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Autore: Mary P_Stark    05/01/2021    2 recensioni
Liza Wallace è la nuova Geri del branco di Clearwater e, a discapito della sua giovane età, dimostra fin da subito di avere un potenziale enorme; il rapporto davvero unico con i suoi Huginn e Muninn, i magici corvi al servizio del Sicario Umano del branco colpisce fin dall'inizio l'intero branco. Questo suo potenziale verrà subito messo alla prova quando, a sorpresa, giungerà a Clearwater una famiglia proveniente da New York. I Sullivan sembrano una famiglia normale, almeno all'apparenza, ma il figlio Mark e suo padre Donovan metteranno in allarme il branco a causa del loro comportamento sospetto. Saranno dei temuti Cacciatori, o qualcun altro si cela nell'ombra, più pericolo e subdolo, tentando di portare lo scompiglio nel branco di Lucas, Devereux e Iris? (particolari della storia presenti nei racconti precedenti della Trilogia della Luna)
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'TRILOGIA DELLA LUNA'
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20.

 

 

Clearwater – 12 novembre 2019

 

Uscendo di casa con indosso un pesante cappotto e una cuffia in ciniglia ben premuta sui corti capelli neri tagliati a caschetto, Diana fissò ombrosa il marito – a pochi passi da lei – e mormorò: «Lascia che te lo dica, Donovan… quando questa situazione sarà finita, farò in modo che Mark diventi solo mio figlio, perché è chiaro che tu non lo meriti. Lui desiderava soltanto parlare con te prima di stanotte, ma tu ti sei negato!»

Donovan non poté replicare in alcun modo. Mark, in effetti, aveva chiesto a sua madre di poter dire poche parole al padre, prima del plenilunio che avrebbe decretato le sue sorti, ma lui non era proprio riuscito ad accontentarlo.

Il ricordo della morte violenta del fratello, della cognata e della nipote lo sconvolgevano ancora così tanto da rendergli impossibile qualsiasi decisione, anche una all’apparenza così semplice come vedere il figlio.

Naturalmente, questo stallo aveva creato un’ulteriore spaccatura in seno al suo rapporto con Diana che, ormai da una settimana, dormiva nel letto di Mark in completa solitudine.

Niente, nessun tipo di giustificazione era servita a farla calmare e, quando la vide uscire sbattendo la porta, non se ne stupì.

In tutta coscienza, sapeva di stare scaricando sul figlio tutto l’odio fin lì raccolto negli anni, ma non riusciva a sbloccare il loop che lo aveva imbrigliato in quella prigione senza sbarre, in quell’incubo a occhi aperti da cui non poteva fuggire.

Ascoltare le parole di conforto dei suoi colleghi, così come degli studenti dei suoi corsi, era solo servito a peggiorare le cose, rendendolo ancora più consapevole della sua limitata percezione dell’altrui dolore.

Era mai possibile che, in tutti quegli anni passati a cercare il proprio nemico, si fosse così inaridito dentro?

In base a come si era comportato durante quell’ultima settimana, sembrava proprio di sì. Non riusciva a muovere un solo passo per sorreggere il figlio in quei pochi metri che lo separavano dalla sua nuova esistenza, e questo lo stava allontanando forse per sempre anche da sua moglie.

Eppure, nonostante fosse consapevole di tutto ciò, non riusciva a scuotersi.

Un bussare discreto alla porta lo strappò a quel lamento mentale e, nell’andare ad aprire, trovò a sorpresa Christal sulla porta d’entrata.

Appariva imperscrutabile, esattamente come l’aveva vista durante il combattimento contro l’amarok, e nei suoi occhi non si poteva scorgere nulla, a parte il chiarore ambrato delle iridi.

Le ferite riportate durante il combattimento erano già ampiamente rimarginate – a riprova della loro incredibile forza rigenerativa – eppure, in qualche modo, sembrava provare dolore.

«Posso entrare?» domandò la donna, avanzando senza attendere una risposta.

Donovan si scostò dall’entrata per chiudere la porta alle sue spalle e, nel poggiarvisi contro, domandò torvo: «Il tuo capo ti ha detto di cucirmi la bocca una volta per tutte?»

Charlotte rise irritata, a quel commento sprezzante e, nel volgersi per affrontarlo a muso duro, ringhiò infastidita: «Dovrei proprio farti uno sgarbo simile, anche solo per darti una lezione, ma poi farei soffrire in primis Lucas che, per la puttana, è la migliore guida che mi sia mai capitata di conoscere!»

Lucas. Il suo capobranco. Colui che chiamavano Fenrir. Era mai possibile che quell’uomo avvenente e dalla parlata gentile fosse anche così carismatico da attrarre una simile devozione? A quanto pareva, sì.

Ciò detto, la donna si passò nervosamente una mano tra i neri capelli e proseguì nel dire con tono ancor più ferreo: «Vorrei solo sapere perché, proprio stasera, Diana sta uscendo di qui tutta da sola. Ancora! Davvero non hai compreso la gravità della situazione, o cosa sta rischiando tuo figlio?!»

«So di avere torto…» esalò Donovan, sorprendendola non poco.

«Ma allora…» gracchiò Charlotte, prima di venire interrotta da un gesto dell’uomo.

Reclinando contrito il capo, aggiunse penitente: «…ma non riesco ad accettare ciò che lui diventerà. E’ come se si fosse spezzato qualcosa dentro di me. Qualcosa che non riesco a ricomporre.»

Charlotte, allora, sospirò pesantemente, si lasciò crollare sulla cassapanca presente nell’ingresso e disse torva: «Hai visto solo sangue e morte, legati ai lupi, vero? E non intendo i lupi naturali.»

Donovan assentì meccanicamente e la donna, grattandosi pensosa una guancia, aggiunse: «Proprio per questo, dovresti andare al Vigrond anche tu, stasera. Lucas ha concesso un lasciapassare anche per te, perciò nessuno ti fermerà. Ma devi vedere che noi non siamo legati solo a sangue e morte, ma anche a bellezza e unione e fraternità. Devi vedere entrambe le facce della medaglia, o non ne uscirai mai più e, credimi, non perderai solo una moglie e un figlio, ma anche la sanità mentale.»

L’uomo, allora, la guardò con estrema curiosità, domandandole: «Come sai che questo basterà?»

Una risatina scaturì dalle labbra carnose di Charlotte, che replicò: «Non lo so, infatti, ma penso che mio padre sarebbe ancora vivo, se si fosse ricordato di chi era, e non solo di quello che Logan gli aveva fatto credere di essere.»

Accigliandosi, Donovan chiese maggiori spiegazioni in merito, così Charlotte gli raccontò della loro vita nei boschi assieme a Logan, il loro vecchio capoclan, e della legge sanguinaria che lui aveva loro imposto.

Per anni, erano stati soggiogati dal potere della Voce del Comando del loro precedente Fenrir. Quando quest’ultimo era stato sconfitto da Lucas e tutti loro erano stati liberati, gli strascichi di quella vita – e di ciò che avevano fatto – si erano però ripercossi sulle menti dei più sensibili.

Chuck Johnson e il dottor Cooper avevano lavorato instancabilmente per mesi con le vittime di Logan ma suo padre, Morris, non era riuscito a superare l’onta del disprezzo personale e si era tagliato la gola con un’arma in argento.

Era stata lei a trovarlo e, per giorni, aveva temuto che anche la madre ne avrebbe seguito le orme. Solo ora cominciava a sentirsi abbastanza tranquilla nel lasciarla sola a casa ma, per molto tempo, aveva temuto anche soltanto di uscire per andare al lavoro.

Donovan assentì muto alle sue parole, sconvolto da quella catena terribile di eventi e, quando Charlotte terminò il suo racconto, chiosò: «Ti pare che Lucas ordinerebbe mai la morte di qualcuno?»

«Da quello che mi dici, direi di no. Ma non cambia il fatto che non riesco a muovermi da qui» sospirò Donovan, scuotendo debolmente il capo.

«E’ per questo che ho chiesto a Diana di poter venire a scuoterti un po’» replicò lei, sorprendendolo. «Confido nel fatto che tu, ormai, ti sia abituato all’idea che io metto su pelliccia e quant’altro, perciò penso che tu abbia una discreta dose di fiducia in me, giusto?»

L’uomo assentì cauto – dopotutto, lei lo aveva salvato, e aveva contribuito alla salvezza di Mark – così Charlotte, sorridendo a mezzo, aggiunse: «Proprio per questo, ora ti caricherò su una spalla e ti porterò fino al Vigrond, così vedrai con i tuoi occhi che siamo creature dotate di un’anima e un cuore, non soltanto di zanne e artigli con cui dilaniare e uccidere.»

Donovan strabuzzò gli occhi, di fronte a quella proposta tutt’altro che attraente e, dubbioso, replicò: «Hai davvero intenzione di portarmi fin là come se io fossi un sacco di patate?»

«Oh, no, sembrerebbe davvero molto strano» rise ironica lei. «Ti caricherei sul pick-up come se tu fossi un sacco di patate, poi partirei per raggiungere casa Saint Clair. Ecco come faremo.»

«Lo faresti davvero, giusto?» mormorò roco l’uomo.

Lei tornò assolutamente seria, assentì e disse: «Ho visto fin troppe famiglie disgregarsi, dopo ciò che successe con Logan e Julia e, se è in mio potere evitare che ci siano altre separazioni, farò il tutto e per tutto per evitarlo.»

Donovan non seppe che dire per replicare.

***

Alte torce erano state piazzate a cerchio intorno al Vigrond, così che la visibilità fosse ottimale anche per coloro che non avevano occhi da lupo con cui visualizzare il paesaggio notturno.

Profumo di salvia e rosmarino si alzava in piccole nuvole di fumo da alcuni bracieri sistemati sulla veranda di casa Saint Clair e, mentre Iris sistemava anche l’ultimo in prossimità delle scale che portavano sul retro, sorrise quando vide giungere Diana.

Appariva pallida ma quanto mai determinata e, per Iris, fu naturale come respirare accoglierla con un abbraccio. Pur se non si conoscevano da molto, sentiva un trasporto speciale per quella donna, forse perché anche lei era stata duramente provata da un destino che altri le avevano gettato addosso senza il suo consenso.

Sorridendole, la invitò quindi all’interno del cottage e, nell’offrirle un punch caldo e qualche tartina, esordì dicendo: «Mark deve ancora arrivare, ma sarà qui tra poco assieme a Liza.»

Lei assentì, sapendo bene che il figlio dormiva a casa Wallace già da un paio di giorni, e cioè da quando era stato dimesso dall’ospedale. Rachel Wallace si era dichiarata più che felice di ospitarlo e, con ampi sorrisi e delicate pacche sulle spalle, le aveva assicurato che, ben presto, tutto si sarebbe risolto.

Doveva molto alla madre di Liza, e non solo in termini di ospitalità. Quella donna all’apparenza fragile e facile alla lacrima, si era rivelata una persona più forte e caparbia di molte altre che Diana aveva ritenuto tali, a partire da suo marito.

Ancora non si capacitava della ritrosia di Donovan a comprendere la situazione ma, più di tutto, a comprendere Mark. Si era convinta di aver sposato l’uomo giusto per lei, sincero, forte e battagliero ma, in quel frangente, non riusciva a essere nessuno dei tre.

Si era dunque così sbagliata, su di lui?

«Vedo che Donovan non è voluto venire…» esordì cauta Iris mentre, al piano superiore, le voci di Chelsey e Devereux si facevano strada fino a raggiungerle. Era chiaro quanto, la sola idea di non poter partecipare alla Mutazione dei suoi amici, stesse mandando su tutte le furie la figlia, e quanto Dev fosse ormai agli sgoccioli, quanto a pazienza.

Diana sorrise divertita nel sentire le prime velate minacce di Devereux – quasi interamente riguardanti un fantomatico viaggio in camper – e, scrollando triste una spalla, asserì: «Non so più cosa pensare, onestamente. Credevo fosse diverso.»

«E’ la situazione a essere diversa. Non l’uomo. O almeno, io così credo» replicò a sorpresa Iris. «Per più di dieci anni, Donovan si è impegnato anima e corpo in una ricerca che, nella migliore delle ipotesi, tutti avrebbero considerato folle e, nella peggiore, lo avrebbe anche potuto far internare, ma lui ha continuato lo stesso e, durante questa sua battaglia personale, ha incontrato te.»

«Ma ha perso la sua prima moglie, a causa della sua cocciutaggine» sottolineò per contro Diana. «E sta perdendo suo figlio!»

«Vero. Però, tu lo ami ancora, così come ami molto Mark, giusto?»

Diana sbuffò, annuendo contrariata: «Sì, lo amo, ma ora vorrei picchiarlo per come sta trattando Mark. Adoro quel ragazzo come se fosse nato dal mio grembo, perciò trovo straziante vedere questa spaccatura tra di loro.»

Iris annuì alle sue parole e, nello scrutare le luci altalenanti accese nel Vigrond, mormorò: «Il suo mondo si è capovolto per ben due volte, e ora non sa più dove si trova con esattezza. Io me ne andai di casa perché mi ritenevo un pericolo per i miei zii e le mie cugine ma, soprattutto, perché avevo paura di me stessa, a volte persino ribrezzo, e volevo capire come liberarmi da ciò che ero divenuta. Per mesi odiai il mio stesso corpo, desiderai farla finita…»

Nel dirlo, si sfiorò i polsi dove nulla, a parte i suoi ricordi, era rimasto a testimonianza dei suoi momenti più bui e carichi di sconforto.

Diana sospirò spiacente e Iris, nel sorriderle per un attimo, scosse il capo e aggiunse: «Naturalmente, non tentai mai di farmi del male con qualcosa in argento, che già sapevo far male ai licantropi – dovetti gettare via subito tutti i miei gioielli, non appena mi accorsi che mi ustionavano. Alla fine, non volevo davvero morire; era la depressione a spingermi in quella direzione, non tanto un mio reale desiderio. Arrivare qui mi salvò in molti modi possibili e, io credo, sarà lo stesso anche per Donovan, ma ha bisogno di tempo.»

«A discapito di Mark?»

«No, certo. Ma a lui baderemo noi e te. Finché Donovan non avrà trovato di nuovo un suo centro. Non dubito che sarà in grado di trovarlo, visto quanto si è impegnato per trovare l’assassino di suo fratello… solo, stavolta la batosta è stata così grande che, anche un uomo forte come lui, è crollato. Ognuno di noi ha il proprio punto di rottura, e non mi stupisce che il suo sia stato proprio Mark» le fece notare Iris.

Diana assentì muta, riflettendo sulle parole della padrona di casa e trovandole, suo malgrado, giuste. O, se non propriamente giuste, coerenti con la situazione.

Donovan amava così tanto il figlio da essersi perso in un incubo tutto suo, quando aveva scoperto a quale realtà, ben presto, Mark sarebbe stato legato gioco forza, e questo lo aveva spezzato.

Forse, non era stato giusto lasciare solo il figlio proprio in quel momento, ma Diana poteva iniziare a capire perché fosse successo. Questo non lo scusava, ma vedere la situazione da quel punto di vista la aiutava almeno a comprendere meglio il punto di vista di Donovan.

Sorridendo perciò a Iris, Diana mormorò: «Grazie.»

«Di nulla. In famiglia ci si aiuta e, ben presto, capirai fino a che punto sia grande e unita questa in particolare» replicò con una spallucciata Iris, indicando poi verso l’esterno, dove i primi alfa si stavano radunando al Vigrond.

Ben presto, la cerimonia avrebbe avuto inizio e, se tutto fosse andato come da loro sperato, altri tre lupi avrebbero fatto parte del loro branco.

***

Era già la quarta maglia che cambiava, ma ancora non era convinto di ciò che avrebbe indossato quella sera.

A ben vedere, sarebbe contato ben poco, visto che avrebbe dovuto spogliarsi, per mutare – onde evitare di ridurre a brandelli gli abiti – ma, assurdamente, gli sembrava importante scegliere la cosa giusta, per quell’occasione.

Per evitare loro inutili traumi dovuti alla nudità, due lupi – e quattro lupe – avrebbero offerto tutta la privacy possibile tenendo sollevati attorno a loro dei teli per proteggerli dagli altrui sguardi. Ciò sarebbe servito per non rendere ancor più difficile quella prima mutazione, di cui nessuno di loro conosceva un accidente.

Per concedere loro un’ulteriore difesa – stavolta fisica – Iris avrebbe innalzato uno scudo a loro protezione e sarebbe rimasta al limitare del Vigrond per controllare che tutto si svolgesse per il meglio.

Mark non aveva idea di cosa potesse voler dire, anche se Liza gliene aveva parlato più volte, perciò era piuttosto curioso di scoprire quale asso nella manica nascondesse la sua insegnante di musica.

Il solo pensiero lo portò a sorridere fiacco. Era così strano pensare a Iris come alla propria insegnante, ora come ora, sapendo quanto di più vi fosse in lei, oltre al ruolo di docente. Ogni cosa, da quando era stato ferito, gli sembrava assurda e fuori fase e, paradossalmente, il silenzio del padre gli pareva stranamente normale, vista la situazione.

Certo, avrebbe preferito potergli parlare a quattr’occhi, promettergli che mai, nella vita, avrebbe commesso delitti o nuociuto a qualcuno, ma ciò non era potuto avvenire.

Un quieto bussare alla porta interruppe quell’ultimo pensiero e, nel consentire l’ingresso, si sorprese un poco nel veder entrare Richard Wallace.

Giunto a Clearwater la sera precedente, l’uomo lo aveva ringraziato per il suo tentativo – goffo e inutile, a suo modo di vedere, ma non per l’uomo – di difendere Liza e si era detto ottimista in merito a ciò che sarebbe avvenuto al Vigrond.

Non aveva avuto da ridire, quando sua moglie Rachel lo aveva avvertito della sua presenza in casa anche per la notte e, la mattina seguente, si era premurato di prestargli il necessario per farsi la barba.

Trovarselo dinanzi in quel momento, quindi, lo sorprese un po’.

«Signor Wallace…ha bisogno di qualcosa?»

L’uomo sorrise appena, replicando: «Solo Richard, ragazzo. Evitiamo le formalità, dove si può appena.»

Mark non poté che assentire e Richard, nell’osservare le maglie stese sul letto, sorrise maggiormente e domandò: «Ansia da prestazione?»

«In tutta onestà, non so cosa indossare, anche se sono convinto che non interesserà a nessuno, se avrò una maglietta dei Pink Floyd piuttosto che una felpa dei Red Hot Chili Peppers» ammise Mark facendo spallucce.

Annuendo con un risolino, Richard vagliò con lo sguardo gli abiti che Diana gli aveva consegnato quella stessa mattina in un borsone e, dopo aver soppesato tra le mani una paio di felpe, ne consegnò una al giovane e disse: «Questa della Nike. Si adatta ai tuoi occhi, e Nike è anche un simbolo di vittoria. Non guasta essere un po’ scaramantici.»

Mark annuì con un sorrisino e, dopo averla indossata, sospirò appena e domandò francamente all’uomo: «Crede veramente che andrà tutto bene?»

«E’ una domanda a cui, purtroppo, non posso rispondere» sospirò Richard, passandosi una mano tra i capelli e tradendo, a quel modo, l’ansia che in realtà stava provando. «Quando Iris mi disse ciò che le era successo, i suoi genitori erano morti da pochissimo, lei era terrorizzata a morte e le rimanevo solo io, come àncora a cui aggrapparsi. Non era soltanto mio dovere rimanerle accanto, ma anche un fatto naturale, visto che le nostre famiglie sono sempre state molto unite. Dovevo essere saldo. Ora, invece, Liza ha un intero branco a sostenerla, oltre a te e Chanel che state vivendo le stesse paure e gli stessi dubbi, così io ho il tempo – mio malgrado – di sentirmi un po’ spaesato.»

Nel dirlo, sorrise appena e Mark annuì comprensivo. «Se, con Iris, mi sono imposto di credere che tutto sarebbe andato bene per dare forza a lei, che era totalmente sola, non riesco del tutto a farlo adesso, perché mi sembra che la mia voce conti molto poco, in questo frangente.»

«Credo che, per Liza, la sua voce conterà sempre e comunque. Indipendentemente da cosa diventerà stanotte» dichiarò con sincerità il giovane.

«Grazie» mormorò Richard, prima di poggiargli una mano sulla spalla e aggiungere: «Sono sicuro che anche tuo padre comprenderà la situazione, e farà sentire la sua voce per darti coraggio.»

Mark, a quel punto, sospirò e, nell’osservare l’oscurità che stava allagando la notte placida di quel giorno così speciale, si limitò a dire: «Non fatico a comprendere le sue reticenze. Davvero. E so anche perché non sia mai venuto, in questi giorni… ma sì, anche per me, la sua voce conterà sempre. Se mai vorrà di nuovo parlare con me, io lo ascolterò.»

A Richard venne spontaneo abbracciarlo e Mark, suo malgrado, tremò tra quelle braccia forti e calde, che davano sicurezza. Desiderava che anche il padre tornasse ad abbracciarlo a quel modo, ma sapeva bene cosa lo stesse bloccando in quel momento, e non gliene faceva una colpa.

Solo lui, oltre al padre, sapeva davvero cosa avessero trovato in quella casa, più di dieci anni addietro.

Solo lui, oltre al padre, portava il peso di quel sangue, di quei corpi smembrati, di quei volti tanto amati, nel cuore e nell’animo.

Solo lui, oltre al padre, conosceva il morso amaro della solitudine, il sentirsi dire ‘no’ da tutti coloro che avrebbero dovuto scoprire la verità al posto loro.

Ora la conoscevano, e non faticava a comprendere perché il padre ne fosse rimasto annientato. Ma aveva ancora fiducia in lui ed era certo che, prima o poi, avrebbe ascoltato di nuovo la sua voce e goduto dei suoi abbracci.

«Andiamo?» mormorò una voce alle loro spalle, spezzando l’incantesimo.

Richard si ritrasse al pari di Mark e Liza, sulla porta, sorrise a entrambi prima di prendere il padre sottobraccio e mormorare solo per lui: «Ti voglio bene, papà.»

«Lo so. Ma è bello sentirselo dire» ammiccò l’uomo scortandola dabbasso mentre Mark chiudeva la fila.

In salotto, Rachel stava sistemando una pesante sciarpa attorno al collo di Chanel che, divertita e imbarazzata da tante attenzioni, sorrise quando li vide giungere.

Subito, Liza si staccò dal padre per raggiungere l’amica e, trascinandola con sé, disse alla madre: «Sta benissimo, mamma. Non soffocarla con le tue attenzioni.»

«Non ho stretto così tanto la sciarpa, sai?» cercò di ironizzare Rachel, per poi avvolgere con fervore la figlia in un abbraccio ed esclamare: «Oh, il mio tesoro! Sono sicura che tutto si risolverà per il meglio!»

«Se non soffoco prima del tempo, lo credo anch’io» bofonchiò la giovane, cercando di districarsi dalle braccia della madre.

Rachel protestò contro la sua insensibilità, e questo portò a una risata collettiva che distese temporaneamente gli animi dei presenti. Non che fosse possibile dimenticare ciò che, entro breve, sarebbe successo, ma riderne un po’ non avrebbe fatto male a nessuno.

«Helen è già partita?» si informò Liza, non vedendo la sorella.

«Ha detto che voleva aiutare Iris ad allestire il Vigrond, così l’ho lasciata andare» annuì la madre, afferrando il proprio cappotto per drappeggiarselo sulle spalle. «Possiamo avviarci anche noi. Sarebbe scortese arrivare in ritardo.»

«Credimi, mamma… senza di noi, non cominceranno di sicuro» ironizzò Liza, ammiccando al suo indirizzo prima di infilare il proprio piumino e avviarsi verso l’uscita.

“Noi saremo con te, mamma” disse all’improvviso Huginn.

Sorridendo nell’uscire, Liza sollevò entrambe le braccia perché Huginn e Muninn si posassero su di esse dopodiché, avvicinandoseli al viso, sfiorò con la fronte le loro testoline e mormorò: «Non potrei avere compagni più fedeli di voi. Grazie.»

Ciò detto, si diresse verso l’auto tenendo i due corvi sugli avambracci, al pari della Morrigan prima di una battaglia. Solo quando giunse accanto al Chrisler Grand Voyager, li fece librò in aria con una spinta e disse solo per loro: “Sii i miei occhi e cercala, Huginn. Tu, Muninn, resta accanto a Iris, così che lei possa essere avvisata per tempo dell’arrivo di akhlut. E’ una missione un po’ diversa dal solito, ma so che ce la faremo come sempre.”

“Ovvio, mamma. Noi siamo i migliori” chiosò Muninn, involandosi verso la casa dei Saint Clair mentre Huginn prendeva la via del nord.

“Tuo fratello ti ha detto nulla, Muninn?” domandò quindi Liza. Aveva preferito non mettere sotto pressione Huginn in merito alle sue visioni ma, ora che il corvo era lontano, poteva chiedere lumi al fratello.

“Non era sicuro avresti voluto sapere, ma sì… ha visto qualcosa. Tre ombre nere in un campo totalmente bianco. Nient’altro.”

“Può voler dire tutto e voler dire niente. Non è necessariamente un male” assentì Liza, mentre il padre metteva in moto per raggiungere la casa dei nipoti. “Lì, come procede?”

“Ci sono delle torce accese, e la mamma di Mark sta aiutando Helen a sistemare alcuni fiori secchi nei bracieri.”

“Donovan?”

“Non lo vedo, ma mancano ancora altre persone, per cui…”

Il tono insicuro di Muninn fece sorridere Liza. Anche il corvo aveva finito con l’affezionarsi a Mark, e desiderava che la situazione si risolvesse.

Stretta la mano di Mark nella semi oscurità del vano auto, sentì la sua pronta risposta e, nel chiudere gli occhi, si concentrò su quel calore, sulla forza che sentiva provenire da quelle dita, da quella pelle che stava imparando a conoscere.

Non sapeva cosa volesse dire quella visione, ma avrebbe fatto in modo che fosse benigna. A qualsiasi costo.


 

  
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