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Autore: Merry brandybuck    31/12/2020    0 recensioni
Aragorn è salito al trono da pochi mesi e già si ritrova a combattere una battaglia contro degli orchi che non accettano la caduta di Sauron : per questo scontro il re si ritroverà a chiedere aiuto ai suoi amici fidati e a dover portare alla luce un membro della sua famiglia che è rimasto oscurato per anni.
Come continuerà l’esistenza sua e del regno dopo questo incontro ?
Personaggi: nuovo personaggio/ Aragorn/ Legolas/compagnia dell’anello/ un po’ tutti
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aragorn, Legolas, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 5: Sono alle tue spalle, sono la tua ombra

 

L’impatto che ebbero sugli orchetti fu devastante: le prime linee vennero sfondate e gli avversari furono travolti. I soldati di Gondor riuscirono a battere i nemici sul tempo ma i rivali riuscirono comunque a trovare una falla nella formazione: Aragorn stava decapitando decine di creature, con la lama lucente della “Spada distrutta e riforgiata” puntata al cielo, in segno di forza per i propri combattenti, si guardò intorno e notò sua sorella. Aralis era in testa alle truppe, in mezzo ai soldati mentre con il falcione elegante stroncava gli orchetti invasori: la sua armatura segnata dalle numerose le battaglie, il manto scuro e i capelli nocciola sciolti al vento le davano un che di mistico; sembrava un erede di Tulkas, un’eroina delle antiche leggende, quelle che venivano narrate ai ragazzi per convincerli a intraprendere la carriera militare e adesso si era materializzata lì, su quel campo di battaglia per assistere dei miseri rimasugli di un possente esercito in uno scontro che avrebbe potuto determinare la perdita di preziosissimi territori per il Regno. I calzari e i bracciali in pelle consunta lasciavano intravedere le scritte naniche che la donna portava sui polsi e sulle caviglie; ad ogni ondata di nuovi nemici la giovine urlava una frase incomprensibile ai più “ Onoha, gheiekt uim” e poi distruggeva chiunque le si mettesse sulla strada. Incrociando il suo sguardo si poteva vedere tutta la furia che la scuoteva dall’interno e si vedeva che era pronta anche a morire pur di vincere e far guadagnare prestigio e terre alla sua famiglia: quando un gruppetto disorganizzato di Uruk-ai si stava richiudendo su uno sfortunato alfiere, il comandante si lanciò nella mischia e con pochi ma rapidi movimenti di falce ben assestati, il soldato era libero. I Valar guidavano i suoi arti in ogni movenza e sembrava essere fusa con un flusso di magia, che sgorgava in un canto cupo e ombroso dalle sue labbra; si muoveva con forza ed eleganza degna di un elfo, tenendo conto di ogni singolo fattore che potesse portare alla sconfitta e stando attenta a qualunque cosa fosse immobile nel suo campo visivo. Il Re voltò il capo verso gli altri compari: Sire Thranduil combatteva con grazia e potenza, frutto degli innumerevoli anni che si portava sulle spalle, mentre tutta la sua maestria creava intorno a lui un’aura, come, ultraterrena. Invece Legolas e Gimli sembravano ragazzini: si divertivano a uccidere gli avversari, gareggiando uno contro l’altro, determinati e letali come due sciabole; l’elfo scagliava decine di frecce sulla marmaglia di orchi che gli si avventavano contro con incredibile prodezza e, solo per quelli che osavano avvicinarsi troppo, riservava il trattamento speciale di due coltellate nel costato. Il nano prendeva ad accettate qualunque cosa gli capitasse a tiro, con incredibile forza e foga, mentre la sua armatura sferragliava ad ogni movimento: gli hobbit sembravano delle schegge impazzite mentre si battevano eroicamente a partire da Sam, che da pacifico giardiniere della Contea era mutato in un alquanto particolare guerriero per proteggere il padrone. Frodo era un gentil-hobbit e lo dimostrava combattendo in un modo molto signorile e disperato mentre Merry e Pipino erano molto affiatati e si battevano valorosamente sul campo; dopo essersi accertato che tutti se la cavassero egregiamente con i nemici, il re Elessar iniziò a roteare la spada sopra il capo e iniziò a recidere colli, mentre i nemici  emettevano degli ululati straziati ogni qualvolta Ànduril sfiorava i loro corpi e squarciava le loro carni. La battaglia ormai era diventato un marasma di persone, le une avvinghiate alle altre nel tentativo di sbranarle e di ottenere il diritto da Manwë di continuare a vivere; i soldati di Gondor arretravano di qualche passo ad ogni ondata di orchetti e molti venivano trucidati dagli spietati nemici. Passarono lente e inesorabili le ore e le truppe si stavano affaticando; ormai i combattenti erano stanchi e ridotti a stracci, brandelli del mitico esercito che un tempo rappresentavano il più evoluto degli stati dei Secondogeniti, ma loro continuavano a combattere contro l’invasore: “ Sarà meglio ritirarci, Estel” urlò Aralis, ma il fratello non sentiva per tutto il trambusto che si interponeva tra loro e le fece segno di ripetere “ Ho detto che dobbiamo ritirarci prima che da battaglia si tramuti in massacro !” ululò la ragazza, continuando a brandire il falcione per evitare di essere assalita dagli orchetti avversari. Le trombe di Gondor squillarono alte e i soldati si voltarono verso i comandanti: mentre le schiere, gli hobbit e il nano si giravano verso le tre morti dell’Ovest per guardarle, Legolas si voltò verso i suoi  fratelli e delle occhiate fugaci gli fecero comprendere quello che avrebbe dovuto fare per la salvezza delle genti “ RITIRATA !” ordinò, rivolse un cenno ai suoi sottoposti e partì al trotto, spronando il cavallo verso le retrovie. Gli uomini iniziarono a seguirlo e, se prima era un putiferio adesso era divenuto il finimondo: tutti correvano, si calpestavano, martoriavano con le proprie pedate i caduti, i feriti arrancavano per ultimi, tentando di restare al passo col gruppo mentre i nemici erano alle loro calcagna; il re Elessar vide che i lenti erano più di quanti avesse pensato e si affiancò a un gruppo di soldati che tentavano di trasportare due mutilati e chiamò gli altri due principi ad assisterlo: i tre smontarono dalle loro cavalcature,ci issarono sopra i tutti gli invalidi che riuscirono a recuperare e batterono una forte sberla sul posteriore delle bestie, facendole partire a velocità folle verso la testa delle truppe. Il moro e la castana rimasero fermi a chiudere la lunga coda mentre i due elfi presero il comando; Aragorn era determinato a riuscire a salvare quanti più uomini era possibile, sacrificandosi se fosse stato necessario, e sapeva che la sorella avrebbe fatto lo stesso, anzi forse lo avrebbe fatto con molto più piacere di lui: sapeva che lei aveva una missione e quando questa sarebbe stata portata a compimento, la ragazza avrebbe pregato Mandos di prenderla e condurla nelle sue aule, mentre tutti quelli che l’avevano a cuore in terra avrebbero pianto la sua morte e cantato a lei come la più valorosa tra i Secondogeniti. Ma ora non c’era tempo per pensare al futuro più remoto: il Re si ricordò una frase che la minore soleva ripetere allo sfinimento “ Non pensare nel lungo periodo, perché nel lungo periodo saremo tutti morti”; ebbene adesso doveva combattere per la propria esistenza, per sua moglie, per quella quella piccola vita che lei portava in grembo che l’avrebbe reso l’essere più felice di tutta Eä, per tutte quelle persone che contavano su di lui per rivedere i volti dei propri figli, per Legolas che l’amava come un fratello e per ultima, ma non per importanza, per Aralis che sarebbe ammattita senza di lui, povera fanciulla. Intanto la sorella di era messa in posizione di difesa, puntando il falcione contro i nemici e ruotandolo vorticosamente per creare ciò che lei stessa definiva il “Vuoto”: questo le era stato insegnato, che serviva per non far capire all’avversario le intenzioni che si avevano e perciò, colpire con facilità estrema e creare un varco, danneggiando al massimo delle possibilità l’altra fazione; oramai gli orchetti erano così vicini che se avesse rotto l’equilibrio di quell’importantissima fase di preparazione al combattimento, ne avrebbe trinciato i crani con un unico e micidiale colpo. Ma farlo sarebbe costato l’effetto sorpresa e le conseguenze si sarebbero sentite sui risultati di quella ritirata imprevista: le schiere ingrigite si stavano stabilizzando e il Re stava prendendo lo slancio per dare il primo colpo ma si vedeva che non era ancora totalmente sicuro di come prenderli  per fargli realmente del male. Oramai i primi combattenti orchetti erano, praticamente, tra le braccia dei due Gondoriani quando Aralis decise che era il momento perfetto. Doveva rompere “ il Vuoto” prima che fosse stato troppo tardi. La lama della falce schizzò in avanti di un metro e mezzo, facendo cadere le prime tre linee di orribili creature; Anduril si infilò nel varco creato dall’altra lama, distruggendo tutto ciò che le si contrapponeva: i due regnanti si battevano coraggiosamente per far indietreggiare i nemici e riuscirono a sterminare il drappello che li aveva attaccati per destabilizzare le truppe. La lotta continuò per quasi due ore ma gli avversari si ritirarono nel loro campo, dall’altra parte della terra di nessuno; quando la baraonda sul terreno si spense in un lamento, i due combattenti tornarono indietro, contenti per la piccola vittoria di non aver perso territorio, ma accorati per tutti quegli uomini valorosi che erano andati persi, feriti, inutilizzabili per sempre, coloro che non sarebbero più tornati a vedere la luce delle stelle, quelle stesse stelle che ora stavano nel cielo illuminato di quella che i posteri avrebbero chiamato la Prima Notte di Sangue.

Aragorn e Aralis erano riusciti ad arrivare al campo dove erano stanziate le truppe solo per via delle lanterne che gli elfi solevano lasciare intorno ai posti dove alloggiavano, e con la loro luce celestiale li avevano guidati sino agli ingressi delle tende; i perimetri delle zone erano sorvegliati da numerose guardie armate e anche nei passaggi interni dell’accampamento presidiavano dei soldati. Le tende erano suddivise per importanza: nella parte più esterna erano state messe quelle della fanteria, poi vi erano quelle della cavalleria e degli ufficiali, quelle degli artiglieri, quelle dei trasporti e materiali con le munizioni e le provviste, poi quelle dei cosiddetti “Messi”, coloro che trasportavano i messaggi, e infine quelle dei geni, i sabotatori professionisti, e dei grandi capi. Gli Elfi si erano dispersi un po’ dove volevano, recando consiglio e ausilio dove venivano richiesti: le tende dove venivano portati i feriti erano un via vai continuo di donne e silvani, che aiutavano portando erbe, medicamenti, soluzioni, bendaggi, disinfettanti, coperte, lenzuola e bacinelle ricolme di liquidi. Il campo era punteggiato di fuochi dove le genti si erano ammassate per scaldarsi, alcuni soldati si medicavano a vicenda mentre altri battevano le spade e le armature che si erano ammaccate durante gli scontri; il buio era sceso come un manto a coprire ogni cosa, e il Re constatò quanto poche ore di battaglia avessero sfiancato e decimato le truppe, ferendo gravemente molti dei loro componenti: questo rendeva necessaria la riadattazione del piano originale, con conseguenti cambi di posizione da parte dei ben pochi alleati di cui disponevano e ulteriori mal di testa da procurasi prima di riuscire a mangiare qualcosa. La sorella lo guidò fino ad arrivare alla tenda che ospitava i sovrani elfici e lì, quasi si schiantarono al suolo dalla stanchezza: il principe biondo afferrò appena in tempo l’amico, prima che cascasse in terra, lo mise seduto, togliendogli i bracciali e pulendogli il volto dalla polvere, sotto lo sguardo di rimprovero del padre, che stava aiutando la ragazza a togliersi i guanti d’arme e gli schinieri; Aragorn si riebbe in qualche minuto e convocarono gli hobbit, che arrivarono in compagnia di Gimli, per creare una nuova mobilitazione da usare il giorno successivo, in un nuovo scontro. I loro visi erano provati, ma non dalla fatica, bensì dalla preoccupazione e non riuscivano a nasconderlo, ciò nonostante dovevano andare avanti; il nano, col suo solito pragmatismo ereditato dalla sua razza, si mise a guardare la carta stesa sul suolo e a grattarsi la barba, scuotendo il capo: “ Oggi sono riusciti ad aprirci come fossimo una verza; io ho notato qualche problema nella formazione del battaglione sei” precisò, indicando una linea di schieramento sul fronte due. Il Re degli Elfi osservava con occhiate sprezzanti il nemico giurato, mentre Legolas ascoltava pazientemente le idee dell’amico e apportava piccole modifiche: “ Se, come dici tu, la parte di esercito affidata a mia sorella è troppo aperta e dovessimo  restringerla, rimarrebbe questo spazio vuoto a lato: lì potremmo metterci la metà dell'esercito elfico, che coprirebbero gli altri in caso di ritirata e eviterebbero un accerchiamento” propose, ottenendo i consensi di tutti i reggenti. Passarono un paio d’ore a ridisegnare gli schemi di attacco, ma alla fine riuscirono a giungere ad un piano,degno di questo nome: i fanti sarebbero stati messi su un fronte di forma ellittica, seguiti dai lancieri che li avrebbero protetti, mentre i lati e il terzo strato sarebbero stati formati da cavalieri e arcieri elfici e, al contempo, le catapulte avrebbero sparato le munizioni una lega più avanti rispetto ai combattenti; se si fossero dovuti ritirare, le armi da tiro sarebbero indietreggiate, i soldati si sarebbero girati e avrebbero battuto in ritirata coperti dai cavalieri. Tutta la faccenda sarebbe stata eseguita sotto la supervisione di cinquanta comandanti minori e sei capitani maggiori, il braccio destro di Sire Thranduil e gli altri capi in carica al momento; Aragorn decise che bisognava anche lavorare d’astuzia e, quindi, i genieri sarebbero andati a sabotare alcune delle linee nemiche mentre, su idea di Aralis, dei messaggeri sarebbero tornati verso la città per far accorrere dei giovani e delle donne, che avrebbero preso il posto di rimpiazzo dei caduti: gli hobbit si dedicarono all’analisi curata e meticolosa, del piano d’attacco nemico, andando a scovare le minime imperfezioni e agendo di conseguenza per mirare e ottimizzare le azioni, impegnando meno risorse possibili nel procedimento. Merry e Pipino modificarono i tempi di sparo delle catapulte rispetto all’avanzamento dei soldati in prima linea, in modo che i proiettili non li centrassero ma aprissero le file degli orchi al loro passaggio; invece Frodo e Sam pensarono a come riqualificare l’area per sopravvivere in caso di un eventuale assedio, arrivando persino a pensare delle coltivazioni a rapida crescita per sfamare le truppe. Revisionarono il piano per due o tre ore, definendo, ripulendo, spostando e ricompattando sino ad avere qualcosa di molto simile a una planimetria completa di ogni possibile mossa che avrebbero potuto fare e il risultato li soddisfò assai; la luna stava ancora salendo negli più alti punti della sua orbita celeste, quando uscirono dalla tenda per andare ad occuparsi di altre questioni: il Re di Bosco Atro si andò ad accertare che fosse tutto a norma nei confini del campo, mentre i Mezz’uomini si misero accanto a dei fantaccini che attorniavano un fuoco, dove dei pezzi di legno mescolati ad ossa ardevano scoppiettanti, e provarono ad infondere in loro un po’ di coraggio. Gimli, figlio di Gloín, aiutava alcuni soldati ad affilare le armi e a riparare le armature, canticchiando: “Spuntar lame neanche poco, romper bottiglie e tappi al fuoco,

scheggiar coppe con tutto il resto...questo Bilbo lo detesta! La tovaglia per mangiar,

sopra il letto le ossa lasciar, in dispensa il latte versar, vino ovunque può schizzar.

Le stoviglie nell'acqua e poi, nel mortaio le puoi pestar, e se qualcuna si salvò, 

sempre in terra gettar si può...Questo Bilbo lo detesta!! ”* Il Re Elessar si mise a controllare le vie periferiche dell’accampamento, mentre Legolas e Aralis si avviarono verso l’infermeria per dare una mano: i loro passi riecheggiavano nei luoghi bui e le ombre della notte rendevano i loro visi più austeri di quanto non sembrassero già: dalla tenda uscivano degli elfi e delle donne che s’affrettavano verso il fiumiciattolo, che serviva per lavare i bendaggi. I due capi scostarono i lembi della tenda maggiore e avanzarono lentamente, verso l’anziana signora che dirigeva tutto il dipartimento e durante il tragitto voltarono lo sguardo alle persone che li circondavano: le curatrici erano sudate, imbrattate, stanche morte ma comunque operose e sembravano non curarsi affatto del forte odore di sangue di cui era pregna l’aria; i curatori elfici si affaccendavano nel medicare i feriti, preparando gli oli e gli unguenti, incoraggiando le colleghe e raccogliendo le bacinelle contenenti i fluidi corporei dei pazienti. Molti uomini erano ancora sdraiati sulle lettighe con cui li avevano trasportati e la maggior parte di loro non aveva ancora ricevuto assistenza per via del grande lavoro che bisognava fare sugli altri compari: i mutilati e i feriti gravi erano stati fatti passare avanti ma anche coloro che non erano stati soccorsi esibivano degli squarci mica da ridere. Il principe silvano stava per chiedere alla sorella di andare avanti, quando un suo confratello lo urtò mentre camminava con un composto da rimescolare tra le mani: “ Scusi Altezza non l’avevo vista” farfugliò lui, mentre cercava di rimettere in bilico la ciotola; il reggente osservò la strana poltiglia: “ Se questo è disinfettante, ti consiglio di aggiungere un po’ di corteccia di salice triturata per aumentare l’effetto analgesico” consigliò lui e pazientemente attese che il conpatriota tornasse, tenendo tra le dita il risultato. Ne sembrava estasiato e li guidò sino alla barella di colui che doveva medicare, offrendo il prodotto al figlio di Thranduil per apprendere un miglior metodo di stesura; il biondo si inginocchiò in fianco alla barella, tenendo ferma la pelle con una mano e il pennello di legno con l’altra ,mentre Aralis reggeva la scodella e i bendaggi, e iniziando a miscelare controllò lo squarcio che era stato inferto lungo tutta la lunghezza della gamba sinistra di un soldato: il taglio era profondo qualche centimetro, troppo poco per far dissanguare ma abbastanza per far vedere gli strati muscolari, grassi e cutanei ma percorrendo tutto l’arto lo immobilizzava. La pelle si era stracciata in alcuni punti e le dita delicate di Legolas tenevano ferme le estremità della ferita mentre le setole della pennellessa  strusciavano sulla carne viva, con lunghe e graduali pennellate, per stendere il medicamento in modo uniforme e comportando il minor disagio possibile al ricoverato; la sorella stava ungendo le garze di stracci in una soluzione di acqua marina scaldata su uno dei fuochi, per disinfettarle, mentre le altre infermiere le lanciavano qualche sguardo per vedere cosa stesse facendo e poi proseguivano con le loro faccende. L’uomo sbuffava sofferente, ma provava comunque a resistere al dolore e sopportò sino a che la ragazza non ebbe terminato di fasciare la gamba per poi tendere le mani ai propri curatori e ringraziarli: “ Voi portate la luce dove regna l’oscurità, miei Signori. Già il fatto che siate qui infonde coraggio in noi che abbiamo sbagliato, in noi che siamo gli ultimi a servire il regno, noi che siamo inutili” Aralis si chinò a prendere l’arto del soldato e tentò di rincuorarlo: “ Non è così che ragiona un combattente di Gondor: voi avete saputo che era il momento di lanciarsi davanti agli altri e di fregarsene di quanto fossero armati i nemici, siete stati coloro che hanno avuto la prodezza di sacrificarsi per primi, dando il via a tutte le grandi azioni che si compiranno; siete stati valorosi e il vostro nome non andrà perduto nelle pieghe del tempo” disse lei, prima che il medico elfico fece notare loro che bisognava sgombrare il posto letto e il gondoriano venne portato in un altro ricovero. Legolas si fece largo nel marasma di gente che attorniava l’anziana caporeparto; ella stava suturando, con dita abili e veloci, il cranio di un uomo che era stato preso a mazzate sul capo: quando il principe le chiese che cosa dovevano fare, la testa canuta e il dito rugoso  della donna gli fecero segno che poteva andare ovunque a portare il proprio aiuto. L’elfo decise di spostarsi e, dopo aver adocchiato dei feriti, prese la mano del comandante e le disse: “ Dai una mano a questi disgraziati che hanno bisogno di te e poi forse ci potremo addormentare” lei annuì e sparì tra la folla.

 

Passarono ancora un paio d’ore e il ragazzo biondo si ritrovò esausto, come svuotato dal lavoro che aveva compiuto per portare il proprio ausilio ovunque ce ne fosse il bisogno; uscì dalla tenda, inspirando quell’aria fresca e umida, casta dall’odore del sangue, lanciando lo sguardo in ogni possibile direzione in cerca della bruna. Non trovandola decise di mettersi in marcia; mentre camminava nella semi oscurità, accompagnato solo dallo scalpiccio delle sue suole che impattavano sul terreno, la sua mente iniziò a partorire delle emozioni che non aveva mai provato che erano scaturite da delle domande che non si era mai posto: “ Se le fosse successo qualcosa ? Dov’è ? Se non ha più voluto restare con noi mio padre rischierebbe di ammattirsi ! Non può essere successo di nuovo …” Aveva corso con l’angoscia che gli premeva con forza nel petto e non trovando la giovine si stava disperando, quando giunse al limitare del campo: Aralis era seduta per terra, a fissare l’aurora con gli occhi castani che sembravano due globi di vetro e la lingua stretta tra i denti bianchi; aveva l’aria assorta che aveva un condannato a morte mentre guardava la forca o la picca che lo avrebbe ammazzato. Lui si avvicinò lentamente e, non vedendo alcuna reazione, le mise un braccio intorno alle spalle, credendo che si stesse sentendo male; la ragazza voltò lentamente la testa e tirò un piccolo sospiro: “Kail, otorno” lo salutò cordialmente “ Cosa ci fai qui selér ? Lo sai che abbiamo bisogno di te per comandare l’esercito” la giovine sospirò di nuovo: “ Ho finito il mio turno di lavoro mezz’ora fa e sono venuta qui per pensare” Anche Legolas aveva finito tempo prima, quindi ciò voleva dire che la sorella era andata via mentre lui stava uscendo per cercarla: il viso della donna era teso e ciò rendeva il fratello dubbioso: “ Posso entrarti nella mente ?” le chiese, sedendosi al suo fianco “ Va bene…” rispose titubante e iniziò a raccontargli i suoi pensieri: “ Ho medicato tante persone quest’oggi, persino un uomo che aveva quasi perso un arto ma continuava a non sentire dolore e a chiacchierare con me; nel guardare tutti i soldati che riuscivo a sistemare mi sentivo bene eppure quando qualcuno moriva sotto le mie dita, mi sentivo come quel giorno… ho riconosciuto quelle ferite su ogni corpo che ho visto: non erano state inferte per uccidere bensì per deabilitare, per sfiancare sino alla fine. Volevano prenderli a battaglia conclusa e portarli da un loro capo come schiavi. Solo un tipo di orchi possono fare un’azione così deplorevole e ciò mi fa star male: io-io ho paura, Legolas” L’elfo si allarmò: la sua sorellina aveva un lato combattivo particolarmente pronunciato, alimentato anche dalla sua abilità e dalle sue esperienze, e quando dimostrava di avere paura voleva dire che era una cosa praticamente impossibile da sopportare per un uomo normale; la testa della sorella era poggiata sul suo petto e lei stava iniziando a tremare: “ Io ho paura; se mi prendono mi faranno finire come loro… e io non voglio provare la loro sofferenza, voglio morire con gli stivali ai piedi, voglio morire al vostro fianco… non voglio fare la loro fine” In quelle parole vi era riposta tutta la disperazione che la voce lasciava trasparire, con quegli innaturali alti e bassi che denotavano quanto fosse difficile per la ragazza rimanere calma; le braccia di Legolas si strinsero attorno alle spalle della sorella: “ No, che non tornerai tra loro; dovranno passare sul mio cadavere per prenderti, non finirai come loro, non fino a quando io sarò in vita: io ti proteggerò sempre, ricordatelo” le disse, accarezzandole i capelli e le guance illacrimate “ Io vorrei che ci fosse lei, qui con noi…” sussurrò la donna, col viso premuto contro il suo seno: “ Ma lei qui non c’è: Aralis…” le sollevò il mento con due dita “... io ti prometto che sarò la tua ombra” “ E io sarò sempre alle tue spalle” rispose lei; aveva smesso di tremare e ora si era accucciata nell’incavo tra le sue gambe. In poco tempo fu addormentata, crollata dal sonno nel posto più sicuro al mondo: le braccia del fratello che l’aveva cresciuta. Mentre le carezzava la chioma, Legolas fece una silenziosa promessa al cielo: Nessuno avrebbe torto un capello a quella magnifica creatura senza assaggiare tutta l’ira degli elfi di Arda.

 

La tana della scrittrice 

Salve a tutti ! Come state ? Tutto bene ? Buon anno ( sperando che sia migliore del precedente); l’unico asterisco che ho inserito si riferisce alla canzone cantata da Gimli ed è anche la stessa che suo padre ha cantato con i suoi amici della compagnia di Thorin Scudodiquercia, tanto per infastidire Bilbo. In questo capitolo ho voluto far vedere che Legolas non è solo un freddo elfo aristocratico, ma anche un fratello maggiore dolce e premuroso: chissà a chi pensava Aralis quando voleva essere consolata ? Boh, per scoprirlo dovrete aspettare un altro po’. Saluti e baci hobbit 

Sempre vostro 

 

Merry 

   
 
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