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Autore: Juriaka    12/02/2021    6 recensioni
[AtsuHina | Coffee shop!AU]
Atsumu, nell'amore a prima vista, non ci ha mai creduto. Quando però entra in un bar senza nome per ripararsi dalla pioggia, è costretto ad ammettere di essersi sempre sbagliato.
(Oppure, Atsumu beve decisamente troppo caffè e tenta di sedurre Shouyou con delle freddure agghiaccianti.)
II classificata al contest ''Let's cliché'', indetto da _Vintage_/Ever_after sul forum di EFP.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Atsumu Miya, Shouyou Hinata
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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(Parte II)


Atsumu ha iniziato a frequentare il bar sempre più spesso, e Shouyou non potrebbe essere più contento. La mattina viene sempre, sempre a trovarlo - o meglio, a ordinare il suo caffè - e il martedì e il giovedì pomeriggio, perché quelli sono gli unici giorni della settimana in cui Shouyou lavora full-time, Atsumu varca la soglia con i libri sottobraccio e il portatile nel fodero, rigorosamente senza ombrello. Poi s’accomoda al tavolino vicino alla finestra, e Shouyou gli porta una bibita e qualcosa da sgranocchiare mentre le gocce di pioggia punteggiano la superficie di vetro. Si diletta a fargli provare dolci nuovi, biscotti e muffin che prepara lui (preferisce quelli alle carote, rispetto a quelli al cioccolato, e non gli piace la marmellata all’albicocca) alternando caffè a cioccolate calde. E Atsumu studia, lo guarda, e studia di nuovo. Il pomeriggio, grazie all’assenza della folla brulicante, Shouyou ha la possibilità di notare dei dettagli. Per esempio, Atsumu utilizza sempre la penna blu, e la sua scrittura è piuttosto disordinata, a tratti indecifrabile (Shouyou l’adora). Quando Atsumu è concentrato, poi, non sbatte quasi mai le ciglia (Shouyou s’incanta). Quando Atsumu invece sbaglia, sporge fuori il mento, schiocca la lingua e strabuzza gli occhi in una maniera buffissima (Shouyou è cotto perso, partito, completamente andato).
Durante il mattino, invece, Shouyou, oltre al caffé, ha preso l’abitudine di  porgergli sempre una brioche o un cornetto da mangiare (‘’perché la colazione è il pasto più importante, Atsumu-san!’’, gli dice), e presta attenzione a selezionare i saccottini con più ripieno all’interno, o i cupcake più grandi e soffici. E Atsumu sgranocchia tutto ciò che Shouyou gli pone di fianco alla tazza, e si lecca via le briciole dagli angoli delle labbra (labbra perfette). Shouyou, tra sé, si domanda se un giorno non possa leccargliele via lui, dalle guance, i rimasugli di biscotto e pasta frolla. E se non possa poi leccargli il collo, perché di certo deve avere un sapore buonissimo, e infilargli i denti nelle spalle, e le unghie nella schiena, e baciarlo sino a fargli mancare l’aria. Però, Shouyou vorrebbe anche andare al cinema insieme (è certo che Atsumu adori il genere post-apocalittico), o all’acquario, o a prendere un gelato, o a correre al parco. Shouyou fantastica spessissimo su di lui, si diverte a immaginare i suoi gusti, ed è curioso di scoprire quante cose ha indovinato sul suo conto e quante invece no. E vorrebbe fargli domande su cosa studia, sull’università che frequenta, e vorrebbe raccontargli di quando era stato in Brasile, a Rio, o parlargli di sua sorella Natsu, e…
‘’Shouyou-kun’’ dice Atsumu, e Shouyou sussulta. ‘’Mi daresti anche un…’’
‘’Alle dodici’’ lo interrompe l’altro, fulmineo. Nelle iridi, dardeggia il fuoco.
Atsumu inclina la nuca, perplesso. ‘’Uhm, alle dodici cosa?’’
‘’È l’orario in cui stacco’’ spiega, prima di voltarsi per preparare il decaffeinato alla signora dallo chignon scompigliato. E non appena glielo porge (‘’prego, ecco a lei!’’), Shouyou realizza ciò che ha appena detto.
‘’Cioé’’ esclama, voltandosi agitato verso Atsumu. ‘’Cioé, intendevo dire…’’
E poi, si blocca. Intendeva dire cosa? Esattamente quello che ha detto.
‘’Alle dodici va benissimo’’ lo interrompe l’altro. Tono sensuale, ghigno accattivante. E poi, al contempo, le orecchie in fiamme e le ciglia che tremano agitate. Burro e miele.
‘’A dopo’’ conclude Atsumu, prima di alzarsi, lasciare gli yen sul bancone, e scivolare via dalla porta. Senza ombrello, sotto la pioggia.
Shouyou, un po’ in pallone, impiega qualche istante prima di riprendersi, di realizzare.
Lo ha appena invitato a un appuntamento. La felicità gli fa venire voglia di saltellare.
Il tempo pare che si sia dilatato, i secondi durano un'eternità e l’impazienza gli consuma lo stomaco (però gli piace anche, tutta quella agitazione). Alle dodici meno dieci, la campanella tintinna e Atsumu entra di nuovo, sul viso un’espressione un po’ irriverente e un po’ impacciata.
‘’Shouyou-kun’’ lo saluta, zuppo di acqua.
‘’Atsumu-san!’’ esclama in risposta, quasi boccheggia (fa proprio gasp!). La silhouette dell’altro si sposta davanti al bancone, e aspetta che termini il turno.
Shouyou avvampa. Non sa dove andranno, non sa quello che faranno, non c’è neanche l’ombra di un programma, però è super, suuuper emozionato. Quando l’orologio appeso al muro batte le dodici in punto, Shouyou entra nella porta riservata al personale e si cambia. Saluta Daichi, saluta Sugawara, saluta Tanaka che ha preso il suo posto, e si ritrova al fianco di Atsumu - è così alto!
‘’Allora…’’
‘’Beh, andiamo?’’ dice l’altro, guardando il pavimento. Shouyou annuisce, ma non appena l’altro stringe le dita attorno al pomello della porta per spalancarla, un lampo accecante squarcia il cielo e un boato riverbera nell’aria, tanto intenso da far tremolare le vetrine del bar. Atsumu trasale e Shouyou sussulta dietro di lui. La pioggia si trasforma in grandine, talmente fitta da oscurare persino la visuale.
‘’Oppure’’ suggerisce Atsumu, abbassando il braccio, ‘’potremmo restare qui. Molto significativo, come primo appuntamento.’’
Primo appuntamento. Primo appuntamento, primo appuntamento, primo appuntamento. Shouyou si ripete a raffica quelle parole come un disco impazzito, le scandisce sillaba per sillaba, le sparpaglia come un mazzo di carte.
‘’Cioè, uhm, perché è un primo appuntamento, vero?’’ aggiunge Atsumu subito dopo, grattandosi il collo perplesso.
‘’Certo che sì!’’ esclama Shouyou con veemenza, quasi offeso dalla titubanza dell’altro.
Quindi si volta, e s’accomoda al tavolino dove Atsumu è solito mettersi, quello vicino alla finestra.
Tanaka-san serve un caffè e una spremuta con gli stuzzichini salati, e Shouyou, mentre addenta uno yakitori*, preme il ginocchio contro il polpaccio dell’altro. Atsumu non sposta la gamba, ma Shouyou nota la mano che tremola appena. Seduti uno di fronte l’altro, con le gambe tanto appiccicate, Shouyou si sente sospeso in mezzo al vuoto, come se fosse un equilibrista e stesse procedendo su una corda senza nessuna rete di protezione sottostante. È che inizia a trasparire una certa intimità, perché la distanza s’assottiglia man mano che il tempo trascorre. E Shouyou adora i denti di Atsumu scoperti in un ghigno che dimostrano altezzosità e a tratti ferocia, tuttavia quella sua apparenza sicura e fiduciosa si dimostra cedevole, perché quando si guardano negli occhi per troppo tempo, Atsumu è sempre il primo a distogliere lo sguardo con uno sbuffo un po’ stizzito, vittima della timidezza. Ed è questo quello che Shouyou adora, il fatto che Atsumu sia mutevole e cangiante, un groviglio di contrasti.  A discapito della curva fiera fra il collo e la spalla, e del petto spinto all'infuori come un pavone, le orecchie di Atsumu sono sempre scarlatte per l’imbarazzo. E nella fossetta che ha sul mento, Shouyou la vede, la paura acciambellata, il timore di non essere abbastanza, che fanno rispettivamente a botte con l’autostima e l’arroganza.
‘’Sai qual è il cane più cattivo, Shouyou-kun?’’ domanda allora Atsumu, interrompendo il silenzio.
Shouyou sorride, e gli spinge più forte il ginocchio contro il polpaccio. L’altro ricambia il ghigno.
‘’Non lo so, qual è?’’
‘’La canaglia. Capito? Can-aglia.’’
Quella freddura è più atroce della prima. Eppure Shouyou ride sino a farsi spuntare le lacrime agli occhi come piccoli diamanti, perché è davvero felice.
E poi, iniziano a parlare. Una conversazione senza né capo né coda, ma in qualche modo importantissima. Atsumu gli nomina suo fratello (‘’Hai un gemello? Che figata!’’), gli parla del ristorante di onigiri che si è aperto, gli accenna dell’università. Shouyou parla di Natsu, di Miyagi, dei suoi amici. Gli racconta del mare e delle albe di Rio, delle lingue che conosce, di quelle che vuole imparare. E poi si ritrovano a parlare di pallavolo per tutto il resto del tempo, perché tifano entrambi per i Black Jackals e perché entrambi ci hanno giocato al liceo. E la grandine s’è arrestata, ma non il temporale, i fulmini e i tuoni si susseguono con violenza, e le nuvole sono talmente cupe e torbide che sembra notte. Ma lì dentro, nel bar senza nome, c’è il sole.

 
*


Non appena apre la porta e la campanella tintinna, Atsumu percepisce immediatamente un’atmosfera differente, cupa. Shouyou lo accoglie con il solito sorriso e la stessa voce cinguettante, ma le labbra sono troppo tese, e il tono è troppo alto. Più che entusiasta e spumeggiante, Shouyou appare isterico, come se stesse per avere un crollo nervoso da un momento all’altro, e quando Atsumu s’accomoda davanti al bancone, ne ha la certezza. Shouyou ha l’incarnato pallido, le lentiggini sono sbiadite, gli occhi sono lucidi e strabuzzati. Gli tremano le mani, mentre prepara il caffé.
Quando gli porge la tazza, Atsumu non riesce a trattenere la domanda.
‘’Tutto bene, Shouyou-kun?’’
Il suo mento freme appena, le sopracciglia si accartocciano, le pupille puntano verso il basso, aggrappandosi alla superficie del bancone come se fosse l’unico appiglio nel bel mezzo d’una tempesta. Per un istante, il tempo d’un battito di ciglia, Atsumu è sicuro che Shouyou scoppierà a piangere. Un’enorme frustrazione s’irradia dal suo corpo, come se si stesse sforzando con ogni briciolo di energia a imbottigliare i singhiozzi che pulsano nel petto.
'’Ha bisogno di piangere’’ , pensa Atsumu, ‘’ma è a lavoro e non può farlo.’’ 
In effetti, dacché frequenta il bar, Shouyou non ha mai esternato il più piccolo accenno di negatività. Non s’è lasciato sfuggire neppure una risposta stizzita a un cliente maleducato o uno sbuffo di stanchezza, mostrandosi sempre stillante energia e buon umore.
‘’Tutto benissimo, Atsumu-san!’’ risponde difatti l’altro, scoprendo i denti in un sorriso. Atsumu dapprima esita (perché è palese, che tutto benissimo un cazzo), ma poi annuisce senza insistere. C’è gente, e Atsumu non ha mai visto Shouyou tanto fragile ed esposto, e teme che rigirare il dito nella piaga non sia la scelta più adatta per aiutarlo. Si limita perciò a sorseggiare il caffè (che comunque, è sempre buono) pensando a cosa possa essere capitato. Fuori la pioggia continua a picchiettare sull’asfalto, ma, per la prima volta, piove anche lì dentro.
Shouyou appare distante e perso nei propri pensieri, sebbene presti attenzione alle richieste di tutti i clienti, accontentandoli nella maniera più efficiente possibile. Atsumu, fissandogli la schiena un po’ intristito, prende un fazzoletto di carta per pulirsi gli angoli della bocca sporchi di caffè, e d’improvviso, l’Idea (sì, con la maiuscola) . Stupida, stupidissima, a tratti imbarazzante, la cosa più smielata che potesse venirgli in mente. Probabilmente lo rimpiangerà per il resto della propria esistenza, ma deve tentare. Non può uscire da lì in quel modo, lasciandosi il buio e l’angoscia alle spalle. Prende dunque un altro tovagliolo pulito, e con le orecchie che avvampano comincia a piegarlo: sopra, sotto, a destra, sinistra, l’angolo in basso, l’angolo in alto. Lo volta, lo rigira, lo accartoccia e lo distende. Ringrazia mentalmente Kita, che gli insegnò quel trucchetto quando frequentavano le scuole superiori. Poi, una volta terminato (non è proprio bellissimo, in effetti è un po’ deforme) lo posa vicino alla tazzina, lascia i soldi sul bancone e, senza dire una parola, mentre l’altro è voltato di spalle, si alza e se ne va, sgusciando fra i clienti.
Quando esce, la pioggia comincia a punteggiargli le guance.
L’ombrello, come sempre, l’ha scordato a casa.

 
*
 
Shouyou è esausto. Ha voglia di piangere, di rifugiarsi nel letto, la coperta tirata sino alla fronte come un bozzolo. Sono quelle le cose che detesta di più, perché non importa l’impegno, non importa la volontà, quelle sono le cose che non muteranno a prescindere dalla sua caparbietà. Shouyou odia la sensazione di impotenza che si stringe attorno al collo come un cappio. L’aria nei polmoni diviene rarefatta, e lui scalcia nel vuoto appeso a una corda, il corpo sempre più rigido, più marcio.
Shouyou è abituato a dare il massimo, a spingere con i muscoli delle cosce contratti e ad arrivare sempre più in alto, per inseguire, per raggiungere, l’obiettivo che si è preposto, non importa quanto esso appaia lontano. Finché c’è una possibilità che si avveri, per quanto minima, impercettibile e inverosimile possa sembrare, Shouyou ci si aggrappa con tutte le sue forze sino a trasformare la possibilità in realtà. Shouyou la stringe senza mollare mai la presa, non importa se sia doloroso, e questo è il suo più grande talento. Non è nato come un genio, non è nato predisposto a nessuna abilità specifica, tuttavia la sua anima brucia di desideri che punta a esaudire, che fungono da carburante. Ha una forza di volontà tale da somigliare a un maremoto, capace di scuotere se stesso e le persone con cui entra in contatto. E anche se per lui l’unica strada aperta sarà sempre quella più lunga e tortuosa, anche se lui rimarrà per sempre piccolo, Shouyou conosce il costo del sacrificio, ed è disposto a dare tutto (tutto, tutto, tutto) se stesso per un sogno. E anche se scotta, anche se fa male, anche se è sfiancante, Shouyou non s’arrende.
Però, ci sono alcune cose - quelle cose - che lui non può mutare. Il gatto (il suo) che trova spiaccicato sulla strada, ne è un esempio lampante. Non può farci niente. E per lui, ‘’non poter fare qualcosa’’, è la punizione più grande che esista. Potrebbe scalare l’everest a mani nude, per esempio, o forse riuscirebbe a camminare sui tizzoni ardenti, o magari a laurearsi in astrofisica e per poi essere addirittura spedito sulla luna. Sono possibilità remote, eventualità difficili, difficilissime, futuri estremamente improbabili, ma non impossibili. Se si impegnasse abbastanza, potrebbe arrivarci.
La morte e la malattia, però, sono categoriche, appartengono alla lista davvero corta di fenomeni che gli fanno paura, che lo terrorizzano, perché sono ineluttabili. E quindi, mentre si dirige a lavoro e vede il gatto (il suo) con la coccetta spappolata sull’asfalto da chissà quale vettura, come se fosse adagiata su un fiore rosso fatto di cervella, Shouyou smette di respirare, mentre la frustrazione di non! poterci! fare! niente! gli squaglia le vene, la carne.
Però non si ferma. Neanche rallenta. Prosegue dritto, supera quella palla di pelo che adesso è un ammasso deforme di membra storte, le labbra che tremano, le lacrime che iniziano a scorrere lungo le guance.
Ma continua a camminare. Perchè quella è una di quelle cose che non potrà cambiare, e lui deve essere a lavoro fra dieci minuti e deve asciugarsi il moccio dal naso al fine di essere presentabile, perché ci sono i clienti, e soprattutto c’è Atsumu. È il suo gatto, quello a non esserci più, definitivamente, per sempre. Mai più. Si ripete quelle parole nella testa mentre affila un passo dopo l’altro, come un mantra. Shouyou non vuole fuggire dalle cose brutte. Il gatto - il suo gatto, Zoro - è morto. L’hanno investito. Gli hanno aperto il cranio in due. Shouyou si concentra su quella immagine, perché vederla, farla zampillare dietro la retina, lo aiuta a realizzare, e solo realizzando potrà superare. E ripensa alle coccole e alle fusa, a quando era un cucciolo e gli s’acciambellava nel palmo della mano, al miagolio assordante di quando aveva fame o di quando reclamava attenzioni. Rievoca tutto ciò che ricorda, come se avesse un pugnale e si stesse lacerando la pelle sottile (ancora, ancora, Morto, morto, morto.an-co-ra!). E l’istinto, mentre il muco cola, gli dice di buttarsi tutto alle spalle, di inabissare quell’agonia nei meandri più reconditi della sua mente, ma Shouyou non vuole fuggire, non vuole tessere una menzogna nel cuore (anche perché, finirebbe intrappolato nella sua stessa ragnatela). Lui, la disperazione, ha bisogno di sentirla nella carne, di sentirla dentro, nell’anima, a prescindere da quanto faccia male, perché soltanto così potrà capirla, soltanto così potrà abituarsi al dolore e di conseguenza essere in grado di affrontarlo. L’unica debolezza a cui si aggrappa, è la speranza che Zoro sia morto sul colpo, in modo tale da aver sofferto poco. Quello che fa più male, invece, è che la nuca di Zoro punta verso l’altra parte della strada, verso l’appartamento che condivide con gli altri. Zoro è morto mentre tornava a casa.
La porta del bar si materializza davanti a lui, troppo presto. Shouyou s’asciuga in fretta le lacrime, se le strofina via con rabbia e sente le unghie graffiargli le guance. Indossa la divisa verde bottiglia e prepara la sala in attesa che arrivino i clienti. Non piangerà, non piangerà, ma non può impedire al proprio stomaco di contrarsi mentre imbottiglia dentro di sé tutta quella disperazione che lo assale. Pensa che dovrà dirlo a Yachi, e le lacrime premono con più forza contro gli angoli degli occhi, le viscere che s’aggrovigliano. All’improvviso sente il bisogno di chiamare Kageyama, ma dall’altra parte del mondo è notte fonda, e Hinata non vuole svegliarlo, perciò si costringe a trattenersi. Ripensa a Zoro morto (morto, morto, morto stecchito) ci pensa con attenzione, tenta di rievocare ogni singolo dettaglio, anche il più macabro, perché prima realizza, prima quella voglia di piangere svanirà. Alle sette, serve i primi clienti accogliendoli con il solito sorriso, costringendosi a soffocare il tremolio nella voce. Hinata spera che siano tutti troppo stanchi o troppo coinvolti dal lavoro e dai propri pensieri personali per accorgersi dei suoi occhi lucidi, e difatti nessuno - per fortuna - fa domande. E, per la prima volta, Hinata, spera quasi che Atsumu non venga. Pensa, però, che è pure un po’ una bugia.
Atsumu, comunque, è puntuale come sempre. La campanella tintinna e Hinata, nonostante sia voltato verso la macchinetta del caffè, lo sa che è lui. Sembra che la campanella emetta un suono diverso, quando entra. E infatti si gira e vede Atsumu sulla soglia, che gli rivolge un sorriso sghembo (come sempre, come sempre, è una giornata uguale a tante altre, tranne per il fatto che tutto è cambiato, tutto è diverso e tutto non sarà più come prima).
‘’Mantieni la calma’’ , si sgrida, prima di aprire la bocca e di esclamare ‘’Buongiorno, Atsumu-san!’’
Distende le labbra in un largo sorriso. Alle orecchie, il tono risuona esageratamente acuto, ma spera che l’altro non se ne renda conto.
Atsumu si siede al solito posto, proprio di fronte a lui, e Hinata gli prepara il caffè nella speranza che le sue mani non tremino troppo - fermatevi, fermatevi, basta tremare, basta, sssh.
Quando gli porge la bevanda fumante, però, Shouyou vede la domanda che si dilata nelle sue iridi chiare prima ancora che la faccia. E difatti, un istante dopo, schiude le labbra in un ovale perfetto e gli chiede se sia tutto okay, se stia bene . E in quel momento, in quell’istante, Hinata teme davvero che scoppierà a piangere davanti a lui e a tutta quella gente. Sente uno spasmo montare nel petto, che gli dà uno scossone violentissimo ai polmoni, e percepisce lo sterno e la gola andare a fuoco, come se qualcuno avesse appiccato un incendio. Brucia tutto, però al contempo fa freddo, e sembra quasi che stia diluviando sul bancone. Hinata somiglia a un vulcano pronto a eruttare tutte le emozioni che sta tentando di tenere sopite, e tra poco scoppierà come un fuoco d’artificio. Però poi respira, spegne il fuoco che ha dentro (piangerà dopo, a turno concluso) e risponde ‘’certo, tutto benissimo!’’.
Shouyou, quell’autodisciplina che si è imposto, l’ha allenata e affinata nel corso degli anni, e il soggiorno in Brasile dopo il liceo l’ha aiutato parecchio, in questo. Ha iniziato a meditare di proposito, per riuscire a gestire la sua attitudine troppo iperattiva, schizzata e sfarfallante. Ritrova la fermezza e la calma (senza lenire il dolore, quello oramai fa parte di lui, deve prenderne atto).
Riuscirà a mantenersi quieto e operativo e concentrato durante il suo turno. Può farlo. Non può ridare vita al suo gatto, ma quello almeno può farlo. Si inabissa in una specie di dimensione del tutto personale, in cui gli ordini dei clienti e le loro parole penetrano in maniera distaccata, come una nebbiolina leggera, come se un cuscinetto fungesse da filtro fra lui, le sue sensazioni e il resto del mondo. Estraniarsi, in quel caso, gli permette di mantenersi stabile. Ed è per questo che s’accorge che Atsumu è andato via solo quando la campanella tintinna di nuovo. Shouyou fa giusto in tempo a vedere la sua giacca, prima che scompaia sotto la pioggia (si dà mentalmente dello stupido, perché non era sua intenzione ignorarlo, e sente che l’ennesimo filo si spezza, e di nuovo la negatività monta in lui come la marea e oh no, l’ho davvero trattato così male? ma perché ieri non gli ho chiesto il numero di telefono? Scemo, sceeemo!). Serrando le labbra, Shouyou raccoglie i soldi che Atsumu ha lasciato sul bancone e ripone via le stoviglie sporche. Quando prende la tazza da cui Atsumu ha bevuto il caffé, però, una scintilla di calore gli accende le guance e adesso corre davvero il rischio di scoppiare a singhiozzare. C’è un origami a forma di volpe, sul bancone, fatto col tovagliolo. Shouyou boccheggia, sorpreso dal gesto inaspettato, dolcissimo (burro e miele, burro e miele, burro e miele, lo aveva detto sin dall’inizio), lo prende delicatamente e lo nasconde sotto al bancone, vicino alla cassa, come se fosse un tesoro prezioso. Lo è.
Quel giorno, pioviccica anche nel bar senza nome. Ma va bene così, fa parte della realtà, e Shouyou sa benissimo che, prima o poi, il vento del tempo soffierà via le nuvole. Non può mica piovere per sempre, dopotutto.

 
 *

Il giorno dopo, Atsumu scivola nel bar particolarmente nervoso. L’agitazione, però, si trasforma immediatamente in disappunto, quando ad accoglierlo è una voce diversa. Egualmente cortese, ma diversa. Non è la sua. Shouyou non c’è.
Dietro al bancone, al suo posto, si trova una ragazza probabilmente più grande di lui, dai capelli neri e setosi, un neo sotto al labbro, e gli occhi azzurri.
A scoppio ritardato, Atsumu ricambia il saluto, ma il panico monta nel petto e lo sciame di vespe che oramai vive perennemente nel suo stomaco sembra sollevarsi come una nube di polvere fitta e appuntita.
Shouyou, a quell’ora del mattino, è sempre stato presente. E perciò Atsumu si sente tradito, e preoccupato. Che sia successo qualcosa di brutto?
‘’Atsumu-san!’’
Il sollievo lo fa sospirare. Shouyou sbuca dalla porta di servizio praticamente saltellando, indossa un maglione blu notte (grande giusto, per fortuna), che fa a pugni col colore dei suoi capelli.
‘’Shouyou-kun!’’ esclama Atsumu con un entusiasmo esagerato (sembra che non lo veda da una vita). La sua voce risuona strozzata, quasi gracchiante, come se gli fosse finita una spina gigantesca in gola.
Shouyou prende posto accanto a lui. Da vicino, Atsumu nota che sta meglio. Non è più pallido come un morto, le lentiggini splendono sull’incarnato come stelle, la fossetta al lato destro della bocca è messa in rilievo dal sorriso larghissimo e genuino.
Gli occhi brillano, spalancati e tondeggianti. Nelle sue iridi ambrate, c’è qualcosa che lo fa sentire minuscolo e al contempo gigantesco. Atsumu si sente risucchiato, ma non in maniera claustrofobica. Shouyou è davvero, davvero un tipo strano, e gli scombussola un po’ tutto.
‘’Oggi non lavori?’’ domanda, sforzandosi di contenere l’entusiasmo. Si sente simile a un cane che scodinzola e che fa le feste al padrone.
‘’Mi sono licenziato!’’ risponde l’altro, serafico. Atsumu inarca le sopracciglia, spaesato e confuso.  ‘’Mi sono licenziato per cinque minuti’’ s’affretta ad aggiungere
Shouyou per spiegare, prima di abbassare lo sguardo e di puntarlo sulle sue stesse ginocchia.
‘’Cosa?’’
‘’Uhm...’’ Shouyou fa oscillare le caviglie sottili, per manifestare nervosismo. Atsumu avrebbe voluto prenderle a morsi. ‘’Volevo solo dirti che mi piaci un sacco! Solo che non volevo farlo con la divisa da cameriere, ecco tutto. Mi sta male, credo.’’
Atsumu non capisce quale sia il nesso fra la confessione di Shouyou e il suo bisogno di licenziarsi per cinque minuti dal luogo di lavoro. E no, la divisa gli sta benissimo, ma comunque in quell’istante è troppo felice per chiedere ulteriori spiegazioni e per approfondire la stravaganza della situazione. Fuori, come sempre, c’è il diluvio universale. Ma dentro, in quel bar senza nome, è tornata di nuovo l’estate.
‘’Mi piaci anche tu, Shouyou-kun. Molto.’’
‘’Davvero?’’
‘’Davvero.’’

 
*

Shouyou segue Atsumu mentre salgono le scale che conducono al suo appartamento (mentirebbe se dicesse di non avere gli occhi puntati sul suo sedere fasciato dai pantaloni). È la prima volta che si vedono fuori dal bar, e Shouyou neanche ci prova, a soffocare le farfalle che gli svolazzano impazzite nello stomaco. Lascia l’emozione libera di pervaderlo, di elettrizzargli le dita e la punta dei piedi.
‘’Siamo arrivati’’ borbotta Atsumu, fermandosi davanti a una porta. Shouyou percepisce l’agitazione trapelare dal suo tono di voce. Atsumu riesce a infilare le chiavi nella toppa solo al terzo tentativo, e quando la serratura scatta con un clic, entrambi ci scivolano dentro.
‘’Con permesso’’ esclama Shouyou, nonostante Atsumu gli abbia detto che sarebbero stati soli, poi si sfila le scarpe e le poggia accanto a quelle dell’altro. Atsumu piega le labbra in un ghigno irriverente a causa della differenza di dimensione delle loro calzature, e Shouyou finge di sbuffare, annoiato.
Poi, d’improvviso, qualcuno dietro di loro si schiarisce la gola. Entrambi si voltano, e Shouyou strabuzza gli occhi dalla sorpresa. C’è un altro Atsumu, nel piccolo salone, soltanto che i suoi capelli sono scuri.
‘’Woooow!’’ esclama Shouyou, senza riuscire a trattenersi.
‘’Samu’’ ringhia Atsumu (quello vero, quello biondo). ‘’Che ci fai qui? Non dovresti essere al locale?’’
‘’Sto andando adesso’’ ribatte l’altro, poi scopre i denti in un sorriso che ricorda quello del fratello, altrettanto famelico, altrettanto dispettoso, altrettanto affilato.
Sembra un po’ più intelligente, però.
‘’Ero solo curioso di vedere Shouyou-kun, non fai altro che parlare di lui.’’
Shouyou avvampa (è felicissimo, in realtà) e Atsumu piagnucola e gonfia le guance come un bambino capriccioso.
‘’È stato un piacere, Shouyou-kun. ’’
‘’Anche per me!’’ risponde Shouyou, brillando. ‘’E verrò presto al ristorante, Atsumu-san non fa altro che parlarmi dei tuoi onigiri!’’
‘’Ah sì? Ti aspetto, allora.’’ Il ghigno dell’altro si fa più largo, e Atsumu piagnucola più forte. ‘’Non venire domani, però, perché è tutto prenotato.’’
Poi afferra la giacca, li saluta con un cenno della testa ed esce di casa gongolando. Anche Osamu, proprio come il fratello, non si porta dietro nessun ombrello nonostante fuori ci sia il diluvio.
‘’Dannato figlio di puttana’’ sibila Atsumu, infastidito. Poi sgrana gli occhi, e si corregge. ‘’Dannato stronzo, anzi.’’
‘’È super figo, però!’’
Atsumu gli rivolge un’occhiata avvelenata, e Shouyou scoppia a ridere, aggrappandosi al suo braccio con fare malizioso. ‘’Non preoccuparti, Atsumu-san! Non ho alcuna intenzione di rimpiazzarti con tuo fratello!’’
‘’Lo spero bene’’ risponde l’altro, avvampando. Le orecchie rosse, le espressioni esagerate. È tutto così perfetto.
Atsumu prepara del tè bollente, che sorseggiano sbracati sul sofà viola davanti alla televisione. Le ginocchia e le cosce sono premute le une contro le altre, nonostante il divano sia spazioso e permetta una sistemazione comoda. Entrambi, comunque, se ne infischiano e fingono che il mezzo metro di spazio a ogni lato non esista.
Atsumu soffia nella tazza, poi si strofina nervosamente il collo, poi afferra il telecomando e inizia a fare zapping a casaccio. Non riesce a stare fermo.
‘’Ho l’abbonamento a netflix’’ dice, infrangendo il silenzio. Poi sorseggia un altro po’ di tè. ‘’Possiamo vederci un film, o qualcosa…’’
‘’Uh uh’’ annuisce Shouyou, lo sguardo puntato sul viso dell’altro. Per quel che gli riguarda, potrebbe osservargli gli zigomi e il naso e la mascella per tutta la serata.
Finisce il té, posa la tazza vuota sul pavimento e Atsumu fa lo stesso. Si stringe ancora di più contro di lui, e gli poggia la guancia sulla spalla. La lana del maglione gli fa prudere la pelle. Non vede l’ora che se lo tolga.
Il corpo di Atsumu s’irrigidisce, e Shouyou nota il rossore delle orecchie nonostante la stanza sia semibuia.
‘’Ti dà fastidio se sto così?’’ domanda Shouyou, sforzandosi di trattenere un ghigno.
‘’No!’’ esclama Atsumu (fa squak!, più che altro). ‘’Affatto’’ aggiunge poi, per ribadire il concetto. Shouyou si scioglie, e gli strofina la fronte contro la spalla come se fosse un gatto mentre fa le fusa.
Con le dita, tocca il polso di Atsumu vicino alla sua gamba. Piano, leggero come la brezza, lo sfiora e poi ci scivola sopra, sino ad accarezzargli la mano per poi intrecciarla alla propria. Atsumu ha le dita lunghe e affusolate, e Shouyou, come sempre, ha voglia di mettersele in bocca. Forse quella sera lo farà. L’altro ricambia la stretta (la mano di Atsumu è quasi il doppio della sua, ma per una volta la differenza non gli dà fastidio) e Shouyou percepisce l’imbarazzo, l’eccitazione, irradiarsi dal suo viso, il calore divampare dalla sua pelle come se fosse una pietra rovente.
‘’Atsumu-san’’ lo chiama dunque Shouyou, avvicinando le labbra al suo collo (profuma di dolce, pan di spagna). ‘’Mi guardi?’’
L’altro, lentamente, si volta e lo guarda negli occhi, e Shouyou ha voglia di mettersi a ridere, perché Atsumu è un disastro. Possiede i lineamenti da modello e poi è più agitato di un bambino prima della recita scolastica. Le ciglia sfarfallano, le guance sono tirate, Atsumu è teso come una corda di violino. Shouyou si trattiene dal ridacchiare (perché Atsumu è permaloso, e offenderlo in quel momento gli pare una pessima idea), quindi gli poggia la mano libera sulla guancia rovente e gli chiede:
‘’Atsumu-san, ti posso baciare?’’.
E Atsumu annuisce con foga, poi serra le palpebre e s’avvicina. Shouyou lo bacia a stampo, leggero, saggia quelle labbra che hanno la stessa consistenza soffice del dolce alle carote che prepara (e anche lo stesso sapore). E poi lo bacia ancora e ancora e ancora, e sorridono e ridacchiano - perché sono felici, felicissimi - e i respiri si mischiano. E tutto diventa caldo e urgente, e all’improvviso le dita di Atsumu s’intrufolano sotto la sua canottiera e s’aggrappano alla sua schiena. Le unghie curate lo graffiano, e sboccia la necessità impellente di sentire la pelle dell’altro nuda e pulsante sotto i polpastrelli, il bisogno di spogliarlo, di percepirlo tremare contro, fremere, di sentirgli l’anima sbattergli addosso come le onde quando s’infrangono contro gli scogli. Shouyou gli sfila il maglione di lana, poi gli lecca l’orecchio e gli bacia e gli morde la pelle tenera del collo, che profuma di crostata al limone. Atsumu sussurra qualcosa, qualcosa che Shouyou non capisce, perché nella testa ha solo il rumore delle conchiglie.
E mentre l’altro gli preme le labbra sulla fronte, gli bacia i capelli e la punta del naso, Shouyou pensa che sì, nell’amore a prima vista ci ha sempre creduto, ma non immaginava mica che sarebbe stato tanto luminoso. Semplicemente, si sente grato.
Fuori piove, scroscia fortissimo, l’acqua picchietta e rimbalza sul vetro della finestra. Dentro, però, come sempre, c’è il sole.

 
*
 
Atsumu, nell'amore a prima vista, non ci ha mai creduto. Ogni volta però che Shouyou si scioglie fra le sue braccia come melassa, ogni volta che lo bacia e sente in bocca il sapore dolciastro della sua saliva, ogni volta che gli prepara il caffé nella tazza arancione (perché è la sua preferita), Atsumu sorride e ammette un po' emozionato che lui in realtà s'è sempre sbagliato. L'amore a prima vista esiste eccome, ed è tale e quale al sole. Si trova nel profumo di shampoo all’arancia, negli ombrelli con cui Shouyou gli ha riempito la casa, nei sussurri inaspettati e un po' impauriti borbottati a notte fonda, quando Atsumu teme di non essere abbastanza e l’altro soffia via le sue paranoie con pazienza e gentilezza. Si trova pure nei bisticci, perché Atsumu, delle volte, è un po’ pesante e Shouyou, delle volte, è un po’ egoista. Si trova nei piccoli gesti, nelle sorprese per fare pace, nel sesso furioso e nei grattini sul collo. Si trova in Atsumu quando gli insegna a fare origami a forma di volpe, e in Shouyou quando gli passa la sua (segretissimissimissima) ricetta di torta alle carote. Si trova quando si recano a mangiare al ristorante di suo fratello (quando trovano il posto, per lo meno). Si trova nel tempo che scorre troppo, troppo in fretta, ma che a loro basta. Si trova soprattutto nel bar senza nome, ma anche nell’acquario, nel cinema, nei luoghi che hanno visitato e in quelli che visiteranno. Si trova nell’impegno che ci mettono entrambi per costruire, aggiustare, persino ricominciare, quando serve.

È un amore a prima vista, che però si scopre un po’ per volta, e che dà tanto senza però togliere nulla.

Si trova acciambellato nella fossetta che Shouyou ha sulla guancia destra, e nelle lentiggini.


 
Fine



Note finali:
Allora, dire che ho avuto problemi con la formattazione di questa storia è un eufemismo. Cioè giuro ho solo parolacce attualmente, due anni che pubblico su questo sito e io non so cosa sia accaduto ma l'editor è impazzito, il mio documento è impazzito, io sono impazzita, cioè veramente MAI PIÙ in tutto ciò spero che la storia sia godibile anche se io vorrei già cancellarla ma credo sia uno stato d'animo influenzato dallo stress della formattazione perché io ve lo giuro su haikyuu è DALLE OTTO DEL FOTTUTO MATTINO che sto dietro a sto schifo e cioè ora sono le undici e quarantadue non ci voglio credete SUL SERIO no vabbè qualcuno mi tolga le note comunque ahaha. Insomma grazie per aver letto questa cosa agghiacciante e cioè scuse sentitissime alla giudice che dovrà valutare questa merdina (che il telefono mi ha corretto con 'meridiana', grazie Huawei a 49 euro). A mia discolpa posso dire che l'idea iniziale era molto più adatta ed elaborata, una kagehina ambientata nel Giappone antico soltanto che col cliché non c'azzeccava una BEATA Sega e quindi ho ripiegato su.... Questa..... Cosa bleah oddio vabbè più che le note sembrano i lamenti di uno spirito errante che deve dipartire ahahaha. vabbè insomma GRAZIE per aver letto per essere arrivati sin qui stay safe soprattutto!! See ya!
  
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