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Autore: Talitha_    06/01/2021    2 recensioni
In un’ipotetico futuro in cui Marinette e Adrien sono una coppia a tutti gli effetti, ecco a voi una serie What if? alla stregua del romanticismo e del fluff più assoluto.⁣

"Era tutta colpa di Marinette se adesso Adrien moriva dalla voglia di mettere le mani in posti dove non avrebbe dovuto, e di baciarla come mai aveva fatto prima.”⁣
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1.  

 

L’attacco akuma era arrivato senza alcun tipo di preavviso. 

Come sempre, d’altronde. 

Marinette era in panico. 

Non sapeva cosa fare, né come comportarsi. 

Erano passati cinque lunghissimi, orribili giorni da quella sera sugli Champs-Elysées. E da allora lei e Adrien non si erano più parlati. 

Era stato straziante svegliarsi la mattina senza avere già dieci notifiche di Adrien, andare a scuola senza poter passare i primi minuti in cortile con lui, a ridere e scherzare. 

Guardare la sua schiena dal banco e sapere che non aveva più il diritto di pensare che sarebbe stata sua per sempre. 

Tornare a casa da sola, senza lui che insisteva ogni volta per accompagnarla, senza un bacio sempre troppo breve sulla soglia di casa. 

Andare a dormire senza lui che le augurasse la buonanotte, premuroso, dolce e terribilmente affettuoso come sempre. 

Vivere senza la voce della sua risata che le rischiarava la giornata, senza quelle battute stupide che all’inizio proprio non sopportava. 

Tutte queste mancanze la atterrivano, e le impedivano di formulare pensieri di senso compiuto. 

Forse, dopotutto, aveva ragione lui. 

Come sempre, d’altronde. 

Forse era vero che insieme sarebbe stato tutto più facile, e che avrebbero trovato un modo per risolvere la situazione, che, per la cronaca, andava peggiorando sempre di più. 

Soltanto negli ultimi giorni erano usciti centinaia di articoli, su giornali e riviste online, addirittura servizi ai telegiornali, intere puntate dedicate nei talk show, migliaia di post e commenti sui social. Tutti riguardanti la relazione tra Ladybug e Chat Noir, e la brutta ripercussione che stava avendo sulla loro vita da supereroi.  

Decine di dubbi infestavano le menti dei parigini. 

Quanto ancora sarebbe andata avanti questa situazione? 

La tanto agognata relazione tra i due non era forse evitabile? 

Perché stavano facendo di tutto per evitare la stampa quando era evidente quello che c’era tra di loro?

Stavano insieme anche nella vita vera oppure non conoscevano la loro identità dietro la maschera?

Sarebbero riusciti ad unire le loro forze per sconfiggere finalmente Papillon?

Marinette non riusciva a non disperarsi fronte a tutte quelle domande, e in quel momento l’unica cosa che avrebbe voluto erano le braccia di Adrien intorno a sé, le sue parole incoraggianti sussurrate contro l‘orecchio. 

E in tutto questo, non aveva ancora idea di cosa fare. 

Mettere definitivamente da parte i propri sentimenti per il bene di Parigi? Ma a cosa avrebbe portato? Chi le assicurava che, con una rottura, tra lei e Chat Noir le cose sarebbero tornate come prima?

Oppure, restare con Adrien e cercare di collaborare al fine di diventare una squadra ancora più unita, lavorare insieme per sconfiggere Papillon e ripristinare l’ordine nella città? Ma cosa le assicurava, qui, che sarebbe stato possibile trovare un punto d’incontro, un equilibrio tra i loro sentimenti e la loro relazione tra supereroi?

Marinette fu destata dallo squillo del telefono che preannunciava un nuovo attacco. 

Scattò in piedi. 

L’ultima cosa che ci voleva, adesso, era rivedere Adrien. Affrontare il suo sguardo duro, offeso. Sentire su di sé i suoi occhi, o, peggio, non sentirli affatto. 

Ricacciò indietro le lacrime, stanca di stare sempre lì a commiserarsi. Si sforzò di prendere le redini della situazione. Si trasformò e saltò fuori dalla finestra, iniziando a saltellare sui tetti fino ad arrivare alla piazza del Louvre. 

Luogo appartato, c’è da dire. 

Perfetto per un incontro del genere: sotto i riflettori, gli sguardi e i giudizi di tutti. 

Ingoiò di nuovo il malloppo che avvertiva in gola e si fece coraggio. 

Se voleva riuscire, avrebbe dovuto prendere la situazione di petto, senza farsi travolgere dai sentimentalismi. 

Così, carica di buoni propositi, si diresse in battaglia.  

Ma poi il suo sguardo incrociò quello verde di Chat Noir, e tutto il mondo divenne sfocato. 

 

***

 

Alla vista di Ladybug, Adrien boccheggiò. Aveva bisogno d’aria. Tanta aria. 

Si passò una mano tra i capelli, stando attento a non graffiare le sue orecchie con gli artigli, e si costrinse a rimanere il più indifferente possibile. 

Quei giorni senza di lei erano stati un inferno. Alcuni tra i più brutti della sua vita. 

E sapere che la colpa di tutta quella situazione fosse solo ed esclusivamente sua lo uccideva più di qualunque altro pensiero. 

Era colpa sua se Marinette aveva ritenuto necessario prendersi una pausa per ristabilire l’equilibrio tra di loro. Se aveva dovuto mettere da parte i propri sentimenti in quella che era stata una delle decisioni più difficili della sua vita. 

Non riusciva a credere di essere stato tanto stupido da mandare tutto ai quattro venti. Aveva passato in rassegna tutti i loro ricordi più belli, sin da quando si erano conosciuti. Ed era stato quasi divertente constatare come quei ricordi fossero ‘doppi’. Dei suoi momenti con Marinette e di quelli con Ladybug. 

D’altra parte, però, doveva anche ammettere di essere terribilmente arrabbiato con Marinette. 

Perché aveva interrotto ogni comunicazione tra di loro, ogni legame. 

Dal suo canto, lui era ancora convinto che insieme sarebbero riusciti a trovare un equilibrio, ma lei era troppo cocciuta per accettare una qualsiasi opinione diversa dalla sua. 

E questo era un aspetto del carattere di Marinette che Adrien ancora faticava ad accettare, soprattutto dopo quello che era successo. 

Nel frattempo, di fronte a lui, Ladybug stava avanzando, ora sempre più vicina. Si scambiarono uno sguardo velocissimo, in cui ognuno fu in grado di leggere le sofferenze dell’altro, poi Chat Noir interruppe quell’intreccio, proprio mentre Marinette stava facendo per parlare. 

Chat Noir si costrinse a non soffermare i suoi occhi sulle sue labbra rosee, socchiuse, leggermente tremolanti. Invece, disse: “Dobbiamo sbrigarci prima che il Fabbro* distrugga mezza città.”

Fece per voltarsi, quando avvertì una leggera pressione in corrispondenza polso destro. Era la prima volta che i loro corpi si toccavano da quasi una settimana, sebbene ci fossero ancora le stoffe dei loro costumi a dividerli. 

Guardandola ancora una volta, Adrien si trattenne dal desiderio di stringerla tra le sue braccia e coprire quelle tremule labbra di baci. 

“A-Adrien…” mormorò Ladybug, senza neanche accorgersene. Il respiro le si mozzò in gola, mentre il cuore batteva all’impazzata nel petto. 

Nell’aria intorno non un rumore, non un sospiro. 

Lui ritrasse il braccio, sciogliendo il loro tocco. “Chat Noir, se non ti dispiace.”

Si pentì subito di aver pronunciato quelle parole in un tono così aspro, e avrebbe dato qualsiasi cosa pur di tornare indietro di qualche secondo per rimangiarsele. 

‘Marinette’. 

Il nome di lei rimase soltanto una bozza sulle labbra di Adrien. Non aveva il coraggio di pronunciarlo.  

Le ciglia di Ladybug sfarfallarono, proprio come quella sera di cinque giorni prima, proprio come ogni istante prima che le lacrime riducano il mondo intorno ad una semplice chiazza sfocata. 

Ma non quella volta. Negli ultimi giorni era successo fin troppe volte. 

Ladybug deglutì, lo sguardo rivolto verso il cielo azzurro per ricacciare indietro le lacrime. 

Un boato risuonò nell’aria. Una bomba era esplosa. 

Marinette scattò sul posto, il suo yo-yo già pronto all’azione. 

“Andiamo allora, Chat Noir.”

Non Micetto, Gattino, Chaton. Solo un freddo e formale Chat Noir

 

 

2.  

 

Contro ogni previsione di entrambi, la battaglia era filata liscia come l’olio. 

Pulita, veloce, distaccata. 

Sebbene fossero entrambi estremamente tesi e confusi, avevano cercato di raggirare i propri pensieri buttandosi a capofitto nel loro lavoro. 

Dopo aver catturato l’akuma, Ladybug, quasi sollevata, si voltò verso il suo partner per dargli il pugno, come facevano sempre dopo aver sconfitto il nemico. 

Ma, incontrando lo sguardo di Chat Noir, ricordò ogni cosa, e allora il sorriso le si spense sulle labbra e il pugno si riaprì, le mani stese sui fianchi. 

Con le labbra emise un fremito leggerissimo, gli occhi rivolti a terra. 

Chat Noir, di fronte a lei, avrebbe tanto voluto dirle qualcosa, qualsiasi cosa. 

Una battuta, una frase gentile, una parola d’amore. 

Con lei, gli erano sempre venute spontanee, ma adesso si sentiva come a corto di ispirazione. 

“Ben fatto, Chat Noir”. 

La voce limpida di Ladybug lo colpì a pieno. Alzò subito lo sguardo sui suoi occhi, come per verificare che le parole che aveva appena sentito non fossero frutto della sua immaginazione. 

E invece vi lesse gratitudine. 

Erano azzurri come li ricordava, forse anche più vividi, adesso, e avevano assunto una piega strana, come se stessero sorridendo. Ma erano anche tristi, e sconfortati. Confusi e persi. 

Chat Noir fece un passo in avanti, poi un altro. 

Ora un soffio li separava, e Adrien si sentì improvvisamente leggero come una piuma.  Avvertiva l’eco del respiro delicato di lei sulla pelle, a per la prima volta dopo giorni inspirò il suo profumo. 

Scrutò i suoi occhi spauriti, come a trovarci un consenso. Sembravano impietriti, e scorrevano velocissimi a destra e sinistra, per guardarlo dritto negli occhi anche lei. 

Adrien socchiuse le palpebre e le labbra, e il suo stomaco fece una capovolta. Un raggio di sole colpì i loro volti e i loro corpi. 

Ladybug sentì le gambe cedere sotto il respiro di Adrien. Ora le loro labbra erano vicinissime, quasi si toccavano. Sarebbe bastato un battito d’ali di farfalla per colmare il vuoto tra di loro, e Adrien era deciso ad andare avanti. E già gli pareva di sentire il sapore di fragole delle labbra di Marinette, quando due mani poggiate sul suo petto lo fecero indietreggiare e il mondo parve ribaltarsi all’improvviso. 

Si ristabilì meglio sulle gambe, avendo perso l’equilibrio, quando scorse gli occhi supplicanti di Marinette e il suo sguardo desolato. 

“M-mi dispiace, Adrien. Io…”

Chat Noir indietreggiò, rosso in volto. Si era illuso che Ladybug lo avesse perdonato, che tutto fosse tornato come prima, quando in realtà non era affatto così. Si disse uno stupido, e sentiva già gli occhi pizzicare, le labbra tremare, mentre nella testa gli risuonavano le parole di Marinette. 

M-mi dispiace, Adrien.

Abbassò lo sguardo fino a guardare per terra, il cuore che batteva all’impazzata. 

Ladybug si passò una mano sulla fronte, alla ricerca di parole da dire. Per un attimo aveva creduto che tutto fosse tornato a posto, poi però le erano ritornati in mente i momenti del combattimento di poco prima. Sguardi freddi e gesti vuoti, meccanici. Non voleva che la loro relazione si riducesse a qualcosa del genere. 

Non fece in tempo ad udire il fruscio di una coda che Chat Noir era volato via. 

Di nuovo. 

 

*** 

 

Quella sera, un trillo del telefono fece sobbalzare Marinette. Si sporse dalla testiera del letto per controllare chi fosse a scriverle, e il cuore e il respiro le si arrestarono nel suo petto, e una profonda nostalgia si fece largo dentro di sé.

Era un messaggio di Adrien. 

 

Mi dispiace per prima. Non accadrà mai più, se non lo vuoi. 

 

Marinette rilesse venti volte quelle parole prima di convincersi che non erano frutto della sua immaginazione, ma quando se ne rese conto le aveva ripetute nella mente talmente tanto che ormai avevano perso di significato. 

Cercò un modo di rispondergli, invano. Le sue dita composero almeno trenta messaggi differenti, prima di cancellarli tutti. 

Avrebbe voluto dirgli che le dispiaceva se lo aveva respinto, che le dispiaceva di tutte le brutte parole che gli aveva rivolto, e di quelle belle che aveva taciuto. 

Quel messaggio rimase senza risposta per tutto il fine settimana.

Il lunedì mattina, Adrien e Marinette si incrociarono fuori da scuola, entrambi mortificati e senza il coraggio di dire qualcosa. 

Alya li osservò con dispiacere, senza la minima idea di cosa fare per aiutare quei due. 

All’inizio credeva che, qualunque cosa fosse accaduta, si sarebbe risolta nel giro di pochi giorni, al massimo. Ora, che era passata già una settimana, capiva che la faccenda fosse più grande di quanto avesse previsto. E il problema era che né lei né Nino erano riusciti a cavare niente dalle loro bocche. 

I loro migliori amici stavano attraversando un periodo di crisi e loro non avevano la minima idea di cosa fare. 

Cercò a fondo di spremersi le meningi, in cerca di una via d’uscita. Invano. 

Adrien e Marinette continuavano ad ignorarsi deliberatamente, o almeno ce la stavano mettendo tutta, perché era chiaro ed evidente che tra di loro c’erano ancora delle questioni irrisolte. 

 

 

3. 

 

Due settimane. Erano passate due fottutissime settimane da quando Marinette aveva chiesto quella pausa, e nulla era cambiato da allora. Fortunatamente, dall’attacco del Fabbro Papillon si era come volatilizzato insieme con le sue farfalle, e anche la stampa si era tranquillizzata dopo la risposta rapida e veloce dei supereroi nei confronti della sua minaccia. 

Al messaggio che le aveva inviato il sabato prima, Marinette non aveva ancora risposto. E Adrien dubitava che l’avrebbe mai fatto. 

Doveva ancora avercela con lui per aver tentato di baciarla senza che lei fosse d’accordo, e ne aveva tutte le ragioni. Adrien non ancora si capacitava di non esser riuscito a capire prima i pensieri di Marinette a riguardo. 

Alzò lo sguardo sul soffitto della sua camera, mentre pensava a lei. Sempre e solo a lei. Tutti i giorni, e anche le notti. 

Pensava alle sue labbra rosse, le guance morbide, gli occhi azzurri come pozze d’acqua limpida. Le orecchie perfette e le mani sottili e affusolate, che tante volte lo avevano accarezzato e fatto sentire amato. 

Pensava a tutte le volte che lui aveva fatta ridere, e a tutte quelle in cui l’aveva baciata, e lei lo aveva fatto sentire come fosse in paradiso. 

“Ho combinato un casino, Plagg” diceva ogni giorno, con le lacrime agli occhi. 

E lui rispondeva sempre: “Sono sicuro che si sistemerà tutto, ragazzo. Vedrai.”

Ma Adrien non ci credeva, e ogni giorno che passava la speranza che tutto potesse tornare come prima si affievoliva sempre di più. 

Per questo, non riuscì a credere ai suoi occhi il giorno in cui, a due settimane dall’inizio della suddetta pausa, Marinette gli scrisse il seguente messaggio: 

 

Possiamo parlare?

 

Due semplicissime parole, che riuscirono a smuovere qualcosa nel petto di Adrien. 

Rispose alla velocità della luce. 

 

Certo. Quando vuoi. 

 

Stasera alle dieci, al solito posto. 

 

Stasera alle dieci, al solito posto. 

Stasera alle dieci, al solito posto. 

Stasera alle dieci, al solito posto. 

Stasera alle dieci, al solito posto.

Adrien non poteva credere ai suoi occhi. 

 

***

 

Ladybug udì un fruscio alle sue spalle. Proprio come quella volta pochi giorni fa, quando Adrien l’aveva lasciata da sola sul tetto del Louvre. 

Si voltò lentamente, fino a ritrovarsi di fronte la figura di un gatto nero appollaiata sulla ringhiera del balcone. Del loro balcone. 

“Sei in anticipo” constatò Ladybug. 

“Anche tu” rispose Chat Noir. 

Entrambi poterono notare una nota di nervosismo nelle loro voci, e le mani, sebbene coperte dai guanti, erano già irrimediabilmente sudate. 

Adrien annaspò in cerca di parole da dire, scuse forse, ma venne interrotto dalla mano a pois di Ladybug, tesa e col palmo rivolto verso di lui. 

“P-perché non ci sediamo?” propose nervosa. 

Lui annuì, scendendo con fare felino dalla ringhiera. Marinette guardò ammirata il movimento flessuoso delle sue gambe snelle, il leggero dondolio della coda, il fruscio delle orecchie e dei capelli. 

Si sedettero entrambi a gambe incrociate, più vicini di quando Adrien avesse previsto. In un respiro, riuscì a sentire l’odore paradisiaco di Marinette, che per troppo in quei giorni gli era stato negato. 

Ripercorse con gli occhi del buio il profilo del suo volto perfetto, e il cuore gli sobbalzò nel petto alla vista di lei, così bella e fresca e rossa. Sembrava una rosa. 

Dannazione, la rosa. Avrebbe dovuto portargliene una, come faceva sempre, quando si incontravano lì. Non riusciva a credere di essersene dimenticato. 

Guardò Marinette con occhi terribilmente mortificati, e lei gli rispose con un sorriso triste, come a dire che non era una cosa importante, in quel momento. 

Adrien prese ad attorcigliarsi le mani con fare nervoso, come faceva sempre. 

Marinette se ne accorse, e non riuscì ad impedirsi di prenderne una tra le sue, di mani. La percepì agitata e frenetica sotto il guanto, e cercò di calmarla nel modo in cui le riuscì meglio, in un gioco di carezze e dita intrecciate. 

Erano le guance di Chat Noir, adesso, ad essere diventate rosse. Il respiro si fece corto, il battito più veloce. 

Alzò lo sguardo su Marinette, e la vide determinata, pronta. 

Annuì leggermente col capo, come a farle intendere che era pronto ad ascoltare le sue parole. 

Marinette abbassò gli occhi sulle loro dita annodate in un miscuglio di rosso e nero. 

“Ho…ho pensato molto in questi giorni, Adrien.” Ladybug sorrise nervosamente abbassando le lunghe ciglia scure. “Cielo, quanto ho pensato, e…”

“A cosa hai pensato?” la interruppe lui, la voce un po' rauca. 

Marinette sbatté le ciglia. “Ho pensato a noi, e a te. E a tutti i momenti che abbiamo trascorso insieme. Anche a tutte le cose brutte che ti ho detto, e volevo iniziare col dirti che…” i loro sguardi si incontrarono, Adrien trattenne il fiato. “… che mi dispiace. Per tutto quando. Sono stata egoista a parlarti in quel modo, e…” deglutì “e non riesco a credere che tu sia ancora qui dopo tutta la sofferenza che ti ho causato. È stata tutta colpa mia se tutto questo è accaduto, e non devi biasimare altri che me.”

“Marin…”

“No” scosse la testa lei, un sorriso dolce in volto. “Fammi finire.”

Poi prese un respiro profondo. E continuò: “Mi dispiace anche se ti ho fatto aspettare tutto questo tempo, e volevo ringraziarti per aver rispettato la mia decisione senza dire nulla. Davvero, grazie.”

E infuse in quella semplice parola tutta la gratitudine e l’amore che provava per lui.
Il cuore di Adrien fece l’ennesima capovolta. Voleva parlare, ma le parole non gli venivano. 

Ladybug si avvicinò di poco a lui, anche le loro ginocchia si toccavano, adesso. 

Respirava con le labbra dischiuse, anche lei in cerca disperata di parole. Si accorse che lui la guardava incuriosito, e rise nervosamente dicendo: “M-mi sono dimenticata quello che dovevo dirti.”

Lui si lasciò scappare una leggera risata. 

“Mi ero preparata tutto un discorso, sai. Ero giorni che lo provavo e riprovavo. Poi mi hai fatto quella domanda e mi hai fatto perdere il filo.”

Chat Noir rise di sottecchi, poi, senza neanche accorgersene, la prese per i fianchi con le mani, delicatamente, come se fosse il gesto più normale del mondo. 

Marinette avvertì la leggera pressione delle dita di Adrien su di sé, lungo la schiena e la vita, e brividi le scesero giù, lungo la colonna vertebrale. 

Sentì quelle grandi mani avvolgerla, e portarla sulle gambe incrociate di lui, e in un batter d’occhio si ritrovò in braccio a Chat Noir, il volto premuto contro il suo petto. 

Inspirò il suo profumo, e poi si rilassò, e lo circondò con le braccia. 

“Va meglio?”

Lei alzò lo sguardo puntando il mento sul suo petto. Annuì. Poi continuò ad accoccolarsi contro di lui, strofinando la guancia contro di lui. 

“Non mi merito tutto questo” aggiunse poco dopo, a fior di labbra. 

Lui la guardò interrogativo. 

“Non mi merito il tuo perdono senza che io abbia fatto niente per meritarlo” specificò. 

Lui alzò gli occhi al cielo. “La stessa cosa potrei dirla io.”

Lei scosse la testa. “Non è vero.”
“Sì che è vero. È stata solo colpa mia se tutto è cominciato, perché non ho mai imparato a mettere da parte i miei sentimenti quando è necessario. M-mi dispiace così tanto, Marinette. Ho sbagliato. E d’ora in poi cercherò di fare il possibile affinché tu non dovrai mai più sentirti frustrata o arrabbiata con me.”

“Adrien, c-come puoi dire una cosa del genere? Non è affatto colpa tua. Tu che sei così affettuoso e premuroso, non potrei mai arrabbiarmi con te. È solo… è solo che il nostro ruolo di supereroi mi porta a guardare la nostra relazione da un punto di vista diverso. Quando siamo solo tu e io adoro che tu sia così dolce e che ti preoccupi sempre per me. Quando siamo in battaglia non possiamo permettercelo. Era questo quello che stavo cercando di dirti quella sera, ma ero così frustrata dal combattimento, da tutte le chiacchiere che me la sono presa con te.” Una patina lucida aveva ricoperto tutta la superficie dei suoi bellissimi occhi azzurri. “Non è stata colpa tua, Adrien. Ti prego, non pensare che tutto questo lo sia stato, perché non è così.”

Lui prese ad accarezzarle piano la schiena, come sapeva che a lei piaceva da morire. Marinette sospirò sotto il suo tocco, che le parve come la prima boccata d’aria che si prende dopo aver trattenuto il respiro per tanto, troppo tempo. 

Rimasero così, per interminabili minuti, Marinette con l’orecchio premuto ad auscultare il battito del suo cuore, Adrien con il naso poggiato ad annusare il suo profumo, ed erano in pace, come poche volte si erano sentiti, perché finalmente sembrava che la quiete dopo la tempesta fosse arrivata, nonostante ci fossero ancora tante cose di cui parlare. 

Un fruscio d’aria fresca li colse, e Marinette venne percorsa da un leggero brivido. Allora Adrien strinse più forte le braccia contro la sua vita, sussurrandole contro l’orecchio: “Vuoi che ti porti a casa?”

Lei lo guardò sorpresa. “Certo che no. Non ho ancora finito di parlare.”

Poi riabbassò la testa e tornò a farsi cullare dal leggero movimento dei suoi polmoni e dal battito incessante del suo cuore. 

“Non voglio separarmi da te, Adrien. Non voglio che tutto questo finisca."
Lui sospirò. “Neanch’io.”

“Ma non voglio neanche che la nostra relazione ostacoli la missione che dobbiamo adempiere, per questo ho cercato il più possibile un modo in cui conciliare quello che siamo con quello che dobbiamo fare e con quello che gli altri si aspettino che facciamo.”

“Che intendi dire?”

Ladybug respirò il profumo dell’aria, fresco e pungente, misto a quello dolce e familiare di Chat Noir. 

 “Ormai tutti hanno capito che tra di noi c’è qualcosa, non ha più senso fare finta di niente. Diamogli quello che vogliono. Un bacio? Ben serviti.”

Adrien sussultò al pensiero, era troppo tempo che le loro labbra non si incontravano. 

“Non non abbiamo niente da nascondere,” proseguì Ladybug “se non le nostre identità. In questo modo spero di riuscire a calmare le persone, e spero anche che ci lascino più spazio per agire, quando ce n’è bisogno. Non dovremmo più nascondere i nostri sguardi, né appartarci per darci la mano. Saremmo più liberi, e sereni. In battaglia, credo dovremmo fare come abbiamo sempre fatto. Essere noi stessi. È normale che ci siano dei disguidi dovuti a… ehm, hai capito, ma… purtroppo su questo punto dovremmo continuare a lavorare, fino a diventare i partner più affiatati che si siano mai visti. Che ne pensi?”
Chat Noir vide lo sguardo azzurro di Ladybug scrutarlo come in cerca di approvazione, e allora assunse uno sguardo che da troppo tempo Marinette non vedeva più. 

Si avvicinò con la fronte alla sua, un sorriso sornione stampato in volto. “Mmh” iniziò. “Non ho ben capito la parte dei disguidi. Cosa intendevi dire?”

Marinette arrossì. “Hai capito cosa intendevo dire” disse, puntandogli l’indice sulle labbra. 

Adrien fece lo sguardo da angioletto innocente. “Se non me lo dici tu, Milady, non credo di riuscire a capire.”

Milady.

Il cuore di Marinette sussultò. “Stupido di un gatto.”

Lui schioccò un leggero bacio sulla punta del suo dito, quello che lei aveva poggiato sulle sue labbra. “Sarò stupido, ma anche molto curioso.”

Marinette sentì mille farfalle vorticarle nello stomaco tutte insieme. Mille, piccole paia di ali solleticarle la pelle, farle venire i brividi e la pelle d’oca. 

Dopo aver respirato la sua stessa aria, mormorò con un tono che risvegliò tutte insieme anche le farfalle di Adrien: “Sai, i disguidi possono essere di vario tipo, Chaton. Carezze” e, senza distogliere il suo sguardo dagli occhi di Chat Noir, gli carezzò dolcemente la guancia col dito che lui aveva appena baciato. 

“Abbracci” aggiunse in un bisbiglio, spostando le braccia dal suo petto per intrecciarle dietro il suo collo. Chat Noir sospirò, godendosi appieno quel momento magico, che era sicuro si sarebbe ricordato per tutta la vita. 

“Baci” soffiò sensualmente Ladybug, tornando a guardarlo diritto negli occhi. Poi, dischiuse le labbra, talmente piano da far quasi venire la bava alla bocca a Chat Noir. Stava fissando prima i suoi occhi, poi le sue labbra lucide, rosee, morbide. Marinette le inumidì leggermente con la coda della lingua, e Chat Noir credette di star vivendo in un sogno. Uno di quelli da cui avrebbe dato tutto ciò che aveva per non svegliarsi mai. Osservò quel minuscolo pezzo di lingua che aveva percorso sensualmente tutto il profilo delle labbra di Marinette, il respiro sempre più pesante. 

Ladybug rise, ora pericolosamente vicina a lui. “Micetto, non eri stato proprio tu ad aver chiesto delucidazioni sui suddetti disguidi?”

Lui annuì deglutendo. 

Poco meno di un centimetro li separava, poco meno anche di un battito d’ali di farfalla. Ladybug fece un ultimo, lievissimo, passo avanti, e le loro labbra si toccarono. Chat Noir non osava muoversi, e Ladybug rise maliziosa contro di lui. 

“Se non te la senti posso anche finirla qui” sussurrò beffarda contro la sua bocca. Adrien fu in grado di percepire ogni singolo movimento delle sue labbra. Non trovò il coraggio di scuotere la testa, né di parlare, perché altrimenti avrebbe interrotto quel contatto intimo e magico. 

Allora chiuse del tutto gli occhi, premette le dita sulla schiena di Ladybug, e, semplicemente, iniziò ad assaporarla. Come si fa con un frutto esotico, o con un sapore che non si ha mai sperimentato prima. Come si fa con una cosa preziosa, per paura di rovinarla o di consumarla. Assaporò le sue labbra come fosse la prima volta, baciando ogni singolo centimetro o fessura, assaggiando ogni singola sfumatura di sapore e odore. 

Marinette si fece cullare da quel bacio dolce e sensuale, e seguì ogni movimento di Chat Noir. 

Raddrizzò la schiena in modo che lui avesse una presa più ferma su di lei, e sussultò quando avvertì la punta della lingua di lui chiedere il permesso di entrare. E allora anche le loro lingue si assaporarono e si assaggiarono, come fossero nuove e vecchie amiche al contempo, e tutto il tempo e lo spazio attorno a Ladybug e Chat Noir si annullò. 

Con un ultimo schiocco di baci e un sibilo di lingue, Marinette si scostò per riprendere fiato. Fissò Chat Noir dritto negli occhi, senza più avvertire l’urgenza di abbassare lo sguardo. 

“Non hai ancora risposto alla mia domanda” gli ricordò tra un respiro e l’altro. 

Adrien aggrottò le perfette ciglia bionde, ancora troppo provato dall’estasi di quel bacio per riprendere pieno possesso delle sue facoltà. “Quale domanda?”

Marinette fece scorrere una mano sulla sua guancia. “Ti avevo chiesto cosa ne pensavi.” 

Gli occhi di Chat Noir brillarono nel buio. “A proposito di quello che ti ho detto” aggiunse Ladybug. 

Lui socchiuse gli occhi per un istante, poi la prese per le guance e le schioccò un dolce, piccolo bacio sulle labbra. Poi un altro e un altro ancora. Marinette chiuse gli occhi per godersi quelle carezze, poi udì la voce di Adrien dire: “Qualunque cosa tu decida di fare, io ti appoggerò sempre, Milady. Sono d’accordo su tutto ciò che hai detto. Anzi” e le stampò un altro bacio sull’angolo della bocca “sai che voglio sempre che tutti sappiano quanto siamo felici insieme. Potremmo rilasciare un’intervista a Nadja, oppure…”

“Ehi, ehi, ehi, non c’è bisogno di tirare in ballo per forza Nadja.”

Lui sorrise, era adorabile quando aveva le labbra corrucciate. “Va bene” acconsentì “niente intervista con Nadja. Potremmo concederne una ad Alya, se ti fa più piacere.”

Gli occhi di Marinette brillarono sotto la luce della luna.  Poi si avvicinò per essere lei, questa volta, a scoccargli un bacio sulle labbra. “Ecco, già meglio” mormorò tra i denti di Chat Noir. 

 

 

 

*nome a casissimo per fare da combo con l’Elettricista del capitolo precedente. 

 

 

 

 

Convenevoli finali: 

Ecco, detto fatto! Spero tanto che questi due capitoli vi siano piaciuti, e anche che non vi siate offesi troppo se ho fatto litigare Marinette e Adrien xP 

Sappiate che è stato difficilissimo trovare un motivo di litigio che non fosse troppo futile, perché davvero da questi due di litigi importanti non è che se ne possano cavare molti xD

(Inoltre, piccola curiosità: la prima metà - della prima parte - di questa storia è una di quelle che avevo in cantiere da più tempo. Sinceramente quando l’ho riletta non mi ricordavo un fico secco su come volevo farla finire, quindi mi sono pure reinventata un finale tutto nuovo lol.)

Detto questo, vi saluto e vi mando alla prossima, che spero non tardi ad arrivare, anche se, come sempre, non prometto niente. 

Pensandoci un secondo, mi rendo conto che questa settimana ho pubblicato tre volte ^^’ 

Non so, preferite che non mi faccio sentire per giorni e giorni e poi vado appena ho qualcosa pronto oppure che cerchi di aggiornare con una certa costanza - magari sempre nel fine settimana? 

Fatemi sapere <33

 

A presto, 

Talitha_

   
 
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