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Autore: Jane P Noire    18/01/2021    1 recensioni
Rowan Monroe ha sempre fatto di tutto per passare inosservata. Non vuole fare nulla che possa attirare l'attenzione sulle persone che l'hanno cresciuta, i Vigilanti, angeli caduti dal Paradiso e costretti a restare sulla Terra per proteggere la razza umana, e soprattutto su se stessa. La sua vera identità deve restare un segreto perché il sangue che le scorre nelle vene la rende una creatura pericolosa e imprevedibile.
Liam Sterling è l'ultimo ragazzo per cui dovrebbe provare attrazione per una serie infinita di ragioni: perché è un umano, perché a scuola è popolare, perché l'ha sempre ignorata, e soprattutto perché suo fratello è appena stato ucciso in maniera misteriosa e orribile da un demone. Ma quando lui la implorare di aiutarla a scoprire la verità e dare giustizia al fratello, Rowan accetta anche se è consapevole che questa scelta potrebbe essere la fine di tutto ciò per cui ha lavorato negli ultimi diciotto anni della sua vita.
Genere: Horror, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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.26.
 
 
 
 
 
Una volta entrati nell’edificio, il caldo mi accolse e io non riuscii ad impedirmi di trarre un sospiro di sollievo; mi tolsi il cappuccio dalla testa e sgrullai via le gocce di pioggia dai capelli e dalla giacca della tenuta.
Misi da parte tutte le mie emozioni ingarbugliate e cercai di concentrarmi solo sulla missione. Non potevo proprio permettere che i miei sentimenti confusi e scombussolati avessero la meglio: per una volta, dovevo ragionare con lucidità.
Mentre le sue ali si ritiravano all’interno delle sue scapole, Seth si guardò intorno con le palpebre assottigliate sugli occhi dorati e una mano sull’elsa della spada più vicina. «Fai attenzione. Devono aver inserito della polvere di vischio nei condotti d’areazione», mormorò, portandosi la punta dell’indice sul naso.
Annusai a pieni polmoni e me ne pentii un istante dopo. L’odore dolciastro e forte della pianta mi entrò nelle narici con violenza, facendomele pizzicare così tanto che pensai di essere sul punto di fare lo starnuto più rumoroso della storia. Chiusi la punta del naso tra le dita e riuscii a trattenerlo, facendomi lacrimare gli occhi. Quando il pizzicore passò, cominciò il fuoco nei polmoni e nelle mie vie aeree che erano entrate in contatto con la polvere di quella pianta così velenosa.
«Porca merda», imprecai, respirando piccole quantità di aria.
«Ti avevo detto di fare attenzione, non di inalarlo», mi fece notare.
Lo ignorai, con un’alzata di spalle. Quando mai facevo quello che si diceva?
Mi guardai intorno.
Visti da dentro, gli edifici parrocchiali non aveva nulla di particolare o degno di nota. Erano un’anonima strutta ordinata e squadrata, dalle pareti così bianche da far male agli occhi. Sembrava una specie di reticolato di stanze con le porte chiuse che si affacciavano su una serie di lunghi corridoi stretti collegati fra loro fino a formare una strana forma geometrica, precisa e spigolosa.
Noi eravamo entrati dalla finestra aperta, e ora ci trovavamo a gocciolare sul pavimento in mattonelle color ocra.
Seth mi allungò una mano e, dopo aver intrecciato le dita alle sue, mi lasciai guidare per il piano all’apparenza deserto. Entrambi però avevamo i sensi all’erta e le mani pronte a scattare verso le nostre armi.
Mi bloccai di scatto e aumentai la stretta delle dita in quelle di lui, quando mi accorsi che stavamo seguendo le indicazioni verso l’ufficio personale del parroco – nonché capo dell’Ordine.
Alzai un sopracciglio. «L’ufficio?»
«Da qualche parte dobbiamo pur cominciare a guardare.»
«Chi nasconderebbe le prove di un piano malvagio nel proprio ufficio?»
«Dove credi che tenga tutte i suoi documenti importanti e segreti mio padre?» Si strinse nelle spalle.
«È una cosa stupida. È il primo posto dove andrebbero a controllare.»
«O l’ultimo. Guarda te, per esempio: non saresti mai entrata lì e loro lo sanno.»
«Sei davvero un insopportabile so-tutto-io…» Alzai gli occhi al cielo, ma mi lasciai trascinare verso il suddetto ufficio.
Improvvisamente Seth strinse con maggiore forza le dita attorno alle mie e si bloccò, trascinando entrambi nella rientranza di una porta chiusa. Sentii al mio fianco tutti i suoi muscoli che si tendevano al massimo come le corde di un violino, mentre le sue dita lasciavano le mie e si serravano attorno al pugnale legato alla gamba.
«Che succede?» sussurrai.
«C’è una guardia armata.»
«Che cosa?» Sgranai gli occhi, mentre mi sporgevo appena per sbirciare oltre il nostro nascondiglio.
Aveva ragione: nel centro del corridoio, di fronte ad una larga porta a due ante, c’era un uomo.
Indossava degli indumenti scuri che assomigliavano in modo impressionante ad una via di mezzo tra la tenuta da combattimento dei Vigilanti e la divisa delle squadre speciali della polizia. Ma la cosa peggiore era che tra le mani teneva saldamente una spada corta con la lama di ferro lucido e affilato rivolta verso il pavimento. Quella era roba professionale, e mi chiesi come dei preti del cavolo avessero fatto a rimediare un’attrezzatura del genere.  
«Porca merda», mormorai con un filo di voce, mentre tornavo a nascondermi dietro la spalla di Seth. «Questi tizi non scherzano.»
«Non l’avevi capito dalla puzza di vischio?»
Gli scoccai un’occhiataccia che sapevo essere parecchio eloquente. Il cuore mi batteva all’impazzata e l’adrenalina mi scorreva nel sangue. «Un conto è la puzza di vischio per tutto l’edificio, un altro è una fottuta spada di ferro e un’armatura di ultima generazione.»
Seth si sporse ancora una volta. La guardia ancora non si era accorta della nostra presenza. «Non mi sembra che ce ne siano altri.»
«Okay.»
Ma lui mi fermò prima ancora che potessi fare un solo passo verso la guardia, agguantandomi il polso. I suoi occhi dorati erano stati quasi del tutto inghiottiti dal nero delle sue pupille dilatate. «Che vuoi fare?»
«Mi occupo di lui, così possiamo entrare in quella maledetta stanza.»
«Rowan…» Scosse la testa.
«Non lo voglio uccidere. Ma, a meno che tu non abbia un’idea migliore, dobbiamo metterlo fuori gioco per qualche ora.»
«Okay, ma…»
«Ricordi? Sono una stracazzutissima Nephilim, me lo hai detto tu prima. Posso occuparmi di lui senza ucciderlo.»
Mi liberai della sua presa, che si era allentata, e cominciai a camminare silenziosamente lungo il corridoio.
La guardia si accorse di me solo quando entrai nel suo campo visivo, il che la rendeva una guardia davvero pessima e anche una un po’ stupida. Alzò la spada e mi accorsi con sorpresa che sapeva maneggiarla con esperienza e destrezza. La teneva come se fosse il perfetto prolungamento del suo braccio.
Purtroppo per lui io ero più forte, più veloce e più… be’, più tutto.
La guardia fece un affondo nella mia direzione, e io mi scansai di lato per evitare la lama. Senza perdere un secondo, afferrai il polso della mano che reggeva la spada per impedirgli di attaccare di nuovo e alzai l’altro gomito per colpirlo dritto sul naso. Sentii il terribile crac delle ossa che si rompevano e quel suono mi riempii le orecchie. Però non potevo fermarmi, così alzai il ginocchio e colpii la sua tempia con un calcio rotante.
Con un rantolo, la guardia cadde a terra. 
Mi voltai verso Seth, che mi camminava incontro con il dao tra le mani, e gli rivolsi un ghigno pieno di soddisfazione. «Visto? Un gioco da ragazzi.»
Lui lasciò vagare gli occhi sulla figura stesa in terra e la porta. Poi mi fissò con sguardo pieno di disappunto. «Sta sanguinando su tutto il pavimento.»
«Non esagerare. Gli ho solo rotto il naso, e avrà un gran mal di testa quando si sveglierà. Ma non l’ho ucciso.»
A quel punto, anche lui incurvò le labbra in un sorrisetto. «Sei un’esibizionista.»
«Forse un po’.»
Senza smettere di sorridere e scuotere la testa con fare sconsolato, si inginocchiò di fronte alla serratura della porta.
«Che fai?» domandai.
«Cosa ti sembra che faccio?»
«Sai come forzare una serratura?»
«Sì. Dammi una delle tue forcine per capelli.»
«Sul serio?» Sgranai gli occhi.
Ero molto scettica e mi stavo già preparando una serie di commenti sarcastici da dire nel momento in cui sarei stata costretta a sfondare la porta con la forza. Però portai le mani alla treccia e sfilai una delle forcine che tenevano ferme quelle ciocche che erano troppo corte e sfuggivano dall’acconciatura.
Seth cominciò ad armeggiare con la serratura, mentre io mi guardavo intorno con fare irrequieto. «Credi che arriveranno altre guardie?» chiesi.
«Non lo escluderei.»
Lanciai un’occhiata alla povera guardia sanguinate e priva di sensi poco più in là rispetto a dove ci trovavamo noi. Aveva i capelli biondi, ora sporchi del suo stesso sangue. Il volto era pallido, ma privo di alcun segno. «Sembra avere la mia età.»
«È probabile che sia così.»
«Che posto di merda.»
Seth alzò gli occhi su di me per un solo istante. «Sono guerrieri. Come noi.»
«Solo che noi combattiamo contro i demoni, creature infernali che minacciano e corrompono l’umanità. Mentre loro…» Sospirai e mi scacciai una ciocca di capelli dagli occhi con il dorso della mano, «Dio solo sa cosa combinano.»
«Stiamo per scoprirlo.»
E sentii un clic. Mi voltai giusto in tempo per vedere Seth alzarsi in piedi e abbassare la maniglia della porta, che si aprì senza alcun impedimento.
Wow! Ero davvero impressionata. Non credevo che ci sarebbe riuscito.
Lui mi fece l’occhiolino, come se avesse letto il mio pensiero. O forse aveva semplicemente interpretato la mia evidente espressione meravigliata. «Chiamami Bond, James Bond.»
Con una spallata e un’alzata di occhi verso il soffitto, lo superai ed entrai nello studio. Ma un secondo dopo, senza fiato, mi bloccai sulla soglia.
«Porca merda.»
Seth, che mi aveva seguito dentro la stanza, inciampò nei miei piedi. Per non perdere l’equilibrio, si aggrappò ai miei fianchi e mi costrinse a fare qualche passo in avanti. Le mie ginocchia cedettero e se non fosse stato per le sue mani sulla mia vita sarei crollata in terra.
Lui si allarmò. «Che succede?»
«Guarda.»
Sulla scrivania c’erano mille carte sparpagliate di disegni che, a giudicare dai colori intensi del nero e del rosso, sembravano scene dell’orrore molto dettagliate. Ma ciò che aveva catturato tutta la mia attenzione erano gli strumenti appoggiati con noncuranza sul legno scuro del mobile. Quelli erano strumenti di tortura. Tortura vera e propria, di quelle capaci di farti desiderare di poter morire piuttosto che continuare a respirare e sopportare. Ed erano tutti in ferro – materiale altamente tossico per gli angeli e i demoni.
Seth camminò a passo rigido verso la scrivania e, con le dita avvolte in un guanto di pelle che aveva recuperato dalla tasca della giacca, sollevò quella che sembrava in tutto e per tutto una museruola. Poi un collare legato ad una catena con anelli spessi. E poi uno strano oggetto molto simile ad uno schiaccianoci di grandi dimensioni che avevo visto solo una volta raffigurato in un libro: quel coso era capace di spezzare le ali degli angeli e dei demoni, che erano la parte più sensibile di tutto il corpo.
Seth serrò la mandibola. «Anche se non sono coinvolti negli omicidi, troverò un modo per fargliela pagare per queste schifezze.»
Deglutii a fatica, mentre la bile mi risaliva dallo stomaco alla bocca creandomi un terribile senso di nausea che era quasi impossibile da ignorare.
Camminai verso la scrivania e presi con mani tremanti i fogli sparsi sul legno. La maggior parte erano progetti per nuovi strumenti di tortura e immagini piuttosto vivide e crude delle conseguenze che tali oggetti avrebbe procurato all’anatomia di una creatura celeste o infernale.
Sì, stavo seriamente per vomitare.
«E questi si fanno chiamare Figli di Dio?» mormorai con un filo di voce. «Non esiste dio che approverebbe una cosa del genere. È orribile
Seth abbassò lo sguardo sulle mie mani. «Mettiti i guanti. Non so quanta di questa roba sia sicura per noi. Forse l’hanno cosparsa di polvere di ferro, o di vischio.»
Annuii e feci come mi aveva suggerito.
Senza dire una sola parola, cominciammo a spulciare tra i fogli e disegni alla ricerca di qualcosa – a quel punto mi sarebbe bastata qualsiasi cosa – che li legasse alle morti di quelle settimane.
Dopo eterni minuti, con le mani che mi tremavano dentro i guanti, presi tra le dita un foglio con sopra disegnato con pastello a cera nero un pentagono rovesciato.
«Porca merda.»
Seth fu al mio fianco in un secondo e sbirciò il simbolo da sopra la mia spalla.
Voltai la testa e incrociai lo sguardo, con un nuovo pensiero che mi nasceva nelle profondità del cervello e diventava sempre più reale e spaventoso ad ogni secondo che passava. «Seth», sussurrai in preda ad un conato di vomito.
Lui posò una mano sulla mia schiena. «Cosa ne pensi?»
«E se non fosse il demone a controllare loro, ma loro a controllare il demone?» Tornai a guardare il simbolo del pentacolo rovesciato. «Avrebbe senso. Se l’Ordine è andato dalle streghe per comprare l’incantesimo di localizzazione delle benedizioni, avrebbero anche potuto acquistare quello per vincolare un demone.»
«Ma per vincolare la volontà di un demone di alto rango, dovresti conoscere il suo nome.»
«Venire a conoscenza del nome di un demone non è una cosa impossibile.» Feci vagare lo sguardo sugli strumenti abbandonati sulla scrivania. «Specialmente se sai essere… persuasivo
Seth non disse una parola. Serrò le labbra in una linea retta e fina; prese il foglio dalle mie mani e, dopo averlo ripiegato in quattro, lo nascose nella tasca interna della sua giacca.
Recuperò il cellulare da quella posteriore dei pantaloni e scattò quante più foto che poteva, immortalando ogni angolazione degli strumenti e dei disegni dell’orrore che mi riempivano la testa e che non sarei mai riuscita a dimenticare.
Mi morsi il labbro. «Dici che può bastare, come prova?»
«Forse non prova al cento per cento che siano coinvolti negli omicidi e nei furti di sangue angelico», sospirò, mentre tornava a infilare il cellulare nella tasca e puntava il suo sguardo dorato sul mio viso, «ma è sufficiente perché mio padre e il resto della legione vangano qui a controllare.»
Mi abbracciai il busto, mentre il gelo della paura mi si insinuava nelle ossa e il senso di disgusto tornava a sconquassarmi lo stomaco. «Userebbero tutta questa roba contro di loro.»
«Per questo devono saperlo.»
«Va bene, allora andiamocene da questo posto di merda. Non sopporto più nemmeno la vista di questa stanza.»
Lui annuì. Posò di nuovo una mano sulla mia schiena nel punto in cui la jian mi sfiorava le scapole, e mi guidò fuori dalla porta. Ma una volta superata la soglia, con il fiato a metà strada fra i polmoni e la gola, si bloccò.
Di fronte a noi c’erano quattro guardie.  
   
 
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