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Autore: Calipso19    27/02/2021    0 recensioni
Un viaggio infinito che racconta l'ormai leggenda di un mito troppo grande per una vita sola. Una storia vissuta sulle ali della musica, respinta dalla razionalità umana, colpevole solo d'essere troppo anomala in una civiltà che si dirige alla deriva. La rivisitazione di un esempio da seguire.
( Capitolo 4 modificato in data 14 marzo 2016)
Dalla storia:
- Sono cambiate tantissime cose da quando guardavamo le stelle nel guardino a Gary.
- E ne cambieranno altrettante Mike. Se fra quarant'anni saremo ancora insieme te ne accorgerai.
Insieme.
Michael ripetè nella mente quella parola più volte, come una lezione da imparare, e concluse quel bellissimo quadro con un sorriso.
- Certo che saremo ancora insieme, non dire sciocchezze.
- Ci credi davvero Michael? - lei lo guardò con occhi seri e sinceri. - Le persone attorno a te arrivano e se ne vanno come niente.
- Certo che lo credo, anche se non so dirti in che modo. E dovresti crederci anche tu Jackie, avere un po’ più di fiducia.
Abbassò gli occhi per vedere le proprie mani cingere la vita di Jackie, scorse una piccola macchia di pelle bianca sul polso.
Chissà quanto ancora si sarebbe allargata.
Tutto cambiava, senza sosta.
Genere: Avventura, Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Michael Jackson, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Poco più di 5600 parole per voi. Questo capitolo mi sta molto a cuore. Buona lettura!

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Il modo in cui mi fai sentire non è affare di nessuno.



Love don't give no compensation
Love don't pay no bills
Love don't give no indication           
Love just won't stand still


Varcò la soglia e chiuse la porta alle proprie spalle.
Era stanca per il viaggio, ma in quel momento non importava. Appena aveva potuto, dopo aver ricevuto quella telefonata, era saltata sul primo treno possibile ed era corsa da lui. Non avrebbe mai pensato di rivederlo tanto presto. Non era nemmeno sicura di aver pensato di rivederlo, ecco.
- Finalmente sei arrivata.
La sua voce era carezzevole come il vento estivo notturno, allora lo vide, nella penombra. I suoi occhi celebravano la tristezza.
- Ho fatto più veloce possibile.
Lui si raggiunse la fronte con una mano sudata.
- Sono un mostro ad averti fatto una richiesta simile. Farti viaggiare da sola nel cuore della notte è da pazzi.
- Non importa questo, ora sono qui.
Si avvicinò a lui e gli posò una mano sulla spalla. Nel toccarlo per un attimo si sentì a disagio dall’essere lì, dalla situazione, dai sentimenti forti che avvertiva vibrare nell’uomo di fronte a lei. Uomo che le aveva fatto una richiesta incoerente spinto da un’urgenza molesta.
Uomo affascinante, ma il cui aspetto era cambiato, non avrebbe saputo dire se in meglio o in peggio.
Forse le piaceva così, ma avrebbe dovuto guardarlo meglio prima di decidere, e soprattutto, avrebbe dovuto prima pensare a lui e alla sua mente, che al suo aspetto.
- Qual è il problema? - chiese, prima di preoccuparsi di chiedersi se il proprio dovere era effettivamente quello di essere lì.
 
Love kills
thrills you throught your heart
scars you from the start
it’s just a living pastime
ruining your heartline


- Non sono un poco di buono! Io ho assoluto rispetto della religione e dei nostri principi. Vorrei soltanto che definissimo una barriera fra quello che sono e quello che il mio lavoro mi spinge a fare.
Appoggiò i palmi sudati sul tavolo, stremato. Sentì più con l’intuizione che col mero udito che i Maestri si stavano scambiando sguardi e commenti sussurrati che non promettevano niente di buono per lui. Katherine era seduta poco distante, le mani strette in grembo e in viso un’espressione accorata.
- Direi che ci siamo dimostrati più che comprensivi, accondiscendenti quasi, di fronte al tuo recente lavoro. E’ il successo, che ti sta dando alla testa. Non puoi chiederci di andare contro la nostra stessa religione per te, Michael.
- Sei sempre stato un bravo studente e un ottimo osservatore delle leggi, ma chiederci questo favore è chiederci di non rispettare volontariamente i nostri principi.
- Io non ho fatto mai nulla di male. - Borbottò, disperato. La comunità era l’unico posto dove poteva stare in un gruppo folto di persone che lo giudicavano per quello che era, e non per il suo successo. I Maestri volevano togliergli questa gioia, e non sapeva se era in grado di sopportarlo.

Stats for a lifetime won’t let you go
cause love
Love love love
Love won’t leave you alone


- Le cose non vanno per niente bene. Tutto sta andando in malora. I miei fans mi stanno voltando le spalle e i giornalisti sono terribili. Guarda cosa mi arriva a casa.
Le allungò dei pacchetti, e lei notò che ammucchiati per terra ce n’erano decine uguali. Scartò quello che lui le porgeva e appena riconobbe gli oggetti all’interno, capì. Non ci fu bisogno di chiedere ulteriori spiegazioni.
Senza rifletterci troppo lasciò cadere il pacchetto e il suo contenuto e si sedette vicino a lui.
Lascia stare avrebbe voluto dirgli. Sono solo sciocchezze, ma sapeva che non era completamente vero. Certe cattiverie ferivano come coltelli quali erano.
Avrebbe voluto trovare le parole, la voce giusta per dirgli che sarebbe andato tutto bene, che era solo un periodo nero.
- Inoltre - ricominciò a parlare lui - nemmeno gli altri mi capiscono. Pensavo fossero miei amici, e invece mi stanno abbandonando, sia sul piano musicale che su quello personale. Non pensavo che sarebbe potuto succedere. Non in questo modo almeno.
Lei si morse il labbro, in difficoltà. Lei non poteva risolvere i suoi problemi. Perché l’aveva chiamata? Perché era andata da lui?
Incurante del suo disagio, lui la abbracciò di slancio e scoppiò a piangere.

- Il punto è, Michael, che abbiamo tollerato troppo questa situazione.
- Già, non possiamo continuare così facendo finta di nulla. Inoltre, prima o poi, il pubblico saprà che fai parte della nostra Fratellanza, e visto che non ne rispetti i principi, non possiamo più permetterlo.
- Michael è nostro fratello signori - si sporge avanti uno dei Maestri. Appoggiò una mano sulla spalla al ragazzo, nero di disperazione, e Michael si sentì lievemente meglio. - La sua posizione non è facile, e non dipende da lui, non del tutto. Io propongo di essere clementi e di valutare più a fondo questa situazione.
- L’abbiamo già fatto, fratello Gabriel.
- E allora cosa pensate di fare? - esclamò Michael alzando la voce. - Sono vostro fratello, crediamo negli stessi principi. Ho fatto un giuramento, non potete impedirmi di praticare le Leggi e di rinnegare il mio credo!

Love won’t take no reservations
love is no square deal
Hey love don’t give no justification
It strikes like cold steel


L’aveva consolato come meglio aveva potuto, ma l’ipocrisia non era il suo forte. Non riusciva a nascondere la propria difficoltà nell’essere lì.
Le sue lacrime le bagnavano lo sterno, e i suoi singhiozzi erano imbarazzanti. Tuttavia lei non si mosse, e riuscì pure ad appoggiargli le mani sulla schiena e a regalargli qualche carezza rassicurante.
Lo guardò da sopra e le sembrò ridicolo. L’attimo dopo, si sentiva un mostro.
Un uomo alto e forte era lì fra le sue braccia e le stava mostrando tutta la propria debolezza. Non erano anni che si conoscevano, anzi, era proprio poco. Eppure era bastato perchè lui si fidasse e la ritenesse speciale a sufficienza. Abbastanza da donarle sé stesso.
Delusa dalle proprie emozioni, mai si era sentita così meschina, ricambiò l’abbraccio più forte che poteva, e improvvisamente fu come se tutto il dolore da lui provato si riversasse in lei, al pari di un’onda travolgente.
Sorpresa aprì le braccia, ma il gesto d’affetto ormai era stato compiuto, e lui rispose con fervore. Era completamente in crisi.
Per un attimo rimase paralizzata, incapace di capire cosa le fosse appena successo. Poi si riebbe e tornò a stringerlo. Le lacrime continuarono. Perché era venuta?

Love kills
thrills you throught your heart
scars you from the start
it’s just a living pastime
Burning your lifeline


Luci e ombre si intervallavano a intermittenza. Il rumore di sottofondo del motore era come un frastuono altalenante fra il silenzio e lo stridore della pazzia.
La Rolls Royce scivolava rapida fra le strade di Los Angeles sgombre di traffico, ma Michael restava immobile in un unico pensiero.
L’avevano sbattuto fuori.
Tranne maestro Gabriel, tutti gli altri confratelli non avevano avuto bisogno di ulteriori riunioni e avevano deciso, all’unaminità, che Michael non avrebbe più fatto parte del loro gruppo.
O meglio, avrebbe potuto, se avesse deciso di rinunciare alla sua carriera di pop star.
‘Rinunciare?’ aveva detto. Con quello che ho realizzato, sapete cosa significa chiedermi di rinunciare?
Preferisci la tua carriera o la tua religione? avevano risposto, freddi e crudeli come unghie affilate nella carne, gli occhi vitrei di chi non ha pietà.
Solo fratello Gabriel aveva dimostrato, fra tutti, un briciolo di umanità.
Si era avvicinato e con un sorriso triste, poggiandogli una mano sulla spalla in una stretta solidale gli aveva detto, Prenditi del tempo per pensarci.

Gives you as hard time won’t let you go
Cause Love
love love love
Love won’t leave your alone


- Sei un angelo. Non hai esitato a raggiungermi e io te ne sono grato. Sei la seconda persona che mi è più vicina in questo momento e non saprò mai come ringraziarti.
- Non dire così, ti prego. Non ho fatto nulla. Piuttosto, sarà meglio che facciamo qualcosa per te. Devi riprenderti.
Sbuffò e si tuffò nel divano. Era perso e triste. E sfinito, dopo quel pianto durato ore.
Da dietro le tende di velluto dell’unica finestra presente, nascosta parzialmente dalle ombre dei palazzi, una nuova alba sorgeva.
E insieme ad essa, un’idea.
Vicino a lui era abbandonata una chitarra. Jackie si alzò e la prese. L’accordò, sedendosi vicino a lui che non la guardava. Passò le dita sulle corde. Sembravano unte. Andava bene lo stesso.
- Cosa fai?
Suonò appena, e lo guardò. Era ancora abbandonato, ma nei suoi occhi vedeva una briciola di interesse.
Lo osservò nella sua interezza e fu come se il futuro venisse proiettato di fronte a lei.
Non avrebbe potuto salvarlo, non sarebbe mai riuscita a cambiare il suo destino, ma forse avrebbe potuto regalargli qualcosa che lo avrebbe temporaneamente rincuorato.
A lui sarebbe bastato in quanto essere umano debole, per cui non c’era niente di meglio che un po’ di sollievo, un respiro in mezzo alla corsa.
E non c’era nulla che lei sapeva fare meglio che scrivere canzoni.

‘Pop star’.
Che nome pomposo che descrivere quello che per lui era solo il manifestarsi della sua arte e del suo talento.
La musica suonava in lui come il battito del suo cuore, e le melodie prendevano forma e creazione a partire dalle radici più profonde di sé stesso, il centro della sua anima e della sua creatività, il punto centrale di ogni uomo che contiene la scintilla di Dio.
Il propagarsi delle sue creazioni fra la gente lo rendeva felice e immensamente appagato. Vedere come le canzoni arrivano a toccare le corde della sensibilità delle persone gli faceva bene, lo teneva in vita.
Che ci poteva fare se era nato per quello?

Hey love can play with your emotions
Open invitation to your heart
hey love kills
play with your emotions
open invitation to your heart to your heart


Lasciò che l’ispirazione la cogliesse impreparata e iniziò a cantilenare parole inconsistenti con una melodia che le uscì direttamente dal cuore.
Improvvisò un testo. Vide un foglio di carta sul tavolino e vi lesse le parole, probabilmente un altro testo, per adattarle alla propria melodia. Suonavano bene. Continuò così, salendo di tono man mano che riusciva a fare più cose con la chitarra. All’inizio non si era sentita molto a suo agio con lo strumento.
Poi tutto venne naturale. Cantò per un po’ normalmente, poi alzò la voce. Provò un acuto. Un la minore, e qualcosa che non aveva mai fatto. Espanse la gola per far risuonare meglio il suono dentro di sé, la voce esplose fuori da lei e le sembrò che i vetri si stessero per spaccare. Si riprese e continuò nella parte più fomentata della sua nuova canzone improvvisata. Per poi lasciarsi andare di nuovo. Senza esagerare, senza uscire dalle regole melodiche e metriche che conosceva dalla teoria del proprio mestiere. Doveva essere una canzone che tutti avrebbero potuto ascoltare, non solo quelli che avrebbero potuto capirla.
Quando rimase senza fiato lasciò che la chitarra urlasse un po’ per lei, finché non smise di suonare e concluse ancora con una melodia fatta con la voce, come un canto di fata che andava dissolvendosi, come un flauto che perdeva potenza e si allontanava sparendo.
Quando guardò il suo interlocutore, rimase abbagliata dall’alba che si specchiava nel suoi occhi. O forse solo perché l’anima che affiora dal corpo di qualcuno non sempre è visibile a chi non è pronto a vederla.
E forse Freddie non era mai stato pronto a vedere un angelo prima di allora, in cui si convinse che lei non doveva essere altro in quel momento.

Alla disperazione seguì un mare di rabbia profonda. Che importava se lo avevano sbattuto fuori dalla Fratellanza? Lui avrebbe praticato lo stesso. Non sarebbero stati loro a impedirgli di pregare, di rinnovare il proprio credo. Chi erano loro per lui? Semplici voci, semplici facce che lo avevano guardato per un pò e poi, come la maggior parte del pubblico, erano svanite.
Una lacrima.
Dunque era questo il suo destino? Era solo una luce temporanea nella vita delle altre persone?
Sarebbe sempre comparso per poi dissolversi, e ritornare a pregare da solo, in silenzio o anche urlando, non importava. Nessuno lo avrebbe sentito.
Destino crudele o forse glorioso.

Love kills
love kills

 
———



Thomas si coprì gli occhi con una mano, accecato dal sole.
Scrutò l’orizzonte per un po’, poi sorrise e camminò rapidamente verso Jackie, appena uscita dal gate dell’areoporto. Aveva preferito fare un viaggio più comodo per il ritorno.
Prima che potesse percepire l’aria afosa di Los Angeles, una stretta potente le mozzò ogni possibilità di respiro.
Eccolo, il suo uomo.
-Eccoti, mia cara.
Non riuscì nemmeno a sorridergli che lui la baciò con fervore, una passione dapprima dolce e entusiasta, poi sempre più profonda. Quel bacio stava durando troppo, e sentì la propria felicità trasformarsi in disagio, percependo le persone attorno a loro e il fatto di manifestare certe intimità, o almeno quelle che per lei erano intimità, in un luogo pubblico e di passaggio.
Lo allontanò con pacata fermezza, e subito il suo sguardo fu su di lei, colpevole e intimidatorio.
- Siamo in mezzo a delle persone, sai che non amo dare spettacolo. - disse lei, in tono rassicurante. Si morse la lingua. Perché mai doveva giustificarsi con lui per una cosa del genere?
Lui si sistemò la giacca, socchiudendo gli occhi e facendo spallucce.
- Bè, se fare spettacolo non fosse anche il tuo lavoro, avrei potuto crederti. Ma come vuoi allora - recuperò la propria espressione sorridente e quasi maliziosa. Le prese la mano. - Mi terrò tutto dentro finché non arriveremo a casa.
Lei sorrise, un lieve rossore sulle guance, evitando di manifestargli la propria stanchezza e il desiderio di dormire: non aveva chiuso occhio da quando aveva lasciato Freddie, e neanche prima.
Come avrebbe potuto farlo?
Come con Michael, avere a che fare con persone di una tale personalità ed energia era spossante, certo, ma anche così inconsciamente esaltante da perpetuare a livello fisico un senso di euforia e benessere generale, nonostante le precedenti circostanze siano state tutt’altro che allegre.
Michael! Non lo sentiva da almeno quattro giorni. Dopo Freddie non aveva chiamato nessuno se non Thomas, e per lei era strano non sentire il proprio amico per ‘così tanto’ tempo. Erano abituati a vedersi o quantomeno parlare al telefono quasi ogni giorno, sin da quando erano bambini. Era una normalità come l’atto di respirare, spontaneo e invisibile ma che, quando viene a mancare, ce ne si accorge subito e si deve correre ai ripari.
Guardò Thomas. Sarebbe stato saggio prendersi del tempo per chiamare Michael finché stava con il proprio fidanzato? Probabilmente no. Aveva intuito che Thomas sentiva un certo senso di inferiorità rispetto a Michael, ma pensava che fosse quello che sentivano tutti nei suoi confronti. Lui era una persona davvero unica, e pochi al mondo erano come lui. Anche per questo era arrivato dov’era arrivato, e non c’era altro da aggiungere.
Molti invidiavano Michael per quello che era, e lei presupponeva che, in una forma molto leggera, anche Thomas lo facesse.
Quei pensieri avrebbero dovuto allontanarla dal pensiero di chiamare Michael, ma invece quello era proprio ciò che più sentiva il bisogno di fare.
- Mi lasci giusto il tempo di fare una chiamata tesoro? - chiese, indicando una cabina. - Poi andiamo a cena.
Thomas smise per un attimo di sorridere, poi sforzò gli angoli della bocca, la baciò e si allontanò con le mani in tasca.
Lei avvertì la saliva umida che le era rimasta all’angolo della bocca e rabbrividì, per il senso di colpa e anche qualcos’altro. Sapeva bene che cosa, quindi arrossì e cercò di ricomporsi per la chiamata.
- Ma dov’eri finita?
Michael non era proprio dell’umore.
- Ho avuto un’emergenza e sono dovuta partire.
- Cosa?
- Niente di grave, io sto bene, non preoccupar…
- Hai detto che era un’emergenza, quindi era qualcosa di grave. Altrimenti non sarebbe stata un’emergenza. Che è successo? Dove sei ora?
- Sono con Thomas, non devi preoccuparti di nulla. Ti racconterò tutto non appena ci vediamo.
- Uhm, va bene. Non saresti dovuta partire così, avevo bisogno di te…
- Che è successo?
- Ti racconterò tutto non appena ci vediamo. - Le fece il verso.
- Dai stupido. Stai bene?
- Più o meno.
- Che è successo?
- Quando ci vediamo?
- Non lo so. - Guardò Thomas in lontananza. Visto che era un po’ che non passavano un po’ di tempo insieme, avrebbe prima dovuto informarsi sui suoi programmi e regolarsi di conseguenza. Si rendeva conto che stava trascurando il suo fidanzato. La maggior parte delle volte a causa di Michael… Che problemi aveva?
- Beh, puoi decidere.
- Ti faccio sapere domani o stasera. Devo organizzarmi.
- Capisco. Allora passa una buona serata con il tuo fidanzato.
Passa una buona serata con il tuo fidanzato’. Michael non aveva mai detto una frase simile con quel tono di voce da prima donna.
- Uhm, grazie e smettila di essere strano. Ci sentiamo presto.
- Ciao.

Che stronzetta.
Per quanti anni avesse, ancora si sforzava di non dire parolacce, nel suo perpetuo tentativo di essere una persona totalmente pura. Non poteva evitare di lasciarsele sfuggire, ogni tanto, almeno con il pensiero.
Si stupì invece di aver pensato che Jackie, la sua Jackie, fosse una stronzetta.
E lo era stata: che le costava spiegargli cosa era successo, e magari passare un paio di giorni da lui, in modo che avrebbe potuto raccontarle cosa era successo?
Stava sempre con Thomas, lui avrebbe potuto capire e aspettare. Dopotutto lavorava per Lui. Anche se quest’ultimo pensiero non aveva molto senso… In ogni caso non era giusto, e avrebbero potuto venirgli incontro.
Non era facile essere sé stesso. Jackie sapeva che aveva problemi di solitudine, e invece aveva fatto finta di nulla. E per cosa poi? Per una cena con Thomas? Nulla che non si potesse fare anche a casa sua.
Che stronzetta. Anzi, proprio una stronza.
Considerò l’ipotesi di richiamarla e invitarla a casa, per poterle parlare subito, ma si bloccò con il telefono in mano. Il filo della cornetta penzolava inerte. I tasti del telefono sembravano fatti di pietra.
Alla fine riagganciò sbattendo la cornetta.

- Sembri distratta. Qualcosa ti ha turbato? - le chiese Thomas.
Si pulì la bocca col tovagliolo prima di rispondere. Alla fine avevano optato per una intima cena a casa di lei.
- Non proprio, è Michael che a volte si comporta come una reginetta capricciosa.
- E’ normale, per le persone come lui. Sono abituate ad avere quello che vogliono e subito.
Lei non rispose. Sapeva che in parte era vero, ma anche Thomas sapeva che lei non amava quel genere di commenti, soprattutto nei confronti di Michael.
- E comunque non mi va che questa cosa abbia distratto la mia bellissima Jaqueline. - le disse, venendole vicino.
Lei lo guardò negli occhi, caldi e lucidi di amore e ammirazione. Sorrise, sinceramente rincuorata dal fatto che lui non se la prendesse. Per l’ennesima volta.
- Scusami tesoro. - gli gettò le braccia al collo. - Mi dispiace di avere sempre la testa altrove. E’ che tutto questo mi prende totalmente, ed è sempre stata la mia vita.
Lui la baciò. - La vita è piena di cose, amore. E nel tuo cuore c’è spazio per tutte. A me interessa solo che ci sia spazio anche per me. Il resto passa.
Lo abbracciò stretto e poi lo baciò con passione. Lui rispose con fervore e la prese in braccio.
Lei, approfittando dello slancio, gli strinse le gambe attorno al busto e si aggrappò con forza. A quel contatto sentì l’interno del proprio ventre liquefarsi.
Lui la portò in camera, il naso nei sui capelli, una mano a sostenerla e l’altra incastrata fra di loro, su un seno.
A ogni stretta, ogni bacio, ogni respiro lei si sentiva sciogliere, e questa sensazione interna che si amplificava e diventava sempre più forte, impossibile da gestire. Gemette nel momento in cui lo la gettò sul materasso, e la calda lava che sentiva dentro di sé crebbe a dismisura come una cascata. Tanto… Troppo.
- Thomas!
I suoi occhi mortificati entrarono nel suo campo visivo a distanza molto ravvicinata.
- Ho sbagliato?
- Thomas, spostati!
Si ritirò come se si fosse scottato.
- Jackie! Mi dispiace!
- Ma no! - Si alzò e gli prese le mani per tranquillizzarlo, uno sguardo ilare, incredulo e vergognoso.
- Ho le mie cose! - esclamò, mentre le guance si dipingevano di rosso. Lui sbarrò gli occhi incredulo. - Ho sentito che arrivavano in quel momento e.. Oddio! Dispiace a me! Non hai fatto niente di sbagliato!
Lui rimase immobile per un secondo, poi scoppiò a ridere.  

 
———


Non sapeva del perché volesse raccontarglielo, semplicemente si erano sempre detti tutto. Sull’argomento, le battute si sprecavano, anche se Michael si tratteneva perché dire ‘certe volgarità di fronte a una donna non è da gentiluomini’.
Chissà cosa sarebbe scaturito da quella confidenza. Probabilmente avrebbe cominciato a prenderla in giro e non avrebbe più smesso, pensò sorridendo.

 
 ———


Qui le cose dovranno cambiare in qualche modo, pensò Michael mentre si spalmava la crema sulle mani.
Era un prodotto efficace di protezione contro le luci del palco. A volte vi era così vicino che alla fine della giornata avvertiva fastidio alla pelle.
Maledetta quella malattia.
Karen si stava prendendo cura di lui.
Era la sua truccatrice da poco assunta, e ne aveva continuo bisogno per aiutarsi a coprire le fastidiose macchioline bianchicce che gli erano spuntate sulla faccia, sul collo e sul petto.
- Devono essere invisibili - si era raccomandato - E non è necessario aggiungere che è necessaria la massima discrezione a riguardo.
- Ovvio - gli aveva risposto, e già gli piaceva. - Posso farti solo una domanda?
- Si certo.
- Hai detto che il processo continuerà… Cosa facciamo quando ci saranno tante macchie?
- Il mio chirurgo sta cercando una soluzione. - replicò scuotendo la mano.
Odiava, odiava parlarne. Anche se con una persona che già sentiva amica.
Karen era una giovane ragazza che sembrava uscita da un panorama di campagna, per quanto l’avesse scelta per le sua capacità e la reputazione niente male.
- E se lo lasciassi vedere?
La guardò sbarrando gli occhi.
- Assolutamente no! - strillò. - La mia immagine e la mia carriera ne risentirebbero.
-Ma…
- Non voglio che questa cosa diventi il motivo principale per cui la gente mi conosce - la interruppe, con l’ansia nella voce. - Voglio essere ricordato per la mia arte e la mia musica. La vitiligine non deve avere nulla a che fare con questo.
- Ok, scusa. - rispose lei, alzando le mani in segno di resa. - Cercavo solo di capire.
Le appoggiò una mano sulla spalla, con fare tranquillo.
- Non volevo risponderti male, ma è una cosa che mi affligge. Non parliamone più se non necessario ok?
- Certo, farò solo il mio lavoro. Scusa se sono stata indiscreta.
Era sincera, e Michael la rassicurò. Karen gli piaceva. Emanava fiducia.

Ritornò sul palco con uno sbuffo.
Non amava più particolarmente esibirsi, sopratutto se doveva farlo con i Jacksons.
Si morse il labbro pensando a quanto era stato sciocco ad accettare e firmare quell’impegno con il Victory Tour, strascico sudicio di una storia arrivata alla fine.
Quella serie di spettacoli non erano altro che tentativi per rendere redditizio un contratto che, sulle sue proprie spalle, avrebbe arricchito i suoi fratelli e suo padre, per il quale non intendeva più lavorare.
Quei pensieri lo infastidirono: l’immagine di Joe giunse brusca nella sua mente e gli diede un fastidio tremendo, tanto che si sentì tremare le braccia e le gambe.
Ogni suo poro, ogni briciola di pelle fremeva di disgusto come se quell’uomo lo stesse toccando in quel momento.
Cercò di scacciare con razionalità quei pensieri burrascosi. D’altronde, la responsabilità era sua: non era riuscito a dire di no a sua madre, che sembrava tenerci moltissimo a quello spettacolo.
Come se vederli riuniti in un tour come accadeva anni prima facesse tornare la famiglia unita, quando ormai non poteva più dirsi completamente tale.
Certo, Michael si rendeva conto che dentro la propria testa vi era l’insormontabile principio di sacralità famigliare: non c’era cosa più importante al mondo. Ma si rendeva anche conto che era un dogma che non apparteneva totalmente a lui, ma inculcatogli attraverso l’educazione, e per quanto sapesse di non poterne venire meno, non si sentiva completamente d’accordo.
In qualche breve momento era stato bello ritornare a cantare e ballare con i suoi fratelli, in memoria dei vecchi tempi, com’era anche successo alla Motown 25.
Era anche vero che Michael non si sentiva più lo stesso, e che non aveva bisogno di quello.
Avrebbe conservato quei pensieri per sè fino alla fine del tour e poi, ripromise a sè stesso, non avrebbe più fatto parte dei Jacksons.

Quell’impegno lavorativo l’aveva seguito anche a casa in quanto la vita ad Haveyrust non gli aveva più concesso solitudine.
La preparazione del tour aveva magicamente fatto tornare in mente ai suoi fratelli che esisteva anche lui non solo come il fratello che aveva avuto più successo come solista, ma anche come il loro piccolo fratellino, beniamino di tutti.
Era abituato all’ipocrisia, ma percepirla a quei livelli anche a casa lo stancava oltre misura.

Una domenica in cui si era organizzata una piccola festa con tutti i fratelli e anche molti altri parenti, decise di aver parlato a sufficienza con tutti e si dileguò nella solitudine della stanza chiusa a chiave, finché sua madre non lo chiamò dicendogli che aveva una visita.
Jackie, manna dal cielo.
Almeno avrebbe parlato con qualcuno di cose interessanti.

Lei arrivò e cambiò espressione appena lo vide. Sembrava che qualcuno lo avesse appena tirato fuori da una pentola di fagioli dov’era rimasto a bollire e stufare per dodici ore.
- Mio Dio che faccia. Ti ha investito un camion? - lo salutò abbracciandolo. Lui rise.
- Il tour mi sta devastando.
- Sei troppo giovane per dire certe cose.
- Hai ragione scusa. La mia famiglia mi sta devastando.
La fece accomodare.
Le indicò il letto e un vassoio sul quale c’erano dei sandwich che aveva trafugato dal buffet in giardino.
Da fuori proveniva un discreto chiasso: dovevano essere nel pieno dei festeggiamento della grande ‘riunione dei Jacksons’.
- Come stanno andando le prove?
Jackie era esclusa dal progetto. O meglio, nessuno le aveva offerto un ruolo, finché Jermaine o Tito si erano ricordati che era la collaboratrice stretta di Michael nonché una maga nel suo lavoro per gestione dello staff e cura del suono, e le avevano fatto una proposta, che lei aveva subito rifiutato.
Per motivi simili a quelli di Michael, preferiva tenersi alla larga da Joe.
Sin da quando era bambina le faceva paura, anche se non aveva mai subìto violenza fisica da lui direttamente, ma il terrore nei suoi confronti che vedeva come un riverbero sempre presente negli occhi di Michael la toccava nel profondo, e piuttosto che rischiare di provare astio nei suoi confronti per quello che aveva fatto al proprio amico, preferiva non vederlo se non a certi ritrovi famigliari ad Haveyrus, dai quali non era mai esclusa. Dopotutto, era amica stretta di quella famiglia da quasi tutta la sua vita.
Michael le raccontò ogni cosa: la bellezza nel ritrovarsi, le battute, la difficoltà a sopportare certi vecchi loro difetti che scaturivano, le discussioni riguardo la scaletta e riguardo le proprie insistenze nel voler cantare una o due delle proprie canzoni da solo.
- Hai ragione tu - commentò Jackie - Sarebbe ipocrita e deludente per il pubblico non inserire uno o due pezzi di Thriller, soprattutto dopo il successo che ha avuto. Sarebbe davvero fuori luogo. Perché sono così restii verso questa decisione?
- Perché non sopportano che io abbia avuto tutto questo successo - rispose Michael con tranquillità. - Soprattutto Jermaine. Sono venuto a sapere che alla Motown ha raccontato delle cose assurde sul mio conto, tutte dicerie con l’unico scopo di far rivalutare la propria immagine come colui senza il quale non avrei potuto arrivare dove sono arrivato.
Jackie sorrise amaramente.
- E’ sempre stato così. Lo sapevi prima di accettare.
- Si, ma non riesco a dire di no a mia mamma. Ci tiene così tanto a questi concerti. Ha comprato tutti i biglietti in prima fila per sè, Rebbie, LaToya e Janet per ogni serata.
- Ma dai?
- Ha anche comprato un camper per seguirci con più facilità.
- Katherine è fantastica. Ha una forza sovrumana.
- Lo so, la amo.
- Anch’io.
- Tu invece che stai facendo?
- Di lavoro intendi?
- Si.
- Dunque, il mese prossimo sono in studio a registrare una canzone con Freddie, mi occupo della post-produzione.
- Oh - esclamò ammirato. - Da dove è nata questa cosa?
- In breve, ci siamo incontrati e abbiamo scritto una musica da cui estrarrà una canzone. Fine.
- Sei magica Jackie.
- Ahaha
- Però mi stai tradendo.
- Scemo.
- E poi? In questo periodo prima della registrazione?
- Dopodomani parto e vado in vacanza con Thomas, facciamo un viaggio.
- Ah, dove?
- Caraibi.
- Oh. Quindi siete proprio fidanzati fidanzati?
- Non lo avevi ancora capito? - lo prese in giro lei, anche se avvertiva una certa rigidità nell’aria. Era così strano parlare a Michael del suo fidanzato.
Si diede della stupida e scrollò le spalle cercando di scacciare quella sensazione che riteneva infantile e inutile.
- Certo che lo avevo capito. Me l’hai detto.
- Si. Tu invece? Qualche ragazza al momento?
- Sto uscendo con Brooke Shields. E’ carina. Ci divertiamo un sacco.
- E’ la tua ragazza?
- Non la definirei tale. Ma invece vorrei sapere come va con Thomas.
- Cosa vuoi sapere? - Divenne rossissima, e ciò lo incuriosì a dismisura.
- Non so, sembra che tu abbia qualcosa da raccontarmi. - scherzò, fingendo un’espressione maliziosa.
Voleva metterla ulteriormente in imbarazzo, ma quando vide che lei non sembrava scherzare troppo, il suo sorriso si smorzò.
- Jackie?
- Effettivamente, in confidenza, posso raccontarti che io e Thomas abbiamo raggiunto una certa.. Intimità.
Fu il turno di Michael di arrossire.
Jackie lo vide cambiare colore repentinamente e si preoccupò improvvisamente.
- Oddio, cosa ho detto? Ho sbagliato?
- Jackie, cosa mi vieni a dire? - strillò lui, mettendosi le mani sul volto.
- Pensavo che mi chiedessi questo!
- Parli come una donna dell’ottocento.
Lei si indignò.
- E come vuoi che te lo dica? Non so come parli di certe cose con i tuoi confidenti maschi! Non so… Ti dico direttamente che io e Thomas abbiamo fatto sesso?
- Tu e Thomas avete fatto sesso? - Tutto il colore accumulato di Michael svanì come vaporizzato.
Jackie rimase senza parole.
- Beh… Si?
- Si o no? - le chiese aggressivamente, gli occhi sbarrati dallo stupore.
- Si! - urlò lei in risposta. Cosa stava succedendo?
Michael la guardò qualche secondo in silenzio, sbalordito. Poi aggrottò le sopracciglia e la guardò arrabbiato.
- Non posso crederci!
- Come prego?
- Credevo fossi una persona seria.
- Come prego? - ripetè lei, sempre più incredula.
- Beh, le tue precedenti convinzioni erano di aspettare il matrimonio per certe cose. E ora guardati, ti sei data al primo che passa.
Lei boccheggiò un attimo prima di rispondere.
Aveva la sensazione che quello di fronte a lei fosse la versione infantile e capricciosa del suo migliore amico.
Maledizione, perché ogni tanto diventava così insopportabile? E senza motivo poi!
Si alzò, arrabbiata.
- Innanzitutto lui non è il primo che passa, ma siamo fidanzati da quasi un anno. Secondo, ho aspettato più che a sufficienza, il che dimostra che non prendo certe cose alla leggera, come dovresti sapere. E terzo, non ti devi permettere di darmi della poco di buono per delle decisioni private che riguardano solo me. Chiaro?
Michael la fissò senza parlare. Il suo sguardo era arrabbiato, ma il rossore andò aumentando, segno probabilmente che si stava rendendo conto che aveva sbagliato.
Tuttavia Jackie sapeva che, in quel preciso momento, non l’avrebbe ammesso e tanto meno le avrebbe chiesto scusa.
- Era la tua prima volta - disse lui dopo un pò, con voce seria e contenuta.
- E quindi ?
Lui non riusciva a immaginarsi Jackie persona nell’estasi del sesso fra le braccia di.. Thomas.
E poi perché se lo stava immaginando?
- Dovevi darle più importanza. E invece non l’hai fatto.
Dopo quell’uscita, non aveva senso continuare a discutere.
Si girò, prese la borsa e si preparò a uscire.
- Non capisco perché a volte devi comportarti così male. Me ne vado. Buona domenica.
- Jackie!
Non lo aspettò. Non si voltò. Ora si era innervosita.
Scese le scale di fretta ed ebbe appena il tempo si salutare Katherine per poi dileguarsi.
Arrivò a casa con un diavolo per capello.
Non aveva mai guidato così male in vita sua.

Guardò l’auto che lui le aveva regalato mesi prima uscire quasi sgommando dal vialetto di ghiaia.
Riconosceva di essersi comportato male, ma c’era qualcosa di tutta quella situazione che non lo convinceva affatto.
Si risedette sul letto a pensare.
Lui conosceva il sesso, ed era orribile.
Ricordava le orgie dionisiache a cui aveva assistito, e mai partecipato, allo Studio 54. La visione di certe scene in giovane età avrebbe rovinato la libido di chiunque per tutta la vita.
E lui vi aveva assistito, quasi ogni sera per diversi mesi, in compagnia di Woody Allen con cui, di fronte all’ardore di sconosciuti nudi che li accerchiavano, intraprendeva impegnati discorsi fra gli argomenti più svariati.
Quell’esperienza aveva cambiato la sua visione in molti ambiti della vita, soprattutto sul sesso.
Il sesso era inutile. Fine a sè stesso, non aveva alcun senso.
Non per lui, da cui il piacere scaturiva nel manifestare la sua arte e la sua musica.
Ovviamente aveva impulsi sessuali, faceva pensieri e non disdegnava la visione di qualche giornaletto o romanzo un pò spinto.
Ma non avrebbe potuto ‘sprecare’ la propria prima volta in un sesso senza motivo.
E la motivazione gliela avrebbe data l’amore.
Il fare l’amore era ciò a cui lui bramava.
L’elevare un semplice atto carnale a qualcosa di magico e unico, in cui perdersi non solo con i sensi del corpo, ma con l’anima intera.
E non aveva ancora trovato la persona giusta con cui conoscere quest’estasi.
Voleva che la prima volta fosse anche quella in cui avrebbe raggiunto uno stato superiore dei sensi. Era chiedere troppo?
Pensava, o meglio, aveva dato per scontato che Jackie avesse come propria questa visione.
Evidentemente si era sbagliato.
Lei aveva usato il proprio corpo come un oggetto di piacere, magari credendo che fosse la cosa giusta, e l’aveva fatto con un uomo qualunque.
Rattristato, arrabbiato, infastidito al massimo, si alzò e andò in bagno dove, all’interno di alcune boccette, lo attendevano le soluzioni ai suoi problemi.
  
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