CAPITOLO
7
“Danza
la vita, canta e cammina.”
1999,
San Mungo, Londra
Si sentiva stanco, gli occhi faticavano ad aprirsi. I
suoni attorno a lui erano ovattati, un debole ronzio che aleggiava nelle
sue
orecchie. Facendosi forza, Elaija aprì gli occhi,
richiudendoli subito dopo per
la troppa luce. Dopo qualche minuto, riuscì ad abituarsi e
si guardò intorno,
cercando di capire dove si trovasse: notando le pareti bianche,
capì di
trovarsi in un reparto medico, ma la presenza di altre persone gli fece
capire
di non trovarsi all’Accademia. Vide un’infermiera
sistemare il letto accanto al
suo e fece per chiamarla, ma un bruciore a livello della gola lo
costrinse a
chiudere la bocca. Si portò una mano al collo e
sussultò leggermente sentendo
una benda. Ad un tratto, l’infermiera si accorse di lui e,
dopo avergli passato
un bicchiere d’acqua e aver ricevuto un cenno di gratitudine,
uscì dal reparto.
Tornò qualche minuto dopo, accompagnato da una signora e un
signore, che Elaija
riconobbe essere la Signora Davis e il Signor McKinnon.
-
Oh, mio tesoro, sei sveglio!
- esclamò la Signora Davis con le lacrime agli occhi, mentre
gli correva
incontro per abbracciarlo. Elaija provò di nuovo a parlare,
ma il bruciore
tornò, facendolo tossire. Il Signor McKinnon, che lo
guardava impassibile, si
voltò verso l’infermiera.
-
Cos’è successo? - domandò
l’uomo.
-
Il piccolo Elaija ha avuto
una brutta Meningite Magica. La Meningite è una malattia di
origine infettiva,
che colpisce le meningi e può essere causata da funghi,
batteri o virus. E’
molto contagiosa e i batteri di solito stazionano nella zona della
faringe. -
spiegò l’infermiera. La Signora Davis fece per
parlare, ma in quel momento
arrivò un medico.
-
Signor McKinnon, Signora
Davis, salve. Sono il Dottor Thompson e sono il medico che ha in cura
il vostro
ragazzo. - si presentò l’uomo. Il Signor McKinnon
fece un cenno del capo come
saluto e si voltò verso Elaija, per poi sospirare.
-
Dalle cartelle che tiene in
mano suppongo che non abbia buone notizie. - replicò,
facendo riferimento alla
cartella che teneva in mano il Dottor Thompson e il medico
annuì.
-
Purtroppo sì. Vedete, la
Meningite ha colpito fortemente il sistema immunitario, abbassandone
così le
difese. Questo ha portato ad una grave infiammazione delle corde vocali
e
abbiamo dovuto operare, con conseguente rimozione. - a quelle parole,
la
Signora Davis sgranò gli occhi.
-
Vuol dire che… Non potrà più
parlare? - domandò in un lieve sussurro. Elaija, che
nonostante i suoi quattro
anni era molto sveglio, aveva capito perfettamente dove volesse andare
a parare
il dottore. Inconsciamente, si portò una mano al collo,
mentre i suoi occhi si
riempivano di lacrime. Una mano sulla sua testa lo costrinse ad uscire
dai suoi
pensieri e il bimbo portò lo sguardo sulla figura del Signor
McKinnon.
-
Non importa, - disse l’uomo,
- l’importante è che tu stia bene. –
20.30,
Sala Principale, Criterion Restaurant
-Quindi
è così un
ballo organizzato dal Ministero. – eslamò Harry
non appena mise piede nella
Sala Principale del Criterion Restaurant: l’intera sala, che
per l’occasione
era stata ingrandita per ospitare almeno il doppio delle persone, era
stata
decorata con alcuni mazzi di crisantemi, il fiore simboleggiante il
lutto;
sulla parete di sinistra vi si trovavano i tavoli del buffet e delle
bevande,
mentre alcuni camerieri avevano già cominciato ad offrire
champagne agli
ospiti. Sulla parete opposta all’entrata, vi si trovava il
passaggio per la
sala da ballo e, sul lato destro della sala, era stato innalzato una
specie di
palco, dove erano stati posizionati un leggio e un pannello
commemorativo per
Richard McKinnon. Nel notarlo, Oberon sbuffò.
-
Per quanto dovremmo
sorbirci questa pagliacciata? – domandò Numero
Sei, ricevendo come risposta una
gomitata da parte di Fëdor. Dopo essersi scambiati uno
sguardo, il numero uno
si voltò verso il resto dei suoi fratelli.
-
Ricordatevi che
questa è una cerimonia in onore di nostro padre, quindi
evitate commenti
inopportuni e maleducati. Per il resto del mondo noi eravamo una
famiglia felice
e siamo addolorati per la sua perdita. Tutto chiaro? – Gli
undici membri
dell’Umbrella Academy annuirono alle parole del maggiore.
-
Noi controlleremo
se ci saranno movimenti sospetti o qualcosa di strano. In caso succeda
qualcosa
vi avvertiremo. – fece Emanuel mentre, di fianco a lui,
Katrina e Jem
osservavano attentamente la folla di persone che si stava accomodando.
Dopo
essersi messi d’accordo, i membri dei vari gruppi si
dispersero nella sala,
dirigendosi in direzioni differenti. Oberon fece per andare verso il
palco, ma
venne fermato da Fëdor e si voltò verso di lui.
-
Dimmi che mi stai
per chiedere quello che penso. – fece Numero Sei e
l’altro accennò un sorriso.
-
So che probabilmente
non ne avrai voglia, ma ho bisogno che mi aiuti a controllarli. Sai che
molti
di loro non sanno gestire situazioni di questo tipo e potrebbero
scattare molti
casini. – spiegò Numero Uno e Oberon
annuì.
-
Stai tranquillo,
puoi contare su di me. D’altronde, ti ho mai deluso?
– il commento fece ridere
Fëdor e, dopo un piccolo cenno del capo, i due si separarono.
20.45,
Sala da Ballo
Charlotte osservava intimorita
quello che accadeva intorno a lei: diverse coppie volteggiavano al
centro della
sala, seguendo un valzer eseguito alla perfezione da un piccolo
quartetto di
archi. La rossa fece per uscire dalla sala ma, nel voltarsi, si
scontrò con
qualcuno.
-Per
Morgana, mi
dispiace tantissimo! – cominciò a scusarsi senza
nemmeno guardare in faccia la
persona con la quale si era scontrata.
-Ehy
calma! Sembri un
treno in corsa! – esclamò quella persona. Non
appena Charlotte alzò lo sguardo,
incontrò il viso sorridente di Fëdor.
-
Mai stata ad un
ballo? – le domandò il ragazzo, mentre lei
iniziava a torturarsi la treccia.
-
In realtà non ne ho
frequentati moltissimi. Durante quelli organizzati dalla Loggia stavo
lì solo
per i saluti e poi scappavo. – confessò, facendolo
ridere.
-
Erano davvero così
male? –
-
Non hai idea. Odio
tutto questo. E’ pieno di gente falsa che fa la carina
solamente per
ingraziarsi qualcuno. – nel momento in cui finì la
frase, Charlotte si rese
conto di quello che aveva detto, diventando improvvisamente rossa in
viso.
-
Cioè… Non è che lo
siete anche voi… Dicevo in generale… -
farfugliò ma venne subito rassicurata da
Fëdor.
-
Tranquilla.
Sinceramente, non è che piacessero molto anche a noi.
Eravamo lì a fare le
belle statuine per nostro padre, poi ci rifugiavamo da qualche parte
utilizzando Elaija e Gabriel come scusa, visto che loro erano molto
timidi e si
rifiutavano di partecipare. – Questa volta fu il turno della
ragazza di ridere.
Il ballo finì, mentre i vari danzatori applaudivano per il
pezzo appena
concluso. Non appena il quartetto ricominciò a suonare,
Fëdor tese una mano a
Charlotte.
-
Vuoi ballare? – le
chiese. Alla domanda, la rossa lo guardò allibita.
-
Non so neanche come
muovermi. – replicò dispiaciuta e il ragazzo le
sorrise.
-
Non preoccuparti
per questo: ti insegno io. -
20.53,
Sala Principale
-Santa Morgana, siamo qui da neanche
dieci minuti e in quanti saranno già venuti a parlarci?
Cinque? – domandò
esasperato Travis, mentre Sheryl rideva per la sua reazione.
-In
verità sette. E
non possiamo farci niente, siamo comunque i figli dell’uomo
che viene
commemorato stasera. – rispose lei con tono gentile, mentre
sorrideva a un uomo
che l’aveva appena salutata. Numero Dodici la
guardò scioccato.
-
Come fai ad essere
così tranquilla? –
-
Semplice, faccio
quello che mi ha sempre detto papà: sorrido, sono gentile e
rispondo
educatamente alle persone. Poi ci siete anche voi, quindi sono calma.
– disse
sorridendo, mentre Travis si passava una mano tra i folti capelli.
-
Io ho smesso di
ascoltare i suoi consigli a dieci anni. – replicò,
ottenendo solo un altro
sorriso dalla sorella, che lo fece tremendamente arrossire.
Girò la testa,
cercando di non farsi notare e si mise ad osservare la sala, notando
poi la
gente che ballava nell’altra sala. All’improvviso
gli venne un’idea e si voltò
verso la numero undici.
-Ehy
Sheryl, ti
andrebbe di ballare? – alla domanda, Sheryl si
voltò verso di lui, per poi
osservare un punto dietro Travis.
-
Accetto volentieri
la tua richiesta, ma prima dovremmo evitare che scatti un putiferio.
– disse,
facendo cenno al ragazzo che si voltò: Mathias era tampinato
da alcune persone,
probabilmente giornalisti della Gazzetta del Profeta a giudicare i
taccuini e
le macchine fotografiche. Tuttavia, quello che preoccupava i fratelli
era
un’altra cosa: sapevano benissimo come potevano reagire gli
Altri se tallonati
in quel modo e il ricordo del loro quarto ballo era ancora limpido
nelle loro
menti. Velocemente, Travis si avvicinò al fratello, notando
che questi aveva già
iniziato a cambiare il colore degli occhi e, lasciando che Sheryl
prendesse il
posto del fratello con i giornalisti, lo trascinò via. Non
appena furono
lontani da occhi indiscreti, si voltò verso Mathias.
-
Con chi ho l’onore
di parlare? – chiese Numero Dodici, ricevendo solamente
un’occhiata stizzita.
In quel momento, Travis notò che anche i capelli erano
cambiati, passando dal
castano scuro al biondo.
-
Evan. Santa Priscilla,
non li sopporto proprio quegli idioti, mi fanno venire voglia di
cruciarli. – pronunciò
Numero Dieci. Travis rabbrividì per quella minaccia velata,
rassicurato però
che a presentarsi fosse stata una delle personalità
più gestibili: avevano
avuto occasione di incontrare Evan altre volte, quando Mathias si
trovava in
mezzo a situazioni di forte stress. Fortunatamente, Evan era capace di
gestire
queste situazioni, evitando che altre personalità
più ribelli uscissero allo
scoperto. Dopo qualche minuto, i due vennero raggiunti da Sheryl.
-
Sono riuscita a
convincerli a lasciarvi stare. Ho detto loro che Mathias è
ancora troppo
colpito dalla perdita di nostro padre per parlarne. –
spiegò la ragazza,
ricevendo uno sguardo di ringraziamento da parte dell’altro.
-
Ti ringraziamo
molto, Sheryl. Ora, se volete scusarmi, vado in un posto isolato e
cerco di far
uscire Mathias. – Evan li salutò e si diresse
verso l’uscita della sala,
lasciando i due da soli. Dopo qualche minuto, Numero Undici si
voltò sorridente
verso l’altro.
-Allora,
questo ballo
che mi devi? -
2007,
Villa Olympus
-
Cosa
ci fai qui tutto
solo? –
A
quella domanda, Elaija
sobbalzò leggermente. Tirò su con il naso e,
cercando di asciugarsi il viso
bagnato di lacrime, si voltò verso la sorella, leggermente
infastidito: si
trovava nel suo posto preferito, sotto l’ombra del vecchio
salice piangente che
si trovava nel giardino sul retro e mai nessuno era andato a
disturbarlo.
Tuttavia, la piccola Lauren si trovava di fronte a lui, la divisa
dell’Umbrella
Academy addosso e un cerchietto nero a tenerle in ordine la lunga
chioma
castana. Elaija, cercando di nascondere il foglio che teneva nella mano
destra,
le fece cenno di andarsene, dicendole che stava bene e che non doveva
preoccuparsi. Nonostante le parole del fratello, la numero otto era
cocciuta,
motivo per il quale veniva chiamata dai fratelli –
soprattutto da Elaija,
Felikz ed Emerald – Lauren la Dura. Perciò, si
sedette di fronte a Numero Nove,
osservandolo poi con i suoi grandi occhi.
-
Non me ne vado finché non mi
rispondi e sai che non me ne andrò facilmente. -
replicò la bambina ed Elaija
sbuffò, sapendo che la bambina non avrebbe mollato
facilmente. Così, con gli
occhi che si riempivano nuovamente di lacrime, le passò il
foglio che aveva
cercato di nascondere in tutti i modi: si trattava di un disegno,
raffigurante
i bambini dell’Umbrella Academy, la Signora Davis, Libby e,
al centro, il
Signor McKinnon sorridente. Lauren lo osservò attentamente,
per poi portare di
nuovo lo sguardo sul fratello.
-
L’uomo al centro chi
sarebbe? – domandò lei e Numero Nove disegno
nell’aria la risposta, scrivendo
in caratteri maiuscoli la parola “papà”.
A quella vista, la bimba, sgranò gli
occhi.
-
Vorresti dire il falso papà?
– replicò. Nel sentire quelle parole, Elaija
andò su tutte le furie,
cominciando a gesticolare degli improperi rivolti a Lauren, che lo
guardava
impassibile. Ad un certo punto, la bimba gli afferrò
entrambe le mani, fermando
così i suoi insulti gesticolati.
-
Mi dispiace, ma non capisco
cosa stai dicendo, vai troppo veloce. Mi sembra però di
capire che ce l’hai con
me, giusto? – domandò e Numero Nove
annuì vigorosamente. Stava per ricominciare
ad urlarle contro quando lei si alzò di scatto, facendolo
sussultare
-
Ti arrabbi con me invece che
con lui? Non lo capisci che da quando siamo qui non ci ha mai trattato
come dei
bambini ma solo come esperimenti? Non dovresti piangere per un uomo
così. Non
ci vuole bene. – rispose secca Lauren. Per tutto il discorso,
Elaija aveva
ascoltato attentamente, rendendosi conto man mano che la sorella aveva
ragione:
mai una volta il padre aveva rivolto loro dei sorrisi o dei
complimenti, se non
quando ottenevano dei buoni risultati negli allenamenti, ma anche
lì non si
allargava mai. Ad un certo punto, una mano spuntò nel suo
campo visivo e guardò
la sorella, che gli sorrideva dolcemente.
-
Forza andiamo, gli altri ci
staranno cercando. – disse, aiutando il fratello ad alzarsi.
Così, i due
bambini si recarono insieme verso il grande salone della Villa dove,
seduti sul
pavimento, i suoi fratelli giocavano insieme, chi con le carte, chi con
qualche
costruzione, sorvegliati dalla presenza costante della Signora Davis.
Fu in
quel momento che Elaija capì la sua fortuna: sapeva che non
avrebbe mai
ottenuto l’approvazione del padre, ma aveva cinque fratelli e
quattro sorelle
che gli volevano bene e questa era la cosa più importante.
21.36,
Sala Principale
Caleigh osservava meravigliata le
decorazioni della Sala, appoggiata ad una colonna vicino al tavolo del
buffet.
Stava aspettando Charlotte, che era finita chissà dove nella
sala da ballo e
non era ancora tornata, cosa che aveva stranito la ragazza. Fece per
muoversi
per andare a cercarla, ma l’apparizione di un viso noto la
costrinse a
fermarsi, osservando scioccata l’uomo che si trovava a pochi
metri di distanza.
L’uomo, che non si era accorto di essere fissato, stava
parlando con un gruppo
di Auror, la mano stretta in quella di una giovane donna, che rideva
probabilmente per una battuta appena detta. Non appena gli Auror se ne
furono
andati, questi si incrociò, incrociando così lo
sguardo di Caleigh, rimanendo
paralizzato per lo stupore. Disse qualcosa alla donna che, dopo aver
fatto un
lieve sorriso, si allontanò e l’uomo
iniziò a camminare verso di lei,
leggermente titubante. Non appena si ritrovarono faccia a faccia, si
creò
subito tensione, che venne poi spezzata da lui.
-Caleigh,
sei
cresciuta tantissimo dall’ultima volta che ti ho vista.
E’ un piacere per me
vederti. – disse abbozzando un leggero sorriso. Tuttavia, il
viso di Caleigh
rimase serio.
-
Peccato che io non
possa dire lo stesso, padre. – rispose la ragazza, cercando
di risultare il più
brusca possibile. Il tono ottenne l’effetto desiderato,
poiché il padre
sobbalzò leggermente.
-
Senti, Caleigh,
perché non ci buttiamo tutto alle spalle? Volevo presentarti
una persona… -
cominciò a dire l’uomo, ma la ragazza fu veloce ad
interromperlo subito.
-
Non se ne parla
proprio! Hai almeno una minima idea di quanto dolore tu abbia causato a
me? O
alla mamma? – esclamò la ragazza, cercando sempre
di contenere i toni della sua
rabbia. Non appena vide Charlotte in lontananza, cercò di
allontanarsi senza
dire niente, ma il padre provò a fermarla.
-
Caleigh, per
favore, almeno ascoltami… - continuò a lui,
continuando a pronunciare parole a
vuoto. La ragazza si voltò verso di lui.
-
Sei pregato di non
rivolgermi più la parola. Hai deciso anni fa di uscire dalla
mia vita, quindi
sei pregato di non tornarci. – pronunciò queste
parole con astio e, dopo aver
dato ancora un’occhiata di disprezzo all’uomo, si
recò dalla sua amica,
lasciandosi il passato alle spalle.
21.20,
Piano Superiore
-Dici che questo posto è abbastanza
appartato? – domandò Ophelia alla sorella. Lauren
si guardò intorno, per poi
riportare lo sguardo sull’altra.
-
Secondo me qui non
verremo disturbate, ma non possiamo stare qui molto, anche
perché non penso sia
permesso. – rispose Numero Otto mentre entrava in una delle
tante stanze,
seguita subito dall’altra. Ophelia l’aveva
trascinata lì senza dirle perché e,
man mano che le due ragazze cercavano un posto dove stare, Lauren
ampliava la
sua curiosità. Una volta dentro la stanza, Ophelia la chiuse
a chiave e si
assicurò con qualche incantesimo di non essere disturbate.
Dopo di che, si
voltò verso la sorella, rivolgendole un timido sorriso.
-
Io… Ti volevo
chiedere scusa. – mormorò la bionda, lasciando
Lauren completamente di stucco.
Scusarsi? E di cosa? Lauren cercò di pensare,
finché nella sua testa non
comparve una sola cosa… Oh, per quello.
-
Ophelia… - provò a
dire, ma venne subito interrotta dall’altra.
-
No, lasciami
parlare, altrimenti non finirò mai. Volevo scusarmi con te.
Da quando siamo qui
non abbiamo fatto altro che litigare o non parlare proprio e questa
cosa mi sta
uccidendo. – spiegò, non avendo il coraggio di
guardarla negli occhi.
-
Ophelia,
tranquilla. E’ una cosa che è successa anni fa,
ormai è acqua passata… - fece
Lauren ma Numero Cinque scosse la testa.
-
Me ne sono andata
da sola, quando ti avevo promesso che, se mai ce ne fossimo andate, lo
avremmo
fatto insieme. Sono stata la prima ad andarmene, rovinando
quell’equilibrio già
precario che si era formato tra di noi. - continuò la
bionda. Lauren,
sorridendo dolcemente, andò ad abbracciarla, lasciando
l’altra di stucco.
-
Ophelia, non è
assolutamente colpa tua! L’Umbrella Academy si stava
già frantumando quando vi
è stata la discussione tra Cameron e Fëdor e
abbiamo preso le distanze l’uno
dall’altro. Non posso negare di non esserci rimasta male e mi
sono anche
comportata da bambina in questi giorni. Sono io a dovermi scusare con
te e non
il contrario. – spiegò Lauren.
-
Quindi siamo di
nuovo amiche? – domandò Ophelia sorridendo e
Numero Otto iniziò a ridere.
-Certo
che lo siamo e
lo siamo sempre state! Ora ci conviene tornare giù, magari
ci stanno cercando.
– Le due si diedero un ultimo abbraccio e poi, insieme,
uscirono dalla stanza
tornando dai loro fratelli con degli enormi sorrisi stampati in volto.
21.38,
Sala da Ballo
Cercando in tutti i modi possibili
di evitare la gente, Elaija camminava lungo la parete della sala,
schivando
ogni tanto qualche persona per non scontrarsi, mentre osservava le
varie
persone ballare. Vide con la coda dell’occhio Travis e Sheryl
che ballavano
insieme e sorrise teneramente, felice di come le cose si stessero
evolvendo tra
i fratelli. In effetti, da quando era tornato a Villa Olympus aveva
cominciato
a notare qualcosa di strano negli altri, come se la lontananza avesse
migliorato quei rapporti che un tempo si pensavano distrutti.
Cercando
di togliersi
quei pensieri dalla testa, Elaija si mise a cercare per la sala
Gabriel, che si
era offerto di tradurre i suoi segni in caso di conversazioni. Il
numero tre si
era allontanato per andare a prendere da bere per tutti e due,
costretto così a
lasciare il fratello minore da solo. Il ragazzo fece per muoversi
ancora,
quando qualcuno gli picchiettò sulla spalla con un dito.
Elaija si voltò,
pronto ad insultare il giornalista impertinente di turno, ma per poco
non si
strozzò con la saliva: davanti a lui, Andrew McLagen lo
guardava sorridendo,
stretto nel suo impeccabile abito nero. Numero Nove si prese un attimo
per
ammirare il ragazzo – ormai uomo – che gli stava di
fronte: non lo vedeva dai
tempi della scuola, il suo fisico si era ancora irrobustito, perdendo
quei
tratti infantili che, un tempo, ne caratterizzavano il viso
diciassettenne;
aveva persino un accenno di barba. Dopo quella breve analisi, Elaija
riportò
nuovamente lo sguardo sul volto di Andrew, che non aveva perso il
sorriso.
-Non
ci vediamo dalla
fine della scuola e non sei cambiato di una virgola. – disse
il biondo
continuando a sorridere, mentre Elaija sentiva la faccia in fiamme.
-
Mi dispiace molto
per la tua perdita, Elaija, Sarete sconvolti. –
continuò lui, posando una mano
sul braccio dell’altro. Numero Nove sorrise tristemente,
ringraziandolo con un
cenno del capo per le condoglianze.
Tu
come
stai?
Chiese invece lui.
Il ragazzo fece spallucce.
-Tutto
bene, grazie
per averlo chiesto. – rispose. Elaija fece per fargli
un’altra domanda, ma la
voce di Gabriel lo destò dalle sue intenzioni. Andrew si
accorse dell’arrivo
dell’altro fratello.
-
Ti lascio parlare
con tuo fratello. E’ stato davvero un piacere rivederti e
spero di poterti
ancora parlare più tardi. – fece il biondo e,
salutandolo, si allontanò. Numero
Nove lo stava ancora osservando, quando venne raggiunto dal fratello,
che lo
guardava sbalordito.
-
Quello era Andrew
McLagen? Quell’ Andrew McLagen?
– domandò il rosso sottolineando la sua
domanda. Elaija annuì e Gabriel rimase completamente senza
parole. Fece per
parlare, ma Elaija gli fece capire di cambiare argomento con un sorriso
e,
seppur controvoglia, fu costretto a rinunciare. Mentre si dirigeva
verso la
sala principale in compagnia del numero nove, si voltò
nuovamente verso Andrew.
“Però,
che strano
modo di incontrare un ex…”
2009,
Lago Nero, Hogwarts
In quella piovosa mattinata di Novembre, gli studenti di
Hogwarts si erano rifugiati all’interno del castello, a causa
del brutto
temporale che, verso le prime ore dell’alba, si era abbattuto
sulla scuola. Tuttavia,
due studenti del terzo anno, rispettivamente di Tassorosso e
Serpeverde, si
aggiravano nei pressi del Lago Nero, il secondo leggermente irritato.
-
Sei sicuro che sia qui? -
domandò Cameron togliendosi una ciocca di capelli bagnati
dalla fronte. Felikz
per poco non scivolò sul terreno fangoso e, dopo aver
recuperato l’equilibrio,
si voltò verso il fratello.
-
Sono super certo. Sai, a
casa El si nasconde sempre sotto il salice del nostro giardino e qui
è l’unico
posto dove può stare tranquillo. – rispose Numero
Sette, riprendendo a
camminare a passo spedito. Arrivato all’albero,
cercò con gli occhi e, non
appena notò la figura del fratello minore rannicchiata
contro il tronco dell’albero,
si illuminò. Gli corse incontro, notando subito
l’incantesimo Ombrello che
aveva effettuato il numero nove per proteggersi dalla pioggia.
-
Elaija, sapevo di trovarti
qui! – urlò il Tassorosso, spaventando Numero Nove
e facendo sbuffare Numero Quattro.
Il Grifondoro li guardò sbalorditi, chiedendo poi loro cosa
ci facessero lì.
-
Siamo venuti a prenderti.
Avevamo promesso che ti avremmo aiutato e così faremo.
Voleva venire anche
Mathias ma ha avuto qualche problema con gli Altri, quindi siamo solo
noi due.
– spiegò Cameron e Felikz annuì,
confermando le parole del fratello. Vedendo
però che Elaija non si alzava, il Tassorosso decise di
inginocchiarsi di fianco
a lui, ignorando la sensazione di freddo che lo avvolse non appena le
sue
ginocchia entrarono a contatto con il terreno bagnato.
-
Senti, so che sei
spaventato, lo capisco. Ma ne abbiamo già parlato: non devi
dare retta a quello
che dicono gli altri. Hai passato due anni nel baratro totale per colpa
di
quegli idioti che non facevano altro che prenderti in giro, mentre noi
non ce
ne siamo accorti. Ma adesso siamo qui con te a supportarti. Hai una
famiglia
intera che ti vuole bene. – Di fronte a quelle parole, Elaija
aveva sgranato
leggermente gli occhi: mai si sarebbe aspettato un discorso del genere
da parte
del numero sette, vista la sua indole poco seria che lo precedeva.
“Ma
se fossi davvero
sbagliato?” chiese allora disegnando nell’aria la
sua domanda. A quel punto
anche Cameron si inginocchiò di fronte a lui.
-Elaija,
non c’è niente di
sbagliato in te. Ti piacciono i ragazzi, così come agli
altri piacciono le
ragazze. Sei umano e non devi assolutamente vergognarti di quello che
sei. –
Di
fronte allo sguardo duro di
Cameron e a quello più dolce di Felikz, Elaija
annuì e, dopo essersi alzati, si
diressero insieme verso il castello, con destinazione la Torre di
Gridondoro.
Tuttavia, arrivati nei pressi del terzo piano, i tre si scontrarono con
un
gruppo di ragazzi più grandi, appartenenti a Serpeverde. Il
più alto del
gruppo, da corti capelli biondi e gli occhi castani, li
scrutò attentamente il
trio, focalizzandosi poi sulla figura di Eliaja.
-
Guardate gente, il moccioso
ha delle guardie del corpo adesso. – disse quello
sogghignando, mentre gli
altri ragazzi scoppiavano a ridere. Felikz e Cameron si scambiarono un
rapido
sguardo: avevano immediatamente riconosciuto Ethan Parkinson,
Serpeverde del
quinto anno e colui che, ormai da due anni, bullizzava Elaija
trattandolo come
feccia. Numero Nove fece per indietreggiare, ma un rapido movimento lo
costrinse ad alzare lo sguardo: Cameron si era fiondato subito di
fronte a
Ethan, fronteggiandolo con sguardo duro. Per i suoi sedici anni, Ethan
era
abbastanza alto, ma Cameron, nonostante fosse solo un quattordicenne,
era già
alto come il compagno di casa, complici anche la sua statura robusta
per via del
Quidditch e gli innumerevoli allenamenti svolti con il padre.
-
Cosa hai detto, Parkinson?
Non ti ho sentito. – disse Cameron, rispondendo a tono con un
ghigno. Elaija
vide un lieve lampo di paura negli occhi dell’altro
Serpeverde, ma fu solo per
un attimo.
-
Hai sentito benissimo,
McKinnon. E ti conviene sparire, non è una questione che ti
riguarda. – A
parlare questa volta fu Thomas Xaxley, un altro ragazzo della casa
verde-argento. Ethan fece per avanzare ancora di più, ma
Felikz si mise di
fianco a Cameron.
-
Ti conviene lasciare in pace
nostro fratello, Parkinson, o potresti pentirtene. – fece il
Tassorosso, mentre
Elaija cercava di tirarlo indietro per una manica: il numero sette non
era
conosciuto per la sua altezza e, in mezzo a quei Serpeverde, sembrava
ancora
più piccolo. Ethan si mise a ridere, contagiando anche gli
altri ragazzi, e
guardò Felikz dall’alto in basso.
-
Altrimenti? Andrete a
chiamare papà? Non avete legami di sangue, né tra
voi né con quell’uomo. La
feccia, con o senza successo, rimane feccia. –
Quello
che Elaija non si
sarebbe mai aspettato di vedere, fu Felikz colpire in faccia Ethan con
un
pugno, facendolo indietreggiare di qualche centimetro. Cameron si
voltò,
sconvolto quanto il Grifondoro, verso il fratello, ma non ebbe tempo di
reagire, poiché Ethan era già scattato verso il
Tassorosso. Numero Quattro
cercò di difendere il fratello, ma anche gli amici di Ethan
si erano buttati
per aiutare l’amico. Elaija osservava la scena con occhi
spalancati. Ripensò a
quello che gli avevano detto i fratelli qualche momento prima, ovvero
del fatto
di avere una famiglia. Sorridendo a quel pensiero, prese la sua
decisione: si
buttò nella mischia.
Quando
i tre uscirono
dall’Infermeria, chi con una micro-frattura al naso
– Cameron – e chi con un
occhio completamente nero e gonfio – Felikz - , trovarono ad
attenderli il
resto dell’Umbrella Academy.
-Voi
siete completamente fuori
di testa! – esclamò Lauren non appena li vide
arrivare. Subito, Mathias e
Travis si affiancarono ai fratelli.
-
Cavoli, volevamo esserci
anche noi, perché non ci avete chiamato!? –
domandarono, venendo subito zittiti
dallo sguardo duro di Numero Uno. Poi, Fëdor si volto verso i
tre incriminati.
-
Siete fortunati che non
c’erano testimoni e non hanno dato colpa a nessuno,
nonostante vi siate beccati
una lunga punizione. – disse il ragazzo. Felikz e Cameron si
guardarono e,
contemporaneamente, misero un braccio attorno alle spalle di Numero
Nove.
-
Non preoccuparti, - rispose
Cameron, - adesso quegli idioti non gli daranno più
fastidio.-
21.22,
Giardino
-E
così è qui che ti nascondi? – A quella
domanda, Katrina guardò dietro
di sé, trovando Harry che la fissava attentamente. La
ragazza sbuffò, ma non
impedì al ragazzo di sedersi di fianco a lei sulla panchina
di granito. Al
momento, i due si trovavano nel giardino personale del Criterion
Restaurant:
era un giardino abbastanza piccolo, ma non per questo meno incantevole,
con
graziosi cespugli di rose e alberi appena potati, tenuti rigogliosi
attraverso
degli incantesimi specifici. AL centro, una grossa fontana, con La
Temperanza
che versava l’acqua che scorreva da una brocca
all’altra. I due ragazzi si
trovavano seduti su una delle tante panche che circondavano la fontana,
in
silenzio.
-
Non mi hai ancora
detto perché ti trovi qui da sola. –
sussurrò il ragazzo, intimorito dal fatto
di dover interrompere il silenzio che si era creato. Pensò
di non essere stato
sentito, visto che Katrina continuava ad osservare di fronte a
sé, ma la vide
prendere un lungo respiro, segno che era stato capito alla perfezione.
-
Non sopporto i
balli. Quando frequentavo Durmstrang, venivano fatti dei balli ogni
anno, prima
delle vacanze invernali e prima di quelle estive. Pregavo sempre di non
essere
invitata perché non volevo andarci, ma a volte non avevo
questa fortuna. –
spiegò la ragazza. Harry si sorprese, visto che non capitava
spesso che la
ragazza si aprisse sul suo passato.
-
Non potevi
semplicemente farti invitare da Emanuel? Cioè, si spargeva
la voce, nessuno ti
invitava e tu potevi poi rintanarti nel tuo dormitorio. – Il
biondo notò un
lieve sorriso spuntare sulle labbra della collega, ma sparì
quasi subito.
Katrina si voltò verso di lui.
-
Volevamo farlo una
volta, ma ad Ema piacevano troppo e mi sentivo in colpa ad impedirgli
di
partecipare. Così ho fatto un piccolo sforzo anche io.
– continuò. A quelle
parole, Harry fece uno sbuffo divertito e la mora lo guardò
torva.
-
Cosa c’è da ridere
adesso? – domandò stizzita e lui scosse la testa.
-
Nulla, mi sembra
solo strano che una ragazza odi i balli. Non aspettate solo quello?
L’abito
bello, il trucco e l’acconciatura perfetti, un cavaliere per
il ballo… Tu e
Charlotte siete uguali sotto questo punto di vista. –
spiegò e Katrina gli
rifilò un’occhiataccia.
-
Primo, non tutte le
ragazze sono delle bamboline felici di mettersi in mostra. E
secondo… non odio
proprio i balli in sé, odio il fatto di essere guardata, il
che succedeva
spesso a scuola… Santi numi, così sembra che me
la tiri. – farfugliò coprendosi
il volto con le mani, mentre Harry scoppiava a ridere. Ad un certo
punto, i due
sentirono uno scroscio di applausi provenire dalla sala, segno che un
altro
ballo si era appena concluso. Non appena la musica ripartì,
Harry si alzò,
sotto lo sguardo confuso di Katrina e le porse la mano.
-
Kat, ti va di
ballare con me? – chiese con voce incerta. La ragazza, non
sapendo cosa dire,
guardò prima la mano e poi il suo proprietario.
-
Intendi… Ballare
qui? – domandò e lui annuì.
-
Hai detto che non
ti piace stare al centro dell’attenzione. Beh, qui siamo solo
noi, quindi
nessuno ti guarderà. – disse con un cenno della
testa. Dopo qualche attimo di
silenzio, la ragazza annuì, prendendo la mano del ragazzo. I
due iniziarono a
volteggiare e Katrina fu grata al ragazzo, anche se non glielo avrebbe
mai confessato.
21.40,
Sala Principale
Di fianco al piccolo palco rialzato,
Jem e Scarlett parlavano animatamente, in quanto la donna stava
cercando di
convincere il collega a non uscire per fumare, nonostante sapeva che
fosse un
brutto vizio dell’insegnante.
-Fumare
fa male! –
disse Scarlett, nascondendo il pacchetto di sigarette che aveva rubato
dalla
tasca della giacca di Jem. L’uomo alzò gli occhi
al cielo.
-
Sai vero che sono
un adulto e che posso scegliere, vero? – replicò
lui, ma la donna scosse la
testa.
-
Niente da fare, è
una brutta abitudine che devi toglierti. Che poi, cosa ti ha spinto a
cominciare a farlo? – domandò la bionda. A quel
punto, sul volto dell’uomo comparve
un triste sorriso.
-
Non c’è un vero e
proprio motivo. In realtà, ho cominciato e non ho
più smesso. Un po’ come con
l’alcool. A volte, mi sembrano le uniche soluzioni.
– spiegò, tornando a
guardare la folla che li circondava. Scarlett
l’osservò attentamente e, con un
piccolo sbuffo, gli riconsegnò il pacchetto, ricevendo un
sorriso di ringraziamento
da parte dell’altro. Non appena questi si fu allontanato,
Scarlett si ritrovò
da sola ad osservare le persone.
-
Cavoli, Scarlett,
non sei cambiata di una virgola. Bella eri e bella sei rimasta.
–
Scarlett
rabbrividì
immediatamente, perché aveva riconosciuto la persona che
possedeva quella voce.
Si voltò, trovandosi faccia a faccia con il ghigno di Gregor
Sanders. La bionda
fece per andarsene, ma l’uomo la afferrò per un
braccio, costringendola a
fermarsi.
-Lasciami.
Adesso. –
disse Scarlett, con uno sguardo di fuoco, ma Gregor fece finta di non
capire.
-
Scarlett, sii più
gentile. Sono venuto qui per chiederti come stai. Volevo anche sapere
come stava
mio figlio… - l’uomo non ebbe neanche il tempo di
finire la frase che Scarlett
cambiò completamente espressione.
-
Non osare nominare
Michael! Tu non devi neanche pensarci! – sbottò
lei, chiedendosi come si fosse
permesso quel verme di nominare suo figlio.
-
Senti, mi dispiace
per tutto quello che è successo, ma voglio rimediare. Quanti
anni ha adesso?
Nove, dieci? – continuò Gregor e Scarlett lo
guardava incredula.
-
Io non ti dirò un
bel niente! Hai fatto finta che io non esistessi e la sera prima avevi
detto di
amarmi. Ora ti conviene allontanarti da me, o potrei non rispondere
delle mie
azioni. – la donna cercava di allontanarsi, ma lui non le
aveva ancora lasciato
il braccio.
-
Senti… -
-
Ha detto di
lasciarla stare. – disse una voce. Scarlett si
voltò e i suoi occhi si
riempirono di gioia nel trovarsi di fronte Lucy, la sua migliore amica
ai tempi
della scuola. Gregor, dopo aver riconosciuto la nuova arrivata, si
decise a
mollare il braccio della bionda.
-Lucy,
sei cambiata
un sacco! –
-
Peccato che tu non
l’abbia fatto. Coglione eri e coglione sei rimasto.
– rispose la ragazza e
Scarlett ridacchiò, ricordandosi della
“finezza” della sua amica. Gregor
strinse gli occhi, ma decise di non rispondere alla provocazione. Fece
un cenno
alle due e, infuriato, se ne andò, lasciandole finalmente da
sole. A quel
punto, Scarlett corse ad abbracciare l’amica.
-
Lucy, non sai
quanto tu mi sia mancata! – disse lei, mentre la mora
ricambiava la stretta.
-
Fidati, posso
sospettare. Diamine, non pensavo di trovare quell’idiota di
Sanders qui! –
esclamò Lucy e Scarlett sbuffò.
-
Purtroppo è un
Auror, quindi per forza di cose sarebbe stato qui, anche se speravo di
non
vederlo. Piuttosto, perdonami se ho perso un attimo la testa, non
è da me. – a
quelle parole, l’altra ragazza scoppiò a ridere.
-
Oh tranquilla, sai
che con me non devi farti problemi. Forza: hai un sacco di cose da
raccontarmi!
– Scarlett annuì e, prendendola a braccetto, la
portò verso il tavolo del
buffet, cominciando a raccontarle ogni cosa.
21.45,
Sala Principale
-Perché
ci hanno chiamati tutti qui? – domandò Emerald,
osservando la
fiumana di persone che si dirigeva nella sala principale. A
rispondergli fu
Felikz, che si trovava di fianco a lei.
-
Stanno per commemorare
la memoria di papà. – rispose e Numero Due
sbuffò, alzando gli occhi al cielo.
-
Tutte falsità.
Insomma, chi amava veramente nostro padre? Era un tiranno e un despota.
–
replicò la ragazza, ricevendo un’occhiataccia da
alcune persone di fianco a
lei. Oberon rivolse loro uno sguardo di scuse, voltandosi poi verso la
sorella.
-
Non dire queste
cose mentre siamo qui. Nonostante non ti piacesse, era sempre nostro
padre.
Mostra almeno un po’ di rispetto questa sera. –
disse duro Numero Sei. Emerald
annuì, capendo subito il concetto. Ad un certo punto, sul
palco salì un Auror,
che i ragazzi riconobbero subito come Jonathan Habbot, Segretario del
Ministro
della Magia e un collega di Richard. L’uomo prese subito il
silenzio e, non
appena l’attenzione fu su di lui, cominciò a
parlare.
-
Signore e Signori,
siamo qui oggi per commemorare la memoria di un uomo straordinario e
geniale. Il
Signor McKinnon non era solo un Auror formidabile, ma era anche un
ottimo amico
e un padre di famiglia eccezionale. – A quelle parole, almeno
la metà dell’Umbrella
Academy alzò gli occhi al cielo.
-
Davvero dobbiamo sorbirci
tutto il discorso? – sussurrò Cameron a
Fëdor, ricevendo in cambio una
gomitata. Sheryl, Lauren e Ophelia ascoltavano attentamente il
discorso,
mostrandosi come il padre aveva insegnato loro. Oberon le
osservò, per poi
portare l’attenzione sul resto del gruppo. Tuttavia, il
passaggio di una persona
dietro ai suoi fratelli lo fece trasalire, riconoscendo immediatamente
la ragazza
che lo stava fissando. Senza farsi notare, iniziò a
seguirla, uscendo dalla sala.
-…
E per questo io vi
chiedo di alzare i calici, in onore di Richard McKinnon! – a
quell’invito,
tutta la sala brindò, mentre alcuni mormoravano “A
Richard!”.
-
E’ stato un
discorso inutile. – disse Ophelia lisciandosi le pieghe del
vestito. Un ragazzo
si avvicinò a lei sorridendo, senza che lei se ne accorgesse.
-
Sempre a criticare
tutto, mai una volta che ti senta dire qualcosa di positivo!
– Ophelia si voltò
e si gettò addosso al ragazzo, avendolo riconosciuto subito.
-
Dennis, per
Merlino! Che ci fai qui? – domandò la strega.
Dennis era un suo vecchio compagno
di scuola, suo grande amico, che però si era dovuto
allontanare con la fine
della scuola.
-
Sono il più uno di
uno degli Auror. Volevo venire a salutarti prima ma non riuscivo mai a
beccarti
da sola. Come stai? Il lavoro? – domandò il
corvino e Ophelia sorrise
dolcemente.
-
Sto bene, grazie
per averlo chiesto. Anche al lavoro va alla grande. Tu invece cosa mi
racconti?
– alla sua domanda Dennis cominciò a spiegare,
mentre Ophelia ascoltava
attentamente. Ad un certo, guardando un attimo dietro al ragazzo,
Numero Cinque
notò Emanuel che la fissava, con una strana espressione
stampata sul viso. La
ragazza arrossì immediatamente e Dennis parve accorgersene,
voltandosi seguendo
la linea del suo sguardo. Non appena notò il ragazzo,
tornò a guardare Ophelia.
-
Ehy, quello non è
il ragazzo che ti piaceva ad Hogwarts? – chiese e lei
sobbalzò.
-
Cosa? Oh, ecco… Diciamo
di sì. Ci siamo riavvicinati molto in questo periodo.
– ammise arrossendo e il
ragazzo si mise a ridere.
-
E perché non ti sei
ancora buttata? Forza, vai a parlargli! – la
esortò e Ophelia lo osservò
sbalordita.
-
Dici sul serio? –
domandò e lui annuì. Ophelia guardò
lui e poi portò il suo sguardo sulla figura
di Emanuel, che si stava dirigendo verso la terrazza. Dopo qualche
attimo di
incertezza annuì e, dopo aver salutato il suo amico, si
avviò.
2014,
Stanza Nove, Corridoio delle Camere, Primo Piano, Villa
Olympus
Era ormai pomeriggio inoltrato e in casa non era rimasto
quasi nessuno. Non che fosse un problema, rifletté Elaija:
da quando anche
Mathias se ne era andato, appena un mese prima, in casa erano rimasti
solo in
cinque e, adesso, anche lui se ne stava andando.
-Non
dimentichi niente? –
domandò una voce alle sue spalle. Il ragazzo si
voltò, ritrovandosi faccia a
faccia con il volto sorridente di Sheryl. Numero Nove la
guardò interrogativo,
non riuscendo a capire e la sorella tirò fuori dalla tasca
un foglio di carta
piegato.
-
Come farai ad entrare al
Conservatorio senza la lettera di ammissione? Penso che questo ti serva
se vuoi
accedere ai corsi. – rispose la rossa ed Elaija
arrossì: senza dire niente a
nessuno, il ragazzo si era iscritto al Conservatorio di musica
“Giuseppe
Verdi”, situato a Milano e uno dei Conservatori
più famosi al mondo.
Volevo
dirvelo.
-Oh
non preoccuparti, tanto
ormai abbiamo smesso di dirci le cose da un bel po’ di tempo.
– replicò Sheryl
sorridendo. Aiutò il fratello a sistemare le sue cose nella
valigia, cercando
di fare attenzione agli spartiti del fratello, ponendoci sopra diversi
incantesimi di protezione, p, er evitare che si danneggiassero. Non
appena
ebbero finito, i due si sedettero ai piedi del letto, immergendosi in
un triste
silenzio.
-
Forza, ti conviene andare.
Per fortuna papà ci ha fatto imparare un po’ di
italiano*, altrimenti saresti
perso!- disse la ragazza, mentre sul viso di Elaija spuntava un enorme
sorriso,
mentre faceva apparire nell’aria una frase.
E’
meglio che vada a salutarli.
Tuttavia,
Sheryl lo fermò con
una mano.
-Vai
tranquillo, di loro mi
occupo io. Se li salutassi, probabilmente cambieresti idea, quindi ti
conviene
partire subito. – Elaija rimase particolarmente colpito da
quelle parole, ma
sapeva che Numero Undici aveva ragione: se si fosse fermato anche solo
per un
minuto, sapeva che avrebbe deciso di non lasciarli. Con un cenno del
capo si
alzò e, dopo aver raccolto la sua roba e aver dato un
abbraccio alla sorella,
si smaterializzò.
Non
appena aprì gli occhi,
notò di trovarsi in un vicolo, poco lontano da una strada
affollata. Non appena
mise piede nella strada principale, notò di fronte a
sé il Conservatorio,
notando di trovarsi a Milano, e sorrise: un nuovo capitolo della sua
vita stava
per cominciare.
21.55,
Bagni, Piano Superiore
-Dici che è andato di qua? –
domandò
Felikz a Travis e il fratello fece spallucce. Da dieci minuti, i due
stavano
cercando Cameron in ogni angolo del locale, ma non erano ancora
riusciti a
trovarlo: Numero Sette aveva visto il fratello più grande
uscire
frettolosamente dalla sala principale e, preoccupato, aveva chiesto al
numero
dodici di aiutare a cercarlo.
-
Non può essere sparito
così, sarà nascosto da qualche parte. Sai
com’è fatto. – disse Numero Dodici,
ma Felikz scosse la testa.
-
Impossibile, non
lascerebbe mai Gabriel da solo, appunto perché lo conosco.
– Ad un certo punto,
i due sentirono un forte rumore provenire dai bagni e, dopo essersi
scambiati
uno sguardo, si fiondarono ad aprire la porta. Fortunatamente, aprirono
in
tempo per vedere il fratello crollare in avanti, contro i lavandini.
-
Cam! – esclamò
Travis, afferrandolo in tempo per evitare che picchiasse la testa da
qualche
parte. Poi, con l’aiuto del numero sette, lo
appoggiò in terra, mettendolo
seduto contro la parete: il rosso aveva il naso completamente
sanguinante e la
camicia una volta bianca ora era per lo più rossa. La pelle
era bianca come
quella di un cadavere e gli occhi erano solcati da profonde occhiaie.
-
Ma che cazzo?! Cam,
cos’è successo? – domandò
preoccupato Felikz e Travis si alzò in piedi.
-
Tienilo sveglio il più
possibile, io vado a chiamare qualcuno. –
-
No. – Sentendolo
parlare, i due ragazzi si voltarono verso il fratello, che ora si
teneva una
mano alla testa.
-
Come no? Cameron,
stai sanguinando, dobbiamo trovare chi ti ha ridotto così!
– fece Numero Dodici
ma il numero quattro scosse la testa.
- Non è stato
nessuno a ridurmi così, tra
poco passa. Travis, chiudi la porta e fa’ in modo che nessuno
si avvicini a
questo bagno. – disse il rosso alzandosi, aiutato subito da
Felikz. Il minore
annuì e, dopo essersi assicurato dei giusti incantesimi di
protezione, si voltò
verso Numero Quattro, che aveva cominciato a lavarsi il viso per
rimuovere ogni
traccia di sangue secco. Poi, con un leggero colpo di bacchetta, tolse
ogni
macchia dalla sua camicia, rendendola nuovamente bianca.
- Che significa
che non è stato nessuno? – domandò
preoccupato Travis e il rosso, sospirando, si voltò verso i
suoi fratelli.
- E’
una cosa che ancora non posso dirvi, mi dispiace.
Prometto che ve lo spiegherò, ma non ora. – disse
e i due si guardarono.
- Gabriel lo sa?
– domandò Numero Sette e lui scosse
la testa.
- No e non lo
deve ancora sapere. Quindi vi prego, non
ditelo ancora a nessuno. Per favore. – Cameron sembrava
veramente disperato,
cosa assai rara da vedere e Felikz, titubante, annuì.
- Va bene, per
adesso non diremo niente. Ma entro la
fine della serata dovrai parlarne con gli altri, altrimenti
sarò io a farlo. -
21.42,
Piano Superiore
Oberon aveva seguito la ragazza verso
il piano superiore, che lo aveva trascinato in una delle tante stanze
presenti.
In quel momento, i due si stavano osservando silenziosamente, cercando
di capire
chi avrebbe compiuto il primo passo. Dopo qualche minuto, fu lei a
prendere
parola.
-Se
papà vedesse come
sei ridotto, di sicuro ti prenderebbe a schiaffi. – la
ragazza pronunciò queste
parole con freddezza e scherno, con il solo obiettivo di attaccare il
suo
interlocutore. Tuttavia, Oberon non era persona che si offendeva
facilmente e
decise di rispondere a tono, con un piccolo ghigno stampato sul viso.
-
Sai, Titania, a
volte dovresti tirare via dal culo la scopa che ti ritrovi. Dicono
faccia bene
alla salute. – Dentro di sé, Oberon fu contento di
vedere una leggera scintilla
di rabbia negli occhi della bionda, ma decise di mostrarsi
indifferente,
sapendo di darla ancora più fastidio.
-
Che ci fai qui? –
chiese duramente.
-
Si dà il caso che
io sia un Auror, quindi automaticamente invitata. Piuttosto, sono
sorpresa di
trovare te qui. – rispose lei guardandolo dall’alto
in basso, come era solita
fare quando erano a scuola.
-
Si dà il caso che
Richard fosse mio padre. – replicò lui sul piede
di guerra, in quanto sapeva
dove lei volesse andare a parare. Infatti, a quelle parole era
scoppiata a
ridere.
-
Non prendermi in
giro, non lo sopportavi e non mancavi occasione di dimostrarlo.
–
-
Era pur sempre la
mia famiglia, più di quanto non lo siate mai stati voi, sorella.
–
Oberon cercò di mantenere la calma, nonostante la faccia da
schiaffi di Titania
cercasse di convincerlo del contrario. Si voltò per
andarsene, ma venne fermato
dalla sua fredda voce.
-
Come si
sentirebbero i tuoi “fratelli” nel sapere che tu
hai sempre conosciuto la tua
vera famiglia, a differenza loro? Come reagirebbero nello scoprire che
tu sei
in realtà un Hamilton? – Titania aveva sempre
saputo quali tasti toccare per
infastidire le persone, ma fino a quel momento non aveva mai visto
l’altro così
infuriato.
-
Non osare avvicinarti
a loro! Se anche solo ti vedo osservare uno di loro giuro che non
rispondo più
delle mie azioni. E adesso addio, Titania, e a mai più
arrivederci. – disse e,
senza guardarsi indietro, uscì dalla stanza, sentendo in
lontananza la risata
della sorella.
21.57,
Terrazza
Ophelia, sorpassando la folla di
gente che la circondava, era riuscita a raggiungere la terrazza,
maledicendosi
per non aver preso prima la giacca. Si guardò intorno e
riuscì subito a trovare
la figura di Emanuel, visto che era l’unico lì
fuori. Lentamente gli si avvicinò
e, appoggiandosi al parapetto, si mise ad osservare le stesse, imitando
il
ragazzo.
-Ho
sempre cercato di
capire dove si trovassero le varie costellazioni, ma non ci sono mai
riuscito. –
disse ad un certo punto il moro, con grande sorpresa di Ophelia.
Sorridendo, continuò
ad osservare il cielo, indicando poi una costellazione visibile.
-
Quella lì in alto,
verso la tua destra, è la costellazione dei Gemelli,
dedicata a Castore e
Polluce. – spiegò, mentre lo sguardo di lui
seguiva la direzione del suo dito.
-
Come fai a saperlo?
– domandò divertito e lei alzò le
spalle.
-
Fëdor adora l’astronomia
fin da quando è piccolo e, qualche volta, ci spiegava
qualcosina. Ricordo
particolarmente i Gemelli perché li associavo sempre a
Gabriel e Cameron. –
-
Come mai? –
-
Secondo la
leggenda, Castore venne ferito a morte e Polluce, disperato per la
perdita del
fratello, chiese a Zeus un modo per potersi riunire con il gemello e
Zeus
acconsentì, trasformandoli nella costellazione che noi
tutt’ora osserviamo. –
spiegò lei. I due continuarono a guardare le stelle, prima
che Emanuel interrompesse
nuovamente il silenzio.
-
Era il tuo ragazzo?
– chiese e Ophelia sobbalzò leggermente,
voltandosi poi verso di lui.
-
Cosa? No! Dennis è
solo un mio vecchio amico di scuola, non lo vedevo dalla fine del
settimo anno.
Non siamo mai stati niente. – si affrettò a
spiegare lei, con le gote
leggermente arrossate. Giurò di aver visto il ragazzo fare
un sospiro di
sollievo, ma non ne era del tutto sicura.
-
Va bene. Sai, in
realtà è una bella cosa, perché
c’è una cosa che desidero fare da tanto tempo.
–
confessò lui. Prima che lei potesse rispondere, Emanuel si
tuffò sulle sue
labbra, allontanandosi poi qualche secondo dopo, in attesa di una sua
reazione.
Ophelia lo guardò esterrefatta e senza parole ma, dopo
qualche attimo, fu lei a
baciarlo di nuovo, questa volta approfondendo il bacio. Ophelia venne
subito
investita dal profumo di lui, un misto tra gelsomino e vaniglia e
pregò che
quel momento non terminasse mai. Tuttavia, erano comunque degli esseri
mortali
e i due furono costretti a separarsi, a causa della mancanza
d’ossigeno.
Rimasero a guardarsi senza dire niente, con i respiri affannati e le
labbra gonfie.
-
Sai, desideravo
farlo dal mio sesto anno. – ammise Emanuel arrossendo
leggermente e Ophelia si
mise a ridere.
-
Ce ne hai messo di
tempo allora. – disse lei prendendolo in giro. Dalla sala
sentirono partire
degli applausi e il ragazzo, dopo aver guardato attraverso le vetrate,
si voltò
verso la ragazza, porgendole la mano.
-
Ci conviene
rientrare, probabilmente si staranno chiedendo dove siamo finiti. Spero
tanto
che i tuoi fratelli non mi uccidano. – a quelle parole
Ophelia scoppiò a
ridere, contagiando pure Emanuel e, dopo avergli preso la mano, lo
trascinò all’interno
della sala, più felice che mai.
3
Novembre 2020, Royal Opera House, Londra
Immerso nel silenzio della sera, Elaija muoveva con grazia
l’archetto sulle corde, lasciandosi trascinare dalla melodia
che veniva pian
piano prodotta dal suo violoncello. Il ragazzo pensò a
quanto fosse stato
fortunato a ricevere un’occasione del genere: ormai da un
anno lavorava come
custode per la Royal Opera House di Londra e, per gentile concessione
dei
proprietari, aveva ottenuto il permesso di suonare nel teatro, a patto
che
controllasse il luogo dalla sera tardi fino alle prime luci
dell’alba. Il
ragazzo fermò il movimento della mano, ascoltando con
tranquillità il silenzio
che lo circondava. Dopo qualche minuto, riprese a suonare, lasciando
questa
volta che il suo potere si unisse alla musica. Elaija
immaginò di trovarsi con
una grande orchestra nel bel mezzo di un concerto: i violini svolgevano
il loro
ruolo di solista mentre lui, insieme al resto degli archi, dettava il
ritmo
della melodia. Stava per immaginare il gran finale quando,
improvvisamente, un
forte dolore lo colpì al braccio sinistro, facendogli
interrompere la melodia.
Poggiando violoncello e archetto per terra, si affrettò a
tirarsi su la manica
della divisa, scoprendo così il Tarocco delle Stelle che si
illuminava. In quel
momento lo sentì: la Ruota della Fortuna stava chiamando a
raccolta l’intera
Umbrella Academy. Con un incantesimo non verbale, rimise a posto il suo
violoncello nell’apposita custodia e, con un altro
incantesimo, creò
immediatamente un’illusione di sé, in modo da
poter controllare il teatro
durante la sua assenza. Poi, dopo aver raccattato in fretta e furia le
sue cose,
si smaterializzò a casa sua. L’indomani, avrebbe
raggiunto la sua vecchia casa.
22.00,
Corridoio, Piano Superiore
La
musica aveva ricominciato ad andare dieci minuti dopo la commemorazione
di
Richard. Gabriel, che si era allontanato dai fratelli per cercare di
dirigersi
in un posto più appartato, era stato intercettato da Mathias
che, visibilmente
preoccupato, gli aveva chiesto di seguirlo. Insieme avevano raggiunto
il piano
superiore, nascondendosi in uno dei tanti corridoi.
-Matt, tutto
bene? – domandò preoccupato, notando che il
numero dieci aveva cominciato a torturarsi il labbro, un brutto vizio
che aveva
fin da quando era piccolo. Vedendo che il fratello pareva non sentirlo,
gli si
avvicinò, prendendogli le mani e stringendole forte, come
faceva quando erano
bambini. Immediatamente ottenne l’effetto sperato e subito
gli occhioni
nocciola di Numero Dieci si incatenarono nei suoi.
- Stai bene?
– gli chiese ancora e l’altro, dopo un
piccolo attimo di smarrimento, annuì.
- Sì,
sto bene. E’ tutto ok. – rispose. Gabriel gli
sorrise, nonostante non credesse molto a quelle parole. Tuttavia, il
fratello
era già visibilmente nervoso, non c’era bisogno di
innervosirlo ancora di più.
- Mi dovevi dire
qualcosa? – chiese ad un certo punto
il rosso e Mathias annuì.
- Sì,
ma manca ancora una persona che sta arrivando. –
fece il moro. Gabriel annuì e abbassò lo sguardo,
notando solo in quel momento
che aveva ancora le mani del numero dieci strette tra le sue,
arrossendo fino
alla punta delle orecchie. Ritrasse le mani e anche il moro parve
accorgersi
del gesto, perché si allontanò leggermente dal
fratello, un lieve rossore che
si trovava sulle sue guance.
- Io…
Mi dispiace… - mormorò Gabriel imbarazzato, ma
Mathias lo fermò subito.
- No,
tranquillo! Non mi davi fastidio… - fece lui, un
silenzio imbarazzante che si creava tra di loro. I due si guardarono
tra loro
ma, sentendo dei passi avvicinarsi, ruppero il contatto visivo,
accorgendosi
entrambi della figura di Elaija che li fissava. Mathias notò
il leggero sorriso
sul volto del numero nove, fulminandolo con lo sguardo mentre quello
faceva
spallucce.
Ci volevi dire
qualcosa?
Domandò
il biondo e Numero Dieci annuì.
-Sì.
Ora che ci siete entrambi posso dirlo. – Mathias prese
la bacchetta e, dopo aver pronunciato un “Protego
Maxima”, rivolse completamente
l’attenzione ai due fratelli.
- Penso di
essere stato io. – dichiarò e Gabriel ed
Elaija si scambiarono uno sguardo preoccupato.
- A fare cosa?
– domandò Gabriel e Mathias stette in
silenzio un attimo, prima di rispondere.
- Ad uccidere
nostro padre. -
22.03,
Sala da ballo
Da
almeno dieci minuti, Cameron stava appoggiato ad una delle colonne
presenti
nella sala, osservando attentamente l’oggetto dei suoi
pensieri che, al
momento, stava parlando insieme a Charlotte e Caleigh. Strinse con
forza il
calice di champagne che teneva in mano, mentre cercava di mettere
ordine tra i
pensieri che affollavano nella sua mente. Si fece forza e, bevendo
l’ultimo
sorso di vino, decise di avvicinarsi al trio, appoggiando poi il
bicchiere sul
vassoio di un cameriere di passaggio. Non appena si fu avvicinato,
poté sentire
subito gli occhi di Charlotte addosso che, divertita, aveva subito
capito le
sue intenzioni.
-Ehm…Lauren?
– fece il ragazzo, facendo voltare Numero
Otto verso di lui. Di fianco a lei, Charlotte e Caleigh si scambiarono
un’occhiata
di intesa.
- Si?
– domandò la ragazza, girandosi completamente
verso di lui. Numero Quattro si passò una mano tra i capelli
e, acquistando un
po’ più di sicurezza, si fece coraggio.
- Volevo
chiederti se ti andasse di ballare con me. –
Si rese conto solo in quel momento di essere stato un po’
brusco, complice
anche l’occhiataccia che aveva appena ricevuto dai due membri
dell’Ordine di
Morgana. Le guance di Lauren si tinsero leggermente di rosso, ma
annuì alla sua
domanda. Salutò le due ragazze e, insieme al rosso, si
diresse verso la pista,
leggermente verso l’esterno. Cameron aveva sempre odiato
stare troppo al centro
dell’attenzione e, su questo, Lauren era perfettamente
d’accordo con lui.
Esitando, Cameron le mise una mano sul fianco, chiedendole il permesso
con lo
sguardo. Lauren gli sorrise e, non appena ebbe preso la mano del rosso,
aspettò
che questi cominciasse a muoversi, iniziando quel lento ballo. Niente
di troppo
difficile, solo un lieve ondeggiare.
- Ti ricordi
ancora come si balla, vedo. – disse
Numero Otto, facendo sorridere il fratello.
- Quando al bar
arrivavano delle ragazze le ammaliavo
sempre con qualche passo. Cadevano tutte ai miei piedi. –
rispose lui facendola
ridere.
- Mi ricordo
quando dovevi ballare con la figlia
dell’ambasciatore polacco e, per scappare, hai fatto finta di
finirle addosso e
le hai rovesciato l’intero contenuto del tuo bicchiere. Non
ho mai visto il
Signor McKinnon così furioso. –
- Per Merlino,
quanti anni avremo avuto, sette? Non mi
interessavano ancora le donne. – replicò Cameron.
Dopo quella frase, tra di
loro calò il silenzio, interrotto solo qualche minuto dopo
da Lauren.
- Allora, come
va il lavoro? – domandò. Cameron non si
aspettava di certo una domanda del genere, ma si affrettò a
rispondere.
- Procede bene
in realtà. A volte è stancante fare
turni che durano tutta la notte, ma mi permette di resistere fino a
fine mese
con l’affitto. – A quelle parole, la numero otto
inclinò leggermente la testa,
curiosa.
- E il tuo sogno
di diventare Alchimista per la
Loggia? – chiese, facendolo sobbalzare.
- Te lo ricordi
ancora? – domandò e la ragazza annuì.
- E’
impossibile dimenticarlo. Ne parlavi sempre con
Sheryl e vi divertivate insieme a creare pozioni… -
- Beh, adesso
creo cocktail, il che non dovrebbe
essere tanto differente. – lo schiaffetto leggero che
ricevette sul braccio lo
costrinse a tornare serio.
- Lauren, quello
era un’ambizione che avevo quando ero
bambino. Ma adesso, non so che farmene. Non ho né il talento
né la forza per
poterlo fare. Poi lo sai, tra tutti io ero quello destinato a non
combinare
niente. – Questa volta fu il turno di Lauren di sobbalzare.
- Ma cosa stai
dicendo? Cameron, hai talento da
vendere e sei sempre stato uno dei migliori! –
esclamò lei, ma ricevette solo
un diniego da parte di Numero Quattro.
- Ti sbagli.
Magari a livello dell’Umbrella Academy
ma, fuori di lì, ero tra gli ultimi. Cavoli Lauren,
guardati: hai venticinque
anni e già sei Vice-Direttrice in uno dei migliori reparti
Del Ministero;
Elaija e Oberon sono riusciti a realizzare i loro sogni nel campo della
musica
e della danza; Fëdor viaggia per il mondo e persino Mathias,
nonostante il problema
degli Altri, adesso ha una Pasticceria tutta sua. Io sono solo quello
che è uscito
con voti mediocri e che ha trovato un lavoro come barista e che fa
fatica ad
arrivare a fine mese.- Cameron stava andando avanti nel suo monologo
auto-distruttivo e Lauren, per evitare che andasse oltre, gli mise
entrambe le
mani sulle guance, costringendolo a guardare verso di lei.
- Cameron, non
è assolutamente vero. Sei un ragazzo
straordinario, gentile e premuroso. Ti sei sempre cura di noi ed eri
sempre in
prima linea per difendere Gabriel o Elaija quando eravamo a scuola. Hai
delle
capacità strabilianti, devi solo sapere dove usarle.
– Per tutta la durata del
discorso, Lauren aveva piantato i suoi occhi castani in quelli verdi
del
fratello. Non appena ebbe finito, gli fece un cenno, cercando di capire
se il
rosso avesse compreso le sue parole. Ricevette in risposta un timido
sorriso,
raro da vedersi sul viso del Numero Quattro e sorrise di rimando. I due
ripresero a ballare e, questa volta, Lauren poggiò la testa
sul petto di
Cameron, lasciandosi cullare dalle sue braccia.
22.08,
Sala Principale
Appoggiato alla
parete della sala, probabilmente per
scappare da discussioni indesiderate, Fëdor osservava
attentamente i suoi
fratelli: Emerald, Travis e Sheryl si trovavano vicino al tavolo delle
bevande,
le due ragazze che ridevano per qualcosa che aveva appena detto Numero
Dodici;
Oberon, Ophelia e Felikz erano impegnati in una discussione con alcuni
funzionari del Ministero spagnolo, probabilmente desiderando di essere
da
tutt’altra parte; Cameron e Lauren ballavano insieme e il
numero uno ridacchiò
alla vista del leggero rossore sulle guance del fratello, cosa assai
rara; di
Mathias, Gabriel ed Elaija nemmeno l’ombra. Fëdor
fece per andare a cercarli,
ma venne fermato da una mano sulla sua spalla. Si voltò,
ritrovandosi faccia a
faccia con Emil Karkaroff, uno dei diplomatici del Ministero russo
presenti
alla festa, che lo guardava sorridendo.
- Signor
McKinnon, è un piacere incontrarla, la trovo
i forma smagliante. - disse quello tendendogli la mano e Fëdor
la strinse,
sorridendo leggermente.
- Signor
Karkaroff, è un piacere per me vederla qui.
Credevo che il Ministero russo avesse deciso di non prendere parte
all’evento. -
replicò il ragazzo.
- Vede, il
Ministero centra ben poco. Io e suo padre
abbiamo collaborato molte volte e mi sembrava il minimo venire qui. Le
mie
condoglianze, sarete distrutti dalla vostra perdita. - alle parole
dell’uomo,
Numero Uno fece un cenno, grato per le parole dell’uomo e
cercò di non pensare
al fatto che, molto probabilmente, qualcuno dei suoi fratelli aveva
fatto i
salti di gioia. Prima che potesse parlare però, il
diplomatico lo precedette.
- Sa, Signor
McKinnon, Richard parlava molto di voi.
Non c’è mai stata una volta in cui vostro padre
non vi abbia lodato, da quando
siete piccoli.-
- Davvero? -
domandò il ragazzo scettico e l’uomo
annuì.
- Deve credermi.
Non faceva altro che parlare di voi,
era fiero di essere vostro padre e sapeva di non riuscire a
dimostrarvelo. Era
molto dispiaciuto quando ve ne siete andati di casa. - Fëdor
sgranò leggermente
gli occhi, ma cercò di non mostrarlo.
- Felikz
è stato l’unico di noi che ha deciso di
rimanere con nostro padre. Noi eravamo solo desiderosi di andarcene il
prima
possibile da quella casa. - ammise poi, sentendosi in colpa. Si
ricordava
ancora l’ultima discussione che aveva avuto con Numero Sette
e la colpa che gli
aveva dato. Il Signor Karkaroff gli mise la mano sulla spalla.
- E’
una cosa naturale per dei ragazzi desiderare di
andarsene e questo lo sapeva anche vostro padre. Sa, vi chiamava
“i suoi
piccoli tredici successi”. Continuava a dire che eravate la
migliore cosa che
aveva. - Numero Uno annuì, per poi rendersi conto delle
parole pronunciate dal
diplomatico.
- Signor
Karkaroff, ha detto tredici? – domandò e
l’uomo annuì. Fëdor fece per chiedergli
altro ma il Signor Karkaroff fu
chiamato da alcuni suoi colleghi e fu costretto a salutarlo. A quel
punto,
rimasto solo, il ragazzo cercò con lo sguardo i suoi
fratelli. Non riuscendo ad
attirare le loro attenzioni, si alzò la manica della giacca,
prese la bacchetta
e la puntò contro il braccio sinistro, dove si trovava Il
Diavolo. Il
simbolo si illuminò e Fëdor alzò la
testa, vedendo i suoi fratelli che si
portavano una mano al braccio. Simultaneamente, posarono lo sguardo sul
maggiore, che fece loro un cenno per seguirlo, richiamando ancora una
volta
l’Umbrella Academy.
In un
angolo della sala, un piccolo gruppetto di maghi e streghe si era
radunato
attorno ad un giovane, che sorrideva gentilmente mentre stringeva le
mani di
tutti. Ad un certo punto volse lo sguardo verso il fondo della sala,
dove una
giovane donna, con i capelli biondi e lo sguardo annoiato, lo stava
fissando.
Con un sorriso forzato, il giovane si congedò dalla folla e,
velocemente, si
diresse ai piani superiori, cercando di farsi notare il meno possibile.
Arrivato
su, notò di essere solo, ma una mano sulla spalla e un forte
risucchio lo
convinsero della presenza di qualcun altro. Non appena i suoi piedi
toccarono
terra, riprese a respirare, accorgendosi solo in quel momento di aver
trattenuto il respiro. Si guardò intorno, realizzando di
essere sul tetto e si
voltò, trovandosi davanti due figure: la prima era la
ragazza che aveva
seguito, mentre l’altro era un ragazzo, poco più
basso di lui, dalla carnagione
olivastra e dalla folta chioma scura. Lo sguardo, formato da grandi
occhi nocciola,
era irritato ed era puntato su di lui.
- Sei in
ritardo. - disse semplicemente e l’ultimo
arrivato alzò gli occhi al cielo. Sbuffò e si
portò una mano tra i capelli,
come per togliere della polvere che in realtà non
c’era.
- Vedi, Red, a
differenza tua io ho una vita sociale,
una fama, dei fan che mi acclamano… Capisco perfettamente la
tua gelosia. -
rispose, condendo il tutto con un piccolo sorriso. Il moro si fece
avanti come
per attaccarlo, ma al gesto della mano della ragazza si
fermò.
- Red, Adder,
sapete che i vostri teatrini sono sempre
una delizia, ma siamo qui per un altro motivo, quindi vi chiederei di
smetterla. - disse lei con tono piatto, come se avesse appena letto un
copione.
- Ma Lolita,
siamo qui per una ragione importante e
questo qui non fa altro che atteggiarsi da idiota! - esclamò
Red, mentre Adder
alzava gli occhi al cielo un’altra volta.
-
L’importante è che sia qui adesso, quindi piantala
e
cominciamo. - alle parole del castano, Lolita annuì,
lisciandosi con le mani il
tessuto della gonna blu.
- I membri
dell’Umbrella Academy sono tutti presenti e
sembra stiano indagando sulla morte del padre. - spiegò lei,
mentre Red si
accendeva una sigaretta.
- Penso anche
che siano intenzionati a cercare i suoi
diari. A casa loro non abbiamo trovato niente, aspettiamo che siano
loro a
guidarci. - aggiunse lui portandosi il bastoncino alle labbra.
- Sarete
contenti di sapere che è presente anche tutto
l’Ordine di Merlino. Nessuno escluso. - a
quell’informazione, i due si voltarono
verso Adder, che li guardava sorridendo.
- Perfetto, di
bene in meglio. Adesso ci conviene
tornare di sotto. Il vero divertimento comincia adesso. –
ANGOLO AUTRICE
Non ho parole.
Per niente. Sono in ritardo mostruoso e
me ne rendo conto, mi dispiace moltissimo. Questo capitolo è
stato un parto, ho
avuto una specie di blocco e non riuscivo ad andare avanti, ho scritto
tipo la
metà in due giorni. E sono soddisfatta. Fino ad ora,
è il capitolo più lungo
mai scritto, con 25 pagine, superando le 19 dell’ultimo
capitolo dell’altra mia
interattiva.
Innanzitutto,
partiamo con Elaija: i suoi pezzi sono
stati difficili da scrivere, perché è un
personaggio con tanto da dire e in
cinque paragrafi ho dovuto scegliere cosa raccontare. Spero di averlo
rappresentato al meglio.
Che dire per il
resto? Ho cercato di accontentarvi
tutti per le richieste e per gli incontri, ascoltando anche i vostri
consigli.
Per questa volta
non ho domande per voi, quindi
passerei subito ai nomi per il prossimo capitolo:
Caleigh
Harry
Charlotte
Ci vediamo al
prossimo capitolo! Bacioni,
__Dreamer97
P.S. Ho aperto una pagina instagram chiamata __Dreamer97_efp . Per tutti gli aggiornamenti e le curiosità potete cercarmi lì!