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Autore: Gaia Bessie    13/01/2021    3 recensioni
Io voglio di più, le ha detto. Che averti così.
Lei si porta una mano alla bocca: non ha mai smesso d’indossare la fede nuziale, anche quando le promesse e i voti hanno smesso di contare.
Quanto freddo potrai ancora sentire?
[Suga/Shimizu, OS]
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kiyoko Shimizu, Koushi Sugawara
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Io voglio di più, le ha detto. Che averti così.
Senza luce in un garage che sa di vino, di polvere e di promesse crepate – una fede che brilla silenziosamente nella giallastra del soffitto (squallido, squallido), è solamente l’ennesima circolarità che la vita prende e non restituisce – senza troppa voglia, ma in fretta e in silenzio. Squallido, squallido.
Lei ha detto che non avrebbe tradito.
Lui ha risposto che l’ama ancora e, questo, è il tradimento più grande che possa commettere contro sé stesso.
 
 
Il freddo che hai dentro
 

 
Sei bellissima, quando ridi.
Ma, ancora di più, lo sei quando piangi.
Sei bellissima sempre, per me, lo eri anche nel giorno in cui semplicemente hai preso e sei andata via senza un perché, senza un per e un come, hai preso e sei scappata.
Vorrebbe averglielo detto per davvero e non nei suoi pensieri strinati di rimpianto ma, Suga, il proprio tempo l’ha perso. Forse non definitivamente ma è semplicemente andato, sfiorito, e lui è rimasto a contemplare i passi che il rumore del mare cancella dalla battigia lentamente.
Perché bella lo è per davvero ma non di quella bellezza che stanca, forse stucchevole, che in lei hanno sempre visto gli altri. Ma lui mai.
Lui mai l’ha guardata con quegli occhi adoranti, con quello sguardo perso, e con quella speranza silenziosa che gli ha scartavetrato le ossa con adorabile lentezza.
Lui mai ha sperato, mai ha voluto trascinarla via da quel mondo dorato che le ha fatto da culla fino a quel momento, una fede che segna l’incedere del tempo come una dolcissima maledizione.
Lui mai.
Sugawara sospira, gli tremano le mani su quelle di lei, e semplicemente vorrebbe avere più parole da rivolgerle. Se non dirle che è bella di una bellezza che fa male, che fa male a lui come a chiunque altro anche quado piange, soprattutto mentre lo fa. E non importa il naso rosso, la smorfia scontenta che le crea una crepa sul viso e gli occhi che lentamente si sciolgono in tempesta, Shimizu è bella, soprattutto con quell’aria deformata e dissipata, un vaso rotto che non sa come ricomporsi.
Anche se lei non lo sa.
Anche se lei non lo sa che lui la sogna ogni notte – schiena su sfondo bianco mentre si volta e sparisce in un vortice – e quell’immagine non gli lascia mai scampo, non potrebbe mai. Perché l’ha impressa nella memoria del cuore, Shimizu, sul fondo di ogni bicchiere di sakè che potrà mai bere (e lui è segretamente astemio) e alla fine di ogni sogno che gli si potrà mai formare in mente. Lui la sente sempre, anche quando lei non c’è.
E la sente come si fa con un arto fantasma, che duole infinitamente al passo del battito cardiaco, la sente come una certezza che pian piano si fa strada nei pensieri e appena dietro. Che è squallida mancanza, la sua, cui non potrà porre mai rimedio: una porta, sprangata, chiusa irrimediabilmente. E chissenefrega?
Io voglio di più, le ha sussurrato in uno scroscio di pioggia, che averti così – appoggiata a una porta (squallido, squallido) del garage, con la moto che è ferma e io insisto per ripararla anche se non sono in grado.
Lei continua a ripetergli che non tradirà, ma non è tradimento fare, lo è pensare e il suo pensiero è così sfuggente che Suga non lo coglie mai.
Lui risponde sempre che hanno già tradito. E forse non sono le azioni che contano, questo sì, ma nei pensieri hanno tradito, certo che è successo.
Ma come fai a percepire quando qualcosa si è rotto? Lo senti, il dolore di un arto spezzato e frantumato, anche se è già stato tagliato via?
Puoi sentire così tanto freddo?
Suga non lo sa, ma la risposta è e sarà per sempre una.
(Sì).
 

 
***
 

Il vento gonfia l’anima come la vela di una barca ed è così tremendamente difficile rimanere fermi in un mare di niente. Suga non ci riesce: io voglio di più che averti così. Io voglio che la mattina ci svegliamo insieme quando non c’è tempo per dormire e quando c’è, voglio guardarti quanto piangi e non solamente quando ridi o ti sciogli in sospiri. C’è tempesta, dentro di te, e io vorrei riuscire a vederla.
Anche se tu non vuoi.
«Vorrei che venissi a vivere con me».
Anche se tu non vuoi.
Quanto freddo può sentire una persona, prima che le si gelino le ossa?
È rotta e crepata, piena di spifferi, questa vita: come puoi non sentirli mentre ti raffreddano il sangue?
«Come?» Shimizu lo guarda e spalanca gli occhi, biglie di vetro. «Vivere insieme?».
«Sì» risponde semplicemente lui, con un tono pieno di urgenza. «Vivere insieme. Sarebbe bello, non credi?».
Se solamente lei non fosse esattamente quell’ennesima finestra piena di crepe (la vita?), che piange spifferi e lacrima aria gelida. Puoi sempre sentire più freddo di così, ricorda.
«Non possiamo» commenta, atona. «Lo sai».
Suga lo sa, certo che lo sa. Pensa alle porte chiuse, l’urgenza di non avere più parole da dirsi, l’odore di vino che permea l’aria e vi sboccia come un fiore velenoso. E la parete su cui sono scivolati, lui l’ha toccata con la mano, c’è una crepa anche lì.
Come ci sarà su fondo del calice di vino, che sta sgocciolando, sul bicchiere del sakè e nel finire insensato e vetroso dell’esistenza stessa.
«L’hai lasciato, Kiyoko» le ricorda, con impietosa chiarezza. «Hai deciso che non l’avresti tradito e hai scelto di lasciarlo».
Lo ribadisce con durezza, allargando con le dita quella crepa che le s’è formata sul viso (l’ombra distorta di un sorriso) e facendole sanguinare l’anima più nuda, più spaurita.
«Non sono pronta» ammette lei, chinando il capo. «A volte vorrei avere il coraggio che hai tu».
«Lo hai» risponde lui, atono. «L’hai sempre avuto».
Shimizu sorride, non riesce a fare altro. Ma cadono cocci da quel sorriso e, allora, è tutto un fondale crepato e scalcinato, che insieme non si riesce a tenere.
Quanto freddo potrai ancora sentire?
«Se lo avessi, io…» ti direi di sì.
Lui scuote il capo, dolcemente. «Se solo non fossi così sicura che io non ti ami abbastanza».
Lei si porta una mano alla bocca: non ha mai smesso d’indossare la fede nuziale, anche quando le promesse e i voti hanno smesso di contare.
 

 
***
 

Rumori alla finestra, qualcosa che s’infrange sul pavimento: la porta ha una crepa che l’attraversa, come se semplicemente due forze l’avessero fatta contrarre tra le loro mani, deformandola.
Odore di vino versato, sangue che scorre, lacrime amare (amarissime) che s’infrangono oltre la superficie del comprensibile.
«Sei bella anche così» le dice, sfiorandole il volto. «Ma ti preferisco sempre quando mi sorridi».
Lei, che di esser bella ha smesso d’aver voglia, di sorridere non sorride mai. Si crepa il volto in una smorfia scontenta, come se il complimento non la scalfisse, e lo spoglia con un’occhiata indecifrabile. A niente serve, spogliarsi, perché semplicemente è come se lei riuscisse a vedergli attraverso con un solo sguardo, sempre, e allora nudi lo sono sempre stati. Forse, però, non lo saranno mai più.
Perché Kiyoko indossa ancora la fede nuziale e se la rigira lungo il dito, un voto e una promessa, mentre un alone rossastro le dipinge il volto.
Vuol dire fine, perché finita e imperfetta e questa vita e, quella di Suga, si crepa quando lei pronuncia quelle esatte parole.
Ed è finita perché lo dice lei, con quel suono preciso identico, una porta sprangata sul suo chissenefrega.
«Non puoi dirlo davvero» sussurra, con la voce che gli si strozza nella gola, soffocandolo. «Non puoi».
Amare due persone insieme, non puoi ripensarci, mi senti ancora?
Come freddo gelido ti sfioro, riesco ancora a farti sorridere, quando tu non ne hai intenzioni ma poi ti arrendi e lo fai per farlo fare a me?
«Siamo stati sposati per cinque anni» pigola lei, nervosamente. «Non… è giusto che ci riproviamo, a far funzionare le cose».
Lui le prende le mani. Sono gelide come i loro cuori che sta lentamente e deliberatamente spezzando in due – esce luce delle crepe, Suga, luce bruciante che sa un po’ di sangue. Come un morso minuscolo sul labbro che non s’apre, ma duole e si gonfia di speranze triturate.
«Mi ami da quattro» risponde, con presunzione. «Kiyoko, io… davvero pensavo fossi più coraggiosa di così».
Shimizu pensa che è vero.
L’ha appreso da Sugawara, il coraggio, ma a praticarlo con lo stesso insensato ottimismo con cui lo fa lui è impossibile.
«Mi dispiace» ammette, piano. «Non volevo ferirti».
«Vieni a vivere con me» ribatte Suga, atono. «Cerca di essere felice, per te. Non per me o per Tanaka, ma perché tu lo vuoi?».
E lei cosa vuole?
Forse, vorrebbe non sentire freddo.
Mai più.
 

 
***
 

È che non esiste un limite al freddo che puoi sentirti dentro e, allora, questo è semplicemente il tradimento più grande che la vita ti riserva.
Suga non ha speranza, mentre le tende la mano, non gliene è rimasta nemmeno un surrogato.
Lei sorride.
Una sottile linea di luce, di calore, crepa l’oscurità.


 
Io non so cosa ci faccio qui.
Buongiorno, buonasera o che ne so.
So che questa storia mi è stata estorta da beh, me stessa. Ed ha mille difetti che forse vedo solo io, è un po' OOC, e aiuto, spero che nonostante me a qualcuno piaccia.
Niente da dire in merito, ma ci fossero domande sono qui.
Gaia
   
 
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