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Autore: queenjane    24/12/2020    2 recensioni
I Romanov e i loro Natali, dal testo ".. Il Natale del 1913 fu splendido, l’ultimo, in tempo di pace, meno male che gli dei non avevano concesso il dono della preveggenza.
Bacche di agrifoglio ornavano le composizioni che la granduchessa Olga faceva quell’anno, candele di cera d’api, di varie grandezze scalate, munite di quella pianta e nastri e foglie di elleboro.
L’albero di Natale nel salone principale, era magnifico, alto e decorato in modo stupendo, profumava di resina, dei biscotti appesi, come le arance e i mandarini, di non minore bellezza quelli più piccoli per i bambini.
E la neve cadeva abbondante, era stupendo anche solo passeggiare, nelle pause, mentre i rami degli alberi spogli del parco imperiale si stagliavano contro il cielo come braccia di ballerini pronti a un giro di danza, mentre il sole tramontava, il cielo che assumeva le tinte delle rose sul punto di fiorire..."
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Zarista
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Quando cambiano le stagioni, vivo nuovi giorni, ricordo, un rimpianto struggente, affrontando le ore e le sfide, in un silenzio che cerco, una quiete che bramo. . Ero nata nel 1895,  lo stesso anno della venuta al mondo di Olga Romanov, prima figlia dello zar Nicola II,  io di gennaio, lei di novembre. Avevamo spartito giochi, risate, un’amicizia incomparabile, perpetuando una sorta di tradizione, mio zio, mio padre e il futuro zar erano coetanei, figli di nobili, altolocate famiglie, best friends, in sintesi.

Il mio nome era ed è Catherine, Olga mi chiamava Cat o principessa cantastorie, Sherazade, tale era la mia fantasia nell’inventare giochi di parole e nuvole, eravamo, ripeto, amiche davvero e sul serio...le.fate nostre madrine ce lo avevano concesso.
Spesso, durante la stagione invernale, capitava che dormissi a Carskoe Selo, nel palazzo di Alessandro, la giovane zarina preferiva quella cittadina a venti chilometri circa dalla capitale e il palazzo di cui sopra, più tranquillo e raccolto rispetto ai fasti ufficiali del proprio rango.
Anche io partecipavo al programma di studi, mi alzavo presto, come loro, dividevamo i pasti, le lezioni, ci tenevamo occupate con i ricami e le lezioni di pianoforte.. Tranne che in queste due ultime attività ero negata, senza rimedio,  le mie performances musicali un disastro, Olga mi metteva un libro in mano, raccomandandomi di non cantare, per non spaccare i vetri e i timpani. Ne ridevamo sopra, lei invece era bravissima, meno male che avevo senso del ritmo, ballavo bene, le lezioni di danza mi divertivano. Tata era superlativa, aggraziata, si muoveva come una farfalla, io me la cavavo.. A cavallo, senza falsa modestia, ero superlativa io. Una sorta di compensazione, senza invidia, mi divertivo più con loro che a stare sempre da sola, in senso lato, con precettori e tata. Unico tratto privilegiato era che avessi una stanza per me, invece le ragazze dormivano due a due, Olga con Tata, Marie con Anastasia.
E tutte e cinque adoravamo Aleksey, l’erede al trono giunto durante un glorioso giorno di agosto, correva il 1904.

Nel corso dell’estate del 1907 rimasi presso la famiglia dello zar, venni invitata alla crociera di fine estate, evento non occasionale, che mia madre voleva finire in pace la sua gravidanza, concentrandosi sul parto imminente, finalmente mi dava un fratello o una sorella, sarebbe finito il mio regno di figlia unica. E merito soprattutto dello zarevic, che quando aveva saputo del viaggio ne era stato ben contento, salvo fare una bizza colossale ( ..della serie urla a gola spiegata oltre che buttarsi per terra...il viso arrossato, rimanendo senza fiato da quando urlava, per paura che sbattesse da qualche parte aveva ottenuto una pronta concessione) apprendendo che io probabilmente sarei stata a Pietroburgo. Preciso che non ero presente, né gli avevo fatto accenni, era comunque pauroso come era viziato. Già, tranne che allora non conoscevo il suo segreto, dell’emofilia. Ovvero IL SEGRETO.., però avevo ben notato che la sua camera era piena di piumini e sacre icone,  (i primi per evitargli urti, le seconde come misura protettiva) che era monitorato a vista da tutti, che gliele davano vinte quasi tutte per tema che tirasse un calcio. E se si faceva male doveva stare a letto, la zarina era in ansia costante, come se fosse un bambino di neve, di fumo, che si sarebbe dileguato alla prima occasione, il dolore ormai la circondava come una ineludibile corazza. E lui era intelligente, lo aveva ben capito anche quando era davvero piccolo, che poteva fare come voleva e avrebbe avuto tutto.. Tranne la salute. E la malattia passava dalla madre al figlio maschio, la zarina viveva sotto il peso costante della tragedia.

“Ciao Catherine” Osservavo che era viziato, tranne che era irresistibile, quando sorrideva dovevi essere senza cuore per non sorridere a tua volta. “Salve zarevic, come state?” il solito gesto, mi tese le braccia e me lo accostai vicino, raccolto sul fianco, lui mi aveva posato la guancia sulla spalla. “Trottola”che brandiva, lo posai e fece vedere quanto era bravo.
Vestivamo alla marinara, correndo su e giù dal ponte, un girotondo dietro un altro.  Vi sono delle riprese e delle foto che mostrano i fratelli imperiali in questo gioco, ridono e saltano, i visi pieni di gioia di vivere, il vento porta le loro risate. Lo so, che diverse ne ho fatte io, così avevo la scusa per non essere inquadrata, la mia ritrosia per le foto et similia era leggendaria, venivo decente giusto se non ero avvisata, ora come allora.
 E coglievamo fiori e osservavamo le acque e le farfalle, ridendo per tutto e nulla.  
E passeggiavamo su bordo mare, i piedi nudi e le gonne tirate su i polpacci magri e abbronzati, cercando di prendere un pesce con un retino
Raccoglievo i capelli in una treccia voluminosa che mi pioveva sulla schiena, quando Aleksej non era nei paraggi, si divertiva a sciogliermela e poi a giocare con le ciocche..e ripassavo le sillabe di greco, inutile dire che avevo preso in mano l’Odissea.
Olga, of course, preferiva l’Iliade e Achille era tema di discussione e confronto. Era la più dotata e precoce tra i figli dello zar, avida di sapere e cultura, la sua intelligenza era un dono da sviluppare.
“Era il guerriero più forte, il terrore dei nemici”
“Era un irruento, agiva in preda all’ira e poi si pentiva. A me piace il re Ulisse, astuto e saggio”
“Che fa vincere con l’inganno”
“ Ma  viaggia e torna a casa sua”
“Achille fece una scelta, una vita breve ma gloriosa rispetto a una lunga e nell’oscurità” Scrisse quel nome sulla sabbia.
ACHILLES.
“E il mondo ancora lo ricorda e parla di lui”
“Sì, ma quando Ulisse lo trova come ombra nel regno dei morti, Achille rifiuta le sue lodi.. Afferma  "Vorrei da bracciante servire un altro uomo,senza podere e non con molta roba,piuttosto che dominare tra i defunti!"...
Sorrise e non rispose, uno sguardo tenero.

Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine”.. quante cose che ricordo.  Quelle mattine che odoravano di onde salate e caprifoglio, di promesse e risate, per non tacere degli sguardi teneri che lanciavi alle colazioni, frutta fresca e panna, appena una tazza di the, altri gusti condivisi, io e te, o te e io.. che dire, eravamo in sincronia pure su quello. Prima di tornare a casa, verso una vita che non ci bastava più...”
Un pomeriggio ero su una sdraia, mezza appisolata, quando mi misero lo zarevic in braccio, mi tesi in avanti per stringerlo “Che c’è?” “La nuova lagna..”chiosò Tanik, alle sue spalle colsi la tata che roteava gli occhi “Deve fare un riposino e nulla” si stropicciava gli occhi, i capelli, era in modalità piagnisteo che snervava e logorava, lui in primis “Vojo Catherine “ mi batteva la spalla, il sonno mi era andato via“ E ora dove siete, zarevic” si rannicchiò contro di me, il pollice in bocca “Sonno no..”la lamentela  “Chiudi le palpebre, se il sonno non c’è mica viene a comando” “NO.. comando io” “Prova, se non lo hai mica viene, io comunque dormo, rischi di rimanere bloccato qui” “Bene..” mi cacciò la testa sulla spalla, gli massaggiai la schiena. “Sonno no..” Anche sì, gli tolsi il pollice di bocca dopo un poco, dormiva, guarda caso, il palmo contro la sua spalla, ruotando il busto per metterlo più comodo.

 
   
 
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