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Autore: Genziana_91    25/01/2021    3 recensioni
L'iscrizione sulla statua del famoso Guerriero di Capestrano (VI secolo a.C.) riporta: "Aninis mi fece fare, bella statua, per il re Nevio Pompuledio". Chi era Nevio Pompuledio? Come è diventato re? E di chi è la altrettanto enigmatica statua che lo accompagna, la Signora di Capestrano?
Genere: Avventura, Fantasy, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Antichità
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6. L'albero della Morte
 
Da qualche parte verso ovest, la Foresta ribolliva, rabbiosa. Vesullia sentì gli spiriti di quel luogo fremere come vipere infuriate, potenze antiche ed incattivite, una nube temporalesca che si preparava a scatenare la sua furia. Non aprì gli occhi. Il vento agitava con ferocia le cime più alte degli alberi, portando con sé grida di dolore e rabbia. Si concentrò sui suoni e le sensazioni intorno a lei: il freddo della neve le impregnava i vestiti, una striscia di stoffa ruvida le teneva insieme i polsi, voci maschili. Parlavano con un accento diverso dal suo, ma poteva capire gran parte delle frasi.
Tu rimani con lei. Noi attacchiamo alle spalle. Una lamentela, poi un ordine secco o qualcosa del genere. Le voci sembravano tante, troppe. Più degli uomini che aveva contato prima di svenire nel bosco.

Si concentrò sul suo respiro. Regolare e sommesso, dovevano credere che fosse ancora incosciente. Si immaginò tutt’uno con il vento, si vide con l’occhio dell’immaginazione stesa a terra, un groviglio di capelli scuri e vesti bagnate contro il grigio della terra gelata, e attese. I Pompuledii non hanno paura. Se lo ripeté due, tre, quattro volte, finché il ritmo di quella frase non si trasformò in certezza. Dopo un tempo infinito, gli uomini si allontanarono. Sentì le loro voci farsi sempre più attutite, mentre il bosco ne inghiottiva il suono e allora si azzardò socchiudere, poco alla volta, gli occhi.

L’avevano lasciata con un solo uomo, un’imprudenza che forse con suo fratello non avrebbero commesso. Ma d’altra parte, come biasimarli. Ai loro occhi non era che una ragazzetta arruffata e tutto naso. L’uomo non sembrava contento di stare lì seduto. Giocherellava insistente con il bordo della veste, di tanto in tanto tracciava segni per terra con un bastoncino. Vesullia si prese tempo per studiarlo. Era un uomo di corporatura imponente, i capelli e la barba biondicci erano ben curati secondo la moda dei Vestini. Non doveva aver superato di molto i venti inverni. Se non avesse saputo con certezza del contrario, Vesullia avrebbe potuto scambiarlo per un Aufinate. Vagliò le sue possibilità. I rumori di uno scontro più a valle le suggerivano che presto il resto degli uomini sarebbe tornato. Con un po’ di fortuna sarebbero stati meno di quanti erano partiti, ma la sua occasione di fuggire era adesso. Aprì del tutto gli occhi.

“Ben svegliata, ragazza.” L’uomo le lanciò un’occhiata senza muoversi dalla roccia su cui era seduto e le riservò un lieve sorriso.

Vesullia non rispose, si limitò a guardarlo di rimando, studiando con la coda dell’occhio i dintorni. Si trovavano da qualche parte a mezza costa sul colle che si affacciava ad ovest, verso la Foresta degli Spiriti. Non le era capitato spesso di avventurarsi tanto lontano da Aufinum, se non per qualche rara volta. Il sentiero su cui si trovavano scendeva scosceso verso sud e saliva altrettanto ripido verso nord. La vetta, da qualche parte sopra le loro teste, non doveva essere distante. Se Vesullia si fosse messa a correre ora, non sarebbe andata lontana.

Si alzò lentamente, sotto lo sguardo indagatore dell’uomo. Non sembrava allarmato, piuttosto, incuriosito. Forse sperava in un po’ di azione. Vesullia si guardò attorno e la vide, seminascosta sotto un garbuglio di neve e rami ingrigiti: una minuscola macchia rosso acceso spiccava sul pallore del sottobosco.

“Ti puoi girare?” Disse alla fine con voce roca.

Lui la studiò ancora un po’, poi ridacchiò e si voltò di spalle. “Lo sai vero, che non andresti lontano?”

Vesullia grugnì di rimando, si avvicinò alla macchia e la osservò da vicino. Esultò tra sé e sé. Svuotò la vescica e raccolse la bacca e una manciata di foglioline lunghe e ancora verdi attaccate al ramo. Le nascose nella manica.

“Ho fatto. Hai dell’acqua?”
“Quante pretese” sorrise e Vesullia si accorse che aveva gli occhi azzurri. Non aveva mai visto nessuno con degli occhi così chiari. “Tieni.” L’uomo le allungò la fiasca di pelle.
Vesullia bevve senza staccare lo sguardo dall’uomo, poi pulì con la manica l’orlo della fiasca, lasciando cadere le foglie e la bacca schiacciata al suo interno.

Non la richiuse e gliela porse.

L’uomo la prese e tirò giù una bella sorsata, prima di rimetterle il tappo e fare una piccola smorfia.

Vesullia sentiva il cuore batterle all’impazzata contro lo sterno, ma ora c’era solo da aspettare.

Intanto, più a valle, i suoni dello scontro si erano fatti più pacati, doveva essere quasi finito. Presto il resto del gruppo sarebbe tornato. Vesullia stimò di avere ancora poco più di mezzora, forse un’ora, se gli uomini se la prendevano comoda a risalire.

“Contro chi combattono?” Vesullia si sedette accanto all’uomo e questi le fece un po’ di spazio.
“Non dovrei dirtelo.”
“Non c’è molta scelta, in effetti.”
“Sei sveglia. Tuo padre non dovrebbe lasciarti scorrazzare per le montagne incustodita.” Ancora una volta, sorrise. Doveva essere un uomo buono, tutto sommato. Vesullia si sentì stringere lo stomaco.
“Mio padre non ha idea di dove sia.”
“Presto lo saprà. Sono certo che pagherà il tuo riscatto prima che tu te ne accorga.”
Vesullia esplose in una risata breve e amara. “È ovvio che non lo conosci.”
“No, non lo conosco. Me ne vuoi parlare tu?” Perché doveva essere così gentile?

No, Vesullia non voleva. Si chiuse in un gelido silenzio.
Le voci a valle erano ormai un chiacchiericcio confuso ed eccitato, troppo lontano perché si potessero distinguere le parole, meno che mai l’accento. Vesullia si sporse per guardare verso ovest e vide la colonna di uomini risalire. Più oltre, quasi con la stessa chiarezza, percepì gli spiriti della Foresta gonfiarsi e ringhiare come un branco di lupi pronti a sbranare la preda. Dove sei, Nevio? Aggrottò la fronte, ma un tonfo dietro di lei la strappò ai suoi pensieri. L’uomo era a terra carponi, bianco come un panno di lana e con lo sguardo allucinato. Continuava a fissarla, gli occhi chiarissimi ormai dilatati le gridavano addosso una feroce accusa. L’uomo cercò di alzarsi, ma una vertigine lo ributtò a terra mentre brividi sempre più forti lo scuotevano. Chiese aiuto, ma la ragazza rimase immobile, tutt’uno con il gelo della neve che aveva ripreso a cadere.

Le voci dal sentiero cominciavano a farsi vicine.

L’uomo si contorceva, devastato da convulsioni sempre più frequenti, e si teneva il petto mentre un grido gli rimaneva bloccato in gola. Vesullia lo ignorò, gli occhi puntati sul fodero che portava al fianco. Con la coda dell’occhio lo vedeva agitarsi, i lamenti sempre più disperati, sempre più deboli ad ogni ondata. Trovò un corto pugnale e tagliò la stoffa che le teneva insieme i polsi. L’uomo le afferrò il braccio, rabbia e supplica in un’ultima presa, ferrea e disperata. Gli occhi chiarissimi, ormai allucinati, non la vedevano più. La ragazza si divincolò, gli uomini sempre più vicini. Con uno strattone, si liberò dalla presa e corse giù per il declivio, fuori dal sentiero. Corse rotolando tra sassi e rami, portandosi dietro neve e terra, mentre le voci si facevano sempre più concitate e lontane.

Quando arrivò a fondo valle, ormai lontana dagli Incerulani, un pensiero agghiacciante le si fece strada in petto: Cosa ho fatto?
 
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NOTA AL TESTO
La pianta in questione è il Tasso (Taxus baccata), famoso nel medioevo per l'ottima qualità del legno, da cui si ricavavano i letalissimi long bow o archi gallesi. Al di là del tronco, tuttavia, il tasso è una pianta letale in quasi tutte le sue parti: se ingerite, le sue foglie provocano crampi addominali, vertigini, scompensi cardiaci e convulsioni che finiscono il più delle volte per essere letali. Lo stesso vale per i suoi semi, che hanno un'azione ancora più rapida e mortale. La pianta raggiunge il picco di tossicità in inverno, quando gli effetti possono colpire entro ca. 30 minuti dall'ingestione. Per quanto oggi il tasso sia una pianta protetta e in via d'estinzione, al tempo in cui si svolge questa storia, esso doveva essere largamente diffuso nell'area Appenninica pedemontana, in un range di altitudine tra i 600 e i 1000 metri sopra il livello del mare. Nella cultura popolare, il tasso è spesso chiamato "l'albero della morte" (da cui il titolo), essendo altamente letale sia per l'uomo che per gli animali.
   
 
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