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Autore: Enchalott    11/01/2021    3 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Stasi
 
Neyosh si fece ripetere per la terza volta il racconto che culminava con la non compianta dipartita di Laras, come per necessità di un’ulteriore riprova.
«Il bastardo è morto davvero» mormorò «Ora la mia gente riposerà in pace.»
Phylana indugiò sul volto tirato del giovane Rhevia, seduto accanto a lei sul tappeto: il suo pallore non era dovuto alla ferita riportata alla schiena nell’ultimo scontro, ma all’immensa inquietudine dovuta alle condizioni di Anshar.
Neyosh era apparso all’improvviso, volando giù dalle mura come una furia, mentre stavano trasportando il suo bailye al padiglione medico. Si era affiancato alla barella improvvisata, incurante della propria lesione sanguinante e i guaritori non erano riusciti a contenerlo. Erano stati costretti a ricucirlo mentre vegliava sul compagno. Si era rifiutato di riposare finché non si era accertato che il peggio era passato, solo allora aveva accettato cibo e ristoro, ma non aveva abbandonato il capezzale dell’amico.
Sostenne lo sguardo delle iridi castane di Neyosh, che tornarono a fissarla severe. Aveva dato di matto, prendendosela con lei e incolpandola del fatto che Anshar si trovasse in quelle condizioni perché si era messo a repentaglio per lei. Phylana non gli aveva risposto per le rime, poiché aveva avvertito pesare su di sé quella responsabilità, sebbene fosse stata lei a giungere in difesa del ragazzo e non il contrario. Uno dei medici però lo aveva zittito, dichiarando che, se lei non avesse estratto la tossina appena inoculata e non avesse eseguito quel primo soccorso, il capotribù sarebbe morto avvelenato o dissanguato. A quel punto Neyosh si era calmato, chiudendosi però in un silenzio più greve della bordata di accuse antecedenti. Phylana gli si era accomodata accanto, forzando la sua scontrosa indignazione. Gli aveva narrato con insolita pazienza lo svolgersi degli eventi, per rassicurarlo che il loro comune nemico era stato eliminato, non per giustificarsi.
«Non ti impedirò di avercela con me, se lo ritieni appropriato. Ma non consentirò che ti arroghi il diritto di essere l’unico in ansia per Anshar! Anche per me è un amico!»
Neyosh si era passato una mano tra le ciocche brune e non aveva obiettato. Anzi, a suo modo si era scusato per l’intemperanza e aveva accettato di condividere con lei sia le preoccupazioni sia l’arazzo steso ai piedi del letto del ferito.
«Spero che qualcuno abbia dato alle fiamme senza rito il suo cadavere!» continuò «Che gli dei maledicano le sue ceneri infami!»
Phylana avrebbe voluto avvertire la medesima, rabbiosa soddisfazione, ma le parole che Anshar le aveva rivolto durante il combattimento con Laras avevano placato il suo animo. Avevano riportato il suo baricentro all’interno, spostandolo dallo squilibrio di ciò che le era stato fatto. Tornò a fissare il volto provato del bailye: non aveva ripreso conoscenza e i guaritori Aethalas che erano venuti a cambiargli con regolarità la medicazione non avevano fornito pronostici. Conosceva la sua gente: significava che le sue condizioni restavano critiche. Preferì non spartire l’informazione con Neyosh.
Uno dei Guardiani del Mare entrò nella tenda riservata: ripeté i gesti delle occasioni precedenti senza lasciar trasparire alcunché. I due ragazzi trattennero il fiato, finché l’uomo non si scostò dal giaciglio del loro compagno.
«Sta meglio» si scucì, impietosito dalle loro espressioni allarmate «Potete smettere di fare gli yoimar e pensare alla vostra salute adesso.»
Entrambi dissentirono e l’Aethalas rivolse loro un’occhiata di rimprovero. Qualcosa di Neyosh attirò la sua attenzione: si piegò per osservarlo meglio e allungò la mano a sfiorargli la schiena. Ritrasse le dita tinte di rosso.
«La vostra ferita si è riaperta» diagnosticò severo «È il risultato della vostra ostinazione, avete trascurato il riposo che vi è stato raccomandato. Se desiderate combattere per la vostra terra e per la vostra gente, dovete riguardarvi o rischierete un’infezione, nel migliore dei casi.»
«Non mi dà fastidio» ringhiò il giovane Rhevia.
«Inoltre» lo interruppe il medico con un brusco richiamo «I guaritori scarseggiano. Trovo irrispettoso non obbedire alle loro indicazioni, con l’unico risultato di raddoppiarne il lavoro e di sottrarre forze preziose ai feriti più gravi. Tra i quali c’è anche vostro amico.»
Neyosh arrossì fino alla radice dei capelli e rinunciò al contradditorio.
«Comunque concordo nel dire che il vostro non è un caso preoccupante» proseguì l’uomo, meno aspro «Per ora. Potreste occuparvene voi, korbailyis. Se avete medicato con successo una ferita come questa, non avrete problemi con quella.»
Phylana fissò con stupore l’indice del guaritore, che passava da Anshar a Neyosh. Korbailyis. Figlia del principe. L’aveva riconosciuta, anche se era trascorso quasi un anno ed era molto diversa da quando viveva nella tenda di suo padre Varsya. Prima che potesse rifiutare il compito, quello uscì dalla tenda senza ulteriori commenti.
«Suppongo di non avere scelta. Se anche ne fossi capace, non potrei sistemare ciò che non vedo.» mugugnò Neyosh contrariato.
Allentò la fascia nocciola che gli teneva chiusa la camicia di lino e la lasciò cadere a terra. Le collane multicolori scintillarono sulla pelle abbronzata. Aveva un fisico asciutto e snello, le sue membra erano robuste e proporzionate. La benda che gli circondava il torace e teneva ferma la garza posta sotto le scapole era macchiata di sangue.
Phylana rimase immobile. Avrebbe dovuto avvicinarsi a lui, toccarlo, prendersene cura, ma non poteva farlo: le sue mani restarono caparbiamente intrecciate in grembo, rifiutandosi di obbedirle.
Neyosh, seduto sulle ginocchia in attesa, si girò e intercettò il suo nervosismo.
«Io non ti piaccio, vero?» le domandò retorico.
«Non è così…»
«L’ho capito, sai, Sono stato poco affabile con te, non me ne sorprendo.»
«Neyosh, non dipende da…»
«La verità è che sono geloso di te, Phylana. Persino ora che dovrei esserti grato per aver salvato Anshar. È disonorevole provare questi sentimenti, ma credimi se ti dico che non mi era mai successo e che me ne vergogno. Stento a riconoscermi.»
«Che…?»
»Non è colpa tua, se fatico ad accettare gli eventi. Anshar ed io siamo sempre stati insieme, inseparabili fin da bambini, solo noi due e Daara» pronunciò con affettuosa malinconia «Anshar non si è mai interessato a una donna. Ora che accade, sento come se mi venisse ingiustamente sottratto, come se non fossi più importante per lui e mi sento così… frustrato!»
«Sei importante per lui! Prezioso! Anche nel sopore dovuto alla febbre, chiamava te. Si preoccupava per te!»
Neyosh strinse i pugni e distolse lo sguardo, turbato.
«E poi lui non si interessa a me!» proseguì la ragazza al colmo dell’imbarazzo «Abbiamo molto in comune, è vero. Ma con me è semplicemente gentile!»
Il giovane Rhevia la guardò assai poco convinto.
«Mi ha aiutata quando neanch’io sapevo di avere estremo bisogno di un amico sincero e gli sono riconoscente. Le sue parole… lui sembra sempre sapere cosa dire e in che modo esprimerlo. Anshar mi ha salvata da me stessa! Non voglio perdere una persona meravigliosa come lui!»
Il ragazzo abbassò il capo, socchiudendo gli occhi scuri. Scosse il capo.
«So cosa intendi, ma io lo conosco bene. La cortesia è un’altra faccenda.»
«All’inizio, quando ci siamo conosciuti, Anshar mi ha ricordato mio fratello. Forse per lui è la stessa cosa, gli rammento Lilah o Ishat e per questo si è dimostrato protettivo e paziente nei miei riguardi. Nient’altro» si scagionò lei.
Neyosh iniziò ad avvertire sull’epidermide scoperta il freddo del crepuscolo incipiente. Aggrottò la fronte, rielaborando il discorso dell’Aethalas. Se fosse stato così, non si sarebbe comportato in modo tanto possessivo. No, la cosa non filava, anzi era sorpreso del fatto che lei risultasse tanto refrattaria. Si spostò e fece per sfiorarle la mano. Phylana sussultò e si ritrasse di scatto.
«E questo come lo chiami? Fastidio? Antipatia? Ribrezzo? Ho pensato che fosse perché non appartengo alla tua stessa tribù e voi Guardiani aveste regole diverse, poi ho notato che da Anshar ti lasci toccare. Non significa nulla per te? Anche quando hai aiutato Daara hai forzato te stessa. Posso accettare il tuo disprezzo per me, addirittura capirlo, ma non oltraggiare la mia intelligenza negandolo!»
La ragazza impallidì e le sue labbra iniziarono a tremare. Neyosh pensò che fosse sul punto di scoppiare piangere e si pentì di essere stato tanto brusco e invadente. Decise di scusarsi, ma lei lo precedette.
«Girati. Fammi vedere quella ferita.»
Lui obbedì con la sensazione aggiuntiva di essere un vero idiota e di meritarsi ciò che, vero o meno, le aveva rinfacciato con tanta stizza e poco dubbio.
Phylana sciolse la benda con delicatezza e scostò la garza. Prese qualcosa dal tavolino dei farmaci e gli premette la zona lesionata. Lui avvertì una sensazione di gelo e dopo il pizzicore dell’ago che gli trapassava la pelle, ma non sentì alcun dolore. Solo le mani incerte di lei che lo sfioravano.
«Quello che gli Anskelisia stavano per fare ad Anshar, lo hanno inflitto a me» pronunciò la ragazza, interrompendo il silenzio e avvolgendogli intorno al petto una fascia pulita «Da allora non riesco a tollerare la vicinanza di un uomo. Il mio corpo si ribella, la mia mente si offusca. Lui è l’unica eccezione.»
Neyosh spalancò gli occhi e trattenne il fiato, inorridendo.
«Perdonami!» balbettò mortificato «I-io non intendevo…»
«No. Ti sei aperto con me, era giusto che lo sapessi. Il mio atteggiamento irriguardoso non dipende da te e vorrei essere tua amica. Anche così, fallata.»
Si contrasse ondeggiando e ritrasse le mani dopo aver stretto la nuova medicazione.
Il giovane si protese verso la brocca dell’acqua e ne versò un bicchiere. Lei rifiutò l’offerta, lottando per arginare la nausea, traendo lunghe boccate d’aria.
«Forse Anshar possiede una sensibilità differente e qualcosa di me non entra in allerta in sua presenza. So che non mi farebbe alcun male e che non potrei mai interessargli in quel senso, dunque inconsciamente mi sento al sicuro.»
Il Rhevia la fissò sbalordito.
«Perché mai pensi…?»
«Neyosh…»
L’interpellato si bloccò. Il cuore prese a martellargli furiosamente nel petto.
«Anshar! Divinità misericordiose, vi sono debitore!»
Il giovane bailye aveva socchiuso le palpebre e lo stava osservando con gli occhi ancora lucidi di sofferenza. Il suo respiro, pur affaticato, era tornato regolare e il suo volto aveva riguadagnato una tenue traccia di colore.
«Neyosh, ho avuto timore che tu…» sussurrò, sfilando la mano dalle coperte.
«Sto bene! Solo un graffio! Niente in confronto alla paura che mi sono preso quando ti ho perso di vista!»
Il capotribù accennò un sorriso stanco.
«Scusami se ti ho fatto preoccupare, Neyosh.»
Gli occhi bruni del ragazzo si riempirono di lacrime. Si abbassò sul giaciglio del compagno e lo abbracciò con calore, attento a non nuocergli.
«È colpa mia! Mi sono distratto alla comparsa dei sulluhat e la carica degli Anskelisia ci ha separati! Siano dannati! Se ti fosse accaduto qualcosa non me lo sarei mai perdonato! Mai! Ti domando venia se non sono stato un custode accorto! Ho messo in pericolo la tua vita, ho mancato al mio giuramento di non lasciarti!»
La mano di Anshar gli si posò lieve sulla guancia.
«Vale lo stesso per me. Sei mia gradita responsabilità.»
Neyosh affondò il viso tra i cuscini per soffocare le lacrime che avevano preso a sgorgare e che non voleva mostrare. Il bailye dei Rhevia lo lasciò sfogare, accarezzandogli i capelli ancora impolverati e ascoltando il tintinnio cristallino e familiare delle collane e dei braccialetti che portava indosso.
«Phylana? Mi è sembrato di udire la sua voce nel dormiveglia.»
Neyosh si guardò intorno spaesato. La tenda era vuota.
«Era qui fino a poco fa. Anche lei non ha mai smesso di vegliare su di te, non capisco perché se ne sia andata proprio adesso.»
Lo sguardo di Anshar si addolcì mentre si specchiava nelle iridi sincere dell’amico d’infanzia. Capiva molto bene, invece.
«Cercala, Neyosh. Non voglio che rimanga da sola.»
Il ragazzo annuì. Si staccò dall’abbraccio e rindossò la camicia.
«È quasi notte. I daimar potrebbero attaccare in qualsiasi momento.»
«Lo so. Non ho paura per me, ma per lei.»
 
Rimasto solo, Anshar constatò che la ferita al ventre non aveva smesso di pulsare e che il dolore che gli spediva al cervello non era ancora divenuto sopportabile. Non avvertiva effetti collaterali dovuti al veleno di cui era imbevuto lo stiletto che Laras gli aveva conficcato nella carne. Aveva sfiorato la morte.
Riordinò i ricordi, soprattutto quelli offuscati dalla febbre e dal furore della tempesta di sabbia. Tentò di separarli dalle visioni dettate dallo stato di precarietà in cui era venuto a trovarsi e si domandò se quelli che gli stavano provocando una potente tachicardia fossero reali o immaginari. Aveva assoluto bisogno di saperlo. Sopra di lui, le pieghe del soffitto della tenda erano lambite dalla luce discreta della lampada a olio. Sospirò con lentezza. Esaminò l’intensa sensazione del sangue che gli scorreva nelle vene e quella più lieve del fluttuare del suo stomaco. Non gli era mai successo prima, tantomeno al pensiero di un semplice abbraccio.
 
Aska Rei si abbottonò la casacca smanicata dell’uniforme, che gli aderì addosso perfetta, evidenziando la sua corporatura atletica e forgiata dal combattimento. I bordi rosso carminio, serrati dagli alamari, curvavano sui suoi pettorali e scendevano dritti dentro la fascia stretta che gli circondava la vita. Dalla spalla sinistra pendeva la scintillante decorazione metallica dorata e intrecciata, che indicava il grado appena acquisito. Assicurò la spada all’anello che gli sporgeva dalla cintura e, quando si voltò, le sue iridi grigie si accesero di ardore e di felicità.
«Sei davvero avvenente, generale» affermò Dionissa, ammirata.
«Sarà la prima caratteristica che noteranno i daimar» sogghignò lui, accomodandosi sulla sponda del letto e accarezzando la guancia pallida della moglie.
«Sto cercando di non implorarti di restare con me» sussurrò lei.
«E io di uscire da questa stanza.»
La veggente gli appoggiò il capo sulla spalla, cercando quel calore che l’aveva avvolta fino a qualche attimo prima. Erano rimasti insieme una manciata di ore, consapevoli che il dovere avrebbe presto richiamato entrambi: lui alla testa dell’armata, lei a sostegno di coloro i quali rischiavano la vita lottando contro le creature dell’ombra.
«Sei convinto del nome della bambina?»
«Assolutamente. Mi piace e poi… oh!?»
«Si è mossa» spiegò Dionissa, divertita dal suo stupore «È da qualche giorno che avverto le sue capriole. Evidentemente ha presentito l’arrivo di suo padre.»
Il giovane tornò a stringerla tra le braccia, come aveva fatto per tutto il tempo in cui avevano condiviso il talamo, accarezzandosi la pelle nuda, scambiandosi parole dolci e roventi, baci appassionati e silenzi altrettanto eloquenti.
«Quando i daimar non saranno che uno spiacevole ricordo e lei sarà venuta al mondo, io farò l’amore con te per tutta la notte, a oltranza, finché non avremo recuperato ogni arretrato.»
«Rei!»
«Puoi verificarlo con il tuo Kalah» rise lui, sfacciato.
Dionissa gli passò le dita tra i capelli corvini, non ancora paga di guardarlo.
«Vorrei solo essere certa che tornerai da me vivo. Il mio dono non mi consente previsioni, anche se il principe Anthos ha infranto l’interdetto. Sono troppo debole.»
Il neo generale aggrottò la fronte, rannuvolandosi.
«Mi chiedo il motivo per cui tu voglia scalare a quel maledetto demonio la colpa del tuo malessere! A quanto ho constatato, ne sarebbe capacissimo! Per non citare il fatto che sta tenendo in scacco Adara o che aveva un piano sin dall’inizio e che si tratta di… di… ah, fatico ancora a pronunciare quel nome!»
«Non lasciarti trasportare dalla collera, amore mio. Il male che sta corrodendo me e il cosmo proviene da Ishkur. Quando l’ho incontrato tra le pieghe della divinazione, ogni dilemma è divenuto evidenza.»
«Già, ma non significa che il Distruttore sia innocente o che abbia deciso di salvarci! Oppure che non abbia intenzione di sacrificare tua sorella per scansare la maledizione che gli pesa sul collo!» obiettò lui irremovibile.
«Lo so» concesse la principessa «La decisione ultima di un essere superiore è insondabile. Però mi sento di riporre fiducia in lui, come Adara. Anche Màrsali, di cui entrambi ci fidiamo, sostiene che il reggente abbia accettato il suo ruolo e che stia difendendo Iomhar dal male.»
«Perché dovrebbe!? La veggente di Odhran non conosce la sua vera identità, pensa che Anthos sia solo il principe del Nord. Tu non l’hai incontrato di persona e non sai di che pasta è fatto, mentre io ho i brividi, quando ci penso! Per tutte le oasi, sarebbe in grado di convincere chiunque del suo mutamento per poi realizzare l’opposto! Non capisco donde provengano aspettative tanto ingenue, se il tuo Kalah riesce a ottenere risposta alcuna!»
«So cosa intendi. Al nostro primo incontro, il suo sguardo mi ha terrorizzata. Mi sono sentita inerme, annichilita dall’astio feroce e tenebroso che emanava. Eppure, quando ha permesso che lo trovassi attraverso l’ultima visione, era diverso. Per un millesimo di secondo ha lasciato che scrutassi nel profondo dei suoi occhi. Erano puliti, consapevoli, liberi dall’odio. Irkalla ha voluto rivelarsi a me, affinché apprendessi che non è lui a incarnare deamhan, che non è lui il vero nemico.»
«Ma è lui che annienta i mondi. Hai detto che non sei riuscita a raggiungerlo, tantomeno a comunicare con lui. Come sai che non è stata un’abile recita volta a ingannarti? Che lo sconvolgimento là fuori non sia opera sua?»
«Non ne possiedo la certezza. Ma la luce che ho visto splendere in lui era piena d’amore. Su questo non esistono dubbi. Qualunque parola da lui proferita sarebbe risultata fuori posto, allora come adesso. Sarebbe apparsa un subdolo tentativo di indurmi a sostenere le sue parti, simile a quello mosso da Ishkur. Invece è stato il suo silenzio a farmi comprendere che non mi stava né chiedendo né imponendo nulla. Ambiva che decidessi da sola.»
«Cosa?! E allora perché ha consentito il contatto? Perché ti ha mostrato che teneva Adara tra le braccia?»
«Non ne sono sicura. Ma la differenza tra Irkalla e Ishkur è divenuta lampante, elementare. Penso che desideri che io abbia piena fiducia non in lui, ma in mia sorella. Che il Distruttore abbia voluto che comprendessi che la scelta di Adara è quella corretta. L’unica che salverà il cosmo.»
«Scelta?» borbottò Rei «Perché non costrizione? È una divinità, può piegare qualunque mente. Tua sorella lo ha sposato allo scopo di impedire ad Anthos di annientarci, senza sapere che lui era una creatura ben più terrificante.»
Dionissa sorrise, sollevando le dita a sfiorargli il viso.
«Sì. Ma l’amore è reale. Questo per me è più che sufficiente.»
«Siamo alla follia» commentò Rei, passandosi il dorso della mano sulla fronte «Ho appena smesso di arrovellarmi sul fatto che Adara fosse innamorata di Narsas, quindi destinata a soffrire per la sua morte e sul fatto che io non potessi fare niente per aiutarla… e ora tu sostieni che il suo cuore appartenga al dio della Distruzione. Ti prego, dimmi che le pessime notizie sono terminate!»
La veggente lo osservò con dolcezza. Conosceva l’affetto fraterno che Aska Rei nutriva per la principessa minore e capiva l’angosciosa frustrazione che lo stava attanagliando. La collera per il non poter agire in favore della ragazza si distingueva chiaramente sui suoi tratti tesi e inquieti.
«Non mi sono espressa in modo corretto. Quando parlo di amore puro, intendo anche quello che il sommo Irkalla prova per Adara.»
«Cosa? Impossibile!»
«Perché?»
Rei continuò a guardare la moglie, incapace di articolare qualunque risposta esauriente. Poi sospirò, rilassandosi e scuotendo la testa.
«Non posso farcela contro di te, vero?» mormorò ammiccante «Mi fido di ciò che dici, Dionissa. La tua sicurezza diventa mia, diventa fede. Per uno come me, che crede nel valore della spada, è difficile fare i conti con l’imperscrutabile.»
«È uno dei motivi per cui ho perso la testa per te» rispose lei.
Il generale sogghignò e si chinò per baciarla. Poi si rimise in piedi.
«Tornerò. A costo di svuotare di persona quel dannato pozzo.”
«Saremo qui ad attenderti» rispose la veggente, scacciando la tristezza.
 
Dionissa accese gli incensi sacri e il loro aroma penetrante invase l’ambiente, confondendosi con la luce delicata che filtrava dalle finestre schermate con teli d’organza avorio.
Sedette con fatica tra i cuscini ricamati, vincendo l’impaccio della sua condizione fisica, e richiamò il Kalah. Sapeva cosa fare e quanto le sarebbe stato concesso: in fondo, era stato lui a chiederglielo. Entrò in trance e cercò Ishkur attraverso i meandri della visione, vincendo la paura che le impregnava l’anima. Inseguire il male allo stato puro, entrarne in contatto senza lasciarsi corrompere, proteggendo la vita che conservava in grembo. Avrebbe desiderato evitarlo, ma quella era la sola chance per impedire al Nulla di divorarli, per guadagnare tempo e speranza. Per far sì che Rei e tutti coloro che amava non perissero.
Individuò il grumo buio e nefasto che segnava la presenza della divinità, ma non riuscì a stabilire la connessione, come se tra loro si fosse innalzata una barriera energetica sapientemente costruita, simile a quella che non le aveva consentito di comunicare con Irkalla. Forzò il dono, impiegando tutta se stessa e sondando l’impedimento, a caccia di un suo punto debole, ma esso la respinse. La principessa non si arrese, resistette alla sensazione di ribrezzo che l’essenza maligna le restituì, lottò contro la stanchezza, conferì urgenza alla propria presenza.
La visione schiarì, evidenziando lo scontro devastante tra due aure divine, l’equilibrio precario di poteri, l’ira incontenibile e l’odio inestinguibile del Traditore. Qualcosa lo stava distraendo dal duello, nonostante fosse in evidente vantaggio. Una parte di lui si ribellava e affossava il feroce desiderio di raggiungere la vittoria che avrebbe posto fine alla battaglia e al creato.
Lo schermo che l’aveva ostacolata cedette all’improvviso, come se una forza inaspettata lo avesse spezzato dall’interno. La mente di Dionissa fu catapultata nella landa desolata che era il torbido teatro di uno scontro programmato da millenni.
Ishkur la percepì. Le sue iridi violacee si accesero più rabbiose che mai.
 
 
Màrsali respinse l’attacco del demone che l’aveva raggiunta, convogliando la luce celeste dei suoi dehalbh contro l’essenza corrotta e nera. Spostò lo sguardo su Kesthar, che ansimava per la stanchezza, stringendo tra le mani contratte l’ascia a due lame imbrattata di sangue scuro.
Stavano combattendo da ore, difficile stabilire quante.
L’attacco dei deamhan era giunto come previsto dal reggente, sciamando sui cittadini di Jarlath assiepati sul picco della città. Sotto di loro l’acqua ribolliva in gorghi scuri e mugghianti, che trascinavano via ogni cosa ed erodevano con rinnovata furia la roccia che costituiva la loro unica salvezza. Se il principe non avesse arrestato l’apocalisse, sarebbe stata l’inondazione a fagocitare le loro esistenze prima dei servi del Nemico.
La veggente sapeva come resistere alla coercizione, aveva già sperimentato su di sé il morso crudele del buio e lo aveva sconfitto. Ma le persone che era chiamata a proteggere non erano altrettanto pronte o forti: i demoni che riuscivano a superare la sua difesa balzavano sulle anime dei presenti, precipitandole in un abisso di terrore e sofferenza. Il trascorrere inesorabile dei minuti andava di pari passo al rafforzarsi dell’oscurità instancabile, mentre per loro era indice e segno di sconfitta imminente.
Il suo sguardo incrociò quello deciso del marito, in piedi al suo fianco.
Haffgan annuì e si costrinse a sollevare la scure nell’arduo tentativo di riconoscere quali ombre avessero un corpo da ferire. Scacciando il terribile pensiero che esse un tempo erano state esseri umani come lui, forse più meritevoli e innocenti. La lama letale fendette l’aria, attraversando l’ombra con un sibilo e colpendo a vuoto le vesti fumose della creatura ripugnante. Un altro deamhan sogghignante, armato di parole suadenti e fallaci, che talvolta avevano il potere di catturarlo tra le loro spire.
Vedere Màrsali accanto a sé era l’unica vera difesa, sapere che tutto ciò che gli si insinuava nella mente era frutto del rimorso provocato dagli esseri infidi lo aiutava a non cedere. Aveva chiesto perdono agli dèi per i propri peccati e li aveva purificati nell’amore per la donna che aveva sposato, nella decisione di proteggere lei e coloro che si riparavano dietro le sue spalle possenti. Percepiva i loro lamenti e il loro pianto, le grida che s’innalzavano dagli sventurati sudditi della terra maledetta. Erano identici a quelli che udiva ogni giorno tra le mura impassibili delle prigioni, ma non gli risultavano altrettanto indifferenti. Non più. Non avrebbe permesso al male di trionfare, al mondo di divenire simile alle segrete di cui per anni era stato custode. L’ascia incontrò la resistenza della carne corrotta: il guardiano delle carceri avvertì lo scricchiolio delle ossa che si spezzavano e lo spruzzo di liquido caldo e vischioso che gli ruscellava sulle mani, lungo il manico di legno.
La veggente lo fissò con le iridi azzurre e limpide di sempre, infondendogli energia e sicurezza. Lui raddrizzò le spalle e si preparò al nuovo attacco.
 
Dessri osservò la ragazza esile e bionda che si parava a braccia aperte, armata del proprio coraggio e della propria purezza, davanti all’orda famelica e schiumante dei deamhan. Era allo stremo delle forze, il suo fragile corpo tremava per la fatica, la luce rassicurante che proveniva dai simboli sacri dipinti sulla pelle candida si stava affievolendo. Si domandò come Màrsali facesse a sopportare la pressione: non fisica, bensì psicologica. Possedere l’assoluta certezza che, quando si sarebbe esaurita, tutti loro sarebbero stati perduti, compreso l’uomo di cui era innamorata. Colse lo sguardo di intesa tra i due sposi e vide che Kesthar non si stava tirando indietro o sottomettendo, benché non avesse poteri divinatori o sovrannaturali. Fu invasa dall’ammirazione per lui.
Ritornò con i pensieri agli eventi. Quel demone che l’aveva catturata, Iarfarath… sì, aveva detto di chiamarsi così, quando l’aveva presa al laccio con le sue squallide lusinghe. Era riuscito a piegarla in pochi, drammatici istanti. Senza fatica e senza sfoderare la spada nera. Tutti i suoi piani di resistenza e autoconservazione erano andati a monte quando l’aspetto ferino e malvagio del deamhan si era confuso con quello di suo fratello. Quando la voce melliflua e perseverante si era trasformata in quella familiare di Kaelen, che l’aveva chiamata a sé, implorandola di non lasciarlo, di abbracciarlo, di sposarlo e di vivere con lui per sempre. Dessri aveva avvertito l’anima cadere in pezzi e il dolore era divenuto quello del ragazzo con cui era cresciuta e che aveva amato profondamente. Era divenuto accusa e rivalsa, rinfacciare una promessa che non era stata in grado di mantenere, allargare la voragine composta di rammarico e responsabilità che le occupava il cuore.
Il ghigno tagliente, che sovrastava il triangolo rovesciato impresso sul mento del deamhan, aveva sancito in poche mosse la sua facile vittoria su di lei, emanando un’essenza livida e abominevole. L’aveva quasi inghiottita nel suo baratro. Se Dessri non avesse incontrato lui, sarebbe morta in preda all’afflizione e al rimpianto, sarebbe divenuta parte del buio e suo passivo strumento.
Dare Yoon.
Le parole dell’elestoryano erano affiorate come una fune di salvataggio in mezzo a una burrasca. Ammettere la sconfitta. Perdonarsi. Rialzarsi. Amare il prossimo. Si era aggrappata ad esse, ritrovandosi integra, accettando la propria umana fallibilità. Sì, era così. Kaelen non le avrebbe mai rivolto quelle odiose accuse, le avrebbe sorriso e basta, l’avrebbe consolata e spronata a continuare con la propria missione di guaritrice, come lui aveva fatto con il proprio dovere di soldato. Non c’era nulla da perdonare. E Iarfarath,maledetto frammento di perversità, stava infangandone il prezioso ricordo.
Dessri aveva gridato, respingendo la coercizione, sputando in faccia all’avversario tutto l’amore che aveva provato per quello che non era suo fratello adottivo, ma la persona che aveva scelto come compagno. Che non esisteva errore, che non esisteva né vergogna né morte in quel legame pulito e presente. Aveva scorto l’espressione furibonda della creatura delle tenebre, udito il suo sibilo rabbioso quando aveva realizzato di aver fallito, aveva percepito la propria angoscia scemare, la mente schiarirsi. Aveva contrattaccato, mettendolo in fuga e si era alzata per difendere i suoi concittadini, i suoi fratelli. Ognuno di loro era diventato Kaelen, un essere umano da salvaguardare con ogni mezzo.
La donna continuò a confortare e sollecitare i superstiti, lanciando uno sguardo al cielo, che sembrava spaccato in due nell’agonia finale.
   
 
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