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Autore: GReina    26/12/2020    2 recensioni
[Iwaoi | Kuroken | Daisuga | Tsukkiyama | Bokuaka | Sakuatsu + accenni di Kagehina | Tanakiyo].
Haikyuu ad Hogwarts: segue le vicende dei nostri protagonisti per un anno (quinto per Hinata e co; settimo per Daichi e co).
Daichi è il papà di tutti i Grifondoro e Suga la mamma dei Corvonero; Kenma nasconde un segreto; Oikawa è paranoico; Tsukishima è irritato (be', non è una sorpresa!); Sakusa vuole liberarsi di Atsumu; Osamu e il suo amore per il cibo sono l'unica certezza. Venite a scoprire il resto!
Genere: Demenziale, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Hogwarts' Series'
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Daichi
Sawamura Daichi era un ragazzo molto impegnato. Tra capitanare la squadra di Grifondoro, adempiere al ruolo di Caposcuola, mantenere una media di voti alta e ripassare i programmi degli anni passati in vista dei M.A.G.O. che avrebbe dovuto affrontare a fine anno, quella mattina fu assurdamente felice di non essersi dovuto svegliare a causa dei soliti schiamazzi del suo compagno di dormitorio più esaltato: Bokuto. Dividere la stanza per sei anni con quel cacciatore iperattivo non era stato e non era tutt’ora affatto semplice, e se poi a questo si aggiungeva il fatto che Bokuto era in grado di tirar fuori la parte più chiassosa di Kuroo, Daichi poteva affermare con sicurezza di essere stato fortunato a non aver avuto nemmeno un esaurimento nervoso da quando li conosceva.
Si sentì quasi in colpa quando, svegliatosi con tranquillità, ringraziò la propria buona stella per quell’assenza. Si vestì con calma, si lavò il volto, poi i denti. Infine, scese in Sala Grande per gustarsi una buona ed abbondante colazione. I quattro tavoli erano ingombri di cibo e di studenti che se ne abbuffavano. Il grifondoro ci mise poco ad individuare la bizzarra acconciatura del suo compagno di dormitorio e lo raggiunse. Kuroo stava leggendo la Gazzetta del Profeta, ma smise immediatamente quando vide l’amico avvicinarsi.
“Ti sei svegliato! Alla buon’ora!” in effetti era piuttosto tardi. Di solito – colpa le urla di Bokuto – era piuttosto mattiniero.
“Ogni tanto fa bene dormire un po’ di più.” si limitò a rispondere e, per quanto fosse curioso, decise di non chiedere al compagno se sapesse che fine avesse fatto il suo migliore amico in favore di ancora qualche minuto – prima delle lezioni – senza doversi preoccupare di quello scalmanato purosangue.
“Ieri sera il gatto è tornato!” con già la bocca piena di prelibatezze, Daichi ci mise un po’ per capire le parole del compagno di Casa. Poi sorrise: Kuroo non faceva altro che raccontare di un gatto che apparentemente si mostrava solo a lui. Quando l’amico gliel’aveva descritto per la prima volta, al Capitano sembrò di riconoscerlo. Un gatto bianco con diverse macchie marroni e nere, infatti, si aggirava – sebbene raramente – nei pressi del cortile della scuola. Ma quello, ed erano d’accordo tutti gli studenti di Hogwarts a tal riguardo, era il gatto più schivo e timido che potesse esistere nella faccia della Terra e non era assolutamente possibile che fosse lo stesso di cui raccontava Kuroo.
“Ero nel corridoio del quarto piano quando l’ho visto.” stava nel frattempo continuando questi “Mi ha seguito per una buona mezzora, fin quando non sono finito nel giardino anteriore, mi sono seduto sull’erba e lui mi si è accucciato sulle gambe! Quando ho provato ad alzarmi tendendolo in braccio però si è innervosito. Forse aveva capito che volevo portarlo in dormitorio.” a quel punto, la testa di Daichi era passata a pensare alle lezioni che avrebbe avuto quella mattina – prima tra tutte quella di Incantesimi che ci sarebbe stata da lì a poco – e le parole di Kuroo erano quindi per lo più buttate al vento “Riuscirò ad adottarlo un giorno, vedrai! Ho già in mente di comprare un collarino durante la prossima gita ad Hogsmeade.” Daichi annuì, più per fingere di aver ascoltato l’intero discorso che per vera convinzione, dopodiché i suoi occhi catturarono un movimento al tavolo di Corvonero e decise di alzarsi; ingoiò l’ultimo boccone e salutò il compagno:
“Ho una cosa da fare.” gli disse distrattamente “Ci vediamo in aula.” e si affrettò a raggiungere Sugawara che stava lasciando la Sala Grande: “Hey!” gli palesò la sua presenza. Il corvonero si voltò e gli sorrise.
“Caposcuola!” lo salutò.
“Stai andando ad Incantesimi?” l’altro annuì.
“Facciamo strada insieme?”. Parlare con Suga era sempre piacevole, e senza nostalgia Daichi si ritrovò a pensare ai primi tempi in cui avevano iniziato ad interagire: per quattro anni si erano incontrati in aula o per i corridoi e bellamente ignorati, fino al loro quinto anno, quando la spilla da prefetto di Daichi aveva spinto il suo collega corvonero ad andare da lui per lamentarsi di come Bokuto e Kuroo stanziassero perennemente davanti all’ingresso della Sala Comune di Corvonero facendo ogni volta un enorme trambusto mentre tentavano di superare l’indovinello che avrebbe permesso loro di raggiungere rispettivamente Keiji Akaashi e Kozume Kenma. In quelle occasioni, a Daichi non rimaneva che mostrarsi costernato ed andare fin sulla torre ovest per afferrare i due compagni per le orecchie e trascinarli via. Ma sebbene per quasi tutto l’anno Suga fosse andato da lui solo per urlargli contro, l’avvicinarsi dei G.U.F.O. aveva fatto capire ad entrambi quanto l’altro fosse un compagno di studi ideale ed era da lì che la loro amicizia era cominciata. Adesso, Daichi non riusciva a pensare alla sua vita ad Hogwarts senza l’altro e non si vergognava ad ammettere che lui era l’unica ragione per la quale stava ancora seguendo Artimanzia.
Erano quasi arrivati all’aula e Daichi aveva appena finito di raccontare all’altro la propria estate quando Sugawara rise sotto i baffi.
“Cosa c’è?” chiese l’altro; il corvonero indicò fuori dalla finestra: da lì si vedeva il Campo da Quidditch e distintamente delle piccole figure che vi volavano attorno. Era impossibile distinguere i volti, ma sicuramente bastava vedere il colore delle divise sportive per capire chi fossero.
“I tuoi bambini finiranno di nuovo per saltare le lezioni della mattina!” stavolta Suga rise apertamente. Daichi, invece, strinse i pugni.
“Stavolta mi sentono!”
“Ti tengo il posto.” rispose l’altro, divertito “Cerca di non metterci troppo!” e sparì oltre la porta dell’aula di Incantesimi. Il grifondoro sospirò e fece dietrofront per correre in cortile.
“Se hanno tanta voglia di volare,” pensò con stizza mentre correva “vorrà dire che decuplicherò la difficoltà degli allenamenti per chiunque sia in campo a quest’ora!!”.
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BONUS:
Iwaizumi entra in Sala Comune e scopre che Bokuto,
Noya, Tanaka, Yamamoto e Hinata sono stati puniti
per l’allenamento di quella mattina: “Che succede?”
– it’s Bugo style! –
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***
Kenma
Tutto ciò che Kozume Kenma cercava in quell’enorme castello era un po’ di sana tranquillità. Nel Mondo Magico non esistevano le prese elettriche, e già quel solo fatto gli rendeva l’esistenza un incubo ogni volta che era costretto ad intrufolarsi nell’aula di Babbanologia solo per ricaricare la propria PSP. Non sarebbe stato così tremendo, pensò però, se quella scuola non fosse stata tanto piena di studenti. Evitarli tutti gli risultava sempre più difficile, specie dal suo secondo anno, quando uno strano ragazzino dai capelli arancioni si era impuntato di voler diventare suo amico. Tutto ciò che Kenma aveva fatto per portare lo strano ragazzo ad avere quell’idea, era stato rispondere con fare annoiato a qualche sua domanda su Hogwarts durante il suo primo tragitto sul treno della scuola. Non che a Kenma Hinata dispiacesse, anzi. Del tutto inspiegabilmente si sentiva incredibilmente affine al grifondoro; forse – insieme a Kuroo – lui era l’unica persona di cui riusciva a sopportare la presenza. Ma Hinata, Kenma lo aveva capito sin dal loro primo incontro sul treno, era tutt’altro che tranquillo. Il solo fatto di essere accanto a lui attirava tutti gli sguardi di chi gli stava intorno e quello, inevitabilmente, gli aveva sottratto l’anonimato che da matricola aveva faticato – principalmente a causa di Kuroo – a costruirsi. A quel punto aveva avuto solo una scelta: “Devo trovare un modo per passare inosservato attraverso un luogo affollato.” era dall’inizio del suo terzo anno che non faceva altro che pensarci, e poi finalmente, durante una lezione di Difesa Contro le Arti Oscure del professor Washijo, aveva avuto l’illuminazione: “La differenza tra un lupo mannaro e un animago, è che quest’ultimo può scegliere quando trasformarsi e mantenere poi il controllo”. Non era stato semplice studiare animagia; si era dovuto impegnare parecchio, e non era da lui, ma ogni volta che era sul punto di mollare, si ripeteva che era per una buona causa. Infine, alla fine del suo quinto anno, era riuscito nell’impresa.
Non seppe in che animale si sarebbe trasformato fino all’ultimo, ma col senno di poi era ovvio che la sua forma animale sarebbe stata un gatto, e sotto quella forma era facile defilarsi da una folla o sparire tra i rami di un folto albero, fuori dalla portata di chiunque eccetto che per i propri pensieri.
Per quanto fosse schivo, però, non era – con suo sommo disappunto – totalmente apatico. Hinata era suo amico, ma era Kuroo quello che riusciva ad attrarlo come fosse un potente magnete.
Kenma si ritrovò a pensare a quando il grifondoro l’aveva visto per la prima volta da gatto. L’animago si era paralizzato e per un’istante aveva temuto che Kuroo l’avesse riconosciuto. Subito dopo si era dato del pazzo: c’erano piccoli, insignificanti dettagli che avrebbero permesso ai più attenti di associare un volto umano alla forma animale del mago, come la forma degli occhi, una voglia, un neo o – come nel caso del professor Nekomata – delle macchioline nel pelo di fianco agli occhi che ricordavano le rughe a zampa di gallina. Kuroo lo conosceva meglio di chiunque altro, e se c’era qualcuno che poteva capire che Kenma aveva infranto la Legge solo per poter stare per conto proprio a giocare con la PSP, quello era lui. Ma sarebbe stato strano, del tutto folle, credere che un sedicenne potesse essere diventato un animago senza l’aiuto di nessuno. Se solo avesse avuto quell’informazione, lo sapeva bene, Kuroo ci avrebbe messo meno di un secondo per collegare lui a quel gatto schivo che evitava tutti.
Evitava tutti, sì, ma non Kuroo. Perché Kuroo era diverso, perché Kuroo valeva il rischio.
“Ti dico che è così!” stava dicendo proprio questi. Si trovavano in riva al Lago Nero; Kenma aveva appena ricaricato la propria console e adesso stava tentando di eliminare il boss finale dell’ultimo livello. Per quanto gli piacesse, quindi, non aveva tempo di ascoltare Tetsuro.
“Come dici tu.” tagliò corto. Non aveva senso continuare a discutere su quell’argomento.
“L’ultima volta che ho provato a portarlo in dormitorio è stato meno aggressivo del solito! Piano piano lo sto convincendo! Me lo sento!” era già da qualche settimana che Kuroo parlava del fatto di voler addomesticare “il gatto fantasma che tutti vedevano apparire per poi perderlo di vista il secondo dopo” e Kenma si era ritrovato a ringraziare silenziosamente tutti e quattro i Fondatori perché Kuroo non avesse ancora deciso di dargli un nome stupido come Muffin, Chicco o Bubu. Scacciò quel pensiero raccapricciante dalla testa e tornò a concentrarsi sul gioco: il boss adesso era a poche mosse dall’essere sconfitto!
“Sto anche pensando di comprargli un collarino.” le parole del grifondoro, pronunciate con genuina spensieratezza, ebbero il potere di fargli dimenticare per un attimo il proprio videogioco.
“Cosa!?” scattò a guardare Kuroo, e quell’unica domanda gli costò il livello. “Accidenti!” esclamò mentre tornava all’ultimo salvataggio “Lascia perdere i collarini!” si rivolse invece all’altro.
“Perché? Magari al gatto piacerà.”
“Credimi, non gli piacerà.”
“E tu che ne sai? Neanche l’hai mai visto! È incredibile come appaia solo quando sono solo! Sembra che me lo faccia apposta, così quando racconto di averlo accarezzato tutti mi prendono per matto.”
“Sì, ma tu lascia stare il collarino!” Kuroo lo guardò dubbioso.
“Manca ancora tanto al primo finesettimana ad Hogsmeade. Vedrò…” Kenma sbuffò e decise di far cadere l’argomento, per ora.
“A proposito.” continuò l’altro “Ci vieni con me?”
“A comprare il collarino?”
“Ad Hogsmeade!” Kenma sbuffò fuori una risata.
“C’è bisogno di chiederlo?”
“È quello che normalmente si fa per gli appuntamenti.” l’animago continuò a guardare lo schermo della propria console, ma sorrise.
“Quindi le nostre uscite ad Hogsmeade sono sempre state degli appuntamenti?”
“Per definizione, un appuntamento sarebbe quando due persone escono per passare del tempo insieme.”
“Per definizione, un appuntamento sarebbe anche quando mandi un gufo a un medimago per decidere un giorno in cui farti visitare.” Kuroo sbuffò, ma non sembrava risentito, quindi Kenma continuò “Adesso siamo fuori e stiamo passando del tempo insieme. Vuol dire che è un appuntamento anche questo?” mise in pausa e sollevò lo sguardo sul più grande; Kuroo sorrise.
“Non lo so ancora. Agli appuntamenti non ci si limita solo a parlare.”
“Ah no?” il grifondoro scosse il capo mentre il sorriso gli si allargava. Dopodiché si avvicinò al più piccolo, gli sistemò i capelli dietro l’orecchio e lo baciò sulle labbra.
“Adesso è un vero appuntamento”.

 
***
Akaashi
“Quindi mi stai dicendo che sei andato via, subito dopo è spuntato il gatto, e lui non ha ancora capito che quel gatto sei tu?” lui e Kenma si trovavano nel dormitorio del sesto anno, all’interno della Torre di Corvonero, e l’animago si stava lamentando di come il suo ragazzo si fosse impuntato di voler comprare un collarino per il randagio che tanto gli piaceva.
“Se lo avesse fatto non mi comprerebbe certo un collarino!”
“Magari lo dice solo per farti fare un passo falso.” Kenma rise.
“Pensi troppo da Corvonero.” anche Akaashi sbuffò fuori una risata. Tutti credevano che gli opposti per eccellenza fossero Grifondoro e Serpeverde, ma non era affatto così. Se si è troppo simili è facile litigare, mentre al contrario – quella era una credenza comune – gli opposti si attraggono. Se c’era un opposto per i Serpeverde, furbi, ambiziosi e orgogliosi, quelli erano sicuramente i Tassorosso. Ed i Grifondoro? “Tutti muscoli, niente cervello.” era così che li chiamavano all’interno della torre di Corvonero.
“Forse hai ragione.” rispose quindi il prefetto al suo compagno di dormitorio. Kenma sbuffò e si buttò disteso sul proprio materasso.
“A volte mi chiedo come sia possibile che le due persone con cui vado più d’accordo siano Grifondoro.” Akaashi rise ancora pensando a Kuroo ma soprattutto ad Hinata. Infine, inevitabilmente, i suoi pensieri corsero al più esaltato ed apparentemente impulsivo di quella Casa: Bokuto.
Era solo il suo secondo anno quando lo aveva incontrato per la prima volta. Corse con la mente fino a quel momento e si ritrovò a sorridere: quel giorno Akaashi aveva nostalgia di casa, tanto da spingerlo a raggiungere la guferia per spedire una lettera ai genitori nonostante l’ora della posta fosse passata da un bel pezzo. Era lì che aveva trovato Bokuto. Non subito si era accorto della sua presenza; aveva chiamato il proprio gufo, e non ricevendo risposta aveva vagato per la stanza per cercarlo. L’aveva appena trovato che dormiva in un ripiano in basso, vicino alla porta, quando si era accorto del grifondoro: Kotaro era seduto per terra, seminascosto dalla porta d’ingresso aperta. Il corvonero si era incuriosito, più che spaventato, e l’aveva socchiusa affinché potesse avere una buona visuale della figura raggomitolata sul pavimento. Aveva le ginocchia strette al petto e le braccia alle ginocchia. Al movimento della porta, Bokuto aveva sollevato lo sguardo ed aveva incontrato quello di Akaashi. La sua espressione era pietosa e languida e subito Akaashi aveva pensato dovesse aver appena ricevuto via gufo delle pessime notizie. Si era quindi accovacciato in modo che il suo volto fosse alla stessa altezza di quello dell’altro e gli aveva poggiato incoraggiante una mano sul braccio.
Keiji non aveva mai parlato con Bokuto, prima. L’aveva visto per i corridoi, in Sala Grande e sul Campo da Quidditch. Notarlo non era difficile, ed era forse proprio per questo che il corvonero non aveva mai neanche pensato di avvicinarlo. Dire che i loro caratteri erano agli opposti era un eufemismo e se c’era una cosa di cui Akaashi era convinto – nell’immaturità dei suoi dodici anni –, quella era che non aveva bisogno di un esaltato come amico che gli complicasse la vita.
Vederlo così, tuttavia, lo aveva scosso. Il campione Kotaro Bokuto; l’asso di Quidditch che già a tredici anni competeva con i più abili giocatori dell’ultimo anno; l’animo della festa; il cruccio dei professori; l’incubo di chi era alla ricerca di un po’ di silenzio. Kotaro Bokuto, la persona più esaltata e festaiola del Castello, si trovava adesso su un pavimento freddo, in una stanza buia, da solo, e sembrava che il mondo gli fosse caduto addosso.
“Stai bene?” Akaashi conosceva già la risposta, ma aveva atteso comunque che Bokuto scuotesse la testa prima di porre la domanda successiva: “Che cos’è successo?” l’altro aveva tirato su col naso prima di parlare a sua volta.
“Dovevo mandare una lettera. Non ho un gufo mio, quindi ne avevo scelto uno della scuola.” a quel punto, aveva allungato il braccio destro e uno splendido gufo reale dal manto chiaro ed il petto bianco vi era planato sopra “È bellissimo, visto??” Bokuto aveva quasi urlato quella domanda mentre porgeva il braccio in avanti affinché Akaashi vedesse meglio il rapace.
“Molto bello.” aveva risposto quindi l’altro, interdetto.
“Ma poi!” continuò Bokuto tra un singhiozzo e una tirata in su col naso “Ho visto questo barbagianni!” a quelle parole, si era sporso in avanti ed aveva afferrato il secondo volatile: un barbagianni color nocciola, anche questo col petto bianco. Akaashi – ricordò questi con divertimento – aveva corrucciato gli occhi: non capiva il problema.
“Il barbagianni aveva un messaggio per te?” aveva provato ad indovinare, ma Bokuto gli aveva risposto di no scuotendo con impeto il capo.
“Quale devo usare?” aveva chiesto invece. La sua espressione era terrorizzata, tremendamente triste al pensiero di dover fare una scelta “Ho solo una lettera!” i suoi occhi si erano fatti lucidi “Ma ci sono due gufi, vedi?” aveva sollevato entrambe le braccia che continuavano ad ospitare i due animali, ma lo sguardo lo aveva tenuto, supplicante, fisso su quello di Akaashi. Il corvonero dovette trattenere una risata, o forse uno sbuffo infastidito, invece si impose di prendere il problema seriamente. Si era portato una mano al mento ed aveva iniziato a pensare.
“Facciamo così.” gli aveva infine risposto “Usa il gufo reale per mandare la tua lettera. È il primo che hai visto, giusto?” il grifondoro aveva annuito, ma per niente convinto, quindi Keiji si infilò una mano in tasca e ne estrasse penna e pergamena, le stesse che avrebbe usato per scrivere alla sua famiglia.
“Usa queste.” le aveva porse a Bokuto “E scrivimi una lettera. Manderai il barbagianni a consegnarmela. Mi chiamo Keiji Akaashi, di Corvonero.” gli aveva sorriso e in cambio aveva ottenuto di rimando il più grande e genuino sorriso che avesse mai visto. Bokuto gli era saltato addosso mentre gli uccelli volavano indispettiti poco distante.
“Akashi!!”
“È Akaashi.” lo aveva corretto, ma l’altro era sembrato non sentirlo.
“Grazie, Akashi!” si era alzato, poi aveva aiutato lui a fare lo stesso “Ora però devi andartene! O non avrà senso scriverti una lettera!” il corvonero si era morso la lingua per non rispondere che non aveva senso in ogni caso, invece sorrise, felice di riflesso per Bokuto e sicuro di aver appena trovato una persona speciale.
Quel giorno – continuò a ricordare – uscito dalla guferia aveva deciso di non tornare immediatamente alla Torre di Corvonero. Se l’era presa con calma, ed una volta superato l’indovinello postogli dall’aquila guardiana, i suoi compagni di Casa l’avevano assalito:
“Akaashi! Eccoti, finalmente!” il primo a raggiungerlo era stato Yaku.
“Ti cerchiamo da secoli!” il secondo Kita.
“Che succede?” il comportamento dei compagni l’aveva subito messo in allarme.
“È arrivato un gufo per te. Solo le lettere urgenti arrivano fuori orario!” ma subito dopo Akaashi li aveva tranquillizzati spiegando a tutti cos’era successo poco prima, quindi Konoha l’aveva guardato con commiserazione:
“Non eri costretto a dargli corda, lo sai.” Akaashi aveva scrollato le spalle mentre finiva di slegare la pergamena dalla zampa del barbagianni e iniziava a leggerla:

 
“Caro Akashi,
questo barbagianni è davvero bellissimo, non bello quanto te ma e io ti sto scrivendo una lettera, così lui può consegnartela!
Oggi ho avuto lezione di Pozioni e ho fatto esplodere il calderone di Kuroo. Daichi si è arrabbiato, quindi Kuroo ha fatto esplodere anche il suo! Tu hai mai fatto esplodere A te piace Pozioni? Sembri uno che riesce a non far esplodere niente. Io ci ho provato, ma poi è noioso! Il professore ha dato a me e Kuroo una settimana di punizione e ora non posso giocare a Quidditch fino a venerdì. Ti va di venire a vedere i miei allenamenti di domani lunedì? Dovresti giocare anche tu! Il Quidditch è forte, e lo sei anche tu!”
 
Ad Akaashi sarebbe bastato allungare la mano ed aprire l’ultimo cassetto del proprio comodino per ritrovare quella lettera. Quella era stata solo la prima delle tante crisi di Bokuto a cui lui aveva messo un freno, nessuno capiva come ci riuscisse e ancor meno perché lo facesse, ma il corvonero non aveva dubbi: quella di aiutare Bokuto, quel giorno in guferia, era stata la miglior decisione della sua vita.
“Forse, in fondo in fondo, i Grifondoro non sono tanto male.” disse a Kenma che però, come lui, sembrava con la testa distante anni luce.
“Già.” riuscì a rispondere comunque “Forse ci fa bene avere intorno gente che pensa col cuore, prima che con la testa.” ed Akaashi – per quanto non potesse negare che l’accoppiata Bokuto-Kuroo si portasse via grandissima parte della loro tranquillità – non poté essere più d’accordo.
   
 
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