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Autore: heliodor    18/02/2021    1 recensioni
Valya sogna di diventare una grande guerriera, ma è solo la figlia del fabbro.
Quando trova una spada magica, una delle leggendarie Lame Supreme, il suo destino è segnato per sempre.
La guerra contro l’arcistregone Malag e la sua orda è ormai alle porte e Valya ingaggerà un epico scontro con forze antiche e potenti per salvare il suo mondo, i suoi amici… e sé stessa.
Aggiunta la Mappa in cima al primo capitolo.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Nella gabbia
 
Ferg Abbylan lanciò un’occhiata distratta al recinto allestito al centro della piazza. Era un quadrato delimitato su tutti i lati da una staccionata di legno alta quanto un adulto e accoglieva dentro di sé una decina di recinti più piccoli.
Valya cercò di cogliere lo schema di quella disposizione, ma attese che fosse il signor baffetto a spiegarglielo.
“Con più di mille partecipanti non potevamo usare un solo recinto” disse sedendo composto sulla panca di legno. Si trovavano in cima a una delle tribune che erano state erette dietro alle staccionate, in modo che il pubblico di rango più elevato potesse godersi i combattimenti da una posizione migliore. Negli spazi vuoti lasciati tra ogni tribuna il pubblico delle persone meno importanti si stava già accalcando.
Il sole era sorto da poco ma gli inservienti avevano già preparato i recinti e riempito di armi le rastrelliere. Una dozzina di ragazzi stava avvolgendo delle strisce di cuoio attorno alle lame delle spade.
Valya si mosse a disagio sulla panca di legno. Aveva infilato la spada sotto l’abito, fissandola alla schiena con delle cinghie che si era fatta dare da Rann. Per prendere l’arma si era svegliata di notte ed era scesa nella sala d’arme staccandola dalla parete. Aveva allentato i lacci del vestito affinché non si notasse il profilo dell’arma e aveva indossato una mantellina scura sopra le spalle per ulteriore sicurezza.
Anche così aveva paura di eseguire un movimento brusco e rivelare a tutti che portava un’arma attaccata alla schiena. Sarebbe bastato che qualcuno le sfiorasse le spalle o la urtasse per farla scoprire.
“Devo ammettere che Zeb ha avuto una buona idea” stava dicendo Ferg. “Non puoi sapere quanto mi costi riconoscere a quell’idiota di averci pensato prima di me.”
“Un giorno mi dovrai dire perché ce l’hai tanto con tuo fratello.”
Lui la guardò di sbieco. “Prima di quel giorno farò in modo di tagliarmi la lingua.”
Valya gli rivolse un’occhiata stupita. “Che cosa ho detto di male ora?”
“Niente, ma resta fuori dal rapporto tra me e Zeb. Sono affari di famiglia.”
“Non volevo certo intromettermi” si difese.
“Davvero? Scommetto che ti hanno detto qualcosa. Girano delle voci, lo so bene.”
“Ti assicuro che non ne so niente” disse poggiando una mano sul cuore.
Lui rispose con un grugnito.
Valya guardò altrove. “Io credo che rientrerò” annunciò dopo aver sospirato.
“Te ne vai? Non resti a guardare? Hai tanto insistito per farti portare qui.”
“Lo so, ma Olethe pensa che il torneo non sia uno spettacolo adatto alla protetta della governatrice.”
“Dannata donna” disse Ferg. “E tu sei d’accordo con lei?”
Valya scrollò le spalle. “Mi ha dato tanti saggi consigli da quando sono arrivata.”
E io ho cercato di seguire solo quelli che mi sembravano utili, si disse.
“Saggi consigli” disse Ferg facendo schioccare le labbra. “Quindi ora obbedisci ai suoi ordini?”
“Il rapporto tra me e Olethe non ti riguarda” disse serrando le labbra. “Tu restane fuori.”
“Almeno sei capace di tornare da sola al castello o ti serve una scorta?”
“Posso fare da sola” disse subito.
Una scorta sarebbe stato un problema.
Ferg sorrise. “Vuol dire che mi godrò da solo il trionfo di mio fratello.”
“Col tuo permesso” disse alzandosi.
Lui le rispose con un gesto vago della mano.
Valya scese dalla tribuna e si avviò con passo veloce verso l’estremità della piazza, finché guardandosi indietro non si accorse che dal punto in cui Ferg era seduto non poteva vederla. Per prudenza fece un’altra decina di passi e poi si gettò verso il lato opposto della piazza, quello dove sorgevano le tende.
Ferg le aveva spiegato che ospitavano quelli che si occupavano della gestione del torneo. Valya vide sfilare ragazzi vestiti con grembiuli sporchi, donne dall’aria indaffarata intente a trasportare certe piene di panni e persino qualche bambino che giocava a rincorrersi tra le tende. Vide anche dei soldati di guardia ma cambiò subito strada. Da una tenda proveniva un invitante odore di pane appena sfornato che le ricordò quello di Joni.
Si avvicinò per pura curiosità e gettò un’occhiata all’interno. Su dei banchetti erano state allineate file e file di pagnotte che un inserviente dall’aria annoiata stava sorvegliando.
“È ancora presto per la colazione” disse il ragazzo. “E questa tenda è riservata ai combattenti.”
Ferg le aveva detto che i partecipanti avrebbero ricevuto cibo e vino per tutta la durata del torneo. Bastava esibire il proprio numero col timbro per avere accesso alle vivande.
Valya fu tentata di usare il suo numero, ma non voleva attirare l’attenzione su di sé.
Ci tornerò dopo, si disse proseguendo.
Trovò Rann davanti all’ingresso di una tenda sul lato opposto della piazza. Il ragazzo l’avvistò tra la piccola folla che si era formata e le fece cenno di raggiungerlo.
Ai suoi piedi c’era un sacco chiuso da una corda.
“L’hai portata?” gli chiese con tono ansioso.
Rann annuì. “È qui dentro” disse indicando il sacco.
“Io ho la spada. Ora devo vestirmi.”
“Ho già trovato una tenda” disse il ragazzo. “Andiamo.”
Lo seguì fino a una piccola tenda isolata. Lui entrò per primo e Valya lo seguì. L’interno era immerso in un chiarore tenue. La tenda era vuota a parte loro due e il sacco con l’armatura.
“È sicuro?” chiese Valya guardando l’ingresso.
“Non lo so. Ho dato un’occhiata in giro e ho notato che qui non c’è venuto nessuno da quando sono arrivato. Deve essere una tenda di riserva.”
“Allora sbrighiamoci.”
Tolse la mantellina dalle spalle e slacciò la blusa che aveva indossato sopra la camicia. Rann l’aiutò a slacciare i legacci che assicuravano la spada. Lui la soppesò tra le mani.
“È bella” disse.
Valya gliela strappò di mano. “Non toccarla.” Davanti all’espressione delusa di Rann si sentì in colpa. “Per favore. Ti ho detto che ci tengo parecchio, no?”
Rann l’aiutò a indossare l’armatura e per ultimo l’elmo.
Valya si concesse qualche minuto per abituarsi e reprimere l’istinto di strappare via la celata e tornare a respirare.
Rann nel frattempo assicurò i legacci stringendoli.
“Non troppo stretti” disse Valya.
“Devono essere così o un colpo molto forte potrebbe strapparti via uno spallaccio o un gambale.”
Fece qualche passo per abituarsi alla corazza. “È più comoda di ieri” disse.
“Ho fatto qualche modifica stanotte.”
Un corno risuonò sopra l’accampamento.
“È l’ordine di radunarsi” disse Rann.
Uscirono dalla tenda e quasi vennero investiti da un uomo in armatura che camminava con passo spedito.
“Aspetta” gli gridò dietro Valya. “Tu.”
L’uomo si voltò verso di lei. “Che vuoi?”
“Dove stanno andando tutti?”
“Lì” rispose indicando una tenda più grande delle altre. In cima svettava il vessillo di Ferrador e quello di altre casate nobili.
“A fare cosa?” domandò Valya, ma l’altro si era già rimesso in marcia.
Altri combattenti si mossero tra le tende marciando in file disordinate che confluivano verso la tenda.
“È il posto in cui i partecipanti devono radunarsi” le spiegò Rann.
“Che cosa devo fare?”
“Non lo so” disse il ragazzo. “Vai insieme agli altri.”
“E tu?”
“Devo tornare alla forgia” rispose Rann nervoso. “Sono stato via già troppo.”
“Giusto, non voglio trattenerti. Se ti chiedono dove sono sai cosa rispondere, vero?”
Rann annuì. “Sei tornata alla forgia e sei andata nella stanza di tuo padre a cercare dei cari ricordi di famiglia. Sei rimasta lì dentro per tutta la giornata, fino a quando non ha fatto buio.”
Era una scusa patetica, ma non era riuscita a pensare a niente di meglio. Le serviva solo del tempo da poter passare al torneo senza che nessuno desse l’allarme perché era scomparsa e venisse a cercarla. Quello avrebbe rovinato tutto facendola finire nei guai.
“Allora vai” lo incitò Valya.
“Stai attenta” disse Rann. “E ricorda che la corazza è solida ma non indistruttibile.”
Valya guardò il vessillo sopra la tenda e trasse un profondo sospiro.
 
Un ometto dall’aria annoiata sostava fuori dall’ingresso, accompagnato da due guardie armate di lancia e scudo. I partecipanti al torneo venivano fermati e scambiavano due parole con lui prima di proseguire oltre.
Valya attese paziente che arrivasse il suo turno e quando si ritrovò di fronte all’ometto si rese conto di stare sudando.
“Fermo tu” disse l’uomo col palmo della mano rivolto verso di lei.
Valya si arrestò all’istante.
Ecco, si disse, mi ha già scoperta.
“Il tuo numero” disse l’ometto.
Ora mi dirà che devo tornare indietro.
“Il tuo numero, svelto.”
O saranno le due guardie a prelevarmi e portarmi al castello, dove…
“Non ci senti dentro quell’elmo? Ho detto il numero.”
“Quattrocentoquaranta” disse Valya con un filo di voce.
L’ometto grugnì qualcosa. “Fammi vedere il foglio col timbro.”
Valya tirò fuori la pergamena che Rann le aveva dato e gliela porse.
L’uomo le gettò un’occhiata rapida. “Sì, bene. Gabbia numero sette. Avanti il prossimo.”
Valya non si mosse.
“Ho detto gabbia numero sette. Il prossimo” disse l’uomo spazientito.
“Posso andare?” chiese.
“Sì, per tutti gli inferi” sbottò l’uomo. “Vai adesso. Non abbiamo tutta la giornata e siamo già in ritardo.”
Valya lo superò e seguì il fiume di armature che si muoveva pigro verso lo spiazzo successivo, occupato da gabbie abbastanza grandi da poter ospitare quaranta o cinquanta persone.
Dentro ogni gabbia erano state sistemate delle panche che correvano lungo i lati. Molte di esse erano già occupate da combattenti. Qualcuno si aggirava lì attorno o scambiava qualche parola con gli altri partecipanti.
“Accetto scommesse” stava dicendo un uomo di mezza età che non indossava l’armatura. “Travik il Bello è dato come favorito per la vittoria.”
Uno dei combattenti gli si avvicinò. “Che mi dici di Slemm?”
“Slemm Mezzocchio è dato favorito per la vittoria di cinque incontri. Vuoi scommettere su di lui o contro di lui?”
Il combattente sembrò rifletterci.
“Dieci monete se vince sei incontri, cinque se ne vince tre o meno.”
“Io dico che ne vince sette” disse il combattente.
“Per quello devi scommettere trenta monete.”
“E se indovino quante ne vinco?”
“Dieci volte la posta.”
Il combattente lo guardò accigliato.
“Trecento monete” rispose l’uomo. “Duecentosettanta, visto che la tassa sulle scommesse è di una moneta ogni dieci vinte.”
“Metti trenta monete su Slemm” disse il combattente passandogli un sacchetto.
“Trenta monete su Slemm vincente in sette incontri” disse l’uomo scrivendo su una pergamena.
Valya li superò entrambi e adocchiò uno stendardo piantato all’ingresso di una delle gabbie. Sulla stoffa bianca era stato scritto il numero sette.
La mia gabbia, pensò con un misto di timore e di sollievo.
Davanti all’ingresso un ragazzo con una cesta poggiata tra i piedi attirò la sua attenzione.
“Prendi” disse porgendole un rotolo di cuoio.
Valya lo guardò perplessa.
Il ragazzo srotolò il cuoio. “Devi avvolgerlo attorno alla spada fino alla punta. È per evitare che vi tagliate combattendo.”
Valya prese il rotolo tra le mani. “Grazie” disse al ragazzo.
Lui rispose con un’alzata di spalle.
Entrando fu colpita dal silenzio che aleggiava tra i combattenti seduti sulle panche. Un paio, i più anziani, fissavano il vuoto davanti a sé. Un ragazzo si guardava attorno muovendo la testa a scatti come se non sapesse decidersi da che parte volgersi. Un uomo mormorava sottovoce una cantilena mentre sfregava le mani una sull’atra come se le stesse lavando.
Valya cercò un posto distante dall’uscita e dagli altri combattenti e sedette col cuore che le batteva forte nel petto.
Estrasse la spada e il battito si calmò all’istante. Le bastò stringere l’elsa per sentirsi pervadere da un senso di sicurezza e di forza.
Con quella spada era certa di poter battere chiunque in quella gabbia e in tutte le altre, non importava quanto fossero forti, abili o esperti.

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