20.
Clearwater
– 12
novembre 2019
Uscendo
di casa con indosso un pesante cappotto e una cuffia in ciniglia ben
premuta
sui corti capelli neri tagliati a caschetto, Diana fissò
ombrosa il marito – a
pochi passi da lei – e mormorò: «Lascia
che te lo dica, Donovan… quando questa
situazione sarà finita, farò in modo che Mark
diventi solo mio figlio,
perché è chiaro che tu non lo meriti. Lui
desiderava soltanto parlare con te prima
di stanotte, ma tu ti sei negato!»
Donovan
non poté replicare in alcun modo. Mark, in effetti, aveva
chiesto a sua madre
di poter dire poche parole al padre, prima del plenilunio che avrebbe
decretato
le sue sorti, ma lui non era proprio riuscito ad accontentarlo.
Il
ricordo della morte violenta del fratello, della cognata e della nipote
lo
sconvolgevano ancora così tanto da rendergli impossibile
qualsiasi decisione,
anche una all’apparenza così semplice come vedere
il figlio.
Naturalmente,
questo stallo aveva creato un’ulteriore spaccatura in seno al
suo rapporto con
Diana che, ormai da una settimana, dormiva nel letto di Mark in
completa
solitudine.
Niente,
nessun tipo di giustificazione era servita a farla calmare e, quando la
vide
uscire sbattendo la porta, non se ne stupì.
In
tutta coscienza, sapeva di stare scaricando sul figlio tutto
l’odio fin lì
raccolto negli anni, ma non riusciva a sbloccare il loop
che lo aveva imbrigliato in quella prigione senza sbarre, in
quell’incubo a occhi aperti da cui non poteva fuggire.
Ascoltare
le parole di conforto dei suoi colleghi, così come degli
studenti dei suoi
corsi, era solo servito a peggiorare le cose, rendendolo ancora
più consapevole
della sua limitata percezione dell’altrui dolore.
Era
mai possibile che, in tutti quegli anni passati a cercare il proprio
nemico, si
fosse così inaridito dentro?
In
base a come si era comportato durante quell’ultima settimana,
sembrava proprio
di sì. Non riusciva a muovere un solo passo per sorreggere
il figlio in quei pochi
metri che lo separavano dalla sua nuova esistenza, e questo lo stava
allontanando forse per sempre anche da sua moglie.
Eppure,
nonostante fosse consapevole di tutto ciò, non riusciva a
scuotersi.
Un
bussare discreto alla porta lo strappò a quel lamento
mentale e, nell’andare ad
aprire, trovò a sorpresa Christal sulla porta
d’entrata.
Appariva
imperscrutabile, esattamente come l’aveva vista durante il
combattimento contro
l’amarok, e nei suoi occhi
non si
poteva scorgere nulla, a parte il chiarore ambrato delle iridi.
Le
ferite riportate durante il combattimento erano già
ampiamente rimarginate – a
riprova della loro incredibile forza rigenerativa – eppure,
in qualche modo,
sembrava provare dolore.
«Posso
entrare?» domandò la donna, avanzando senza
attendere una risposta.
Donovan
si scostò dall’entrata per chiudere la porta alle
sue spalle e, nel poggiarvisi
contro, domandò torvo: «Il tuo capo ti ha detto di
cucirmi la bocca una volta
per tutte?»
Charlotte
rise irritata, a quel commento sprezzante e, nel volgersi per
affrontarlo a
muso duro, ringhiò infastidita: «Dovrei proprio
farti uno sgarbo simile, anche
solo per darti una lezione, ma poi farei soffrire in
primis Lucas che, per la puttana, è la migliore
guida che mi sia
mai capitata di conoscere!»
Lucas.
Il suo capobranco. Colui che chiamavano Fenrir. Era mai possibile che
quell’uomo avvenente e dalla parlata gentile fosse anche
così carismatico da
attrarre una simile devozione? A quanto pareva, sì.
Ciò
detto, la donna si passò nervosamente una mano tra i neri
capelli e proseguì
nel dire con tono ancor più ferreo: «Vorrei solo
sapere perché, proprio stasera, Diana
sta uscendo di
qui tutta da sola. Ancora! Davvero
non hai compreso la gravità della situazione, o cosa sta
rischiando tuo
figlio?!»
«So
di avere torto…» esalò Donovan,
sorprendendola non poco.
«Ma
allora…» gracchiò Charlotte, prima di
venire interrotta da un gesto dell’uomo.
Reclinando
contrito il capo, aggiunse penitente: «…ma non
riesco ad accettare ciò che lui
diventerà. E’ come se si fosse spezzato qualcosa
dentro di me. Qualcosa che non
riesco a ricomporre.»
Charlotte,
allora, sospirò pesantemente, si lasciò crollare
sulla cassapanca presente nell’ingresso
e disse torva: «Hai visto solo sangue e morte, legati ai
lupi, vero? E non
intendo i lupi naturali.»
Donovan
assentì meccanicamente e la donna, grattandosi pensosa una
guancia, aggiunse: «Proprio per
questo, dovresti andare al
Vigrond anche tu, stasera. Lucas ha concesso un lasciapassare anche per
te,
perciò nessuno ti fermerà. Ma devi
vedere che noi non siamo legati solo a sangue e morte, ma anche a
bellezza e
unione e fraternità. Devi vedere entrambe le facce della
medaglia, o non ne
uscirai mai più e, credimi, non perderai solo una moglie e
un figlio, ma anche
la sanità mentale.»
L’uomo,
allora, la guardò con estrema curiosità,
domandandole: «Come sai che questo
basterà?»
Una
risatina scaturì dalle labbra carnose di Charlotte, che
replicò: «Non lo so,
infatti, ma penso che mio padre sarebbe ancora vivo, se si fosse
ricordato di chi
era, e non solo di quello che Logan gli aveva fatto credere
di essere.»
Accigliandosi,
Donovan chiese maggiori spiegazioni in merito, così
Charlotte gli raccontò
della loro vita nei boschi assieme a Logan, il loro vecchio capoclan, e
della
legge sanguinaria che lui aveva loro imposto.
Per
anni, erano stati soggiogati dal potere della Voce del Comando del loro
precedente Fenrir. Quando quest’ultimo era stato sconfitto da
Lucas e tutti
loro erano stati liberati, gli strascichi di quella vita – e
di ciò che avevano
fatto – si erano però ripercossi sulle menti dei
più sensibili.
Chuck
Johnson e il dottor Cooper avevano lavorato instancabilmente per mesi
con le
vittime di Logan ma suo padre, Morris, non era riuscito a superare
l’onta del
disprezzo personale e si era tagliato la gola con un’arma in
argento.
Era
stata lei a trovarlo e, per giorni, aveva temuto che anche la madre ne
avrebbe
seguito le orme. Solo ora cominciava a sentirsi abbastanza tranquilla
nel
lasciarla sola a casa ma, per molto tempo, aveva temuto anche soltanto
di
uscire per andare al lavoro.
Donovan
assentì muto alle sue parole, sconvolto da quella catena
terribile di eventi e,
quando Charlotte terminò il suo racconto, chiosò:
«Ti pare che Lucas
ordinerebbe mai la morte di qualcuno?»
«Da
quello che mi dici, direi di no. Ma non cambia il fatto che non riesco
a
muovermi da qui» sospirò Donovan, scuotendo
debolmente il capo.
«E’
per questo che ho chiesto a Diana di poter venire a scuoterti un
po’» replicò
lei, sorprendendolo. «Confido nel fatto che tu, ormai, ti sia
abituato all’idea
che io metto su pelliccia e quant’altro, perciò
penso che tu abbia una discreta
dose di fiducia in me, giusto?»
L’uomo
assentì cauto – dopotutto, lei lo aveva salvato, e
aveva contribuito alla
salvezza di Mark – così Charlotte, sorridendo a
mezzo, aggiunse: «Proprio per
questo, ora ti caricherò su una spalla e ti
porterò fino al Vigrond, così
vedrai con i tuoi occhi che siamo
creature dotate di un’anima e un cuore, non soltanto di zanne
e artigli con cui
dilaniare e uccidere.»
Donovan
strabuzzò gli occhi, di fronte a quella proposta
tutt’altro che attraente e,
dubbioso, replicò: «Hai davvero
intenzione di portarmi fin là come se io fossi un sacco di
patate?»
«Oh,
no, sembrerebbe davvero molto strano» rise ironica lei.
«Ti caricherei sul pick-up
come se tu fossi un sacco di
patate, poi partirei per raggiungere casa Saint Clair. Ecco come
faremo.»
«Lo
faresti davvero, giusto?» mormorò roco
l’uomo.
Lei
tornò assolutamente seria, assentì e disse:
«Ho visto fin troppe famiglie
disgregarsi, dopo ciò che successe con Logan e Julia e, se
è in mio potere
evitare che ci siano altre separazioni, farò il tutto e per
tutto per
evitarlo.»
Donovan
non seppe che dire per replicare.
***
Alte
torce erano state piazzate a cerchio intorno al Vigrond,
così che la visibilità
fosse ottimale anche per coloro che non avevano occhi da lupo con cui
visualizzare il paesaggio notturno.
Profumo
di salvia e rosmarino si alzava in piccole nuvole di fumo da alcuni
bracieri
sistemati sulla veranda di casa Saint Clair e, mentre Iris sistemava
anche
l’ultimo in prossimità delle scale che portavano
sul retro, sorrise quando vide
giungere Diana.
Appariva
pallida ma quanto mai determinata e, per Iris, fu naturale come
respirare
accoglierla con un abbraccio. Pur se non si conoscevano da molto,
sentiva un
trasporto speciale per quella donna, forse perché anche lei
era stata duramente
provata da un destino che altri le avevano gettato addosso senza il suo
consenso.
Sorridendole,
la invitò quindi all’interno del cottage e,
nell’offrirle un punch caldo e
qualche tartina, esordì dicendo: «Mark deve ancora
arrivare, ma sarà qui tra
poco assieme a Liza.»
Lei
assentì, sapendo bene che il figlio dormiva a casa Wallace
già da un paio di
giorni, e cioè da quando era stato dimesso
dall’ospedale. Rachel Wallace si era
dichiarata più che felice di ospitarlo e, con ampi sorrisi e
delicate pacche
sulle spalle, le aveva assicurato che, ben presto, tutto si sarebbe
risolto.
Doveva
molto alla madre di Liza, e non solo in termini di
ospitalità. Quella donna
all’apparenza fragile e facile alla lacrima, si era rivelata
una persona più
forte e caparbia di molte altre che Diana aveva ritenuto tali, a
partire da suo
marito.
Ancora
non si capacitava della ritrosia di Donovan a comprendere la situazione
ma, più
di tutto, a comprendere Mark. Si
era
convinta di aver sposato l’uomo giusto per lei, sincero,
forte e battagliero
ma, in quel frangente, non riusciva a essere nessuno dei tre.
Si
era dunque così sbagliata, su di lui?
«Vedo
che Donovan non è voluto venire…»
esordì cauta Iris mentre, al piano superiore,
le voci di Chelsey e Devereux si facevano strada fino a raggiungerle.
Era
chiaro quanto, la sola idea di non poter partecipare alla Mutazione dei
suoi
amici, stesse mandando su tutte le furie la figlia, e quanto Dev fosse
ormai
agli sgoccioli, quanto a pazienza.
Diana
sorrise divertita nel sentire le prime velate minacce di Devereux
– quasi
interamente riguardanti un fantomatico viaggio in camper – e,
scrollando triste
una spalla, asserì: «Non so più cosa
pensare, onestamente. Credevo fosse
diverso.»
«E’
la situazione a essere diversa. Non l’uomo. O almeno, io
così credo» replicò a
sorpresa Iris. «Per più di dieci anni, Donovan si
è impegnato anima e corpo in
una ricerca che, nella migliore delle ipotesi, tutti avrebbero
considerato
folle e, nella peggiore, lo avrebbe anche potuto far internare, ma lui
ha
continuato lo stesso e, durante questa sua battaglia personale, ha
incontrato
te.»
«Ma
ha perso la sua prima moglie, a causa
della sua cocciutaggine» sottolineò per contro
Diana. «E sta perdendo suo
figlio!»
«Vero.
Però, tu lo ami ancora, così come ami molto Mark,
giusto?»
Diana
sbuffò, annuendo contrariata: «Sì, lo
amo, ma ora vorrei picchiarlo per come
sta trattando Mark. Adoro quel ragazzo come se fosse nato dal mio
grembo,
perciò trovo straziante vedere questa spaccatura tra di
loro.»
Iris
annuì alle sue parole e, nello scrutare le luci altalenanti
accese nel Vigrond,
mormorò: «Il suo mondo si è capovolto
per ben due volte, e ora non sa più dove
si trova con esattezza. Io me ne andai di casa perché mi
ritenevo un pericolo
per i miei zii e le mie cugine ma, soprattutto,
perché avevo paura di me stessa, a volte persino ribrezzo, e
volevo capire come
liberarmi da ciò che ero divenuta. Per mesi odiai il mio
stesso corpo,
desiderai farla finita…»
Nel
dirlo, si sfiorò i polsi dove nulla, a parte i suoi ricordi,
era rimasto a
testimonianza dei suoi momenti più bui e carichi di
sconforto.
Diana
sospirò spiacente e Iris, nel sorriderle per un attimo,
scosse il capo e
aggiunse: «Naturalmente, non tentai mai di farmi del male con
qualcosa in
argento, che già sapevo
far male ai
licantropi – dovetti gettare via subito tutti i miei
gioielli, non appena mi
accorsi che mi ustionavano. Alla fine, non volevo davvero morire; era
la
depressione a spingermi in quella direzione, non tanto un mio reale
desiderio.
Arrivare qui mi salvò in molti modi possibili e, io credo,
sarà lo stesso anche
per Donovan, ma ha bisogno di tempo.»
«A
discapito di Mark?»
«No,
certo. Ma a lui baderemo noi e te. Finché Donovan non
avrà trovato di nuovo un
suo centro. Non dubito che sarà in grado di trovarlo, visto
quanto si è
impegnato per trovare l’assassino di suo fratello…
solo, stavolta la batosta è
stata così grande che, anche un uomo forte come lui,
è crollato. Ognuno di noi
ha il proprio punto di rottura, e non mi stupisce che il suo sia stato
proprio
Mark» le fece notare Iris.
Diana
assentì muta, riflettendo sulle parole della padrona di casa
e trovandole, suo
malgrado, giuste. O, se non propriamente giuste, coerenti con la
situazione.
Donovan
amava così tanto il figlio da essersi perso in un incubo
tutto suo, quando
aveva scoperto a quale realtà, ben presto, Mark sarebbe
stato legato gioco
forza, e questo lo aveva spezzato.
Forse,
non era stato giusto lasciare solo il figlio proprio in quel momento,
ma Diana
poteva iniziare a capire
perché fosse
successo. Questo non lo scusava, ma vedere la situazione da quel punto
di vista
la aiutava almeno a comprendere meglio il punto di vista di Donovan.
Sorridendo
perciò a Iris, Diana mormorò:
«Grazie.»
«Di
nulla. In famiglia ci si aiuta e, ben presto, capirai fino a che punto
sia
grande e unita questa in particolare» replicò con
una spallucciata Iris,
indicando poi verso l’esterno, dove i primi alfa si stavano
radunando al
Vigrond.
Ben
presto, la cerimonia avrebbe avuto inizio e, se tutto fosse andato come
da loro
sperato, altri tre lupi avrebbero fatto parte del loro branco.
***
Era
già la quarta maglia che cambiava, ma ancora non era
convinto di ciò che avrebbe
indossato quella sera.
A
ben vedere, sarebbe contato ben poco, visto che avrebbe dovuto spogliarsi, per mutare – onde
evitare di
ridurre a brandelli gli abiti – ma, assurdamente, gli
sembrava importante
scegliere la cosa giusta, per quell’occasione.
Per
evitare loro inutili traumi dovuti alla nudità, due lupi
– e quattro lupe –
avrebbero offerto tutta la privacy possibile tenendo sollevati attorno
a loro
dei teli per proteggerli dagli altrui sguardi. Ciò sarebbe
servito per non
rendere ancor più difficile quella prima mutazione, di cui
nessuno di loro
conosceva un accidente.
Per
concedere loro un’ulteriore difesa – stavolta
fisica – Iris avrebbe innalzato
uno scudo a loro protezione e sarebbe rimasta al limitare del Vigrond
per
controllare che tutto si svolgesse per il meglio.
Mark
non aveva idea di cosa potesse voler dire, anche se Liza gliene aveva
parlato più
volte, perciò era piuttosto curioso di scoprire quale asso
nella manica
nascondesse la sua insegnante di musica.
Il
solo pensiero lo portò a sorridere fiacco. Era
così strano pensare a Iris come
alla propria insegnante, ora come ora, sapendo quanto
di più vi fosse in lei, oltre al ruolo di
docente. Ogni cosa,
da quando era stato ferito, gli sembrava assurda e fuori fase e,
paradossalmente, il silenzio del padre gli pareva stranamente normale,
vista la
situazione.
Certo,
avrebbe preferito potergli parlare a quattr’occhi,
promettergli che mai, nella
vita, avrebbe commesso delitti o nuociuto a qualcuno, ma ciò
non era potuto
avvenire.
Un
quieto bussare alla porta interruppe quell’ultimo pensiero e,
nel consentire
l’ingresso, si sorprese un poco nel veder entrare Richard
Wallace.
Giunto
a Clearwater la sera precedente, l’uomo lo aveva ringraziato
per il suo
tentativo – goffo e inutile, a suo modo di vedere, ma non per
l’uomo – di
difendere Liza e si era detto ottimista in merito a ciò che
sarebbe avvenuto al
Vigrond.
Non
aveva avuto da ridire, quando sua moglie Rachel lo aveva avvertito
della sua
presenza in casa anche per la notte e, la mattina seguente, si era
premurato di
prestargli il necessario per farsi la barba.
Trovarselo
dinanzi in quel momento, quindi, lo sorprese un po’.
«Signor
Wallace…ha bisogno di qualcosa?»
L’uomo
sorrise appena, replicando: «Solo Richard, ragazzo. Evitiamo
le formalità, dove
si può appena.»
Mark
non poté che assentire e Richard, nell’osservare
le maglie stese sul letto,
sorrise maggiormente e domandò: «Ansia da
prestazione?»
«In
tutta onestà, non so cosa indossare, anche se sono convinto
che non interesserà
a nessuno, se avrò una maglietta dei Pink Floyd piuttosto
che una felpa dei Red
Hot Chili Peppers» ammise Mark facendo spallucce.
Annuendo
con un risolino, Richard vagliò con lo sguardo gli abiti che
Diana gli aveva
consegnato quella stessa mattina in un borsone e, dopo aver soppesato
tra le
mani una paio di felpe, ne consegnò una al giovane e disse:
«Questa della Nike.
Si adatta ai tuoi occhi, e Nike è anche un simbolo di
vittoria. Non guasta
essere un po’ scaramantici.»
Mark
annuì con un sorrisino e, dopo averla indossata,
sospirò appena e domandò
francamente all’uomo: «Crede veramente
che andrà tutto bene?»
«E’
una domanda a cui, purtroppo, non posso rispondere»
sospirò Richard, passandosi
una mano tra i capelli e tradendo, a quel modo, l’ansia che
in realtà stava
provando. «Quando Iris mi disse ciò che le era
successo, i suoi genitori erano
morti da pochissimo, lei era terrorizzata a morte e le rimanevo solo
io, come
àncora a cui aggrapparsi. Non era soltanto mio dovere
rimanerle accanto, ma
anche un fatto naturale, visto che le nostre famiglie sono sempre state
molto
unite. Dovevo essere saldo. Ora,
invece, Liza ha un intero branco a sostenerla, oltre a te e Chanel che
state
vivendo le stesse paure e gli stessi dubbi, così io ho il
tempo – mio malgrado
– di sentirmi un po’ spaesato.»
Nel
dirlo, sorrise appena e Mark annuì comprensivo.
«Se, con Iris, mi sono imposto
di credere che tutto sarebbe andato bene per dare forza a lei, che era
totalmente sola, non riesco del tutto a farlo adesso, perché
mi sembra che la
mia voce conti molto poco, in questo frangente.»
«Credo
che, per Liza, la sua voce conterà sempre e comunque.
Indipendentemente da cosa
diventerà stanotte» dichiarò con
sincerità il giovane.
«Grazie»
mormorò Richard, prima di poggiargli una mano sulla spalla e
aggiungere: «Sono
sicuro che anche tuo padre comprenderà la situazione, e
farà sentire la sua
voce per darti coraggio.»
Mark,
a quel punto, sospirò e, nell’osservare
l’oscurità che stava allagando la notte
placida di quel giorno così speciale, si limitò a
dire: «Non fatico a
comprendere le sue reticenze. Davvero. E so anche perché non
sia mai venuto, in
questi giorni… ma sì, anche per me, la sua voce
conterà sempre. Se mai vorrà di
nuovo parlare con me, io lo ascolterò.»
A
Richard venne spontaneo abbracciarlo e Mark, suo malgrado,
tremò tra quelle
braccia forti e calde, che davano sicurezza. Desiderava che anche il
padre
tornasse ad abbracciarlo a quel modo, ma sapeva bene cosa lo stesse
bloccando
in quel momento, e non gliene faceva una colpa.
Solo
lui, oltre al padre, sapeva davvero cosa
avessero trovato in quella casa, più di dieci anni addietro.
Solo
lui, oltre al padre, portava il peso di quel sangue, di quei corpi
smembrati,
di quei volti tanto amati, nel cuore e nell’animo.
Solo lui, oltre al
padre, conosceva il morso amaro della solitudine, il sentirsi dire ‘no’ da tutti coloro
che avrebbero
dovuto scoprire la verità al posto loro.
Ora
la conoscevano, e non faticava a comprendere perché il padre
ne fosse rimasto
annientato. Ma aveva ancora fiducia in lui ed era certo che, prima o
poi,
avrebbe ascoltato di nuovo la sua voce e goduto dei suoi abbracci.
«Andiamo?»
mormorò una voce alle loro spalle, spezzando
l’incantesimo.
Richard
si ritrasse al pari di Mark e Liza, sulla porta, sorrise a entrambi
prima di
prendere il padre sottobraccio e mormorare solo per lui: «Ti
voglio bene,
papà.»
«Lo
so. Ma è bello sentirselo dire» ammiccò
l’uomo scortandola dabbasso mentre Mark
chiudeva la fila.
In
salotto, Rachel stava sistemando una pesante sciarpa attorno al collo
di Chanel
che, divertita e imbarazzata da tante attenzioni, sorrise quando li
vide
giungere.
Subito,
Liza si staccò dal padre per raggiungere l’amica
e, trascinandola con sé, disse
alla madre: «Sta benissimo, mamma. Non soffocarla con le tue
attenzioni.»
«Non
ho stretto così tanto la sciarpa, sai?»
cercò di ironizzare Rachel, per poi avvolgere
con fervore la figlia in un abbraccio ed esclamare: «Oh, il
mio tesoro! Sono
sicura che tutto si risolverà per il meglio!»
«Se
non soffoco prima del tempo, lo credo anch’io»
bofonchiò la giovane, cercando
di districarsi dalle braccia della madre.
Rachel
protestò contro la sua insensibilità, e questo
portò a una risata collettiva
che distese temporaneamente gli animi dei presenti. Non che fosse
possibile
dimenticare ciò che, entro breve, sarebbe successo, ma
riderne un po’ non
avrebbe fatto male a nessuno.
«Helen
è già partita?» si informò
Liza, non vedendo la sorella.
«Ha
detto che voleva aiutare Iris ad allestire il Vigrond, così
l’ho lasciata
andare» annuì la madre, afferrando il proprio
cappotto per drappeggiarselo
sulle spalle. «Possiamo avviarci anche noi. Sarebbe scortese
arrivare in
ritardo.»
«Credimi,
mamma… senza di noi, non cominceranno di sicuro»
ironizzò Liza, ammiccando al
suo indirizzo prima di infilare il proprio piumino e avviarsi verso
l’uscita.
“Noi
saremo con
te, mamma”
disse all’improvviso Huginn.
Sorridendo
nell’uscire, Liza sollevò entrambe le braccia
perché Huginn e Muninn si
posassero su di esse dopodiché, avvicinandoseli al viso,
sfiorò con la fronte
le loro testoline e mormorò: «Non potrei avere
compagni più fedeli di voi.
Grazie.»
Ciò
detto, si diresse verso l’auto tenendo i due corvi sugli
avambracci, al pari della
Morrigan prima di una battaglia. Solo quando giunse accanto al Chrisler
Grand
Voyager, li fece librò in aria con una spinta e disse solo
per loro: “Sii i miei occhi e
cercala, Huginn. Tu,
Muninn, resta accanto a Iris, così che lei possa essere
avvisata per tempo
dell’arrivo di akhlut.
E’ una
missione un po’ diversa dal solito, ma so che ce la faremo
come sempre.”
“Ovvio,
mamma.
Noi siamo i migliori” chiosò Muninn,
involandosi verso la casa dei Saint
Clair mentre Huginn prendeva la via del nord.
“Tuo
fratello ti
ha detto nulla, Muninn?” domandò quindi Liza.
Aveva preferito non mettere
sotto pressione Huginn in merito alle sue visioni ma, ora che il corvo
era
lontano, poteva chiedere lumi al fratello.
“Non
era sicuro
avresti voluto sapere, ma sì… ha visto qualcosa.
Tre ombre nere in un campo
totalmente bianco. Nient’altro.”
“Può
voler dire
tutto e voler dire niente. Non è necessariamente un
male”
assentì Liza,
mentre il padre metteva in moto per raggiungere la casa dei nipoti. “Lì, come procede?”
“Ci
sono delle
torce accese, e la mamma di Mark sta aiutando Helen a sistemare alcuni
fiori
secchi nei bracieri.”
“Donovan?”
“Non
lo vedo, ma
mancano ancora altre persone, per cui…”
Il
tono insicuro di Muninn fece sorridere Liza. Anche il corvo aveva
finito con
l’affezionarsi a Mark, e desiderava che la situazione si
risolvesse.
Stretta
la mano di Mark nella semi oscurità del vano auto,
sentì la sua pronta risposta
e, nel chiudere gli occhi, si concentrò su quel calore,
sulla forza che sentiva
provenire da quelle dita, da quella pelle che stava imparando a
conoscere.
Non
sapeva cosa volesse dire quella visione, ma avrebbe fatto in modo che
fosse
benigna. A qualsiasi costo.