Storie originali > Soprannaturale > Licantropi
Segui la storia  |       
Autore: Mary P_Stark    27/01/2021    1 recensioni
Liza Wallace è la nuova Geri del branco di Clearwater e, a discapito della sua giovane età, dimostra fin da subito di avere un potenziale enorme; il rapporto davvero unico con i suoi Huginn e Muninn, i magici corvi al servizio del Sicario Umano del branco colpisce fin dall'inizio l'intero branco. Questo suo potenziale verrà subito messo alla prova quando, a sorpresa, giungerà a Clearwater una famiglia proveniente da New York. I Sullivan sembrano una famiglia normale, almeno all'apparenza, ma il figlio Mark e suo padre Donovan metteranno in allarme il branco a causa del loro comportamento sospetto. Saranno dei temuti Cacciatori, o qualcun altro si cela nell'ombra, più pericolo e subdolo, tentando di portare lo scompiglio nel branco di Lucas, Devereux e Iris? (particolari della storia presenti nei racconti precedenti della Trilogia della Luna)
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'TRILOGIA DELLA LUNA'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

23.

 

 

 

Le spiagge deserte di George Island, nel territorio del Labrador Canadese, erano dannatamente gelide, battute da un terribile vento proveniente dal polo nord e del tutto disabitate. L’ideale per incontrare un’agghiacciante regina dei mari, che mal sopportava i due principi che l’avevano chiamata a presenziare.

Litha non era neppure sicura che Krilash avesse captato la sua richiesta, vista la distanza che li separava ma, quando vide comparire una bruma leggera sulla superficie scura e agitata dell’oceano, non ebbe più dubbi.

Il fratello stava giungendo, mettendo in campo i suoi poteri per camuffare l’ambiente il più possibile, anche se sull’isola erano completamente soli. Che fosse in compagnia di Muath o meno, era tutto da vedersi.

I ragazzi si strinsero inconsapevolmente attorno a lei, digrignando i denti spontaneamente ma Rohnyn, nell’osservare le acque turbinare dinanzi alla costa, aggrottò la fronte e disse: «Trattenetevi, ragazzi, o questo sarà l’incontro più breve della storia.»

Litha assentì subito dopo, richiamando all’ordine i suoi sottoposti che, pur controvoglia, obbedirono e cercarono di rilassarsi.

L’istante successivo, come se le acque si fossero all’improvviso svaporate dinanzi a loro, fecero la loro apparizione un giovane prestante e molto somigliante a Rohnyn e una donna dalle dimensioni davvero inusuali e abiti non certo adatti al luogo.

Ella, infatti, indossava una lunga tunica color rubino abbinata ad alti calzari dorati e, sul capo di riccioli castano rossicci riccamente acconciati, indossava una sottile coroncina dorata dai fregi fenici.

Forse, una spoglia di guerra, oppure un dono di qualche re dell’antichità, ipotizzò Litha.

Lo sguardo della donna era fiero e gelido come la figlia ricordava e, quando ella ebbe raggiunto la spiaggia assieme a Krilash, scrutò le persone presenti prima di fissare gli occhi color acquamarina su Litha.

Quest’ultima rispose all’occhiata con tutto il coraggio che fu in grado di trovare nel suo animo pervado dal dubbio ma, stranamente, quando fu sul punto di cedere, l’energia degli amarok le diede un nuovo sprone per non crollare.

Avvedendosene immediatamente, Muath aggrottò pensierosa la fronte e scrutò quindi i giovani con maggiore attenzione, domandando poi con tono sprezzante: «Cos’hai combinato, ragazza sconsiderata?»

Il ringhio dei tre giovani si levò subitaneo e, pur se ancora in forma umana, il suono che sgorgò dalle loro gole non rassomigliò a nulla di umano.

Scoppiando in una risata terrificante quanto derisoria, Muath proseguì dicendo: «Hai legato a te ben tre cuccioli di amarok, e ora non sai come fare a gestirli?»

«Non c’è nulla di divertente, in tutto questo, Muath» ringhiò irritata Litha, mentre Krilash e Rohnyn osservavano turbati le due donne.

Muath tornò del tutto seria e, annuendo, asserì: «No, non è affatto divertente… soprattutto perché i miei sciocchi figli si sono permessi di usare impropriamente gli appunti che secoli fa avevo compilato, e senza neppure chiedere spiegazioni in merito. Non mi pare vi sia stato insegnato a essere così superficiali. Ma forse, stare in compagnia degli umani vi ha rammollito il cervello.»

Litha dovette fare appello a tutto il proprio autocontrollo per non saltarle alla gola ma, più di qualsiasi altra cosa, la sua energia fu spesa per impedire ai ragazzi, di farlo.

Da come stavano ringhiando, non sarebbe occorso molto perché la attaccassero ma, almeno per il momento, non avevano bisogno di spargimenti di sangue, quanto piuttosto di risposte.

Muath, forse presagendo a sua volta un’infausta prosecuzione di quell’incontro, lasciò del tutto perdere il confronto con la figlia adottiva e, rivoltasi a Rohnyn, dichiarò aspra: «Immagino sia stato tu a compiere il grosso delle ricerche. Sei sempre stato il più veloce e il più accurato, nello studio, perciò mi domando come tu non ti sia potuto accorgere che mancava una pergamena.»

Il giovane la fissò più che mai strabiliato, colto del tutto di sorpresa da quell’affermazione e Muath, senza lasciargli il tempo di rispondere, aggiunse esasperata: «Dovresti sapere che nessuno dei miei scritti termina senza una mia considerazione personale e, se ben ricordo quello che io scrissi sugli amarok – perché immagino sia questo, il problema, se non ho interpretato male la loro natura – le mie considerazioni erano su una pergamena diversa da quella in cui annotai ciò che avvenne durante il mio esperimento con quelle creature.»

Reclinando colpevole il capo di fronte a quell’ovvietà che, almeno per lui che per secoli aveva studiato sugli scritti della madre, avrebbe dovuto essere scontata, Rohnyn ammise il proprio errore.

Krilash, a sua volta, mormorò contrito: «Nella fretta, devo averla dimenticata nella biblioteca di palazzo. Ma il problema era così pressante che, beh… chi non ha testa ha gambe, dicono…»

«E tu hai sempre avuto ottime gambe, lo so, ma un cervello sempre troppo spesso perso in mille meandri diversi» sospirò Muath, disgustata. «Nessuno di voi ha notato l’ovvio, a quanto pare.»

I tre figli, a quel punto, la guardarono senza comprendere e Muath, suo malgrado, sorrise. Ma fu un sorriso stranamente triste a solcarle il volto e, quando parlò, dolore e frustrazione permearono la sua voce stentorea quanto grave.

«Litha, tu non sei più una fomoriana. La tua rihall è stata neutralizzata perché la tua natura Tuatha potesse emergere completamente. Anche se, nelle tue cellule, il tuo genoma non sparirà mai, ora a dominare è il tuo patrimonio genetico derivato dai figli di Dana» le spiegò Muath, scuotendo penosamente il capo.

Quella semplice constatazione mandò nella confusione più totale i figli e la regina di Mag Mell, nell’osservare ora Rohnyn, aggiunse: «Continui a vedere Litha come una fomoriana, figlio, ma non è mai stata completamente tale. Questo, più di qualsiasi altra cosa, ti ha tratto in inganno, mentre avrebbe dovuto metterti in allarme. Ancora una volta, l’amore ti ha offuscato gli occhi.»

Ciò detto, si rivolse infine a Krilash per aggiungere rigida: «Se avessi ragionato con calma, avresti dedotto tu stesso che gli scritti della nostra biblioteca non potevano andare completamente bene perché erano, per l’appunto, fomoriani. Quanto a te, Litha, avresti dovuto pensare da figlia di Dana, ma invece hai agito come se tu fossi ancora una fomoriana, e questo ti ha tratto in errore. Ancora una volta ti sei appoggiata ai tuoi fratelli per ottenere una soluzione a problemi che tu stessa avevi creato, senza impegnarti in prima persona per ottenerla, e così hai commesso un errore.»

Litha non poté che ammettere le proprie colpe – che sapeva essere vere – e, nel sospirare, domandò roca: «Cosa avremmo dovuto fare, quindi?»

«Cedere all’orgoglio e chiedere a me» sottolineò a quel punto la donna.

I tre figli, di fronte a quella possibilità del tutto inaccettabile, si irrigidirono visibilmente e Litha, per prima, replicò piccata: «L’ultima volta che ci vedemmo, non mi parve di capire che saresti stata particolarmente entusiasta di rivedermi. O intesi male io?»

«Se non mi fosse importato di te, figlia, non sarei salita in superficie per salvare te e il tuo uomo, all’epoca» precisò serafica Muath, fissandola con aria di sfida. «Possiamo non vederla allo stesso modo su molte cose ma, come ti dissi all’epoca, ti dirò ora; tu sei mia figlia perché io decisi che così sarebbe stato. Ti salvai dalla morte e ti portai con noi perché sapevo che saresti rimasta sola in un mondo di dèi che si sarebbe sgretolato dinanzi a te col passare dei secoli, e così fu.»

«Non voglio rivangare il passato, Muath… voglio solo poter aiutare questi ragazzi. Non desidero che diventino dei mostri a causa mia» scosse il capo Litha, l’irritazione ormai pronta a montare come una piena.

«Ma è nel passato, la risposta ai tuoi errori attuali, figlia» precisò Muath, sorprendendo tutti. «Ti sei sempre soffermata a pensare alla parte fomoriana che ti sei lasciata alle spalle, i mac Elathain, e a tuo zio Bress, di cui ancora agogni la testa… ma non ti sei mai domandata di chi fosse figlia Syndra, tua madre naturale, o a quale ceppo Tuatha appartieni.»

Quell’accenno spiazzò completamente Litha che, reclinando colpevole il capo, non poté che ammettere anche quell’errore.

Era tutto verissimo. Per quanto avesse desiderato conoscere la fine dei suoi veri genitori, e le avesse fatto piacere parlare con lo spirito della madre imprigionato in lei attraverso i suoi glifi, non si era più soffermata a chiedersi chi fosse realmente.

Non aveva mai veramente indagato sul suo lato Tuatha. Si era limitata a prendere atto dei suoi nuovi poteri e si era autoproclamata Dagda Mòr, la guida primordiale dei figli di Dana. Era stata molto più che superficiale. Era stata sciocca.

Sospirando, Muath addolcì lo sguardo e mormorò: «Non poteva accadere che questo, visto che sei figlia di sangue passionale, Litha. Discendi da tre divinità legate al sesso e alla luce, ma è una sola, al momento, la divinità che ti sta creando dei problemi.»

«Come?» esalò Litha, più che mai confusa.

«Freyr e Freya, da cui discendono i fomoriani, erano divinità legate alla passionalità, come tu ben sai e, rispettivamente, essi rappresentavano il sole e l’aurora. Le loro energie, perciò, ben si accordano con il potere di Qiugyat, che deriva a sua volta dal sole.»

«Quindi, anche akhlut…?» tentennò Litha.

Muath scosse il capo e replicò: «No, gli akhlut sono legati alla luna, per questo loro sono obbligati a tornare ogni anno al loro nido. La cerimonia del sangue non basta a tenere gli amarok legati a loro. Hanno bisogno della terra e dell’acqua del loro nido, per poterli tenere legati.»

Lo stupore si dipinse sui volti dei presenti e Muath, con lo stesso tono di una maestra irritata di fronte ai propri studenti indisciplinati, aggiunse: «Siete stati davvero pessimi, nell’affrontare l’intera situazione, se non avete studiato neppure i fondamenti di chi stavate affrontando. Sapere se il nemico appartiene alla luce o alle ombre, è basilare. A cosa stavate pensando?!»

Nessuno osò parlare e Muath, nell’avvicinarsi ai tre giovani amarok, ancora turbati e irritati dalla sua presenza, li scrutò dall’alto al basso e mormorò: «Gli akhlut sono legati alle loro terre d’origine, e così il loro potere. Per rinnovare il controllo sugli amarok, essi devono immergesti nelle acque del nido assieme a loro, altrimenti potrebbero perdere il controllo sui loro servi. Le energie accumulate dagli amarok, a quel punto, fluiscono negli akhlut, e il legame torna a essere forte, in loro.»

«Sì, avevamo letto che gli akhlut tornavano per questo motivo al nord, ma non avevamo capito il perché fino in fondo» esalò Litha, sgranando gli occhi. «La luna, quindi?»

Annuendo, Muath asserì: «Per questo, gli amarok legati a un akhlut mutano con il mutare della marea, e cioè quando il potere della luna è al suo culmine. Gli akhlut li legano a loro a questo modo, cambiando i loro schemi originari perché Qiugyat non possa più detenere alcun controllo su di loro. Diversamente, un amarok libero muterebbe con il formarsi dell’Aurora.»

Ciò detto, lanciò uno sguardo in lontananza, dove si potevano scorgere rade stelle intervallate a spruzzi di cirri esili e leggeri. Era così raro, per lei, vedere le stelle, che i suoi occhi le cercavano senza che lo volesse.

Costringendosi a concentrarsi su coloro che aveva innanzi, però, Muath tornò a scrutare il suo uditorio e aggiunse: «Tu non hai questo problema, anzi, oserei dire che hai il problema inverso. Tu hai troppo ascendente su di loro proprio a causa di tutta l’energia proveniente dal sole che hai nel sangue, e questo crea uno squilibrio. Poiché anche Qiugyat, che li creò millenni fa, è una creatura solare, questo vi connette più di quanto non sia necessario.»

«Da chi discendo, quindi, per avere questo squilibrio di potere?» domandò Litha, accigliandosi.

«Discendi da Aengus, il dio della passionalità e dell’amore, che si accoppiò con la madre di Syndra, un’umana, generandola. Perciò, tu hai troppo potere proveniente dall’energia solare, e questo finisce con l’intossicarti.»

«Intossicarmi?» esalò Litha, ora completamente frastornata.

Muath annuì, proseguendo nel suo dire. «In te è concentrato troppo potere divino proveniente dalla medesima fonte, e questo genera una sorta di campo magnetico che attira gli amarok più del necessario. Anche con la rihall assopita, il tuo sangue fomoriano e quello Tuatha si combinano creando questa singolarità che, ovviamente, io non avevo, quando creai il mio amarok

Ciò detto, si spostò per affrontare direttamente la figlia adottiva dopodiché sibilò: «Non da ultimo, hai dimenticato la lezione più importante di tutte, tra quelle che ti vennero insegnate nelle senturion, e ora questi ragazzi ne fanno le spese.»

«Cosa intendi dire?» ansimò la giovane divinità, socchiudendo gli occhi di fronte allo sguardo pieno di disgusto di Muath.

«La disciplina. Ti sei completamente dimenticata cosa voglia dire disciplinare la propria forza, i propri istinti. Ti sei seduta sugli allori, da quando hai abbandonato il mare per la terraferma, e non hai fatto altro che badare al tuo uomo e sfornare figli per lui, come una qualsiasi fattrice» le inveì contro Muath, senza più alcun freno.

Litha incassò il colpo mentre i due fratelli richiamavano all’ordine la madre, ma la fomoriana non aveva ancora terminato di infierire.

«Ti sei glorificata della tua novella divinità, hai pensato che bastasse schioccare un dito per poter ottenere quello che volevi, e hai dimenticato tutto quello che ti era stato insegnato con il sudore della fronte. Niente ci viene dato gratuitamente, tutto ha un prezzo!»

Questo fu troppo, per i tre ragazzi. Chanel strinse subito a sé Litha mentre Liza e Mark si lanciavano contro Muath per fargliela pagare. Era inconcepibile che quella donna si potesse permettere di trattare la loro dea a quel modo!

Krilash, però, fu lesto a creare una barriera d’acqua ghiacciata attorno ai due riottosi amarok, bloccando di fatto il loro attacco e Muath, nel guardarlo compiaciuta, asserì: «Grazie… ma avrei potuto bloccarli agevolmente.»

«Infatti non ho difeso voi, madre, ma loro da voi» sottolineò livido Krilash, sfidandola con lo sguardo. «Che bisogno c’era di far infuriare Litha? Non basta averla qui, disposta a tutto per risolvere il problema? Visto che avete enunciato più che bene le nostre pecche, avreste anche dovuto presagire che questi incolpevoli ragazzi avrebbero tentato di difendere Litha dalle vostre crude parole.»

Muath non gli rispose, limitandosi a osservare i due amarok che, ora tramutatisi in lupi, stavano tentando di aprirsi un varco nel ghiaccio per poterla assalire.

I loro ringhi sapevano di vendetta e di totale devozione alla loro signora e, anche per questo, la fomoriana disse: «Chetatevi. Le mie parole non erano intese a offendere la vostra padrona. Io e lei abbiamo screzi che non dipendono da voi, e perciò voi non ne siete responsabili, né dovete adoprarvi per risolverli.»

«Tutto ciò che riguarda lei, riguarda anche noi!» replicò piccata Chanel mentre Litha, con grandi respiri, tentava di riprendersi dal momentaneo cedimento.

«Siete solo voi, madre, a non credere in simili legami, ma essi sono molto più forti di quelli di sangue» soggiunse atono Krilash, rilasciando poco alla volta la barriera di ghiaccio.

«Una volta risolto lo scompenso, non saranno più così» sottolineò per contro Muath, lapidaria.

«Sarà solo un rapporto più sano, ma la mia gratitudine verso Litha non scemerà di certo, visto che mi ha salvato la vita per ben due volte» replicò Chanel, lasciando andare la sua dea non appena la vide nuovamente in sé. «Provavo per Litha una profonda ammirazione e un grande rispetto già da prima del mio mutamento. Lei si è messa in gioco per noi, e senza neppure conoscerci, pur di liberarci dalle catene che avrebbe potuto imporci akhlut. Anche solo per questo, le sarò riconoscente a vita.»

I due amarok, liberatisi dai ghiacci, rimasero fermi nelle loro posizioni, ma il loro basso ringhio di gola lasciò intendere più che bene che, ulteriori offese, non sarebbero state accettate.

Muath, allora, sospirò, scosse il capo e infine disse: «Siete tutti animati da grandi sentimenti e profonde passioni, ma ciò vi disturba al punto tale da non essere coerenti. Non essere in grado di controllarvi è il vostro principale problema, ed è quello che risveglia il sangue di Aengus presente in Litha. A ogni modo, accoglierò la tua richiesta di aiuto, figlia, e la esaudirò. Non è giusto che, a causa dell’inettitudine dei miei figli, tre innocenti ne paghino lo scotto.»

Litha, Krilash e Rohnyn si guardarono bene dal commentare – se Muath si fosse prestata ad aiutarli, avrebbero accettato qualsiasi ingiuria da parte sua – e la regina di Mag Mell, a quel punto, indicò il nord e aggiunse: «Dovrai condurci verso Qiugyat perché io possa parlarle. Visto che non possiamo eliminare una delle tue due nature, e visto che tu non sembri in grado di tenere a bada il tuo stesso sangue, dobbiamo chiedere un’intercessione alla legittima proprietaria di questi amarok

«E lei sarà disposta ad ascoltarci?» domandò Litha.

«Prega che abbia più pazienza di me» ironizzò Muath allungando una mano verso la figlia adottiva.

A Litha non restò altro che afferrarla e, dopo aver richiamato accanto a sé i due lupi e Chanel, fece un cenno di saluto ai fratelli per poi scomparire.

Krilash si concesse un sospiro solo in quel momento, e guardando dubbioso Rohnyn, domandò: «Noi due che facciamo, adesso, mentre aspettiamo? Ramino? Burraco?»

Rohnyn scoppiò a ridere, di fronte a quella proposta e, nel sorridere ghignante al fratello, replicò: «E’ un po’ che non tiro di boxe… che ne dici se io e te…»

Krilash non se lo fece ripetere. Dopotutto, uno degli sport preferiti dei fomoriani, era fare a botte.

***

Il primo impatto con il Circolo Polare Artico fu di totale meraviglia.

Le splendide onde colorate che si intervallavano nel cielo, abbagliavano lo sguardo e facevano tremare i cuori per l’emozione. Miriadi di panneggi di colore che, dal verde degradavano al rosso o al viola si intervallavano a sprazzi di cielo notturno e punteggiato di stelle.

Il vento polare sferzava le lande innevate di quell’angolo di mondo isolato da tutto e da tutti, ma i presenti non ne risentirono minimamente.

Per loro, l’unica cosa importante era trovare Qiugyat.

L’aurora sanguinaria.

Le Luci del Nord che, millenni addietro, avevano creato il primo amarok.

Muath lanciò uno sguardo verso l’alto, poggiò la mano destra sul pomo della spada che portava al fianco ed esclamò: «Qiugyat, regina delle lande del Nord e padrona dei territori delle nevi perenni, io ti invoco!»

Le onde colorate nel cielo ebbero un guizzo, si fecero di fuoco e, sotto gli occhi sorpresi dei presenti, una donna di bianco vestita e dalla lunga chioma ramata prese forma a poche decine di metri da loro.

Il vento le sferzava le vesti leggere, disegnandone i contorni leggiadri e facendo danzare i capelli in una sorta di nuvola fiammeggiante che contornava un volto splendido ma gelido.

Gli occhi cangianti di Qiugyat riflettevano l’Aurora in cielo, passando dal verde smeraldo, degradando in un più scuro blu notte per poi esplodere in un vermiglio acceso e Muath, nel rendersene conto, disse: «Non siamo qui per lottare, Bianca Signora, ma per chiedere un’intercessione.»

Finalmente QQiugyat parlò e, come il vento sferzava quelle lande desolate, così la sua voce sferzò l’aere, colpendoli con forza.

«Intercessione, Signora dei Mari?! E da quando in qua la potente regina di Mag Mell si piega a simili gentilezze?!»

Litha immaginò senza fatica che Qiugyat si stesse riferendo all’amarok che Muath aveva legato a sé per puro diletto, e senza il benestare della diretta interessata. Sardonica, quindi, lanciò uno sguardo di rimprovero alla madre adottiva che, però, non rispose alla sua sfida, dedicando ogni sua attenzione alla sovrana di quei luoghi.

«Ti concedo questa replica, poiché so di aver peccato di presunzione, con te, ma ora vengo per fare ammenda e per chiedere consiglio per liberare questi tre amarok» replicò Muath con tono quieto, indicando quindi i due lupi e Chanel.

Qiugyat scrutò i giovani indicati dalla regina di Mag Mell e, subitanei, dolore e rimpianto illuminarono i suoi occhi. Con voce ferma, però, ribatté: «Non sono a te legati, signora di Mag Mell, perché quindi parli in vece della dea che me li ha strappati, e che ora non è in grado di gestirli?!»

Litha avanzò di un passo, tenendo per mano Chanel – che pareva piuttosto intimorita dalla presenza di Qiugyat – e, sicura nel tono come nei propositi, disse: «Muath è mia madre adottiva, Bianca Signora, per questo ha parlato in mia vece e, se me lo concedi, ti narrerò gli eventi che mi hanno condotta a legarmi a questi tre giovani.»

La dea scrollò una mano con fare noncurante, come a darle il benestare a parlare, così Litha le spiegò per sommi capi cosa l’avesse spinta a quel gesto istintivo e, a quanto pareva, ben poco ragionato.

«Non intendevo in alcun modo strapparti questi ragazzi, ma salvarli da una akhlut che li voleva per sé. Il suo amarok li aveva feriti e, lo scorso plenilunio, lei ci ha attaccati per averli, così io li ho legati a me per salvarli da lei, ma il mio potere è tossico, per loro, e quindi…»

Qiugyat annuì pensierosa, ora più calma, e mormorò: «In te c’è troppo sole, figlia di Dana. Sei dunque una mezzosangue?»

«Sono in parte fomoriana e in parte figlia della stirpe di Aengus, per questo il mio sangue crea così tanti problemi» ammise Litha, vedendola annuire di nuovo.

«Ben tre stirpi solari unite in una medesima entità. Non è per nulla strano che tu ti senta sopraffatta, se hai anche bevuto il loro sangue» assentì ancora Qiugyat, sorprendendo a quel punto Muath, che guardò confusa la figlia.

Litha annuì suo malgrado, arrossendo e, reclinando il capo, mormorò: «Ho pensato che questo avrebbe rafforzato il nostro legame, impedendo così ad akhlut di portarli via da me, ma… beh, credo che sia stato un grosso errore.»

Ricordava bene gli istanti terribili in cui aveva dovuto ferire i tre ragazzi, al fine di accelerare la loro mutazione. Trattandosi di una Cerimonia del Sangue, aveva immaginato – scioccamente, ora pensò – che suggere qualche goccia della loro linfa vitale avrebbe accresciuto la forza della loro interconnessione.

Dopotutto, anche nello scritto di Muath si faceva accenno alla possibilità di utilizzare quello stratagemma per avere più controllo sugli amarok, perciò aveva ipotizzato potesse essere un buon modo di agire.

Non aveva minimamente pensato che il suo sangue avrebbe potuto congiurare contro di lei, eppure era successo.

Ancora una volta era stata superficiale nell’agire, non aveva pensato in maniera assennata ma, in questo caso, aveva coinvolto nei suoi personali problemi anche tre ragazzi innocenti.

Come dea, valeva davvero poco.

Prima ancora che Muath potesse sgridarla, Qiugyat levò una mano per bloccare l’arringa della regina di Mag Mell e domandò torva: «A che akhlut ti riferisci, giovane dea?»

«Ne esiste più di uno, in vita?» esalò a quel punto Litha, turbata dall’idea che potesse esservi un altro mostro simile in circolazione.

La dea del Nord assentì muta, lo sguardo irritato e feroce, così a Litha non rimase che rispondere.

«Era una donna bionda, alta e formosa. Aveva un amarok che, però, è stato ucciso dalla ragazza che ora è in forma di lupo» le spiegò a quel punto indicando Liza che, uggiolando, andò ad accucciarsi accanto a lei, fedele e protettiva.

Mark, invece, rimase in testa al gruppo, pronto a difenderle a costo della vita.

Chanel, a quel punto, ritenne doveroso parlare perciò, dopo aver deglutito un paio di volte, mormorò: «Li ho sentiti parlare, prima che… prima che uccidessero il mio amico. L’amaror affermava di esserti fedele, di essere un devoto figlio di Qiugyat perché, ogni anno, lui ti idolatrava nel tuo tempio. Ora sappiamo che non è vero, ma l’akhlut glielo aveva fatto credere.»

Qiugyat rise beffarda, scuotendo il capo e, nello scrutare la landa di gelido deserto bianco che li circondava, replicò: «Questo è il mio tempio… e io non incontro un amarok da tempi immemori. Non un amarok mi rimase fedele. Mi vennero tutti strappati dagli akhlut, nel corso dei millenni.»

A quell’ultimo accenno, la voce della dea si fece lamentosa e triste, come se effettivamente la mancanza dei suoi amarok le avesse procurato un dolore reale, e non l’avesse soltanto irritata.

«Se mi avete liberato di quella malfattrice di Zynna, non posso che esservi grata. Lei rubò i miei ultimi amarok molto tempo fa, e io non potei che accettare l’inevitabile» terminò di dire Qiugyat.

«Ma… eppure tu sei qui, dinanzi a noi come lo era lei… com’è possibile che il tuo potere non ti abbia permesso di trattenere gli amarok?» domandò confusa Litha.

Qiugyat allora sorrise mesta e, di colpo, le sue vesti smisero di essere scosse dal vento, così come i suoi capelli. Solo in quel momento, fu loro chiaro l’inganno sottile della dea e, nel notare la trasparenza del suo corpo, Muath aggrottò la fronte e disse: «Sei una proiezione astrale.»

Ella annuì piena di mestizia, mormorando: «Al pari delle Luci che mi rappresentano in cielo, io sono divenuta immateriale, e solo ciò che vedete sopra le vostre teste, permane di me. Non avrei potuto, pur volendo, contrastare il potere di Zynna, così come quello degli altri akhlut che, forti della loro doppia natura, depredarono il mio giardino e fecero loro i miei cuccioli.»

Un’altra proiezione si generò dinanzi a loro, mostrando un immenso e sterminato branco di amarok, accudito amorevolmente dalla stessa Qiugyat. Nei suoi occhi era possibile leggere tutto l’amore che elle aveva provato per loro.

Sospirando, aggiunse: «Lei, così come gli akhlut prima di Zynna, li usò per i suoi turpi scopi, facendoli diventare dei ladri di energia e di vite ma io, per ciò che ero diventata, non potei fare nulla per bloccarla.»

«Poter risucchiare l’energia dagli amarok le ha permesso di non scomparire. Tu, invece, non ti sei mai spinta a tanto, vero?» domandò quindi Litha.

Annuendo, Qiugyat allungò una diafana mano immateriale per carezzare Mark che, dopo un attimo di tentennamento, si lasciò sfiorare da quell’essere incorporeo e immortale.

Qiugyat allora sorrise piena di rammarico, si accucciò accanto a Mark e mormorò: «Zynna, esattamente come gli altri akhlut, sfruttò la sua natura di lupo per legarsi agli amarok, dopodiché li fece diventare dei simbionti perché le fornissero ciò di cui aveva bisogno per restare lontana il più possibile dal suo elemento-madre, e cioè l’acqua. Io non avrei mai osato sfruttare in egual modo i miei cuccioli, e a causa di ciò li persi. Non mi sarei mai abbassata a renderli miei schiavi perché mi permettessero di mantenere corporeità ma, se lo avessi fatto, forse li avrei salvati da migliaia di anni di schiavitù. Erano i miei cuccioli, i miei compagni in queste lande desolate… e loro me li portarono via tutti.»

Il dolore di Qiugyat si fece cocente, quasi fisico, e Litha poté avvertirlo sulla pelle al pari degli amarok, che uggiolarono pieni di pietà nei confronti dell’infelice dea.

«Io non voglio renderli schiavi» sottolineò Litha, sperando che la dea del Nord le credesse.

Quest’ultima si levò in piedi dopo un’ultima carezza a Mark, assentì e disse: «Il tuo amarok me lo ha appena confermato… perciò, ti aiuterò a gestire questo legame. Essi non possono vivere liberi perché, mio malgrado, li avevo creati perché fossero legati a me. Mancando i miei poteri, un altro dio se ne deve prendere cura, perciò sono lieta che tu non voglia asservirli, ma amarli.»

«Grazie… per qualsiasi cosa tu sarai in grado di insegnarmi» mormorò ossequiosa Litha, prima di chiederle: «Cosa devo fare?»

«Ti addestrerò, così che tu sappia come incanalare le energie per poi ridistribuirle in modo corretto» le spiegò la dea, carezzando anche Liza prima di sorridere a Chanel e fare lo stesso con lei. «Dovrete rimanere con me per qualche tempo ma, alla fine di questo periodo di apprendistato, non sentirete più questo impulso irrefrenabile di donarvi a lei, come lei a voi. Sarà un rapporto egualitario e non più sbilanciato.»

Ciò detto, scrutò spiacente Chanel, le avvolse il viso tra le mani prive di sostanza e aggiunse: «Mi spiace per il tuo amico. Sento quanto dolore porti con te nel cuore. Se Madre me lo concederà, diverrà Luce al mio fianco, nel cielo del Nord e, se tu lo vorrai, potrai vederlo quando l’aurora splenderà di notte.»

Calde lacrime scivolarono dagli occhi di Chanel, mentre Qiugyat le baciava le guance e, annuendo, mormorò: «Sarebbe bellissimo, se ciò avvenisse. Fergus amava le Luci del Nord.»

«Lo farò presente a Madre, allora» dichiarò a quel punto Qiugyat prima di rivolgersi a Litha con aria triste e aggiungere: «Ti insegnerò ad amarli nel modo giusto, così come li avrei amati io.»

«Te ne sarò eternamente grata» annuì Litha, lasciando che Qiugyat la baciasse sulla fronte.

 

 

 

N.d.A.:  finalmente scopriamo chi è Qiugyat, e quanto l'aklut ha sempre mentito al suo amarok. Chissà come intenderà aiutare Litha, e quali insegnamenti potrà darle?

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale > Licantropi / Vai alla pagina dell'autore: Mary P_Stark