CAPITOLO XIV
A tutti i sogni in cui
riusciamo a conoscere
e ritrovare
noi stessi.
riusciamo a conoscere
e ritrovare
noi stessi.
La notte era trascorsa lenta e l’alba aveva illuminato la stanza risvegliandola da quel torpore.
“Posso provare a baciarti?”
Quelle parole le avevano fatto girare la testa e non aveva saputo respingerle. Emanuele aveva poggiato le labbra sulle sue. Quella sensazione e quel sapore ancora le scuotevano i sensi, presa dal senso di serenità che lui sapeva donarle. Aveva impresso nella mente quel momento e lo aveva ripercorso senza sosta, cercando di mettere da parte quel pizzico sgradevole che sentiva pensando a Edward.
- Devi ammettere che c’è del tenero!
- Forse sì, forse no… - Arianne bevve un sorso del suo tea. – Ma non ho intenzione di impegnarmi, voglio prima realizzare i miei progetti.
- Puoi realizzarli con lui. – Federica era ormai una fan di quella coppia non dichiarata.
- Non fare quella faccia, continua a non starmi simpatico! – disse allora ad Arianne, che già aveva gli occhi luccicanti al pensiero che la cosa potesse avere risvolti un po’ scontati.
- Quale faccia? – le rispose con finta innocenza. – Non ho mica insinuato che finirete per andare d’accordo e innamorarvi come tutti si aspettano!
Si diressero insieme alla troupe a casa sua, per registrare quelle ultime scene dei primi giorni che dovevano ambientarsi in quella casa. Fu così strano rientrare nel suo salotto insieme a quelle persone. Mentre le luci e le telecamere venivano sistemate, si chiese ancora perché Ed quella mattina non l’avesse guardata nemmeno da lontano. Era silenzioso, la sua espressione atona mentre si sedeva sul suo divano, facendole riaprire le vecchie ferite. Non disse nulla, ascoltandolo recitare quelle poche battute. I suoi jeans e quella maglietta blu sembravano esattamente quelli che ricordava lei, eppure quell’uomo non era Edward.
Federica, forse più cosciente di lei riguardo i suoi sentimenti, le prese la mano mentre Ed avvicinava le sue labbra a quelle si Sofia. Non poteva credere di non essere lei su quel divano. Il ricordo delle labbra di Emanuele, però, si ripresentò alla sua mente come infiammato. Non mosse un muscolo finché la scena non fu conclusa e gli operatori iniziarono a spostare le attrezzature. Solo in quel momento, per un solo istante, vide gli occhi di Ed incontrare i suoi, per poi tornare a guardare altrove.
Ed si era alzato quella mattina senza più sapere cosa aspettarsi da quell’esperienza. La sua rabbia verso il film era diventata un denso fumo che invadeva la sua mentre, non permettendogli di distinguere chiaramente i pensieri e le sensazioni. Capì solo, immergendosi in quella scena sul divano, come si fosse sentito Edward mentre tendeva il viso verso Sara. Quella forte spinta verso di lei, ancora così incomprensibile e spaventosa, era diventata il pensiero prevalente da quando l’aveva vista baciare quel ragazzo. Non riusciva a guardarla senza farsi prendere dalla gelosia, così l’aveva evitata per tutta la mattina, ma avrebbe dovuto onorare la sua parola quella sera, provando con lei le battute delle prossime scene. L’aveva guardata pensando a come sarebbe stato, ma non riuscì a sostenere il suo sguardo triste per più di un secondo. Forse era più spaventato dal riconoscersi nel suo stesso personaggio che dalla cupa malinconia che scorgeva nella fievole luce dei suoi occhi.
Emanuele l’aveva raggiunta nella sua stanza, che ancora una volta aveva trovato così come l’aveva lasciata: un bizzarro mercatino delle pulci stracolmo di ricordi e sogni. Non aveva avuto la forza di vedere Ed entrare lì dentro e vi si era rifugiata solo a telecamere spente.
- Ciao. – la voce morbida e gentile, come il suo sorriso.
- Ciao. – ricambiò spontaneamente.
- Come sta oggi la mia scrittrice preferita? – le si avvicinò, poggiandole le mani sui fianchi.
|Non vedo l’ora di rivederti.|
***
- Va’ tu da lei.
Le battute della loro gita a Ercolano e della prima stesura di Photograph erano poche e semplici, le aveva già imparate, ma il Quinto Giorno lo faceva sentire teso come una delle corde della sua chitarra. Si vergognava terribilmente.
Il suo flusso di pensieri fu bruscamente interrotto dalla grossa mano di Stuart che, senza aggiungere una parola, lo trascinò fuori dalla sua stanza e gli chiuse la porta in faccia. I suoi capelli sottili furono smossi dalla potenza del gesto. Il corridoio dell’hotel, bianco e ben stuccato, sembrava un segmento di labirinto, tanto era drogato della sua stessa confusione. I suoi piedi si mossero con propria volontà e lo trascinarono al piano di sotto, fino alla camera 55. Bussò con troppa insicurezza e quando la sentì giungere all’uscio si irrigidì. Ancora i suoi capelli furono smossi dall’apertura della porta, ma stavolta con un moto di risucchio da cui si sentì quasi trascinato all’interno. Il viso di lei non nascondeva lo stupore.
- Non pensavo saresti venuto. – gli disse.
- Why?
- Niente. – e si avviò all’interno della stanza.
Indossava una tuta troppo grande per lei e i suoi capelli cominciavano ad essere davvero troppo lunghi per sembrare la sua coprotagonista.
- Accomodati. – e si avviò sul balconcino, lo scirocco riscaldava la serata.
- Se non hai voglia, possiamo lasciar perdere.
- No, io…ci posso provare. – e riprese il copione.
- Come posso aiutarti? – tirò le gambe sulla sedia, l’anima ancora distante.
- Il quinto giorno è molto strano. Io, cioè Ed prova così tante emozioni diverse. – cominciava a lasciar trasparire il suo imbarazzo con quelle sue dita tremanti.
- E non le capisci?
- Le capisco benissimo. – netto. – Solo è difficile esprimerle.
- Beh, la parte in cui discuti con il produttore dovrebbe essere facile per te. – e glielo restituì – Sei già arrabbiato a sufficienza.
- Quando lui – e deglutì, mandando giù quella frecciatina – descrive Sara alla sarta…
- Non sei mai stato innamorato? – così, a bruciapelo. La guardò, chiedendosi se lo fosse mai stato davvero.
- Sì. – rispose con incertezza e vergogna, ma senza distogliere lo sguardo.
- Descrivi Sara come se fosse la donna che ami. Prova. Io faccio la sarta.
- Cosa ti spaventa? – gli chiese Sara, con esplicita curiosità. – Ancora. Se vuoi, prova a girarti di spalle.
- Lasciati andare.
- “Lei è alta poco meno di me, magra, slanciata, spalle un po’ larghe. Capelli scuri e corti. Occhi azzurri.” – Una pausa troppo lunga per passare inosservata – “Bellissima.”
- “Intendevo come persona.” – rise proprio come avrebbe fatto la donna – “Che abito le vedresti indosso?”
- “Un abito blu.”
- Come ti sei sentito? – gli chiese, cercando davvero di capire cosa pensasse. Quella sua calma la turbava più dei loro litigi.
Ed non sapeva spiegare quella sensazione di profonda comprensione che provava verso il personaggio che interpretava. Senza guardarla, riusciva quasi ad apprezzare la sua presenza alle sue spalle, la sua presenza sul pianeta. In fondo, lei stava riuscendo a rimetterlo in contatto con se stesso.
- È difficile spiegare. – cominciò. – Ma capisco. Io lo capisco.
- Andiamo avanti. – disse lei, fissando senza espressione la sua nuca che veniva fuori dalla felpa. Era così familiare. – Passiamo al momento in cui andiamo allo Swinging Blues, ci tengo molto a quel capitolo.
- Parli come se fossimo davvero noi, quei due.
- “Stamattina ho parlato col mio produttore” – cominciò. Lei sembrò non riuscire a far vibrare le corde vocali. Le tremavano le mani.
- “C-com’è andata?” – quel ragazzo non era Edward. Ma i suoi occhi…
- “Gli ho risposto male.” – non sapeva come stesse facendo a pronunciare quelle parole, come se davvero fosse felice di vederla, come se fossero davvero i complici che aveva raccontato. – “Voleva cambiare le parole della canzone, ma io non voglio.”
- “E ora non sei nei guai?” – finalmente sentiva di aver stabilito un contatto con lui.
- “No e sai perché?” – sorrise così spontaneamente, che la battuta successiva sembrò venire direttamente dal suo sistema nervoso. – “Perché loro hanno bisogno di me, non io di loro.”
- Ecco, è così. – fece lei, con una certa luce negli occhi – Questo è l’Edward che conosco.
Il sorriso che Ed guardava, per la prima volta rivolto a lui, smosse qualcosa nella sua anima che gli strinse la gola. Compreso. Amato. La parte più autentica di lui stava finalmente assestando un duro colpo a quella rabbia.
La sentì proseguire alla battuta successiva e assecondò quell’intraprendenza senza esitazione, uscendo dalla semicoscienza. Proseguirono fino all’incontro con Angelo, che non potè fare a meno di sostituire con una versione malvagia di Emanuele. Così, mentre Ed respingeva la gelosia verso quella figura che a lei sembrava così cara, Sara tentava di scacciare i sensi di colpa dovuti a quella così bella e familiare sensazione che stava provando con lui, quella sera, in quella stanza.
- “Ha detto che si capisce che siamo solo amici, allora facciamogli credere il contrario!” – continuò lui, ormai senza paura.
- “Come?”
- “Ti fidi di me?”
- “Mi lascerai fare, senza ribellarti?”
Ancora una volta si chiese quale connessione legasse le due donne che aveva incontrato, perché quella ragazza che aveva davanti sembrava entrare e uscire da quel libro come se fosse davvero parte della sua storia cronologica.
- “Buonanotte. A domani.” – cercò di trovare la lucidità nei suoi occhi.
- “A domani, Ed.” – non la trovò.
Non osò sfiorarla ancora, si alzò e con un groppo in gola si avviò alla porta. La ringraziò con la voce spezzata e uscì.
Si sentì una vera carogna, pensando a quanto dolore dovesse averle provocato in quelle settimane e quanta frustrazione e quanta rabbia avrebbe potuto evitare se solo avesse saputo ammettere che quella sconosciuta l’aveva beccato in pieno, risvegliando quei desideri nascosti nel profondo.
Solo quando fu in camera sua, con le mani a strofinare via quelle immagini dagli occhi, riuscì a frenare le lacrime che volevano a tutti i costi lavare via la finzione dalla sua vita.