Anime & Manga > Haikyu!!
Ricorda la storia  |      
Autore: Gaia Bessie    08/01/2021    3 recensioni
Atsumu Miya profuma di bucato.
[KageHina, accenni di AtsuHina | OS]
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Atsumu Miya, Shouyou Hinata, Tobio Kageyama
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Fondi di caffè'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Attenzione: questa storia, sebbene ampiamente leggibile come storia a sé, nasce come Missing Moment di Fondi di caffé, che vi consiglio di leggere per avere l'esperienza completa della storia. Infatti, noterete, alcuni stralci di dialogo sono presi dalla prima storia.
Attenzione (2): leggero OOC, Death!fic.



Atsumu Miya profuma di bucato.
Sapone di Marsiglia, quando alla mattina indossa sulla pelle (rossa, dolente: graffi e baci la sfregiano irrimediabilmente) una maglietta pulita. Bianca, bianchissima – Shouyou, che l’ha sfilata così tante volte da volersene quasi appropriare, sa che c’è una macchia incancellabile sotto la manica sinistra. Minuscola, una macchia di caffè che ne deturpa l’uniformità generale, facendola divenire diversa dalla neve intonsa che dovrebbe rappresentare.
Ma come, gli dice qualcosa che rimbomba nel suo cervello, stracciandolo: anche la neve può esser toccata, e allora diviene a chiazze giallastra e grigioline, come la vita stessa (che è tutta giallo-grigia e a chiazze).
Lo potrebbe dipingere, se avesse qualcosa di più artistico del bere caffè alla finestra, da solo, ogni mattina. Ma come, Shouyou, guarda che non c’è niente di più bohème del tracannare caffè (corretto, magari) seduti davanti a un paesaggio che lentamente scompare sotto la neve. Ancora intonsa, mai macchiata, mai sporcata.
Lentiggini sul volto, nevica anche sul suo viso, dove silenziosamente le macchie sul candore della pelle sono l’ennesima cosa a chiazze e irrisolta della sua vita. Lo comprende una mattina di dicembre, che l’estate è semplicemente finita su una finestra dal vetro macchiato e sporcato di pianto, che la realtà è semplicemente quella che si vede.
E Tobio Kageyama non lo perdonerà mai.
 
 
Il castello delle lenzuola bucate
 
 
Aspetterò che arrivi di nuovo l’estate, te lo prometto. Silenzioso Shouyou beve un sorso di caffè, che ormai s’è freddato, mentre i pensieri pian piano fluiscono, divengono pioggia liquida (e sempre intangibili) e pian piano scolano via come acqua di scarico.
Il telefono – l’ennesimo oggetto inutile che, però, gli ferirà il cuore come fosse fatto di lama di lacrime condensate – gli pesa tra le mani come fosse un’arma: conta fino a tre, poi spara, ti prego, non lasciarmi respirare inutilmente.
Uno.
Il profumo di caffè è già svanito, lasciando posto al sapore persistente dei vestiti di Atsumu, accatastati su una sedia come se l’armadio non servisse a niente. Sapone di Marsiglia e qualcosa che sa di sole, di belle giornate, quando può stendere i panni al sole e guardarli asciugarsi lentamente nell’aria tersa, caldissima, di un giugno inoltrato.
«Ciao» sussurra, nell’apparecchio. «Sono sempre io».
La voce risuona strana – forzata, innaturale – persino alle sue orecchie: Shouyou se le sta cavando via con la forza, quelle parole, quella finta allegria che mascherano solamente una consapevolezza che è cieca, muta e sorte. Tobio Kageyama non lo perdonerà mai. E a nulla serviranno le visite, i fondi di caffè mal interpretati, i fiori comprati da Atsumu e la sua volontà di credere che nella realtà vi sia altro rispetto a quello che si vede.
E la realtà è semplicemente un telefono che suona a vuoto su un numero che, di chiamate, non può riceverne. Non più.
Lenzuola stropicciate, alla mattina presto, ma Shouyou il telefono non lo molla: oggi è il giorno in cui non conta la colazione – per me un caffè con tanto zucchero, che la vita è già abbastanza amara anche così. No, no, niente biscotti: una ciambella, magari, rosa e con tanti zuccherini – o la corsa fuori, nella nebbia scoscesa della sua mente.
Oggi non conta Atsumu che sa di bucato, come le lenzuola che ha stirato (male, ma le ha stirate) la sera precedente, non conta il rumore irritante della chiamata che parte e non arriva. Conta il respiro di Shouyou, affannato sul rumore degli squilli vuoti che rimbombano nella mente come un’orchestra che non sa accordarsi, e il caffè che è sempre e solo finito.
«Io lo so che non mi rispondi perché sei arrabbiato» commenta, pianissimo, mentre la neve si sporca sempre di più. «Ma domani verrò a trovarti, te lo prometto».
Ma cosa è il giorno, ogni giorno, se non un domani che si sussegue continuamente, un fondo di caffè annacquato e, sul finire, un buco nero. Sul lenzuolo stirato da Atsumu, dove una piccola bruciatura s’è trasformata in voragine sotto il calore irrefrenabile del ferro da stiro, Shouyou lo vede quasi. Un castello incantato, fatto di lenzuola (che sanno di sapone di Marsiglia e macchie di caffè), lì dove andrà ad abitare.
E Shouyou, lì, rimarrà immobile a contemplare l’infinità di quel candido biancore. Imperdonabile ed imperdonato.
Due.
«Kageyama!» urla, come se davvero potesse instaurare un dialogo con lui. «Non puoi quantomeno dirmelo, se vuoi che io ti venga a trovare?».
Oggi è il secondo mercoledì del mese, gli ha ricordato Atsumu, con dolcezza dolorosa: il giorno in cui mangiano pancakes a merenda, e Miya prende, senza fingere di perderle, le chiavi della macchina (cause perse: Atsumu detesta guidare) e s’incammina tra le strade sperdute che costeggiano il castello di lenzuola bucate, casa loro.
Aspetterò che arrivi di nuovo l’estate, te lo prometto, ma gelida è la neve di un inverno che è appena cominciato e un fondo di caffè e un lenzuolo bucato, rubato dal castello, non basta a disgelare qualcuno.
Shouyou guarda il paesaggio che scorre dal finestrino.
La neve s’è già macchiata.
Tre.

 
 
***
 

Lenzuola stanche, sporche, aggrovigliate.
Shouyou non riesce a essere grato, per quell’amore che Atsumu gli riversa addosso come se gli fosse semplicemente dovuto: anche conoscendo quel pensiero insistente che gli buca e macchia e chiazza la mente – Tobio non lo perdonerà mai – da sette giorni, tre mesi e un anno. Lenzuola bucate, Shouyou ha sempre odiato dormire, odore di sapone che si spande a ondate per tutta la stanza.
Vienimi a prendere.
È la supplica silenziosa che rivolge ad Atsumu, ogni volta che lo lascia solo con Kageyama, nel cimitero di campagna nel quale è sepolto. Vienimi a prendere, andiamo a correre, mangiamo pancakes? Ci sarà un castello di lenzuola che sia privo di buchi, o no? – macché, Shouyou: rotta e bucata è l’esistenza stessa, rotta e stracciata come un castello che piano piano collassa sulle proprie fondamenta.
E Atsumu sa sempre di bucato, anche quando i panni sporchi sono ancora tutti nel cesto e nessuno ha voglia di far partire la lavatrice.
«Possiamo andare a casa, adesso?» soffia Shouyou, piano. «Ho fame».
Lenzuola sfilacciate nella maglia bianchissima di Atsumu che sorride, candido, mai toccato e mai sporcato dai passi di qualcuno. Niente buchi neri, niente chiazze su di lui – che lo guarda e una piccola macchia c’è, lì, in mezzo al viso. Un’inevitabile incrinatura.
«Ti lascio qualche secondo per salutarlo» borbotta lui, scrollando le spalle. «Ti aspetto in macchina».
Atsumu sorride, non conosce altro. Delle briciole d’amore e sopportazione che riceve, quasi come fossero solamente un dato di fatto, un’assenza che si concretizza in bruciature di sigarette su un lenzuolo vecchio, vecchissimo (e che sa ancora di bucato appena fatto).
«Io non ti saluterò» mormora Shouyou, con tono di sfida. «Altrimenti mi prenderesti in giro, quando ci vedremo».
Tobio sorride, nella tomba, ma in verità è ancora arrabbiato con lui e non lo perdonerà mai.
 

 
***
 

Aspetterò che arrivi di nuovo l’estate, te lo prometto.
E si sgeleranno i cuori, forse anche le lenzuola saranno meno umide e accartocciate, stese comunque all’aria aperta sotto i pallidi raggi del sole di dicembre.
Silenzioso Shouyou prende il telefono – ancora non s’è potuto rassegnare all’inevitabilità della vita, no, della morte – e compone il numero.
«Io lo so che non mi perdonerai mai».
Sapone di Marsiglia sulle lenzuola, nell’aria, sulla pelle ancora nuda: Atsumu s’è vestito per andare a lavorare, lasciandogli un caffè freddo (sempre freddo) e un lenzuolo stirato male per rifare il letto.
«Ma io ti aspetto qui».
Nel mio castello di lenzuola bucate e fondi di caffè.
Qui con me.
Anche se Tobio non sa ancora perdonare.


 

Eccomi qui.
Buongiorno e buona colazione a tutti quanti, spero che la storia vi sia piaciuta. Non ho molto da dire, se non che è una storia che mi è piaciuto scrivere, se non fosse che mi ha anche uccisa dentro.
Spero che l'apprezziate anche voi.
Gaia
   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Haikyu!! / Vai alla pagina dell'autore: Gaia Bessie