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Autore: Nirvana_04    31/01/2021    3 recensioni
Reduci di una guerra non ancora finita, sopravvissuti di una generazione di ribaldi e avventurieri. Spiriti smarriti, anime rotte, corpi su cui la vita ha tatuato dolori e volti di fantasmi.
Una raccolta ricamata su solitudini e cicatrici.
1. Avanzi ~ Vorresti parlare, ma nel silenzio riconosci l’unica voce che ti è rimasta
2. Abbastanza ~ Lily è il veleno nei suoi respiri
3. Parlami nei sogni ~ Al ritmo di quei ricordi, tu danzi
4. Perdono, perdona ~ dieci macchie saltellano nell'aria
5. Resta sulla pelle ~ abbiamo rubato attimi di felicità al mondo
6. Rubare il silenzio ~ la paura… ha reso sordo il mondo
7. In fondo alla scatola ~ c’è la polvere che riveste ogni cosa
8. Inseguendo la tua assenza ~ Magari non mi ha riconosciuto
9. Mentre la neve cade ~ Non esiste più un posto dove nascondersi
10. Mi scorderò dei fiori d'angelo ~ «E tu dov’eri? Per chi combattevi?»
11. Infine, l'estate ~ Tu ricordi
12. In altrettanti modi ~ Brinderemo assieme, un giorno
13. Quell'abbraccio, alla fine del mondo ~ Va tutto bene, papà
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Potter, James Potter, Remus Lupin, Severus Piton, Sirius Black
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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In fondo alla scatola
 


 
In fondo alla scatola, sono rimasti soltanto ricordi.
Sirius scava a mani nude pur di tirarli fuori dal fango. Scava con ferocia selvaggia, spezzandosi le unghie e il cuore, macchiandosi il sorriso e l’anima. Scava, mangiando colpe e sputando rancore. Scava.
E mentre lo fa, Sirius affonda sempre di più, dimenante e collerico, e il fango gli s’appiccica addosso; gli schizza sugli occhi, scende giù nella gola, cola dai denti snudati. Poco alla volta macera il sangue e obnubila la mente, fino a quando tutto secca – fango, sangue, senno – e lui può grattarli via.
Restano i solchi però, solchi dappertutto. Solchi sulla pelle e solchi sulle pareti. Solchi che il mostro che abita con lui quella cella viene di notte a riempire. Li riempie con il tormento, li riempie con il rimorso, alle volte li riempie pure con una risata isterica. A Sirius non importa, il mostro può dilaniarlo, rattopparlo o divorarlo pure se vuole. Ma non deve toccare i suoi ricordi. A quelli, Sirius fa la guardia.
Non dorme Sirius, non dorme il mostro. Di giorno si fissano in cagnesco, di notte si contendono i fantasmi di risate e corse sul prato come fossero ossa. Se piove, si ringhiano a vicenda. Se la luce del sole inonda il pavimento, si ritirano ognuno al proprio angolo scuro. Fanno così per un po’. Sirius è convinto che fanno così da un secolo ormai, il mostro lo guarda con la tranquillità di chi ha aperto appena adesso gli occhi sul mondo. Ma non è un mondo quello, è soltanto una scatola.
In fondo alla scatola, camminano le ombre a piedi scalzi.
È un suono molesto, un suono sbagliato. È il suono di cose annegate che tornano a galla con un risucchio viscido. Sirius non può fare un passo senza udire quel risucchio.
James… fa l’eco dei suoi passi. Rimbomba tra quelle quattro pareti, se Sirius chiude gli occhi forte abbastanza, può sentire la pallida ombra camminargli a fianco, un passo dietro. Sirius fa un passo, l’ombra fa un passo. E quando Sirius è troppo annoiato per farsi inseguire, e il suo corpo sedimenta sul pavimento, allora quel nome raschia contro la pietra, e si ode uno sciabordio, in fondo alla scatola, di cose che stanno per annegare di nuovo.
Sirius allora trascina le ombre con sé contro la parete, e il fango adesso gli arriva alla cintola. Se lo stringe al petto quel nome, si stacca lembi di pelle per poterselo cucire addosso e tenerlo al caldo. Quantomeno all’asciutto. In un mondo migliore, quel nome avrebbe dovuto dilagare, ma quella è soltanto una scatola.
In fondo alla scatola, c’è un minuscolo foro attraverso il quale potrebbe guardare fuori.
Potrebbe infilarci un dito e strappare un pezzo di parete. E un pezzo di parete per volta, potrebbe aprirsi un varco e scappare. Potrebbe tornare a camminare per il mondo. Potrebbe tornare a ridere e a correre sui prati assolati. Potrebbe tornare a essere un uomo libero. A essere di nuovo un uomo.
A Sirius tutto questo non importa.
Non gl’importa d’ingrigire dentro una prigione – il mondo, fuori, ha preso fuoco, ogni cosa è avvolta dal fumo e nevica cenere.
Non gl’importa di sporcarsi i vestiti e le mani – il fango ha lo stesso colore del sangue rappreso.
Non gl’importa se la melma ormai ha raggiunto quasi il tetto – l’aria puzza di cose morte, di cose perdute.
Sirius siede sul fondo e trattiene il respiro.
In fondo alla scatola, c’è tutto quello che desidera.
 
 
 
In fondo alla scatola, sono rimasti soltanto ricordi.
Walburga esige che vengano tirati a lucido ogni giorno. Lo esige con una fretta disperata, quasi pensi che da un momento all’altro la porta di casa possa aprirsi e la sua famiglia rincasare. Lo esige, e arriva persino a raddrizzare lei stessa alcuni quadri. Deve esigerlo.
E quando lo fa, la voce di Walburga si fa un pochino più gracchiante, angosciata e rigida, e il pulviscolo le vortica davanti alla faccia; volteggia per le stanze, riposa sui vecchi cimeli, appesantisce le ragnatele sui lampadari. Poco alla volta forma uno strato sopra ogni cosa, fuori e dentro di lei, finché anche la luce delle candele sembra farsi stanca e malata.
Pensava di aver creato una famiglia che neanche il paradiso avrebbe potuto smuovere, una famiglia come nessun’altra. Una famiglia indistruttibile. E mentre aspetta che ritorni, Walburga siede in mezzo ai suoi sogni infranti, siede in mezzo alle sue aspettative crollate, in mezzo persino ai rimpianti inconfessati. Ha tanto tempo adesso per trastullarsi con le foto e i ritratti, Walburga, ripescare dal fondo della mente le lezioni imparate a memoria e ripeterle ancora e ancora e ancora.
Ripete il motto di famiglia Walburga, si aspetta che lo facciano anche le persone nelle foto. Sorseggia il tè mentre ricorda al ritratto di suo marito di non rivolgere più il saluto allo sventurato, addenta una tartina mentre insegna a suo figlio lo sdegno col quale guardare la cugina rinnegata. Se un clacson suona, strilla a tutti di non interromperla. Se qualcuno bussa alla porta, si ritrae dietro le tende e aspetta che vada via. Walburga esige e aspetta. Si convince che non è passato poi così tanto da quando ha iniziato ad aspettare, ma c’è la polvere che riveste ogni cosa, persino le sue spalle. Forse è neve. Ma non è il mondo fuori quello, è soltanto una scatola.
In fondo alla scatola, camminano le ombre a piedi scalzi.
È un fruscio impercettibile, di passi nudi che sgattaiolano di sopra. È il frusciare di vesti a brandelli, rosicchiate dalle tarme, che risvegliano i fantasmi di cose carbonizzate. Walburga fiuta odore di bruciato ovunque vada.
Regulus… fa il suo cuore lacerato. Lo cerca tra quelle quattro pareti, si aggrappa alla balaustra per non crollare a terra e lo chiama, grida forte il suo nome. Walburga lo cerca in ogni corridoio e in ogni stanza. E quando non trova più la forza di aprire quelle dannate porte, si convince che spiando dal buco della serratura lo vedrebbe esercitarsi nella sua stanza. Lui e quel suo piccolo musino ben stretto, lo sguardo fiero e concentrato.
Walburga allora scivola lungo il muro, poggia un orecchio alla porta, le mani sulla maniglia, e a labbra strette intona una melodia. Ma non la apre mai quella porta, non vuole disturbare il suo piccolo uomo, piuttosto rimane in attesa, mentre i capelli imbiancano e la crocchia si sfalda. Rimane con la mano sulla maniglia. Se quello fosse un mondo giusto, Walburga entrerebbe e danzerebbe con lui, ma quella è soltanto una scatola.
In fondo alla scatola, c’è un minuscolo foro attraverso il quale potrebbe guardare fuori.
Potrebbe ruotare il chiavistello e spalancare la finestra. E senza i vetri opachi a rattristire la stanza, potrebbe lasciare che i raggi del sole si stiracchino sulla moquette. Potrebbe pettinarsi i capelli e sciogliere lo scialle. Potrebbe sedersi allo scrittoio e scrivere una lettera. Potrebbe organizzare un ballo. Un ballo per la sua perfetta famiglia.
Potrebbe, ma non lo fa.
Walburga sorseggia il tè col camino freddo – il mondo è una gabbia fredda, ogni cosa appassisce e muore.
Walburga vaga per i corridoi chiacchierando con i fantasmi – non importa se sono muti, Walburga non ha mai ascoltato una singola risposta.
Walburga appoggia la guancia alla parete dell’ingresso – ormai ci sono ragnatele persino sul suo cuore.
Resterà là, in attesa che la sua famiglia ritorni.
In fondo alla scatola, c’è tutto quello che desidera.



 

N.d.A.

Siamo finalmente giunti al giro di boa.
Questo capitolo, così freddo e cantilenante, asimettrico pure, è tutto dedicato alla famiglia Black. Ancor meglio, i suoi protagonisti sono due dei personaggi che più mi affascinano, soprattutto per quanto concerne il loro rapporto: Sirius e Walburga, un figlio e una madre, unici supertisti della loro gloriosa famiglia. Mi sono sempre chiesta se una parte di Walburga pensasse ogni tanto a lui, al figlio rinnegato e rinchiuso in prigione. E questa è - in parte - la mia risposta, la mia personale versione.
Walburga è essenzialmente una persona orgogliosa, e se ha pensato a Sirius lo avrà fatto in termini esplicitamente non affettuosi. Il figlio è in prigione, ma anche lei lo è.
E qui entra in gioco il titolo e quelle quattro frasi che si ripetono in entrambe le flash (allungate, sorry but not sorry). Ho usato il grassetto, cosa che odio con tutta me stessa fare in un testo, perché volevo rendere visivamente l'idea delle quattro pareti dentro le quali si muovono i personaggi. Quattro pareti essenzialmente uguali; sono le anime al loro interno che cambiano e sono radicalmente diverse. Ecco, il testo, nella sua forma più visiva e stilistica, vuole rappresentare questo. Assieme, ovviamente, al gioco con la terza persona che dovrebbe dare distacco. I testi, poi, sono diversissimi tra loro: se quello di Sirius ha una forma cantilenante, a più riprese, che vuole scandire un po' la sua discesa verso il rimorso e la pazzia; quello di Walburga è più scorrevole, più malinconico, perché alla pazzia/solitudine Walburga si approccia con piglio severo e rigido. Mentre Sirius annaspa, lei attende composta (o quasi).
Ultima cosa che volevo sottolineare: Sirius e Walburga hanno una perdita in comune, ma avrebbero anche qualcuno al quale poter pensare con conforto (l'uno all'altra, sono madre e figlio), invece Sirius è completamente avvinto dalla perdita di James, mentre Walburga rivolge tutte le sue vane speranze su Regulus morto.
Concludo velocemente dicendovi che "Pensava di aver creato una famiglia che neanche il paradiso avrebbe potuto smuovere, una famiglia come nessun’altra. Una famiglia indistruttibile." sono ispirate dalla canzone "Dynasty" che Ele Linalee mi ha involontariamente fatto conoscere. Ci tenevo a ringraziarla anche qui.
Ho finito, per ora.

Questa storia è candidata agli Oscar della Penna 2022 indetti sul forum Ferisce più la penna  
   
 
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