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Autore: Atlanteidos    29/01/2021    2 recensioni
Hatfield House non prende il nome dai suoi proprietari, ma dal suo costruttore: non di meno, Rose e le sue cugine l'hanno sempre considerata come una seconda casa.
Quando si riuniscono lì tutte insieme, per la prima stagione della piccola Leslie, nessuna di loro è ancora consapevole di cosa il futuro ha in serbo per loro: solo una cosa è certa, il matrimonio ne deve essere l'atto finale, soprattutto per le sorelle Duvette.
Fra convenzioni e convinzioni, libri, gentiluomini e una famiglia preziosa, la stagione delle ragazze di Hatfield House, attraverso lo sguardo di Rose.
© Tutti i diritti riservati - eventuali riferimenti a persone o eventi reali, odierne o del passato, sono puramente casuali.
Genere: Fluff, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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Capitolo 15
Ginevra si sposa


 
In generale, ma particolarmente durante i suoi soggiorni nello …Shire, Rose non era abituata a ricevere posta: i suoi unici interlocutori erano i suoi genitori, i suoi nonni o le sue cugine, ed entrambi si trovavano di solito nella sua stessa abitazione, quand’erano nella casa di famiglia.
Così, quando iniziarono ad arrivarle pacchi e pacchetti, a giorni alterni, diretti proprio a lei, la sua sorpresa fu enorme.
Il primo giorno, come tutti gli altri prima di quello, quando la governante, Mrs. Lync, aveva annunciato la posta, neanche si era mossa dal divano: i suoi genitori erano in viaggio dal giorno precedente e non avrebbe avuto alcun senso scriverle.
In sottofondo aveva solo distrattamente ascoltato la governante consegnare una lettera a sua zia, da parte di una delle deliziose signore che avevano conosciuto durante il loro soggiorno a Bath, ed a Ginevra, Mr. Bow senza dubbio, prima di inviare il restante carteggio nello studio al piano superiore, dove avevano preso a lavorare suo zio e suo nonno.
E poi le aveva porto un pacco.
Il pacchetto non era molto grande, poco più piccolo di un libro, né molto pesante.
Rose lo scartò perplessa, sotto gli occhi curiosi di sua zia e sua nonna, mentre Ginevra si apriva in un sorriso.
All’interno, ben avvolta in diversi strati di carta, una specie di tegola di vetro, iridescente e bellissima.
Al di sopra, vergato in una scrittura a lei ormai ben famigliare, la scritta “Vetro di Murano, Venezia”: null’altro: né una firma, né una lettera, nè un biglietto.
- Cos’è? – domandò Mrs. Duvette, dall’altro lato della stanza.
Rose scosse la testa, girandosi fra le mani il quadrato di vetro.
- Non ne sono sicura –

Nei giorni seguenti, mentre il matrimonio si avvicinava precipitosamente e le giornate sembravano diventare sempre più corte, la posta del mattino era divenuta il momento preferito d’intrattenimento di tutta la famiglia.
Una volta le arrivò una marionetta in armatura e pennacchio, un’altra un cornetto rosso sgargiante grande come un pollice, un’altra ancora un plico di carta raffinatissima.
Ogni dono era accompagnato da un biglietto, che ne spiegava il contenuto “pupo siciliano”,corno napoletano”,carta di Amalfi, Napoli”, ma null’altro.
Se da un lato anche lei al mattino oramai si svegliava curiosa di scoprire cosa l’avrebbe aspettata, felice tra sé e sé che anche se distante William continuasse a pensarla, dall’altro le sembrava non facessero altro che ricordarle quanto lontano doveva essere.
Le aveva detto, l’ultima volta che avevano discusso, che sarebbe partito solo dopo il matrimonio di Ginevra, e lei aveva preso quell’occasione come una per prendere definitivamente commianto dal gentiluomo.
In compenso, l’arrivo dei suoi genitori fece molto per distoglierle la mente dall’uomo e dai suoi regali: sua madre l’aveva travolta, con la sua energia, e aveva insistito perché le raccontasse, fino all’ultimo dettaglio, gli avvenimenti degli ultimi mesi.
Inutile dire, Rose si era trovata ad omettere diversi dettagli, non desiderando, seppur stupidamente, che sua madre, si facesse una cattiva opinione di Mr. Hatrow.
Suo padre, com’era suo solito, era stato più discreto, continuando strenuamente a lavorare, anche se da lontano, e passando la maggior parte del suo tempo libero nelle stalle, dove, come amava dire suo nonno, sembrava andare perfettamente d’accordo con gli stallieri.
Non aveva del tutto torto, soprattutto perché suo padre sembrava saper parlare la loro stessa lingua, mentre Mr. Duvette non avrebbe saputo neanche distinguere una giumenta da uno stallone.
I preparativi per il matrimonio, intanto, proseguivano a ritmo battuto: il vestito da sposa di Ginevra, un abito meraviglioso in tulle e seta, era pronto, così come quello di tutto il suo corteo nuziale.
Se Leslie sembrava trovare immensamente divertente provare abiti su abiti ogni volta, nelle mani delle sarte, Rose pensava che l’essere punta, palpata e strattonata, il tutto mentre in equilibrio su uno sgabello, fosse decisamente troppo per lei.
Nonostante questo, il suo vestito le sembrava bello: era di un tenue rosa, che non stonava come avrebbe temuto con il suo incarnato, e delle maniche un po’ scampanate che le coprivano anche il dorso delle mani.
Ad un paio di giorni dal grande evento, tutta la famiglia rientrò a Londra, dove, nella grande proprietà di Mr. Bow, si sarebbe tenuta la festa.
Quando arrivò la sera prima del matrimonio, lei, Leslie e Ginevra dormirono tutte nello stesso letto, come da bambine, dando modo alla futura sposa di salutare la sua nuova vita con una tradizione di quella vecchia.

Il giorno del matrimonio fu caotico: Rose, anche sforzandosi, non sarebbe riuscita a ricordarne neanche una parte.
La mattinata era volata, casa Hatfield forse non era mai stata tanto affollata, ed in men che non si dica si era trovata in chiesa, il suo piccolo bouquet in mano, incastrata fra i suoi nonni e Leslie e Mr. Lewis, mentre sua cugina smetteva di essere Miss Ginevra Duvette, e diveniva Mrs. Ginevra Bow.
Mr. Bow, accanto a lei, era tanto emozionato da essere stato prossimo alle lacrime, quando aveva visto la sposa entrare, al braccio di suo zio.
Era stata così presa dal guardare gli sposi, che non si era resa conto dell’arrivo di Mr. Hatrow, che aveva preso posto in fondo.
A dire il vero, non aveva neanche notato l’uomo all’uscita, ritrovandosi così con il cuore in gola quando se l’era trovato davanti, mentre prendevano posto per il pranzo.
Fortunatamente, questa volta nessuno aveva avuto la malaugurata idea di metterli l’uno accanto all’altro, evitandole quest’imbarazzo.
Aveva così proseguito a sfuggirgli ed ignorarlo per tutto il resto della festa, in tremendo dubbio se parlargli o meno: doveva forse ringraziarlo per i suoi regali?
O forse, vista la mancanza di firma o biglietto, desiderava rimanere anonimo?
Voleva solo farsi perdonare per il suo precedente comportamento o forse rappresentavano una vera e propria offerta di pace?
Prendere una decisione sarebbe stato senz’altro più semplice se non fosse stato per lo sguardo dell’uomo, che sentiva sulla schiena ogni qual volta che si muoveva, e che sembrava non volerla lasciare un attimo.
Alla fine, furono proprio le danze, tanto a lei sgradite, a tradirla.

Si era infatti riparata, dopo aver assistito ad un primo ballo fra marito e moglie, su una panchina dietro una delle fontane della villa, mentre tutti gli altri ospiti scendevano, felici, sulla pista da ballo.
Anche da lontano, era impossibile non vedere l’abito bianco di Ginevra quasi fluttuare fra quelli colorati degli ospiti, festeggiando l’inizio di una nuova vita.
Tanto era presa dalla sua osservazione, che sobbalzò quando Mr. Hatrow, apparentemente dal nulla, le si sedette accanto.
- Neanche il matrimonio di vostra cugina riesce a farvi danzare, Miss Griffiths? –
- Neanche il matrimonio del vostro caro amico riesce a farvi danzare, Mr. Hatrow? – ribattè lei, vagamente piccata dal tono noncurante di lui.
Come se nulla fosse mai accaduto.
- Touché – Mr. Hatrow quasi sorrise, scuotendo la testa, prima di continuare – Possiamo affermare entrambi di essere testardamente coerenti, allora, non importa la circostanza -
Rose sbuffò, ma non si voltò a guardarlo, sempre più sbalordita da quel chiacchierare inutile.
- Oh, un’affermazione in evidente contrasto con alcune delle ultime parole che mi ha rivolto, sull’incostanza, credo -
Accanto a lei, Rose sentì chiaramente l’uomo raggelarsi, con sua soddisfazione.
- Ha qualcosa di cui parlarmi? Perché altrimenti desidero ringraziarla per i suoi regali, ma se alcuni regali sono le uniche scuse che intende farmi per il suo comportamento, la devo avvertire che non importa quali e quanti beni materiali … - continuò poi, prima di essere interrotta dal balbettare dell’uomo.
- No, assolutamente, era proprio di quello che volevo parlarle, io … – l’uomo sembrò prendere fiato, prima di voltarsi del tutto nella sua direzione e riprendere, con poca più convinzione – desidero chiederle perdono per il mio comportamento. E capisco benissimo se lei me lo vorrà rifiutare, e con le mie spiegazioni non voglio in ogni caso giustificare il mio comportamento, ma quantomeno motivarlo, in modo tale che non mi reputi un pazzo -
L’uomo si fermò, in evidente attesa della sua approvazione, e Rose gli fece segno di continuare, senza voltarsi nella sua direzione, spaventata dalla sua stessa espressione.
- Bene, io … quella sera a teatro, nel momento del nostro incontro, ero terribilmente scosso da ciò che Michael, Mr. Mulligan, mi aveva raccontato, quand’ancora sembrava fosse convinto non potesse trovare altro amore all’infuori di sua cugina. Lei sa quanto io tenga al ragazzo, e non ho saputo in quell’occasione per nulla affrontare la situazione con il distacco dovuto, come poi ho fatto, grazie a persone più saggie di me: per questo le devo chiedere perdono una prima volta. E poi, nel momento in cui mi ha dichiarato il suo affetto… non avrei mai potuto rifiutarla, Miss. Sono rimasto sconvolto: mi ero sempre solo permesso di sperare, e, anche se dopo Oxford le mie speranze sembravano aver fondamento, le sue parole mi hanno lasciato così profondamente meravigliato che non ho potuto reagire come avrei dovuto, e voluto. Io… avere la possibilità di dirle e dimostrarle che ricambio profondamente il suo affetto, mi renderebbe l’uomo più felice del mondo -
Rose, a quelle parole, non poté più trattenersi, e si voltò con il cuore in gola a guardare l’uomo seduto accanto a lei, come quella sera non era ancora riuscita a fare.
Mr. Hatrow doveva essersi tolto il cappello ad un certo punto durante il suo discorso, perché ora lo stringeva fra le mani con veemenza.
I capelli, i ricci che tante volte gli aveva visto cercare di domare, ora erano scompigliati, ogni boccolo in una direzione diversa, aveva le guance scavate, più scavate dell’ultima volta che si erano incontrati, ma gli occhi brillanti, pieni di vigore e, forse, speranza.
Mr. Hatrow fece come per avvicinarsi e prenderle le mani, ma poi, considerando come potesse risultarle un gesto sgradito, si tirò nuovamente indietro, timoroso.
- Non capisco, allora, Mr. Hatrow, perché rivolgermi parole dure come ha fatto durante la festa di fidanzamento? – ribattè, ancora perplessa.
Mr. Hatrow abbassò la testa, in imbarazzo.
- Perché temo di non essere l’uomo che lei credeva, o meglio: perché sono un idiota. Quella sera mi sono recato alla festa con l’intenzione ben precisa di scusarmi con lei, ma a causa della mia scempiaggine e di alcune parole poco chiare di Mr. Cruise, ho pensato lei si fosse fidanzata con Mr. Lewis: il mio orgoglio ed il mio ego hanno prevalso e, con mio immenso imbarazzo, mi hanno portato a fare quella penosa figura. Anche per questo Miss, le devo chiedere perdono. Le mie parole sono state inconsiderate ed immeritate -
Tra le molte reazioni che l’uomo si era prospettato, una sonora risata non era decisamente fra queste: eppure Rose era davanti a lui, con la testa piegata all’indietro e quasi gli occhi lucidi dal divertimento.
- Mr. Lewis? Davvero? – disse, e il cenno positivo di Mr. Hatrow la fece nuovamente ridacchiare – Lei su una cosa non sbaglia, è davvero un idiota -
A quelle parole, anche Mr. Hatrow si aprì appena in un sorriso, prima di riabbassare la testa nel momento in cui Rose non aggiunse nulla.
- Allora, questo è tutto. Non desidero rubarle altro tempo, e le rinnovo ancora le mie profonde scuse… - fece allora, facendo per alzarsi.
Rose, che fino a quel momento si era limitata a guardarlo, cercando di assorbire le sue parole, comprese improvvisamente che non desiderava se ne andasse.
In quel momento e, con molta probabilità, in generale.
- No! – disse, prima di rendersi conto di essere forse stata troppo irruenta – Io… mi ha dato molto a cui pensare, negli ultimi tempi, William. Ma apprezzo le sue scuse e, se in futuro mi promette di venire a parlarmi civilmente, prima di fare assunzioni… irrealistiche, posso anche accettarle -
William si illuminò tutto, risiedendosi e questa volta facendo cadere il cappello per terra, prendendole le mani e stringendole fra le sue.
- Oh Rose, certo, qualsiasi cosa desideri. Farei qualunque cosa per riavere non il suo affetto, che mi rendo conto aver perduto per sempre, ma almeno la sua amicizia -
Rose, a quella frase, arrossì fino alla punta dei capelli e abbassò lo sguardo.
- Ne sono felice. Ma mi spieghi, allora, il perché dei suoi regali. Sono molto belli, non mi fraintenda, ma senza alcun biglietto, o spiegazione… ho creduto lei fosse in Italia –
Mr. Hatrow scosse la testa, passandosi una mano sul viso, lasciando la presa su una delle sue.
- E’ molto stupido, anche quello. Nonostante il mio comportamento… ho pensato, ho sperato… lei potesse perdonarmi e venire in Italia con me. Ora vedo come sia una pretesa impossibile ma… i miei regali erano finalizzati a questo – disse, anche lui con le guance rosse dall’imbarazzo.
Rose lo osservò per un minuto, godendosi il breve lusso di poter guardare senza essere guardata.
Era stata, ed era ancora, innamorata di quell’uomo.
E nonostante tutto, in cuor suo, sentiva di averlo già perdonato.
Era questo sufficiente a riaprirgli il suo cuore? Non lo sapeva, e non poteva saperlo.
Di certo le dava molto ben sperare come avesse riconosciuto e ammesso le sue colpe, nel chiederle, senza pretenderlo, perdono.
E forse stava sbagliando, ma non poteva forzarsi in alcun modo a fare ciò che il suo cuore in quel momento le comandava.
- E se non fosse una pretesa impossibile? – disse soltanto, ma l’uomo davanti a lei rialzò immediatamente la testa, gli occhi di nuovo brillanti di speranza.
- Come? -
Rose si dovette trattenere dal ridacchiare, prima di ripetere piano.
- E se non fosse una pretesa impossibile, William? -
- Allora glielo domanderei immediatamente, senza perdere un attimo -
I due si scambiarono un sorriso complice, mentre a poca distanza da loro le danze continuavano, imperturbate da loro.
- Ma, William, temo la sua proposta non sarebbe comunque dignitosa: di certo una signorina nubile come me non potrebbe mai andare in giro per l’Europa con un uomo non sposato come lei! – fece allora Rose, ridacchiando e fingendosi scandalizzata, ma senza alcun fine.
Eppure improvvisamente William iniziò a guardarsi intorno, come nervoso.
Prima ancora che potesse domandargli cosa stesse accadendo, l’uomo riprese a parlare.
- Io, non potevo neanche sperare di arrivare a questo punto, non ho con me l’anello … ma Rose … -
Resasi conto che le sue parole erano state mal interpretate, Rose si affrettò a correggersi.
- William, non era mia intenzione … -
- No, no! Rose, ho comprato un anello per te prima ancora di Oxford, sperando che prima o poi sarei riuscito a cogliere un qualche tuo gesto di affetto palese… ma ora, non avrei mai immaginato … - stava dicendo, ma il sorriso divertito di Rose lo fermò.
E, finalmente, gli fu chiaro che poco importavano i regali, poco importava un anello, e sorrise anche lui.
Rose lo guardò sorridente, quasi compiaciuta, mentre si inginocchiava nel terreno vicino la fontana, sporcandosi le ginocchia, e le stringeva le mani, gli occhi quasi lucidi.
- Mia cara Rose, mi vuoi sposare? –

Rose e William riuscirono a contenere la loro comune gioia, almeno fino alla fine della giornata: un desiderio comune, per non distogliere l’attenzione dai due sposi.
Solo più tardi, quella sera, quando le famiglie degli sposi si furono ritirate in uno dei salotti di villa Bow e tutti gli altri invitati furono andati via, che diedero la lieta nuova.
E se fosse potuto esserci un finale più felice, a quella giornata, nessuno ne sentì la mancanza.  









A tutti coloro che hanno dedicato un po' del loro tempo a leggere questa storia. 
Grazie. 
   
 
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