occhi sgranati e pieni di terrore.

Non comprendeva cosa stesse accadendo, né chi fosse la misteriosa donna che si era gettata tra lei e il pericolo, pur di difenderla. Sperò soltanto che fosse abbastanza forte per difendere se stessa, o non avrebbe sopportato che un’altra vita venisse strappata a causa sua.

Lei aveva insistito con Fergus per quella gita nei boschi.

Lei aveva insistito per rimanere al riparo degli abeti – invece di affrontare il sentiero di ritorno – per paura di venire aggredita da colui che li aveva feriti.

Lei non aveva avuto il coraggio di esternare i propri sentimenti a Fergus, prima che lui morisse. Non aveva parlato, era rimasta in silenzio, bloccata dal terrore invece di urlargli quanto gli volesse bene, quanto fosse importante per lei.

Erano stati amici per una vita, si erano sempre spalleggiati in ogni campo ma, solo grazie all’arrivo di Liza – e alla gelosia che ne era seguita – lei aveva compreso la verità sui propri sentimenti.

E ora, Fergus non c’era più, dilaniato da quell’uomo-lupo che le aveva scoperchiato l’intero mondo, che le aveva dimostrato quanto leggende e credenze non fossero solo mere sciocchezze.

Era stata testimone dell’impossibile e ora, che lei lo volesse o meno, la sua esistenza non sarebbe mai più stata la stessa.

Appiattendosi sul terreno, quindi, osservò le due donne rialzarsi da terra per fronteggiarsi nuovamente e, senza più avere la forza di sorprendersi, vide la donna corvina illuminarsi come un sole e puntare un dito contro la creatura bionda.

«Potrai avere anche più anni di me, ma non pensare che io ne sia intimorita» dichiarò spavalda Litha, pur non sentendosi affatto sicura di sé.

Quella donna, quella dea possedeva più anni di lei quanto a esperienza nella lotta e nella conoscenza del proprio nemico. Quanto a lei, sapeva poco o nulla circa le abilità degli akhlut in battaglia, e tutto perché aveva delegato a Rohnyn quel genere di conoscenza.

Durante i suoi studi nelle senturion, Rohnyn l’aveva coperta un sacco di volte, nei test scritti, e questo le aveva sì permesso di passarli agevolmente, ma la danneggiava ora, quando ne aveva più bisogno.

Maledizione, ricorda, Litha, ricorda qualcosa di questi maledetti akhlut, disse tra sé Litha nel tentativo di spremersi le meningi.

La donna bionda, nel frattempo, rise della sua intimidazione e replicò: «Sei spaventata a morte, invece, figlia di Dana, perché non hai la più pallida idea del nemico che hai di fronte.»

Litha cercò di non mostrare alcun cedimento ma ancora la donna rise e, tastandosi una tempia col dito: «Percepisco la tua paura, figlia di Dana. Dovresti saperlo che io sono una creatura di terra e di mare e che, le creature di mare…»

«…possiedono un sistema sonar molto sviluppato» terminò per lei Litha, accigliandosi suo malgrado. «Il tuo sonar percepisce le frequenze interne del mio corpo esattamente come facciamo noi fomoriani, giusto?»

«Vedo che capisci, se le cose ti vengono spiegate» ironizzò la donna prima di accigliarsi, volgere lo sguardo verso valle e ringhiare indispettita: «Quell’idiota…»

Litha levò le sopracciglia con aria sorpresa e la donna, suo malgrado, tornò in posizione rilassata e chiosò: «A quanto pare, il nostro incontro è rimandato, figlia di Dana. Tornerò per i miei nuovi figli, quando essi saranno pronti per la muta, e allora ci rivedremo.»

Ciò detto, scomparve letteralmente dall’altura e Litha, con un’imprecazione, borbottò dicendo: «Merda! Anche lei hai il sistema a curvatura!»

In quel mentre, Lucas giunse sulla vetta del Grizzly Mountain, lanciò un’occhiata rapida a Litha e infine si accucciò accanto a una sconvolta Chanel, esalando: «Tesoro! Ti senti bene?»

Lei sobbalzò nell’udire quella voce del tutto imprevista, pur se conosciuta. Si volse quindi nella direzione da cui proveniva quel suono e, nel vedere Lucas – conosceva il proprietario del campeggio da quando era piccola – scoppiò in un pianto dirotto e si gettò tra le sue braccia con il cuore a pezzi.

Litha sospirò addolorata nell’udire quel pianto e, dopo aver coperto con la propria giacca il corpo dilaniato del giovane ormai morto, si avvicinò alla coppia e disse sommessamente: «Deve essere successo qualcosa che l’ha preoccupata, perché se n’è andata di colpo, ma ha detto che tornerà per i suoi figli

«Charlotte ci ha mandato un messaggio via radio, in cui confermava la morte dell’amarok, ma anche il ferimento di Liza e Mark. Credo intenda loro, per ‘figli’, oltre a lei» spiegò Lucas, continuando a carezzare la schiena tremante di Chanel.

Nell’udire quelle parole, la ragazza si scostò appena per squadrare spaventata Lucas in volto e, roca, domandò: «Quel… quella creatura ha ferito anche Liza e Mark?!»

Lucas assentì grave ma disse: «Sono vivi entrambi, e Liza ha ucciso colui che ha dilaniato il tuo amico. E’ stato vendicato. Ma ora, tutti voi avete bisogno di cure e… beh, di essere monitorati a vista.»

Chanel si tastò debolmente la ferita sulla testa, ancora sanguinante, e mormorò turbata: «Potrei ammalarmi di qualcosa, vero?»

«Non di una semplice malattia, temo» ammise spiacente Lucas, sollevandola delicatamente tra le braccia.

Chanel impiegò diversi attimi prima di ricollegare le parole della donna bionda a quelle sibilline di Lucas e, iniziando a tremare, esalò: «Diventerò c-come… come quell’essere? C-come succede n-nei film?»

«Lei ne era sicura, perciò immagino di sì, ma noi vigileremo su di voi e vi proteggeremo da quella donna» le promise Litha prima di guardare Lucas e aggiungere torva: «Ho idea che dovrete spiegarle un sacco di cose.»

«A tempo debito. Ora, riportiamola a casa e facciamola curare. Per il momento, non possiamo fare di più.»

Ciò detto, guardò per un istante il corpo di Fergus e Litha, annuendo, dichiarò: «Lo trasporterò a valle io. Non lascerò che qualche creatura selvatica lo deturpi ulteriormente. I suoi genitori meritano di riaverlo indietro subito.»

«Grazie» mormorò Lucas.

«Non mi devi niente. Anzi, vi devo chiedere scusa perché non sono arrivata in tempo per salvarlo. I corvi di Liza mi sono stati utili perché mi hanno indirizzata correttamente, ma le manovre dell’amarok sono state troppo repentine, e io non ho potuto bloccarlo per tempo. Quanto a quell’altra… non so davvero che dire» sospirò Litha, sollevando con delicatezza il corpo di Fergus sotto gli occhi pieni di lacrime di Chanel e quelli turbati di Lucas.

***

A differenza dei licantropi, che riprendevano forma umana una volta morti, l’amarok mantenne le sembianze di un lupo e, seppur in modo indiretto, diede la possibilità alla polizia di assicurare alla giustizia un colpevole.

La famiglia McBride ringraziò profusamente Liza per ciò che aveva fatto – vedere il cadavere del lupo che aveva ucciso il figlio fu, per loro, di grosso aiuto – e il fascicolo aperto su di lei per l’uso di una pistola venne chiuso nel giro di ventiquattro ore.

Trattandosi di un animale, fu Chuck Johnson a redigere il verbale dell’autopsia; il veterinario, quindi, non fece che confermare la morte per colpi d’arma da fuoco, oltre alle ferite da arma da taglio.

Naturalmente, non menzionò l’uso dei caricatori ad argento liquido né, tanto meno, di una spada dalla lama argentata lunga più di un metro.

Per evitare problemi o domande scomode, Curtis inviò a casa Saint Clair un poliziotto mannaro, che prese nota solo dell’indispensabile per redigere il verbale, tralasciando il resto. Ufficialmente, il lupo era morto a causa dei colpi sparati dalla pistola regolarmente registrata da Devereux, e Mark aveva usato un paio di coltelli per difendere se stesso e Liza.

In accordo con i poliziotti, venne quindi redatta una dichiarazione ufficiale di Liza e Mark, che poi sarebbe stata presentata anche alla stampa.

Ufficialmente, Mark e Liza avevano incrociato il cammino del lupo quando quest’ultimo si era intrufolato sui terreni dei Saint Clair. Nel ritrovarselo dinnanzi, Liza era corsa in casa per recuperare l’arma di Devereux dal suo armadietto – di cui conosceva la combinazione – e di essere rimasta ferita prima di poter uccidere il lupo.

Mark era rimasto a sua volta ferito dal lupo mentre difendeva, con un paio di coltelli da cucina, i due corvi di proprietà di Liza, che erano stati a loro volta feriti nella colluttazione.

A tal proposito, il poliziotto mannaro aveva preparato ad arte la scena del crimine, sistemando dei resti di interiora di pollo sparse accanto alla voliera, assieme a una ciotola sporca di sangue e ai due coltelli ‘usati’ da Mark.

Il tutto era servito per riempire i buchi narrativi riguardanti le molteplici ferite visibili sul corpo dell’amarok, così da non insospettire la famiglia del ragazzo morto o eventuali giornalisti troppo curiosi.

Per quanto riguardava le ferite dei ragazzi, trattandosi di lesioni da difesa causate dagli artigli dell’animale, non vennero eseguiti esami scientifici di nessun genere.

Ricoverati i tre giovani in ospedale, Liza e Chanel vennero sistemate nella stessa camera, mentre Mark venne condotto nell’ala riservata agli uomini. Trattandosi di una piccola clinica di provincia, a separarli erano di fatto solo pochi metri di corridoio.

A occuparsi di loro pensò il dottor Douglas Cooper, medico mannaro e collega di Chuck all’interno del Santuario. Di buona lena, e con l’aiuto di altri medici e infermiere, suturò ferite e sistemò garde, oltre a richiedere ogni possibile esame del sangue.

In via ufficiale, ciò si rese necessario per scongiurare eventuali problemi infettivi causati dai morsi e dalle artigliate procurate dal lupo. In via ufficiosa, per poter inviare tali dati a Brianna, così da poter essere coadiuvato per una eventuale diagnosi di contagio da agenti patogeni sconosciuti.

A Liza e Mark, una volta che le notizie si rincorsero tra giornali, TV e radio locali, toccò la parte degli eroi.

I successivi due giorni furono per loro colmi di domande, ringraziamenti e telefonate e, per tutto il tempo, l’unica cosa che desiderarono entrambi, fu lo stare assieme, pur non potendo.

Trattandosi di un ospedale umano, e non della clinica di Chuck, non fu concesso loro di vedersi se non quando entrambi furono dichiarati fuori pericolo.

Al quarto giorno di degenza, quindi, armata di stampella e in compagnia di Chanel, le due giovani si presentarono all’entrata dell’ala maschile del reparto e, accompagnate da un’infermiera, fecero irruzione nella stanza del giovane.

Trovandolo in compagnia della madre, Liza sorrise contrita a Diana che, però, si alzò per raggiungerla e abbracciarla. Tremante, dopodiché, mormorò: «Tesoro… ti ringrazio per quello che hai fatto per lui. Sono felice di vedere che stai meglio!»

«Avrebbe dovuto darmi retta e rimanere in casa» sospirò Liza, lanciando poi un’occhiata a Mark, che scrollò appena una spalla, come se la sua replica non lo toccasse minimamente.

Diana si deterse una lacrima dal viso e, dopo aver abbracciato delicatamente anche Chanel, chiuse la porta della stanza a doppia mandata e domandò: «Si è più saputo niente?»

Liza sapeva bene a cosa si stesse riferendo, con quella domanda e, nell’accomodarsi su una sedia libera al pari di Chanel, mormorò: «Le analisi del sangue sono normali, ma di questo non mi stupisco affatto. Anche per i licantropi è così. Quando sono in forma umana, il loro sangue non è differente da quello di qualsiasi altra persona.Può darsi che neppure il DNA dell’amarok sia visibile con tecniche tradizionali.»

Chanel rabbrividì a quell’accenno, ma Liza preferì non indorarle la pillola. Aveva dovuto raccontarle la verità su ogni cosa, visto ciò che avrebbe potuto diventare e, pur sentendola piangere spesso nell’oscurità della stanza d’ospedale, l’aveva anche vista accettare per buona ogni sua parola.

Ciò che aveva visto le era bastato per credere a qualsiasi spiegazione. Quello di cui aveva realmente timore Chanel e, in massima parte, anche Mark e Liza, era scoprire se sarebbero davvero divenuti amarok, e come si sarebbero comportati una volta divenuti tali.

Non era tanto l’idea di prendere sembianze di lupo a turbarli, quanto il pensiero di dover essere costretti a predare umani per sopravvivere, ed essere costretti a vivere alle dirette dipendenze di un akhlut.

Da quello che Lucas aveva detto loro, il DNA dell’amarok era attivo in tutti e tre loro. L’odore del loro sangue, infatti, era già cambiato, il che poteva voler dire una cosa sola; sarebbero mutati.

Anche Liza, pur se neutra. Restava solo da capire quando e in che modo.

Sospirando, Liza aggiunse dopo alcuni attimi di turbato silenzio: «Stiamo svolgendo indagini più approfondite sugli akhlut, ma ci vorrà ancora qualche giorno per giungere a qualcosa di più concreto. Se comunque, come sospettiamo, la nostra mutazione avverrà solo con il cambio della luna, abbiamo ancora dieci giorni per capire cosa accadrà a ognuno di noi.»

«Ma… il tuo essere… diversa, non ti mette al sicuro da un cambiamento?» domandò Chanel, stringendosi le braccia al petto e rabbrividendo subito dopo.

Scrollando impotente le spalle, Liza replicò: «Io sono immune al DNA dei licantropi, ma l’amarok non è un licantropo di stirpe norrena, ma inuit e, da quel che ha detto il mio capoclan, anche il mio odore è cambiato, non soltanto il vostro.»

Chanel assentì prima di guardare Mark, accennare un sorriso e ammettere: «Non avertene a male, Mark, ma vorrei che mutasse anche lei. Mi sentirei più tranquilla, a sapere di avere un’altra femmina come me, al fianco.»

Il giovane annuì, per nulla irritato da quel commento e, sorridendole comprensivo, asserì: «Credimi, Chanel, non mi sento per nulla offeso. Anzi, Liza è quella – di noi – più addentro all’argomento lupi perciò, anche se le apparirò un egoista nel dirlo, desidero anch’io che diventi una lupa al pari nostro.»

Liza allungò entrambe le mani per stringere quelle degli amici e, sorridendo mesta, ammise: «Se può esservi di consolazione, desidero a mia volta diventare un lupo, anche se per un motivo assai meschino. Questa cosa del non poter essere un licantropo, ma solo un Geri, mi pesava. Ora, però, vorrei essere sicura di non dover mangiare carne umana, per vivere e, finché i nostri amici intellettuali non finiranno di consultare i libri che ci hanno portato da Mag Mell, non ne sapremo un bel nulla, del nostro futuro.»

Diana sorrise al trio di giovani cercando di non piangere – stavano dimostrando una forza d’animo non da poco, e lei voleva essere al pari loro – e, con un tono che sperò essere fermo e deciso, disse: «Io vi aiuterò in tutti i modi possibili e, se vorrai dire la verità ai tuoi genitori, Chanel, io sarò presente per aiutarli ad accettare questo cambiamento.»

Chanel la ringraziò con un sorriso, ma replicò: «Per ora, preferisco essere la sola ad affrontare la cosa. Quando ne sapremo di più, ci penserò. Ma ti ringrazio, Diana.»

Mark, a quel punto, tornò a guardare la madre e domandò: «Papà come sta?»

Diana non poté dargli buone notizie, purtroppo. Reclinando il viso, lei sospirò e ammise: «Non accetta la cosa in alcun modo. Non sopporta l’idea che tu possa diventare come l’essere che mi ha ferita e ha ucciso suo fratello, e niente di quanto gli ho detto sembra averlo convinto a cambiare opinione.»

Il giovane sospirò deluso e Liza, nell’alzarsi dalla sedia, lo abbracciò e si accomodò sul bordo del letto per stargli il più vicino possibile.

Anche Chanel la imitò e, nel sedersi sul letto dal lato opposto, strinse una mano a Mark a mo’ di sostegno emotivo mentre Diana aggiungeva: «Gli parlerò ancora, te lo prometto. Riuscirò a convincerlo che tu non hai colpa alcuna, in questa faccenda, e che non meriti il suo biasimo.»

Mark si limitò ad annuire e la madre, dopo un ultimo saluto, riaprì la porta e uscì dalla stanza per lasciarli soli.

Liza, a quel punto, lo fissò malamente e borbottò: «Se avessi seguito le mie direttive, ora non ti troveresti in questo casino.»

«Davvero pensavi che ti avrei lasciata là fuori da sola, dopo averti vista sanguinante, e a terra, in balia di quel mostro?» la irrise lui, dandole un colpetto alla fronte con un dito.

Lei sbuffò ancora ma Chanel, sorridendo all’amica, replicò: «Devi capirlo, Liza. Al cuor non si comanda.»

«Sarà anche vero, ma…» tentennò Liza, prima di spalancare allibita la bocca quando vide comparire, sullo specchio della porta, la figura di sua madre.

E dire che si era raccomandata di non venire!

Rachel Wallace scrutò il trio di ragazzi per alcuni attimi prima di scoppiare a piangere e raggiungere Liza a braccia aperte.

«Oh, tesoro! Non ho resistito e sono dovuta venire ugualmente!» esalò la donna, stringendo con forza la figlia per poi baciarla più volte sul capo.

«Guarda, mamma… non l’avevo capito» cercò di ironizzare Liza mentre Chanel e Mark osservavano l’intera scena con aria comprensiva.

Carezzandole più e più volte il viso dopo essersi scostata da lei, Rachel lanciò poi uno sguardo a Mark e, sorridendogli grata, mormorò: «Iris mi ha raccontato ciò che hai tentato di fare. Non sai quanto la cosa mi renda orgogliosa di te, caro.»

«Ho fatto ben poco, oltre a farmi affettare» si denigrò il giovane.

«Oh, no, mio caro! Hai rischiato la vita per la mia bambina, e niente sarà mai abbastanza, per ripagarti» replicò la donna, chinandosi per dargli un bacio sulla fronte e farlo così avvampare d’imbarazzo.

Fatto ciò, Rachel si avventurò dalla parte del letto dove si trovava Chanel e, abbracciata delicatamente anche lei, mormorò: «Tesoro… mi hanno raccontato ogni cosa. Non immagino neppure quanto tu possa sentirti male, ma sappi che non devi sentirti affatto in colpa. Le uniche colpe sono da imputare a quell’essere, non certo a te.»

«Grazie, signora Wallace» sussurrò Chanel, lasciandosi cullare dalla dolcezza della madre di Liza.

«Solo Rachel, per voi, ragazzi. Solo Rachel» replicò la donna dando un’ultima stretta a Chanel prima di aggiungere per Liza: «Tuo padre e Helen non sono potuti venire, ma ti chiameranno via chat stasera. Io mi fermerò finché non sapremo qualcosa di più, va bene?»

«D’accordo, ma non c’era davvero bisogno che ti sobbarcassi un altro viaggio per me» le ricordò Liza pur apprezzando la sua presenza a Clearwater.

Che le piacesse o meno ammetterlo, saperla lì le dava un coraggio che, fino a quel momento, non aveva affatto provato. Dopotutto, la mamma era sempre la mamma.

Rachel si limitò a esporre un gran sorriso, chiosando: «Sei mia figlia, e hai bisogno di me. Punto.»

***

Chiedere l’aiuto di Krilash e Stetha, oltre che di Rohnyn, si era rivelato indispensabile. Non soltanto, i libri che riguardavano gli akhlut si trovavano tutti a Mag Mell, e perciò i fratelli maggiori erano stati indispensabili per reperirli, ma l’inimitabile capacità di studio di Rohnyn era basilare per poter terminare il lavoro in tempi utili.

Per quel motivo, Litha si era assentata temporaneamente da Clearwater per raggiungere le sponde dell’Atlantico e lì, dopo aver richiesto la presenza dei fratelli maggiori, aveva chiesto loro aiuto per recuperare i tomi necessari per le sue ricerche.

Dopo essersi occupata di quello, aveva quindi chiamato Rohnyn, mettendolo al corrente del fallimento della sua missione e della necessità di averlo a Clearwater per poter studiare i tomi assieme a lui.

Naturalmente, Rohnyn aveva accettato così, grazie all’aiuto di Rey e mediante lo stesso passaggio utilizzato da Litha, Iris e Dev, era giunto nel Nuovo Mondo. Lì, la sorella era giunta per dargli un passaggio supplementare fino alla cittadina canadese e, da quel momento, era stato ospite dei Saint Clair al pari di Litha.

Dopo quattro giorni di intensi studi e altrettanti fallimenti, Litha però cominciava a dubitare che vi fosse una soluzione per il loro caso.

Sospirando quando gettò sul divano l’ennesimo tomo dalla copertina sbiadita, Litha ringhiò irritata un’imprecazione e disse: «E’ mai possibile che in nessuno di questi libri ci sia qualcosa di utile?»

Rohnyn levò il capo dal libro che stava consultando e, serafico, replicò: «Non credo che esista un’agenda intitolata ‘I 10 modi in cui essere un bravo amarok’, ti pare?»

Litha gli fece la lingua mentre Iris, nel consegnare loro una bevanda calda, asseriva: «Se fossero leggibili anche per noi, vi avrei dato volentieri una mano, ma non conosco il fomoriano. Mi spiace.»

«Ah, non è colpa tua, Iris… il problema sono la quantità di notizie inutili che ci sono qui dentro. I fomoriani sono famosi per essere prolissi, ma qui si esagera. Venti capitoli soltanto per dire che gli akhlut vivono fino a ventimila anni! In pratica, un capitolo a millennio!» sbottò Litha, levandosi in piedi per sgranchirsi la schiena.

In realtà, non sentiva dolore da nessuna parte, era innanzitutto un’abitudine, quella di stiracchiarsi. Più che altro, era il nervosismo a renderla incapace di stare ferma come, invece, stava riuscendo egregiamente a fare il fratello.

Lui era uno studioso nato, non c’era nulla da fare, e il fatto che suo padre adottivo non lo avesse mai compreso appieno, la infastidiva ancora adesso.

Iris, nel frattempo, sorrise a un’irritata Litha e disse: «Ricordo bene quando giunsi qui, dopo due anni di vane ricerche, e incontrai Lucas. Pensai di aver trovato una miniera di informazioni, ma in realtà neppure lui conosceva nulla del proprio passato genealogico, così passammo un sacco di tempo a cercare, e cercare, e il più delle volte erano craniate contro il muro, piuttosto che risultati veri e propri. Ci è voluto tempo, ma alla fine ci siamo riusciti.»

«Già, ma stavolta abbiamo solo otto giorni – non voglio arrivare scannata all’arrivo – e, se mio fratello non avrà la classica fortuna del principiante…» borbottò Litha, guadagnandosi un dito medio da parte del fratello, ancora intento a leggere. «…non so davvero dove andremo a finire.»

«Non replico alle tue offese solo perché sono orgoglioso di te, sorella…» dichiarò a un certo punto Rohnyn, attirando l’attenzione delle due donne presenti in sala.

«Cos’hai scoperto?!» esclamò Litha, raggiungendolo in un paio di passi.

Iris si accodò a lei e, nell’osservare le pagine incomprensibili del tomo appena letto da Rohnyn, si chiese cosa vi avesse trovato di interessante.

«Non scaldarti tanto. Ho solo trovato notizie su akhlut, ma riguardano ciò che già sapevi, e cioè che riesce a ottenere energia a sazietà solo nel suo nido mentre, per il resto del tempo, può solo sopravvivere con ciò di cui riesce a cibarsi.»

Sbuffando, Litha intrecciò le braccia sotto i seni e ringhiò: «Sono cose che già sappiamo, grazie.»

«Quel che forse non sai è che gli amarok furono creati da Qiugyat, chiamata anche l’Aurora Insanguinata. Non sono creature nate da akhlut.»

«Quindi… non è akhlut a comandarli?» esalò sorpresa Litha.

«Stando al libro, gli akhlut  si approfittarono dei figli di Qiugyat quando quest’ultima perse potere sugli uomini e divenne immateriale. Gli akhlut che, infatti, non necessitano delle preghiere delle persone per sopravvivere in forma umana perché, di fatto, sono mortali, pur se potentissimi e con un’aspettativa di vita simile – se non superiore – a quella dei fomoriani. In quanto entità senza corpo, Qiugyat divenne soltanto l’Aurora del Nord che tutti noi conosciamo, mentre gli akhlut presero il sopravvento sugli amarok tramite un patto di sangue, e questi ultimi si tramutarono nei loro fedeli servitori.»

Ciò detto, si grattò pensieroso la nuca, continuando a leggere qualche altra riga prima di aggiungere: «Stando a questo scritto, sono solo gli akhlut ad avere la necessità di tornare sempre al nido per cibarsi dell’energia degli amarok, mentre questi ultimi non sono affatto legati alle terre del nord.»

Ciò detto, inarcò un momento il sopracciglio e indicò un pezzo del brano appena letto per poi aggiungere: «Se vuoi sbellicarti dalle risate, la scoperta fu fatta da Muath, circa settemila anni fa. Era incuriosita da quegli strani lupi che si accoppiavano con gli akhlut, e così iniziò a seguirli per scoprirne i segreti.»

«Quella vacca» sbottò Litha mentre Iris sgranava gli occhi nell’udire quella parola tutt’altro che elegante.

Rohnyn sorrise spiacente alla loro ospite e le disse a mo’ di spiegazione: «Muath è mia madre e, tra le altre cose, sua madre adottiva. Non si sono lasciate benissimo, quando Muath azzerò il potere della rihall di Litha, così il solo sentirla nominare la fa smoccolare.»

Iris sbatté le palpebre con espressione sconcertata ed esalò: «Mi domando cosa direbbe di lei, se si fossero lasciate andare a strilla e lanci di piatti come in alcune famiglie.»

«Non lo hanno fatto solo perché si sentono troppo superiori per abbassarsi a simili scenate» ironizzò Rohnyn, trovandosi addosso gli occhi gelidi di Litha.

«Questo comunque non ci aiuta, Rohnyn… dobbiamo scoprire come spezzare il legame tra amarok e akhlut o, al ritorno di quella stronza, non saprò cosa fare» brontolò la dea, avviandosi quindi verso l’esterno della casa con espressione contrariata.

Né Iris né Rohnyn tentarono in alcun modo di fermarla e il fratello, non appena vide la sorella camminare nervosamente nei pressi della piccola quercia del Vigrond, l’espressione tesa e insoddisfatta, sospirò e disse: «Litha è sempre stata una donna d’azione, che risolveva con i fatti – e non con le parole – ciò che la infastidiva. Era l’orgoglio dell’esercito fomoriano, mai paga di battaglie quanto di vittorie. Il fatto che ora sia così turbata da questa akhlut, la dice lunga su quanto il loro incontro le abbia messo una strizza del diavolo addosso.»

«Speravo di raggiungerla in tempo per poterle dare una mano con i miei poteri di lændvettir, ma niente andò per il verso giusto, quel giorno. Forse, se fossi stata presente, in due avremmo potuto ucciderla o, quanto meno, fermarla» sospirò Iris, irritata con se stessa.

Niente era andato bene, in quella terribile giornata di vane ricerche e ritardi inaccettabili, e Liza era stata costretta a difendere il Vigrond pur essendo solo un’umana contro un sanguinario amarok. Certo, la sua spada si era infine rivelata l’unica arma utile allo scopo, anche se l’argento liquido aveva aiutato a rallentare un poco il lupo, rendendole possibile non essere uccisa.

Ugualmente, però, Iris si sentiva in colpa per non aver potuto proteggerla.

Zio Richard non le aveva imputato nulla, si era solo dichiarato dispiaciuto e addolorato per la morte dell’amico di Liza. Con lei, si era limitato a rincuorarla e a ricordarle di non farsi carico dei problemi del mondo, ma Iris si era comunque sentita in colpa.

Dopotutto, Liza era sotto la sua custodia, e lei aveva rischiato di morire.

Anche zia Rachel si era limitata ad abbracciarla e a chiederle come si sentisse, desiderando poi conoscere nei minimi dettagli cosa fosse successo e come si fosse arrivati all’assassinio dell’amarok.

Non aveva ceduto neppure di fronte alle parti più macabre del racconto e, pur avendo avuto bisogno di qualche fazzoletto, era rimasta ferma e incrollabile. Iris non aveva potuto che rivedere in lei la forza del padre, che di Rachel era stato il fratello maggiore.

Pur se in modo differente, i due fratelli Walsh si somigliavano; entrambi avrebbero dato tutto, per la famiglia.

«Accettando la vita della figlia, hanno preso atto anche dei potenziali pericoli a cui poteva incorrere» dichiarò dopo qualche attimo di silenzio Rohnyn, sorridendole comprensivo e strappandola ai suoi pensieri errabondi.

«Si vedeva lontano un miglio che stavo pensando a Liza, vero?» ironizzò Iris, passandosi nervosamente una mano tra i capelli.

Annuendo, Rohnyn ammise cupo: «Per anni mi isolai dai miei fratelli e da mia sorella, convinto com’ero di dover sopportare da solo la perdita della mia prima moglie. Fu Sherry a farmi capire che soffrire da soli non serviva a nulla, e che le famiglie che si vogliono bene ci sono anche e soprattutto quando abbiamo bisogno di una spalla a cui aggrapparci. La tua famiglia ti sostiene, così come sostiene Liza nel suo nuovo ruolo di Geri e sa che, quanto potrà succedere all’una o all’altra, dipenderà ben difficilmente da un vostro demerito quanto, piuttosto, dalla vita stessa e dai suoi continui tranelli.»

«A cosa serve, però, tanto potere, se non posso proteggere chi amo?» sospirò Iris, allargando impotente le braccia.

Rohnyn allora indicò con un cenno del capo la sorella che, solitaria e affranta, osservava il cielo come se potesse contenere i segreti dell’universo.

«Lei si sta ponendo gli stessi dilemmi e si colpevolizza per non essersi diretta prima verso Grizzly Mountain, …neanche vi fosse stata una bandiera di avviso che lei non ha visto. Ci basiamo sempre sulle scelte, e possono andare bene come male. Fortunatamente, gli occhi dei corvi di Liza l’hanno indirizzata alla montagna prima che uccidessero anche Chanel, ma questo non le basta.»

«La capisco più che bene. Se fossimo stati più veloci, Liza non si sarebbe ferita, e Mark con lei» sospirò Iris con aria abbattuta.

«Come dicevo prima, contro il Destino si può fare poco, e noi non conosciamo appieno il disegno delle Menti Superiori che hanno intessuto le nostre vite. Possiamo tentare di condizionare il nostro futuro ma, in merito a certi punti fermi, non avremo mai speranza di cambiarli» asserì laconico Rohnyn, lanciando un’altra occhiata preoccupata alla sorella. «Io ero immortale, e possedevo conoscenze in moltissimi campi, eppure non potei salvare la mia prima moglie. E’ una cosa che ormai ho accettato e, presto o tardi, dovrete farlo anche voi. Non siete infallibili, ma non è un vostro demerito.»

Iris annuì debolmente, lo sguardo puntato su Litha e sulle lacrime che stavano solcando il suo viso. Per quanto volesse apparire forte e determinata, la morte di Fergus l’aveva colpita nel profondo.

L’idea di non essere giunta in tempo per salvarlo, nonostante tutti i suoi poteri, la stava facendo sentire debole e sciocca. Esattamente come si sentiva Iris in quel momento.

«Poiché siete entrambe donne forti, sono sicuro che giungerete a una risoluzione dei vostri drammi interiori. Ora, però, entrambe avete bisogno di staccare un attimo, o impazzirete. Corri nel bosco, Iris, e porta con te Litha. Dovete svuotare la mente, per essere pronte per ciò che verrà» dichiarò convinto il fomoriano, tornando a leggere il pesante tomo.

Non potendo fare altro se non aspettare e pazientare, Iris prese per buone le parole del fomoriano e, dopo essere uscita da casa e aver raggiunto Litha, mutò in lupo. Assieme alla dea, quindi, corsero verso il cuore della foresta per staccare da tutto e da tutti.

Finché Rohnyn non avesse trovato la chiave del mistero legato agli amarok, era inutile restare in casa e dargli il tormento. Tanto valeva che si sfogassero un po’.


 



N.d.A.: Sorpresona sorpresona, anche Liza sta per diventare un amarok, nonostante - come neutra - non possa essere una licantropa? A quanto pare, tutti se sono convinti, anche se lei non è del tutto sicura che possa succedere. Inoltre, c'è un altro piccolissimo problema... che amarok saranno, i ragazzi? Avranno le stesse tendenze omicide del lupo di akhlut? Rohnin deve sbrigarsi a trovare qualche risposta, o qualcuno potrebbe avere un esaurimento nervoso prima del tempo.
  
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