Sorelle
“Ciao,
Maggie, posso
entrare?”
Lisa questa volta non
aveva bussato e non aveva aspettato che la sorella rispondesse alla sua
domanda, entrando nella stanza e chiudendosi la porta alle spalle.
“Cosa vuoi?” Maggie, che
era di nuovo sdraiata sul letto con le cuffie del cellulare, si mise
seduta e,
senza togliere la musica dalle orecchie, le aveva fatto quella domanda
con tono
sostenuto.
“È tua, questa?” Le chiese
Lisa, mostrando nella mano la catenina che Nelson aveva raccolto sul
vialetto
qualche sera prima.
Maggie si alzò dal letto
velocissimamente e Lisa fece appena in tempo a lasciare andare il
ciondolo che
la sorella glielo strappò dalle dita. “Ce
l’avevi tu!” gridò la ragazzina.
“L’abbiamo trovata sul
vialetto. Non te l’ho di certo rubata. E un
‘grazie’ sarebbe carino, sai?”
Maggie continuava a guardarla male e sbuffare, ma Lisa non cedette e
sostenne
il suo sguardo.
“Ok… Grazie. Pensavo me
l’avessero fregata alla festa…”
Lisa sorrise. “Però non è
stato merito mio. L’ha trovata Nelson”.
Maggie si rigirò il
plettro fra le dita e poi alzò lo sguardo su di lei,
annuendo. “Il fratello di
Ellie…”
Annuì anche Lisa. “A
proposito di fratelli…” Maggie sbuffò e
a Lisa sembrò ancora la bambina che
giocava con Stacy Malibù insieme a lei. “Se volevi
comprare la birra per far
colpo su un ragazzo…”
“Io non ho bisogno di far
colpo su nessuno. Non sono una sfigata!” Lisa capì
di aver sbagliato approccio.
“Ok, scusami. Non
intendevo che tu fossi una sfigata. Ma…”
“È
che delle stronze mi
hanno ingannato e…” Maggie sospirò e
spiegò alla sorella ciò che era successo:
il gruppetto di Ashley, la biondina capo delle Cheerleaders, le aveva
fatto uno
scherzo e le ragazze le avevano detto che per rimediare avrebbe dovuto
portare
della birra quella sera per la festa che Ashley aveva organizzato per
il suo
compleanno.
Quando aveva incontrato
Chris, nel pomeriggio, lui le aveva raccontato che l’anno
prima, per il
compleanno di Janine, un’altra delle cheerleaders, avevano
fatto lo stesso con
un’altra ragazza, ma lei non era riuscita
a trovare la birra e le avevano imposto una punizione imbarazzante alla
festa.
L’avevano derisa pesantemente davanti a tutti e lei aveva
cambiato scuola.
Sembrava lo facessero con le ragazze del primo anno per divertirsi alle
loro
spalle e deriderle davanti a tutti.
Maggie ancora non sapeva
se lui fosse a conoscenza del fatto che lei aveva subito lo stesso
scherzo, ma
era contenta di averlo saputo prima. Strinse forte la catenina a forma
di
plettro e la infilò nella tasca dei jeans.
“Ho appena scoperto che
avevano organizzato tutto per farmi fare una figuraccia e ora non posso
tirarmi
indietro senza sembrare…”
Sospirò e alzò gli occhi
verso sua sorella, interrompendosi. In fin dei conti, cosa poteva
interessare a
lei? Alla perfetta Lisa, che al liceo aveva il massimo dei voti ed era
andata a
studiare lontano, in una prestigiosa università per
diventare la veterinaria
più brava del mondo e di cui sua madre tesseva le lodi a
ogni persona che le
chiedesse della figlia.
Lisa
sentì una rabbia nel
petto come non le era mai successo: aveva subito scherzi anche lei,
essere una
secchiona (e sì, la chiamavano proprio così, sia
alle medie che al liceo) non
portava punti nel club della popolarità. E avere idee
anticonformiste non
l’aveva mai aiutata a stringere amicizie, ma sua sorella non
andava toccata.
Era buffo, perché da
quando Lisa aveva smesso di difendersi con accanimento, anche gli altri
non
l’avevano più considerata interessate come vittima
di scherzi, ma la rabbia che
sentiva dentro per l’ingiustizia subita da Maggie, per non
parlare dello
scherzo, la faceva tremare di indignazione.
“Devi andare dal preside!
Devi…”
La
risata di Maggie, bassa
e nervosa, scattò senza che lei lo volesse. Non voleva
offendere Lisa, ma non
era riuscita a trattenersi.
“Lisa… La scuola è finita
e al preside non interessa niente! E tirare in ballo gli adulti
peggiorerebbe
le cose. Devo risolverla da sola.”
Maggie si risedette
pesantemente sul letto e sospirò: si sentiva in trappola. Da
un lato non aver
capito che lo avevano fatto apposta e non perché volessero
invitarla nel loro
gruppo, la faceva sentire stupida e dall’altra il pensiero
che volessero
prendersi gioco di lei, la riempiva di ira. Purtroppo le due cose
insieme le
impedivano di escogitare una soluzione per uscirne indenne. Non voleva
non
presentarsi alla festa, perché loro non
l’avrebbero più lasciata stare,
ricordandole il debito, anche se ingiusto, e dall’altro non
voleva che
pensassero che lei avrebbe sempre fatto ciò che loro le
ordinavano. E Maggie
non voleva più avere a che fare con loro.
Toccò in tasca il
ciondolo: quello che aveva comprato perché le ricordava
Chris, che suonava la
chitarra nel coro della scuola. Sognava di regalarglielo ma non aveva
ancora
avuto il coraggio. Pensava di farlo la sera della festa, ma non sapeva
che ci
sarebbe stato anche Cory, così l’aveva messa in
tasca. Quando poi era arrivata
in camera e non l’aveva trovata, aveva pensato di averla
persa a casa del
capitano di football o addirittura che gliela avessero rubata. Era
contenta di
averla ritrovata.
Anzi, che lei l’avesse
ritrovata: guardò Lisa, ma sua sorella la guardava con uno
sguardo strano.
Lisa
stava pensando. Anche
lei aveva avuto una spina nel fianco, al liceo: una ragazza popolare,
con un
gruppetto di amiche stronzette e il trucco sempre perfetto. Ragazze che
avevano
fatto finta di essere amiche solo per poi prenderla in giro davanti a
tutti.
Solo che la sua si chiamava Britney. Si ricordò di quando la
riempiva di
frecciatine in classe e in tutta la scuola, verso la fine del primo
anno,
quando Lisa aveva capito che il liceo non era tutta manna dal cielo.
“Sono
sicura che Bart saprà
consigliarmi un modo per fargliela pagare” disse, dopo un
po’ di silenzio,
Maggie.
“Sì, Bart ha ottime idee.
Ma serve un tocco in più.”
Maggie osservò Lisa tirare
fuori il telefono, guardarsi intorno e andare alla scrivania della
sorella,
prendere una penna e un foglio di carta colorata e iniziare a scrivere.
Poi
disse al cellulare: “Babi, ti ricordi quando abbiamo fatto lo
scherzo delle
birre a papone?”
Maggie ascoltò, con occhi
sgranati, Lisa parlare al telefono con Bart e lanciarle ogni tanto
qualche
occhiata vincente, sorridendo. Che stava succedendo? Lisa interruppe la
chiamata dopo cinque minuti e l’ultima frase che disse fu:
“Portaci due casse
di bottiglie piccole di birra”.
Maggie
la stava guardando
ammirata e Lisa lo vedeva benissimo. La cosa la faceva sentire come se
si fosse
laureata un’altra volta. Una laurea con il titolo di miglior
sorella del mondo.
“Una volta abbiamo fatto
uno scherzo a papà e gli abbiamo svuotato una confezione di
bottigliette di
birra. In garage abbiamo una macchina che serve per tappare le
bottiglie di
vetro: le avevamo richiuse e messe in frigo. Papà
è andato giù di testa quando,
ogni volta che ne apriva una, la trovava vuota. Ha minacciato di
denunciare
Apu, pensando che gli avesse venduto aria confezionata. Quando gli
abbiamo
svelato di essere stati noi ha quasi strangolato Bart. Tranne quella
parte, per
il resto è stato divertente.”
Lisa raccontò la storia
con aria sognante, come se fare quello scherzo con suo fratello le
avesse dato
un brivido.
“Vorresti vuotare le
bottiglie che devo portare a casa di Ashley?” chiese Maggie,
un po’ confusa.
Maggie
non dubitava che lo
scherzo che avessero fatto a Homer fosse venuto bene, ma non le
sembrava quello
adatto alla sua situazione. Loro avrebbero potuto immaginare chi avesse
vuotato
le bottiglie e ne avrebbero bevute altre mentre la prendevano in giro.
Ma Lisa la sorprese. “No”
disse, mentre strappava una parte di foglio e gliela porgeva.
“Ci metteremo
dentro questo, lo vendono al supermercato”.
Maggie lesse la parola
scritta sul foglietto e aggrottò la fronte.
“Cos’è?”
“Un potete lassativo
insapore.”
A Maggie si illuminarono
gli occhi: quello sì che andava bene per Ashley e le sue
amiche! Poi Lisa disse
qualcos’altro sul fatto di stappare bene le bottiglie senza
piegare il tappo di
metallo e continuò a parlare da sola.
Lisa
iniziò a scrivere
tutto ciò che dovevano fare e poi sorrise a Maggie che la
guardava con la
fronte aggrottata.
“Cosa c’è?”
“Chi cavolo è Britney?”
Lisa non disse niente e
scosse le spalle, ridendo.
***
“Eri
un bullo?”
Nelson aprì la porta di
casa e sospirò alle parole della sorella, che lo aspettava
lì fuori, nel buio,
sotto il piccolo portico laterale.
“Vieni dentro, Ellie”
disse solamente. Sapeva che lei non aveva mai capito quello che lui
faceva
prima di conoscerla e ora era arrivato il momento in cui chiedeva
spiegazioni.
Sapeva che sarebbe successo, solamente non era il momento giusto. Non
quella
sera.
Bart gli aveva dato buca
dicendo che doveva fare qualcosa con sua sorella e Nelson aveva pensato
a Lisa
per tutto il tempo dell’allenamento e Blackwall, il vecchio
pugile amico di Trevor,
lo aveva preso in giro chiedendogli perché fosse
così scarso quella sera.
Nelson aveva dovuto richiamare tutto il suo autocontrollo per non
tirargli un
pugno sul naso.
È che sapeva che aveva
ragione: sul ring si sale senza pensieri. Trevor glielo aveva detto un
sacco di
volte: non portare sul ring nient’altro che concentrazione e
resistenza. Sii
più tenace dell’avversario e lascia in tribuna le
donne.
Donne! Come se a lui
potesse interessare Lisa Simpson! Come se lui avesse
possibilità con una come
lei. Come se… Come niente!
Entrò in casa, seguito
dalla sorella e andò direttamente al frigorifero: prese una
Duff porgendo a lei
una coca. Ellie la prese in silenzio e si voltò, andando
verso il portico sul
retro.
Era
una serata magnifica,
Ellie riusciva a vedere le stelle perché il giardino sul
retro della casa di
suo fratello era tutto buio. Un’enorme distesa di erba,
l’orto recintato, qualche
albero, cespugli e un cielo infinito: quasi il paradiso.
Stappò la sua lattina
e si sedette su una delle sedie sdraio che c’erano sotto il
portico.
Quando Nelson la
raggiunse, si sedette su una sdraio vicino a lei, ma non disse niente.
“Allora? Non dovremmo
parlare del fatto che io non sapessi che eri un bullo?” gli
chiese.
Alla luce della luna Ellie
vide chiaramente le spalle di suo fratello alzarsi e abbassarsi, mentre
beveva
un lungo sorso di birra.
Sbuffò. “Non avevi pensato
di dirmelo?”
“Per quale motivo avrei
dovuto farlo?” le chiese lui, sorpreso, alzando un
sopracciglio.
“Perché lo sono venuta a
sapere da Miller e ho fatto la figura della sciocca! E non mi piace
fare la
figura della sciocca, lo sai!”
Suo fratello, come tutti i
maschi, ascoltò solo quello che voleva e le chiese:
“Chi è Miller?”
Ellie sbuffò ancora. “Quel
tipo con i capelli blu che ci prova sempre con Lisa, ma non
è di questo che
volevo parlare! Io…”
“Miloser?” domandò ancora
lui. Ellie scosse le spalle, perché effettivamente non era
importante e
continuò: “Eri un bullo? Uno di quelli che ruba i
soldi per il pranzo ai
ragazzini e li picchia? Come…” Guardò
per un attimo il prato e poi riportò lo
sguardo verso di lui. “Come facevano gli altri con
me?”
Nelson
non rispose. Non
sapeva cosa dire. Poi annuì.
“E perché?” gli chiese
lei, ma la sua voce si affievolì un pochino. Scosse le
spalle.
“Ero un ragazzino. Ero
stupido e incazzato con il mondo; gli unici amici che avevo erano dei
delinquenti e pensavo fosse divertente fare quello che facevano loro.
Ero un
delinquente. Ma questo lo sapevi già, no? Non ti ricordi le
urla di mia madre?”
Ellie sorrise al pensiero
di sua madre, Nelson sapeva che lei le aveva voluto molto bene, un
affetto che
sua madre aveva ricambiato sinceramente.
“Sì, mi ricordo. Ma sai…
L’idea che tu facessi qualcosa di sbagliato agli occhi di tua
madre non mi
rende inquieta come sapere che picchiavi gli altri
ragazzi…”
“È grazie a tuo padre se
ho smesso di picchiare gli altri: mi ha insegnato che il sacco da boxe
non si
lamenta, non si contorce e non mi avrebbe denunciato. Posso dire di non
essere
più un bullo dalle scuole medie. È un bene,
no?” tentò di scusarsi lui.
Ellie annuì, ma poi
divenne triste.
“Quindi non era la prima
volta che picchiavi qualcuno quando hai
picchiato…” La sua voce divenne di
nuovo sottile e Nelson dovette bere ancora.
Ellie
sapeva che Nelson
aveva picchiato Speek, il suo ragazzo, quando lei si era ritrovata
incinta e
lui l’aveva accusata di averlo fatto apposta e di voler
tentare di affibbiargli
un figlio non suo. Lei aveva pianto tantissimo e quando suo fratello lo
aveva
scoperto, era successo quello che era successo.
Non poteva dire niente,
perché era stata colpa sua: non avrebbe mai dovuto dire a
Nelson chi era il
padre del bambino. Lui lo aveva picchiato a scuola ed era stato espulso
dall’università.
“No” rispose Nelson.
“Mi dispiace, però. Avevi
smesso e per colpa mia…”
“Non è stata colpa tua.
Ero in grado di prendere le mie decisioni. Avrei potuto…
gestire la cosa
diversamente. Meglio, probabilmente. Ma sono stato io. È
stata una scelta mia.”
Ellie si ricordò di quando
Lisa le aveva detto: ‘Ti ha difeso nell’unico modo
che conosceva’, e il suo viso
si intenerì. Si allungò verso il fratello e gli
mise una mano su un ginocchio.
“Grazie” disse, cercando di guardarlo negli occhi.
Lui tirò su la testa di
scatto. “Non devi neanche dirlo, lo sai!” Ellie
annuì. Ma quel discorso lo
avevano già fatto.
“Almeno è stata l’ultima
volta che ti sei messo nei guai? Qualsiasi tipo di guai?”
Nelson
scosse la testa e
basta: non disse niente. Non riuscì a guardare in faccia la
sorella. Nonostante
la poca luce della luna rendesse tutto più scuro e lei non
potesse vederlo
bene, non riuscì a guardarla. Così
guardò il prato anche lui.
Si era messo nei guai
un’altra volta, l’ultima. E sapeva che non era
fuori del tutto neanche da quel
casino. Ci sono cose che non se ne andranno mai e te le porterai sulle
spalle
come uno zaino ingombrante e troppo pesante per la strada della vita.
Pregò che lei non gli
chiedesse niente su quella faccenda e, forse per la prima volta in vita
sua, fu
accontentato.
“Sai che penso del tuo
giardino, Nelson?”
“Che pensi del mio
giardino, Ellie?” chiese lui in risposta, sospirando, sapendo
già che sarebbe
stata una punizione per il suo desiderio di poco prima.
“Che sarebbe il posto
ideale dove organizzare un party per il mio compleanno, la settimana
prossima!”
Nelson finì la birra e non
disse niente mentre si voltava verso una Ellie molto sorridente,
capendo di
essere stato fregato.
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