Primo vero lavoro
Hermione indossava un tailleur nero
che risaltava in
contrasto con la mobilia di un rosa acceso. C’erano diversi
trofei per la casa
e fotografie di un ragazzino sovrappeso con un’aria porcina.
«Quindi
lei lavora per Barty Crouch Junior. Devo dedurre
che sia con lui che il mio cliente ha contratto tutti quei debiti per
cui
rischia la casa» disse la
giovane, accomodandosi in una poltrona.
L’omone davanti a lei,
corpulento quanto il ragazzetto delle
fotografie, le rispose: «Il
suo cliente è un debole senza spina dorsale. Pur
riempendolo di pugni con un sacco da box, non ha sganciato un soldo.
Dubito che
la sua ex-moglie avrà più fortuna di me».
Hermione
chiese: «Lei sta ammettendo che ha aggredito il
mio cliente?»,
guardando l’omaccione spostarsi dal divano alla poltrona
accanto alla sua.
«Ci
vuole polso fermo, capisce? Altrimenti questi idioti
pensano di potersi allargare e di poterti mettere i piedi in testa» abbaiò
Dursley. «Polso fermo?» ripeté
Hermione, mentre il suo viso perdeva di colore.
«Sì.
Qualche cazzotto può solo fargli bene. Lei è
donna,
non capisce quanto siano importanti due pugni dati al momento giusto.
Il signor
Crouch è ben felice di rivolgersi a me quando ce
n’è bisogno».
Vernom
aveva il viso rosso acceso e rimarcò il concetto colpendosi
una mano grassoccia
con l’altra chiusa a pugni.
«Capisco» rispose Hermione,
individuando delle
foto in cui il giovinastro era un giovane uomo, di qualche anno
più grande di
lei. Molto del suo grasso si era trasformato in muscoli, ma
l’espressione
rimaneva suina.
Vernon le
domandò: «Perché non la
smette di pensare a quel
perdente e non inizia a notare gli uomini veri?»,
cercando di ottenere una
voce seducente che lo portò a sputacchiare saliva
tutt’intorno.
Hermione
rispose: «Come lei, ad esempio?»,
mentre
il suo viso si tingeva di un verde delicato.
«Esattamente.
Sono anche spirito, sa? Conosco alcune
barzellette che fanno pisciare dalle risate. Ad «esempio
ne conosco una su un
golfista cinese…» si
vantò Vernon, facendo una risata sguaiata.
Hermione
alzò lo sguardo, la lampada era lucidata, come tutte le
superfici di metallo dell’abitazione. «Le
posso assicurare che tra me e
il mio cliente c’è un rapporto puramente
professionale» disse atona.
Vernon si
lasciò andare ad una risata sguaiata. «Mi
sta
dicendo che un bel bocconcino come lei non se l’è
ancora accaparrato nessuno?»
domandò,
facendole l’occhiolino.
«Lei,
invece, suppongo che sia riuscito a trovare una
moglie»
il tono di Hermione rasentava l’ironico, mentre la sua
espressione era
nauseata.
«Oh
sì. Un’acida e rinsecchita, un vero manico di
scopa, ma
di famiglia importante. Ha ereditato un’intera fabbrica di
trapani. Altrimenti
avrei preferito sposare qualche donna procace come lei»
si lamentò Vernon, digrignando i
denti furioso.
«Perché
fa un secondo lavoro?»
chiese Granger, spostandosi
di lato per evitare che la mano paffuta dell’uomo riuscisse
ad accarezzarle la
gamba, lasciata in parte scoperta dalla gonna. Le venne risposto: «Quella
è tirchia solo con me, per le scemenze li butta i soldi. Sta
facendo crescere
nostro figlio come un debole, viziato. Fortuna che gli ho insegnato io
le buone
maniere. Ci vuole il bastone, sa?».
Bussarono alla porta ed Hermione
scattò in piedi, impallidì
scorgendo Harry Potter entrare.
«Buongiorno.
Mi dispiace signorina Granger, ma abbiamo
urgentemente bisogno di lei»
disse il giovane con fare sbrigativo.
Hermione annuì e lo raggiunse con passo veloce, gli si
affiancò e bisbigliò: «Grazie
per avermi salvato»,
in modo che la sentisse solo lui.
«Tu…» ringhiò Vernon,
riconoscendo Potter. Sentendosi
rispondere: «Ciao,
zio. Come va?».
Hermione chiuse gli occhi, sentendo
le tempie pulsare e
pensò: "Possibile
che chiunque sia parente di chiunque altro? Sembra che si conoscano
sempre
tutti! Non vedo l’ora di lasciare questo buco di paese e
trasferirmi a Londra".
«Dannazione,
ci mancavi solo tu. Vedi di sparire!»
abbaiò
il padrone di casa.
«Signorina
Granger, mi segua» disse Potter,
uscendo dalla porta
principale della villetta di Privet Drive.
Hermione annuì e lo
seguì fuori, nel momento in cui si
furono allontanati prese un sospiro di sollievo
«Le
do un passaggio con la mia auto?»
propose Potter.
Hermione serrò le labbra
fino a farle sbiancare, pensando:
Preferirei aspettare l’autobus, ma gli devo un salvataggio «Va
bene, signore»
acconsentì.
Entrò nella macchina e si
accomodò, Harry si sistemò al
posto di guida. Mise in moto, borbottando: «Quando
ho accettato che si
occupasse lei del caso, non avrei mai immaginato che sarebbe venuta a
incontrare proprio mio zio».
«Lei
non si è fidato del mio operato, non è vero?» chiese
Hermione, mentre i suoi occhi dardeggiavano.
Harry
scrollò la testa, facendo ondeggiare i corti capelli mori.
«Non
io. Le ricordo che pur essendo socio alla pari, devo comunque
sottostare al
signor Lupin»
ribatté. «Quindi
è lui che non si è fidato»
mormorò Hermione.
Harry
annuì, confermando: «Il signor Lupin
non si fida di
nessuno, nemmeno di me».
"O di se stesso" pensò Harry.
"Avrebbe
dovuto lasciarlo la mia madrina"
si disse Hermione, nascondendo una smorfia dietro la mano.
Cambiò discorso,
dicendo: «Le
sembrerò scortese, ma… Come fa ad essere parente
di quel tipo?».
«Mia
zia odiava così tanto la sua famiglia che è
scappata
col primo buzzurro che ha trovato. A lei basta avere una perfetta
casetta in
periferia e accetta anche le corna pur di sembrare una famigliola
comune,
mirabilmente integrata a livello sociale»
ringhiò Harry. Hermione rabbrividì nel
notare la sua espressione feroce. «Sembrate
parecchio risentito
nei loro confronti»
mormorò.
«Lo
sono. Non si sono degnati di venire né al funerale di
mia madre, quando ero piccolo, né a quello di mio padre due
mesi fa» rispose
Harry, svoltando a destra.
Hermione guardò dal
finestrino, pensando: "Non
dovrei essere così dura con lui, in fondo è
rimasto orfano da poco".