2. 1968-1972
Borgov la chiamò per la prima volta Liza nella sua terza lettera.
Era stato lui a inaugurare questo carteggio, a metà maggio 1968: l'aveva sfidata a una partita di scacchi per corrispondenza e Beth aveva accettato con entusiasmo. Non aveva più giocato con nessuno dopo Mosca — l'euforia di quella vittoria che non l'aveva ancora abbandonata del tutto — e chi meglio di lui per ricominciare?
Beth aveva passato i mesi precedenti all'arrivo della sua prima lettera leggendo libri di teoria — i finali erano ancora il suo tallone d'Achille, doveva assolutamente migliorare o qualcuno prima o poi ne avrebbe approfittato — e nascondendosi in casa. Era diventata una star nazionale da quando la sua vittoria era diventata di pubblico dominio: una ragazza del Kentucky aveva battuto i comunisti al loro stesso gioco, questa era di sicuro la prova inconfutabile della superiorità morale degli americani.
Volevano che prendesse posizione e denunciasse il regime sovietico, ma Beth evitò tutte le domande politiche, concentrandosi solo su come aveva giocato nel torneo e su quanto rispettasse i Gran Maestri russi. I giornalisti, invitati alla Casa Bianca, adorarono il suo senso dell'umorismo e le sue risposte taglienti mentre il presidente — che sapeva a malapena muovere i pezzi e fu sconfitto con facilità in meno di 15 mosse — non apprezzò così tanto. A Beth non importava niente: non era più un pedone indifeso.
Odiava questa fama: si concentravano sulla sua vittoria contro i sovietici. Se Borgov fosse stato di qualsiasi altra nazionalità a nessuno sarebbe importato.
Beth tenne la sua irritazione fuori dalle sue lettere con Borgov. Insieme alla sua mossa, gli parlava delle piccole cose che le capitavano. Gli descriveva la sbocciatura dei fiori del suo giardino, o quanto le avesse fatto piacere ricevere la visita di un amico. D'altra parte, invece, Borgov non era così loquace. Rispondeva sempre alle sue domande, ma non sprecava pagine su pagine per descriverle la sua vita quotidiana. Era preciso — esattamente come il suo stile di gioco e la sua calligrafia — e diretto. Non aveva bisogno di fronzoli per mantenere la sua attenzione.
La loro corrispondenza era amichevole, poco adatta ai formali "Miss Harmon" e "Mr Borgov" che avevano usato come apertura fino a quel momento. Presto passarono al nome proprio, come vecchi amici: Borgov abbreviò il suo in Liza, proprio come avevano fatto i moscoviti durante la sua permanenza. Le piaceva molto il modo in cui tracciava le lettere del suo soprannome, specialmente la curva della l; lo trovava adorabile.
Beth conservava tutte le sue lettere in una scatolina intarsiata, posizionata accanto ai suoi trofei di scacchi nel salotto. Solo una, invece, era riposta nel cassetto del suo comodino, in modo da poterla leggere ogni volta che lo desiderasse, sempre attenta a non piegare la carta delicata: quella in cui Borgov le spiegava il motivo per cui le aveva scritto; era andato dritto al sodo, come sempre, e la sua calligrafia non mostrava segni di esitazione.
Ci si sente soli qui in cima al mondo, mia cara Liza.
Vasily Borgov era arrivato al Invitational di Toronto del 1970 con un altro interprete, un uomo basso con degli occhialetti rotondi che gli scivolavano spesso sul naso aquilino.
Seduta su un divanetto di pelle abbastanza scomodo, Beth era nel bel mezzo di un'intervista con un giornalista canadese quando aveva visto entrare il duo, seguito subito dopo dai soliti agenti del KGB e dal resto della delegazione sovietica. Si fermò a metà della frase, guardandoli fare il check-in al Grand Hotel. Erano passati due anni da quando aveva visto di persona l'ultima volta Vasily e adesso erano di nuovo nella stessa stanza. Era quasi strano, considerato anche che erano rimasti in contatto per tutto questo tempo: ora più che mai, sentiva la sua corrispondenza con lui come una cosa intima e privata, anche se era perfettamente consapevole che sia la CIA che il KGB sapevano ogni minima cosa di cui si parlassero.
Beth concluse velocemente l'intervista, promettendo di posare per alcune foto esclusive in modo da addolcire questa interruzione improvvisa, e marciò nel bar dell'hotel da dove avrebbe avuto una vista perfetta sulla hall senza dover girare in maniera innaturale il collo. Il suo sguardo fu attratto dall'interprete, che stava discutendo con la receptionist del posizionamento delle camere dei suoi giocatori, sorseggiando una Coca Cola.
La moglie di Borgov era sempre stata l'interprete ufficiale, fin da quando si erano sposati; non aveva mai mancato un torneo in 15 anni. Voci di corridoio avevano parlato di una separazione poco dopo Mosca, ma Beth non aveva mai dato adito a tali pettegolezzi. Una volta Vasily le aveva scritto che si sarebbe trasferito nella sua città natale, ma era perché voleva prepararsi al meglio per il campionato nazionale dell'Unione Sovietica e per quello del mondo nel 1969. Forse c'era anche dell'altro dietro quella decisione. L'assenza della signora Borgov era molto interessante.
Georgi Girev si separò dal gruppo per andarla a salutare. Aveva ora 18 anni ed era molto indietro rispetto alla tabella di marcia che le aveva elencato a Città del Messico. Rispetto al ragazzino dai tratti arrotondati che aveva conosciuto a quell'Invitational, il suo viso si era affinato e ormai la sovrastava di mezza testa, pur conservando ancora quella goffaggine tipica dell'adolescenza; aveva i capelli come i suoi compatioti, pettinati di lato e con così tanto gel che sembrava fosse appena uscito dalla doccia, ma portava anche una barbetta chiazzata nella speranza di apparire più grande dei suoi anni. Le ricordava Benny e la sua faccia da bambino. Il pensiero la fece sorridere.
Beth voleva parlargli della partita 14 del suo incontro con Borgov per il titolo mondiale — dove avrebbe dovuto giocare cavallo e4 invece di spingere il pedone, perdendo così la partita e con essa l'intero match — ma Georgi sembrava molto più interessato alle ultime uscite di Hollywood. Era arrossito mentre le elencava tutti i film che avrebbe voluto vedere durante la sua permanenza in Canada, arrivando a balbettare quando le chiese quali fossero i suoi piani per quei pochi momenti in cui non era impegnata col torneo. Beth non aveva una grande esperienza in relazioni, nessuno le aveva mai chiesto di uscire in vita sua, ma poteva intuire quali fossero le sue intenzioni dietro a quelle domande. Batté le palpebre, colta di sorpresa, ma non fece in tempo a rispondere poiché Laev richiamò Georgi, ordinandogli di smetterla di flirtare e di andare a prepararsi per la prima partita. Mentre Girev andò da lui quasi di corsa, borbottando qualcosa in russo così velocemente che non riuscì a coglierne il significato, Beth buttò giù d'un fiato la sua Coca e si diresse verso l'ascensore. Si voltò solo quando sentì su di sé lo sguardo di Borgov, le mani nelle tasche dei suoi eleganti pantaloni; mantenne il contatto visivo fino a quando le porte si chiusero fra loro.
L'imbarazzo di quell'incontro si riversò nella loro partita, nel turno cinque. Georgi guardava qualunque cosa non fosse lei, e il suo gioco era molto impreciso: alla mossa 19 non vide una semplice forchetta di cavallo, perdendo così un'intera torre. Abbandonò subito, le punte delle sue orecchie scarlatte, e sembrava talmente miserabile che Beth gli propose di andare a vedere un film insieme per rallegrarlo. Georgi accettò con così tanta foga che l'arbitro venne a redarguirli per poi accompagnarli fuori dalla sala da gioco, sotto lo sguardo degli altri giocatori, palesemente disturbati dal fracasso.
Davvero, questo Invitational stava diventando il torneo più imbarazzante della sua vita.
Il film e la compagnia furono divertenti, ma fu ben presto chiaro a entrambi che desideravano cose diverse da quest'uscita. Georgi la prese abbastanza bene e ritornò alla suite che la delegazione sovietica usava come sala analisi, mentre Beth decise di andare a controllare gli accoppiamenti per il sesto turno prima di ordinare una cena leggera e prepararsi per il prossimo avversario.
La sala da gioco era completamente vuota eccetto per Borgov, che stava studiando attentamente il tabellone. Si voltò al suono dei suoi tacchi sul pavimento di marmo e sembrò quasi sorpreso dalla sua presenza. La luce aranciata del tramonto, che filtrava dalle ampie finestre, sembrava addolcire i suoi tratti sempre severi. All'improvviso Beth aveva un nodo alla gola e, non fidandosi di poter parlare in queste condizioni, si limitò a sorridergli prima di ricercare il suo nome fra gli accoppiamenti. Quando lo trovò, al primo tavolo accanto a quello di Borgov, il respiro le se mozzò in gola.
Vasily la stava ancora guardando.
Provò a dire qualcosa, qualunque cosa, ma prima ancora che un suono riuscisse a uscire dalla sua trachea contratta lui le prese la mano. La sua pelle era calda e sorprendentemente morbida; non portava più una fede nuziale. Lentamente, la portò alla sua bocca, le sue labbra screpolate che indugiarono sulle sue nocche un po' più di quanto fosse consono. Non che a Beth importasse, in quel preciso momento, e anche Borgov sembrava essere d'accordo. I suoi occhi brillavano nella luce del crepuscolo come carboni ardenti e lei avvampò. Il suo corpo continuò a tremare per ore, dopo che la lasciò sola nella sala.
Uvidimsya zavtra, Liza, aveva mormorato, la bocca premuta contro la sua pelle. Ci vediamo domani.
La loro prima volta fu a Siviglia, a fine ottobre del 1970.
Non avevano avuto bisogno di preliminari, la loro partita era stata sufficiente: un estenuante scontro di cinque ore dove Beth era stata in vantaggio per la maggior parte del mediogioco; Borgov, tuttavia, riuscì a scambiare tutti i pezzi, portandoli in un finale re e pedoni. Il suo preferito. Ben presto riuscì a erodere tutto il suo vantaggio, con una facilità che la lasciò stupefatta.
Alla fine era una patta, ma nessuno dei due sembrava soddisfatto del risultato. Beth necessitava l'intera somma per aiutare Jolene con il suo ufficio mentre il governo sovietico voleva da Vasily una vittoria pulita e lo stava mettendo sotto pressione. Poteva vederlo chiaramente nella tensione dei muscoli della sua mandibola e nell'arco delle sue sopracciglia quando aveva fatto una mossa che non si aspettava; agli occhi di chiunque altro sembrava che non ci fosse nulla di diverso dal normale, ma non per Beth.
Era tornata nella sua stanza dopo aver ricevuto l'assegno, frustrata con se stessa. Si sentiva intrappolata nella sua pelle, troppo stretta per contenere tutta l'energia nervosa che l'era rimasta dalla partita. Si ritrovò a camminare avanti e indietro nella sua camera, come fosse un animale pronto a balzare sulla sua preda, recitando nella sua testa la partita appena conclusa per trovarne gli errori. Non ce n'erano di gravi, solo due imprecisioni che Borgov era riuscito a sfruttare abilmente. Era davvero un dio dei finali.
Il bussare alla sua porta era inaspettato, così come Vasily dall'altra parte. Se non fosse che in realtà non lo era: tutte le loro interazioni nel corso degli anni li avevano portati qui.
Non ci volle molto prima che fu dentro di lei, la bocca premuta contro la curva del suo collo.
Non stavano "facendo l'amore". Non c'era nulla di romantico nel modo in cui spingeva, lascivo e disperato, o in come le sue mani esplorassero il suo corpo, infilandosi sotto l'abito verde chiaro che non si era degnata di togliere. Dal suo canto, Beth non rimase con le mani in mano: dopo avergli sfilato la giacca marrone scuro era ora libera di esplorare il suo torso. Poteva sentire, sotto le proprie dita tremanti, come i muscoli della sua schiena si muovessero a ogni spinta e solo quello la fece gemere.
Borgov si immobilizzò a quel suono, un brivido che gli percorse la spina dorsale. Fu sul punto di chiedergli se stesse bene — e quella sarebbe stata la prima cosa che si sarebbero detti da quando si era presentato da lei — ma la voce le morì in gola quando la sua mano sfiorò il suo clitoride.
Beth poté solo aggrapparsi alle sue spalle larghe, ansimando quando le sue spinte si fecero più decise. Il suo nervosismo si sciolse in un piacere crescente e il suo corpo le sembrava quasi senza peso, come se Vasily fosse l'unica cosa a tenerla ancorata al materasso. Era inebriante, un'euforia che non avrebbe mai potuto replicare.
Quando fu soddisfatta, completamente rilassata e docile, bisbigliò il suo nome e questo fu la goccia che fece traboccare il vaso per Borgov. Collassò su di lei e Beth trovò molto confortante il suo peso, quasi una prova che non si era immaginata tutto; accarezzò i suoi capelli in silenzio fino a quando non si addormentarono.
La mattina seguente Beth si svegliò da sola nel suo letto. Avrebbe potuto catalogare l'intera faccenda come un sogno erotico molto vivido, ma il fatto che stesse ancora indossando l'abito del giorno prima — arrotolato fino allo stomaco e tutto stropicciato — lo contraddiceva. Aveva scopato con Vasily Borgov.
Aveva scopato con Vasily Borgov e non si erano baciati neanche una volta, anche se le aveva lasciato una scia di vistosi succhiotti sul collo.
Aveva sempre amato i maglioni a collo alto.
Beth apprezzava profondamente la bellezza.
Questo la rendeva una ragazza superficiale o materialista? Per molti sì, ma non era d'accordo: le piaceva solo circondarsi di belle cose.
Amava i vestiti d'alta moda che complimentavano la sua figura sottile, e un eyeliner che le accentuasse lo sguardo intenso; tuttavia non era un'amante dei gioielli, con l'unica eccezione del regalo del diploma di sua madre, che non aveva mai tolto da allora. La sua casa di Lexington era stata eletta la più bella del vicinato, in uno di quelle stupide gare che le casalinghe di mezza età ideavano per via della noia, ma non nutriva un grande interesse per l'arte in generale: apprezzava l'intento dietro la scultura, il tentativo dell'artista di ricreare la bellezza secondo il suo punto di vista, ma non l'allettava molto.
Beth trovava belle cose che per molti erano banali.
Amava come il sole autunnale filtrasse fra le foglie dei suoi alberi, nel giardino di casa; poteva passare ore e ore ad analizzare le partite di vecchi Gran Maestri, cercando di trovare le combinazioni più interessanti. Pensava che la regina fosse il pezzo più grazioso di tutti, ma il re che Vasily le aveva donato a Mosca rimaneva il suo preferito in assoluto.
Adorava anche il suo corpo nudo.
Beth poteva vedere nei suoi occhi, quando si spogliava, che pensava di essere troppo banale, troppo vecchio, per lei. Lo zittiva sempre inginocchiandosi davanti a lui e succhiandolo finché quei pensieri non sparivano. Era il campione del mondo, certo, ma a volte era così stupido. Cosa c'era da non amare in lui? Le piaceva il suo petto liscio, perfetto per posarvi il capo, e come le sue braccia muscolose la stringessero; il timbro della sua voce riusciva sempre a calmare la sua mente irrequieta, e tracciare con un dito il contorno delle sue labbra era la sua seconda cosa preferita mentre erano stesi a letto. La sua preferita in assoluto era baciarlo. Aveva un certo non so che che lo elevava da tutti gli altri uomini che aveva baciato in vita sua: forse era come muoveva la bocca sulla sua, pieno di desiderio, come se stesse cercando di divorarla; fore era come la stringeva a sé, una mano sulla nuca e l'altra sulla sua vita per premerla contro il suo petto. Probabilmente era perché stava baciando Vasily Borgov.
Beth sorrise dolcemente a quella realizzazione. Poteva vedere il sole sorgere su Roma e anche quella vista era bellissima. La guida turistica, assegnatale dalla Federazione Scacchistica Italiana, le aveva mostrato alcuni dei famosi monumenti della Città Eterna, le rovine dell'antica civiltà e le fontane barocche, ma l'aveva trovata troppo affollata, troppo commerciale. Preferiva di gran lunga questa vista, dalla suite al sesto piano, dove poteva ammirare i tetti e le cupole emergere dall'oscurità della notte. Anche se neanche questa poteva competere con ciò che l'aspettava all'interno.
Il corpo di Vasily era piacevolmente tiepido quando scivolò sotto le coperte. Istintivamente, le cinse la vita con un braccio, ancora profondamente addormentato. Avevano ancora un po' di tempo prima che Beth dovesse tornare nella sua stanza, perciò decise di farlo riposare un po' di più: d'altronde aveva analizzato la sua partita aggiornata fino alle 2 di notte. Lo avrebbe svegliato fra un'oretta e, dopo avergli fatto prendere il suo tè, l'avrebbe cavalcato fino a quando entrambi non sarebbero più stati fisicamente capaci di pensare.
Non c'era bisogno di parlare durante il sesso: tutto quello che si dovevano dire lo comunicavano con gli occhi. Beth sapeva già cosa ogni tanto rischiava di sfuggire a Vasily mentre lo facevano; allo stesso modo, i suoi occhi azzurro ghiaccio potevano trovare quale fosse la sua risposta, solo mantenendo il suo sguardo. Le parole erano semplicemente superflue.
Non aveva bisogno di una dichiarazione d'amore eterno, come nei film che guardava con Jolene dove la bella fanciulla bacia il suo unico grande amore sotto una pioggia scrosciante. Finché Vasily l'avrebbe continuata a guardare come aveva sempre fatto, era più che sufficiente.
La notizia della defezione in Francia di Vasily Borgov, a inizio 1972, sorprese il mondo scacchistico.
Beth era a New York, ad allenarsi con Benny per l'imminente San Diego Open, quando la notizia divenne di dominio pubblico attraverso una lunga intervista sul Time. Dalla sua nuova casa in Meudon, il campione del mondo spiegava perché avesse abbandonato l'URSS e quali fossero i suoi piani per il futuro. Benny le lesse l'articolo, la voce che tradiva la sua sorpresa, mentre Beth mantenne gli occhi fissi sulla scacchiera, le mani intrecciate davanti allle labbra per nascondere il piccolo sorriso che le curvava.
Non era per nulla sorpresa, la sua fuga era solo questione di tempo. Invece poteva sentire una gioia egoista nascerle nel petto e irradiarsi in tutto il suo corpo: seduta precariamente su uno degli sgabelli, Beth osò immaginare una vita normale con lui, non solo momenti fugaci fra partite in una camera d'albergo. Si perse in questo dolce scenario solo per un secondo, però, prima di riscuotersi.
Prese la rivista dalle mani di Benny — sfogliandola in silenzio mentre il suo amico continuava a dirle che cosa ne pensasse dell'intera faccenda — ma ignorò del tutto l'intervista, concentrandosi solo sulle foto. In una, Vasily era seduto in poltrona, le lunghe gambe incrociate e una scacchiera sul tavolino da caffè al suo fianco. Sembrava così rilassato e a suo agio nel piccolo soggiorno, un sorriso appena accennato sulle labbra, che appariva molto più giovane dei suoi anni: nel primo piano della pagina successiva Beth non riusciva più a intravedere la ruga sulla sua fronte causata dallo stress di rispettare le alte aspettative riposte sulle sue spalle dal governo sovietico. Ricordava chiaramente di averla provata a lisciare, ridendo sommessamente mentre giacevano a letto insieme una mattina, e di quanto fosse bello il sorriso di Vasily prima che la baciasse, mozzandole il fiato.
Beth rivide quello stesso sorriso tre mesi dopo, a San Diego, nella hall affollata dell'hotel dove l'Open si sarebbe svolto. Era da solo questa volta, nessun interprete né agente del KGB ad accompagnarlo, e sembrava fuori luogo con il suo completo carbone e una pacchiana cravatta bordeaux fra i turisti vestiti in modo casual. Vasily la trovò immediatamente nella folla, come sempre, e il mondo di Beth si ridusse ai suoi occhi. Rimasero in silenzio uno di fronte all'altro per un lungo momento, come se temessero che l'altro sarebbe scomparso da un secondo all'altro. Fu Beth a rompere l'impasse prendendo la sua mano fra le sue e facendo scivolare sul suo palmo il re nero di Mosca.
Lui riconobbe immediatamente il pezzo, anche senza guardarlo, e, proprio come allora, l'attirò in un abbraccio. Questa volta, tuttavia, non si limitò ad abbracciarla nella luce dorata di quel pomeriggio estivo: Vasily posò la mano libera sulla sua guancia e premette la bocca sulla sua. Era un bacio lungo e senza fretta fra due persone che non avevano più bisogno di nascondersi: avevano tutto il tempo del mondo ora. Beth fu la prima a staccarsi, le guance appena arrossate e il rossetto cremisi leggermente sbavato. Un dolce sorriso si allargò sul suo volto mentre la sua mano stringeva ancora la usa, il re fra i loro palmi.
"Ciao, Vasya".
Borgov la chiamò per la prima volta Liza nella sua terza lettera.
Era stato lui a inaugurare questo carteggio, a metà maggio 1968: l'aveva sfidata a una partita di scacchi per corrispondenza e Beth aveva accettato con entusiasmo. Non aveva più giocato con nessuno dopo Mosca — l'euforia di quella vittoria che non l'aveva ancora abbandonata del tutto — e chi meglio di lui per ricominciare?
Beth aveva passato i mesi precedenti all'arrivo della sua prima lettera leggendo libri di teoria — i finali erano ancora il suo tallone d'Achille, doveva assolutamente migliorare o qualcuno prima o poi ne avrebbe approfittato — e nascondendosi in casa. Era diventata una star nazionale da quando la sua vittoria era diventata di pubblico dominio: una ragazza del Kentucky aveva battuto i comunisti al loro stesso gioco, questa era di sicuro la prova inconfutabile della superiorità morale degli americani.
Volevano che prendesse posizione e denunciasse il regime sovietico, ma Beth evitò tutte le domande politiche, concentrandosi solo su come aveva giocato nel torneo e su quanto rispettasse i Gran Maestri russi. I giornalisti, invitati alla Casa Bianca, adorarono il suo senso dell'umorismo e le sue risposte taglienti mentre il presidente — che sapeva a malapena muovere i pezzi e fu sconfitto con facilità in meno di 15 mosse — non apprezzò così tanto. A Beth non importava niente: non era più un pedone indifeso.
Odiava questa fama: si concentravano sulla sua vittoria contro i sovietici. Se Borgov fosse stato di qualsiasi altra nazionalità a nessuno sarebbe importato.
Beth tenne la sua irritazione fuori dalle sue lettere con Borgov. Insieme alla sua mossa, gli parlava delle piccole cose che le capitavano. Gli descriveva la sbocciatura dei fiori del suo giardino, o quanto le avesse fatto piacere ricevere la visita di un amico. D'altra parte, invece, Borgov non era così loquace. Rispondeva sempre alle sue domande, ma non sprecava pagine su pagine per descriverle la sua vita quotidiana. Era preciso — esattamente come il suo stile di gioco e la sua calligrafia — e diretto. Non aveva bisogno di fronzoli per mantenere la sua attenzione.
La loro corrispondenza era amichevole, poco adatta ai formali "Miss Harmon" e "Mr Borgov" che avevano usato come apertura fino a quel momento. Presto passarono al nome proprio, come vecchi amici: Borgov abbreviò il suo in Liza, proprio come avevano fatto i moscoviti durante la sua permanenza. Le piaceva molto il modo in cui tracciava le lettere del suo soprannome, specialmente la curva della l; lo trovava adorabile.
Beth conservava tutte le sue lettere in una scatolina intarsiata, posizionata accanto ai suoi trofei di scacchi nel salotto. Solo una, invece, era riposta nel cassetto del suo comodino, in modo da poterla leggere ogni volta che lo desiderasse, sempre attenta a non piegare la carta delicata: quella in cui Borgov le spiegava il motivo per cui le aveva scritto; era andato dritto al sodo, come sempre, e la sua calligrafia non mostrava segni di esitazione.
Ci si sente soli qui in cima al mondo, mia cara Liza.
Vasily Borgov era arrivato al Invitational di Toronto del 1970 con un altro interprete, un uomo basso con degli occhialetti rotondi che gli scivolavano spesso sul naso aquilino.
Seduta su un divanetto di pelle abbastanza scomodo, Beth era nel bel mezzo di un'intervista con un giornalista canadese quando aveva visto entrare il duo, seguito subito dopo dai soliti agenti del KGB e dal resto della delegazione sovietica. Si fermò a metà della frase, guardandoli fare il check-in al Grand Hotel. Erano passati due anni da quando aveva visto di persona l'ultima volta Vasily e adesso erano di nuovo nella stessa stanza. Era quasi strano, considerato anche che erano rimasti in contatto per tutto questo tempo: ora più che mai, sentiva la sua corrispondenza con lui come una cosa intima e privata, anche se era perfettamente consapevole che sia la CIA che il KGB sapevano ogni minima cosa di cui si parlassero.
Beth concluse velocemente l'intervista, promettendo di posare per alcune foto esclusive in modo da addolcire questa interruzione improvvisa, e marciò nel bar dell'hotel da dove avrebbe avuto una vista perfetta sulla hall senza dover girare in maniera innaturale il collo. Il suo sguardo fu attratto dall'interprete, che stava discutendo con la receptionist del posizionamento delle camere dei suoi giocatori, sorseggiando una Coca Cola.
La moglie di Borgov era sempre stata l'interprete ufficiale, fin da quando si erano sposati; non aveva mai mancato un torneo in 15 anni. Voci di corridoio avevano parlato di una separazione poco dopo Mosca, ma Beth non aveva mai dato adito a tali pettegolezzi. Una volta Vasily le aveva scritto che si sarebbe trasferito nella sua città natale, ma era perché voleva prepararsi al meglio per il campionato nazionale dell'Unione Sovietica e per quello del mondo nel 1969. Forse c'era anche dell'altro dietro quella decisione. L'assenza della signora Borgov era molto interessante.
Georgi Girev si separò dal gruppo per andarla a salutare. Aveva ora 18 anni ed era molto indietro rispetto alla tabella di marcia che le aveva elencato a Città del Messico. Rispetto al ragazzino dai tratti arrotondati che aveva conosciuto a quell'Invitational, il suo viso si era affinato e ormai la sovrastava di mezza testa, pur conservando ancora quella goffaggine tipica dell'adolescenza; aveva i capelli come i suoi compatioti, pettinati di lato e con così tanto gel che sembrava fosse appena uscito dalla doccia, ma portava anche una barbetta chiazzata nella speranza di apparire più grande dei suoi anni. Le ricordava Benny e la sua faccia da bambino. Il pensiero la fece sorridere.
Beth voleva parlargli della partita 14 del suo incontro con Borgov per il titolo mondiale — dove avrebbe dovuto giocare cavallo e4 invece di spingere il pedone, perdendo così la partita e con essa l'intero match — ma Georgi sembrava molto più interessato alle ultime uscite di Hollywood. Era arrossito mentre le elencava tutti i film che avrebbe voluto vedere durante la sua permanenza in Canada, arrivando a balbettare quando le chiese quali fossero i suoi piani per quei pochi momenti in cui non era impegnata col torneo. Beth non aveva una grande esperienza in relazioni, nessuno le aveva mai chiesto di uscire in vita sua, ma poteva intuire quali fossero le sue intenzioni dietro a quelle domande. Batté le palpebre, colta di sorpresa, ma non fece in tempo a rispondere poiché Laev richiamò Georgi, ordinandogli di smetterla di flirtare e di andare a prepararsi per la prima partita. Mentre Girev andò da lui quasi di corsa, borbottando qualcosa in russo così velocemente che non riuscì a coglierne il significato, Beth buttò giù d'un fiato la sua Coca e si diresse verso l'ascensore. Si voltò solo quando sentì su di sé lo sguardo di Borgov, le mani nelle tasche dei suoi eleganti pantaloni; mantenne il contatto visivo fino a quando le porte si chiusero fra loro.
L'imbarazzo di quell'incontro si riversò nella loro partita, nel turno cinque. Georgi guardava qualunque cosa non fosse lei, e il suo gioco era molto impreciso: alla mossa 19 non vide una semplice forchetta di cavallo, perdendo così un'intera torre. Abbandonò subito, le punte delle sue orecchie scarlatte, e sembrava talmente miserabile che Beth gli propose di andare a vedere un film insieme per rallegrarlo. Georgi accettò con così tanta foga che l'arbitro venne a redarguirli per poi accompagnarli fuori dalla sala da gioco, sotto lo sguardo degli altri giocatori, palesemente disturbati dal fracasso.
Davvero, questo Invitational stava diventando il torneo più imbarazzante della sua vita.
Il film e la compagnia furono divertenti, ma fu ben presto chiaro a entrambi che desideravano cose diverse da quest'uscita. Georgi la prese abbastanza bene e ritornò alla suite che la delegazione sovietica usava come sala analisi, mentre Beth decise di andare a controllare gli accoppiamenti per il sesto turno prima di ordinare una cena leggera e prepararsi per il prossimo avversario.
La sala da gioco era completamente vuota eccetto per Borgov, che stava studiando attentamente il tabellone. Si voltò al suono dei suoi tacchi sul pavimento di marmo e sembrò quasi sorpreso dalla sua presenza. La luce aranciata del tramonto, che filtrava dalle ampie finestre, sembrava addolcire i suoi tratti sempre severi. All'improvviso Beth aveva un nodo alla gola e, non fidandosi di poter parlare in queste condizioni, si limitò a sorridergli prima di ricercare il suo nome fra gli accoppiamenti. Quando lo trovò, al primo tavolo accanto a quello di Borgov, il respiro le se mozzò in gola.
Vasily la stava ancora guardando.
Provò a dire qualcosa, qualunque cosa, ma prima ancora che un suono riuscisse a uscire dalla sua trachea contratta lui le prese la mano. La sua pelle era calda e sorprendentemente morbida; non portava più una fede nuziale. Lentamente, la portò alla sua bocca, le sue labbra screpolate che indugiarono sulle sue nocche un po' più di quanto fosse consono. Non che a Beth importasse, in quel preciso momento, e anche Borgov sembrava essere d'accordo. I suoi occhi brillavano nella luce del crepuscolo come carboni ardenti e lei avvampò. Il suo corpo continuò a tremare per ore, dopo che la lasciò sola nella sala.
Uvidimsya zavtra, Liza, aveva mormorato, la bocca premuta contro la sua pelle. Ci vediamo domani.
La loro prima volta fu a Siviglia, a fine ottobre del 1970.
Non avevano avuto bisogno di preliminari, la loro partita era stata sufficiente: un estenuante scontro di cinque ore dove Beth era stata in vantaggio per la maggior parte del mediogioco; Borgov, tuttavia, riuscì a scambiare tutti i pezzi, portandoli in un finale re e pedoni. Il suo preferito. Ben presto riuscì a erodere tutto il suo vantaggio, con una facilità che la lasciò stupefatta.
Alla fine era una patta, ma nessuno dei due sembrava soddisfatto del risultato. Beth necessitava l'intera somma per aiutare Jolene con il suo ufficio mentre il governo sovietico voleva da Vasily una vittoria pulita e lo stava mettendo sotto pressione. Poteva vederlo chiaramente nella tensione dei muscoli della sua mandibola e nell'arco delle sue sopracciglia quando aveva fatto una mossa che non si aspettava; agli occhi di chiunque altro sembrava che non ci fosse nulla di diverso dal normale, ma non per Beth.
Era tornata nella sua stanza dopo aver ricevuto l'assegno, frustrata con se stessa. Si sentiva intrappolata nella sua pelle, troppo stretta per contenere tutta l'energia nervosa che l'era rimasta dalla partita. Si ritrovò a camminare avanti e indietro nella sua camera, come fosse un animale pronto a balzare sulla sua preda, recitando nella sua testa la partita appena conclusa per trovarne gli errori. Non ce n'erano di gravi, solo due imprecisioni che Borgov era riuscito a sfruttare abilmente. Era davvero un dio dei finali.
Il bussare alla sua porta era inaspettato, così come Vasily dall'altra parte. Se non fosse che in realtà non lo era: tutte le loro interazioni nel corso degli anni li avevano portati qui.
Non ci volle molto prima che fu dentro di lei, la bocca premuta contro la curva del suo collo.
Non stavano "facendo l'amore". Non c'era nulla di romantico nel modo in cui spingeva, lascivo e disperato, o in come le sue mani esplorassero il suo corpo, infilandosi sotto l'abito verde chiaro che non si era degnata di togliere. Dal suo canto, Beth non rimase con le mani in mano: dopo avergli sfilato la giacca marrone scuro era ora libera di esplorare il suo torso. Poteva sentire, sotto le proprie dita tremanti, come i muscoli della sua schiena si muovessero a ogni spinta e solo quello la fece gemere.
Borgov si immobilizzò a quel suono, un brivido che gli percorse la spina dorsale. Fu sul punto di chiedergli se stesse bene — e quella sarebbe stata la prima cosa che si sarebbero detti da quando si era presentato da lei — ma la voce le morì in gola quando la sua mano sfiorò il suo clitoride.
Beth poté solo aggrapparsi alle sue spalle larghe, ansimando quando le sue spinte si fecero più decise. Il suo nervosismo si sciolse in un piacere crescente e il suo corpo le sembrava quasi senza peso, come se Vasily fosse l'unica cosa a tenerla ancorata al materasso. Era inebriante, un'euforia che non avrebbe mai potuto replicare.
Quando fu soddisfatta, completamente rilassata e docile, bisbigliò il suo nome e questo fu la goccia che fece traboccare il vaso per Borgov. Collassò su di lei e Beth trovò molto confortante il suo peso, quasi una prova che non si era immaginata tutto; accarezzò i suoi capelli in silenzio fino a quando non si addormentarono.
La mattina seguente Beth si svegliò da sola nel suo letto. Avrebbe potuto catalogare l'intera faccenda come un sogno erotico molto vivido, ma il fatto che stesse ancora indossando l'abito del giorno prima — arrotolato fino allo stomaco e tutto stropicciato — lo contraddiceva. Aveva scopato con Vasily Borgov.
Aveva scopato con Vasily Borgov e non si erano baciati neanche una volta, anche se le aveva lasciato una scia di vistosi succhiotti sul collo.
Aveva sempre amato i maglioni a collo alto.
Beth apprezzava profondamente la bellezza.
Questo la rendeva una ragazza superficiale o materialista? Per molti sì, ma non era d'accordo: le piaceva solo circondarsi di belle cose.
Amava i vestiti d'alta moda che complimentavano la sua figura sottile, e un eyeliner che le accentuasse lo sguardo intenso; tuttavia non era un'amante dei gioielli, con l'unica eccezione del regalo del diploma di sua madre, che non aveva mai tolto da allora. La sua casa di Lexington era stata eletta la più bella del vicinato, in uno di quelle stupide gare che le casalinghe di mezza età ideavano per via della noia, ma non nutriva un grande interesse per l'arte in generale: apprezzava l'intento dietro la scultura, il tentativo dell'artista di ricreare la bellezza secondo il suo punto di vista, ma non l'allettava molto.
Beth trovava belle cose che per molti erano banali.
Amava come il sole autunnale filtrasse fra le foglie dei suoi alberi, nel giardino di casa; poteva passare ore e ore ad analizzare le partite di vecchi Gran Maestri, cercando di trovare le combinazioni più interessanti. Pensava che la regina fosse il pezzo più grazioso di tutti, ma il re che Vasily le aveva donato a Mosca rimaneva il suo preferito in assoluto.
Adorava anche il suo corpo nudo.
Beth poteva vedere nei suoi occhi, quando si spogliava, che pensava di essere troppo banale, troppo vecchio, per lei. Lo zittiva sempre inginocchiandosi davanti a lui e succhiandolo finché quei pensieri non sparivano. Era il campione del mondo, certo, ma a volte era così stupido. Cosa c'era da non amare in lui? Le piaceva il suo petto liscio, perfetto per posarvi il capo, e come le sue braccia muscolose la stringessero; il timbro della sua voce riusciva sempre a calmare la sua mente irrequieta, e tracciare con un dito il contorno delle sue labbra era la sua seconda cosa preferita mentre erano stesi a letto. La sua preferita in assoluto era baciarlo. Aveva un certo non so che che lo elevava da tutti gli altri uomini che aveva baciato in vita sua: forse era come muoveva la bocca sulla sua, pieno di desiderio, come se stesse cercando di divorarla; fore era come la stringeva a sé, una mano sulla nuca e l'altra sulla sua vita per premerla contro il suo petto. Probabilmente era perché stava baciando Vasily Borgov.
Beth sorrise dolcemente a quella realizzazione. Poteva vedere il sole sorgere su Roma e anche quella vista era bellissima. La guida turistica, assegnatale dalla Federazione Scacchistica Italiana, le aveva mostrato alcuni dei famosi monumenti della Città Eterna, le rovine dell'antica civiltà e le fontane barocche, ma l'aveva trovata troppo affollata, troppo commerciale. Preferiva di gran lunga questa vista, dalla suite al sesto piano, dove poteva ammirare i tetti e le cupole emergere dall'oscurità della notte. Anche se neanche questa poteva competere con ciò che l'aspettava all'interno.
Il corpo di Vasily era piacevolmente tiepido quando scivolò sotto le coperte. Istintivamente, le cinse la vita con un braccio, ancora profondamente addormentato. Avevano ancora un po' di tempo prima che Beth dovesse tornare nella sua stanza, perciò decise di farlo riposare un po' di più: d'altronde aveva analizzato la sua partita aggiornata fino alle 2 di notte. Lo avrebbe svegliato fra un'oretta e, dopo avergli fatto prendere il suo tè, l'avrebbe cavalcato fino a quando entrambi non sarebbero più stati fisicamente capaci di pensare.
Non c'era bisogno di parlare durante il sesso: tutto quello che si dovevano dire lo comunicavano con gli occhi. Beth sapeva già cosa ogni tanto rischiava di sfuggire a Vasily mentre lo facevano; allo stesso modo, i suoi occhi azzurro ghiaccio potevano trovare quale fosse la sua risposta, solo mantenendo il suo sguardo. Le parole erano semplicemente superflue.
Non aveva bisogno di una dichiarazione d'amore eterno, come nei film che guardava con Jolene dove la bella fanciulla bacia il suo unico grande amore sotto una pioggia scrosciante. Finché Vasily l'avrebbe continuata a guardare come aveva sempre fatto, era più che sufficiente.
La notizia della defezione in Francia di Vasily Borgov, a inizio 1972, sorprese il mondo scacchistico.
Beth era a New York, ad allenarsi con Benny per l'imminente San Diego Open, quando la notizia divenne di dominio pubblico attraverso una lunga intervista sul Time. Dalla sua nuova casa in Meudon, il campione del mondo spiegava perché avesse abbandonato l'URSS e quali fossero i suoi piani per il futuro. Benny le lesse l'articolo, la voce che tradiva la sua sorpresa, mentre Beth mantenne gli occhi fissi sulla scacchiera, le mani intrecciate davanti allle labbra per nascondere il piccolo sorriso che le curvava.
Non era per nulla sorpresa, la sua fuga era solo questione di tempo. Invece poteva sentire una gioia egoista nascerle nel petto e irradiarsi in tutto il suo corpo: seduta precariamente su uno degli sgabelli, Beth osò immaginare una vita normale con lui, non solo momenti fugaci fra partite in una camera d'albergo. Si perse in questo dolce scenario solo per un secondo, però, prima di riscuotersi.
Prese la rivista dalle mani di Benny — sfogliandola in silenzio mentre il suo amico continuava a dirle che cosa ne pensasse dell'intera faccenda — ma ignorò del tutto l'intervista, concentrandosi solo sulle foto. In una, Vasily era seduto in poltrona, le lunghe gambe incrociate e una scacchiera sul tavolino da caffè al suo fianco. Sembrava così rilassato e a suo agio nel piccolo soggiorno, un sorriso appena accennato sulle labbra, che appariva molto più giovane dei suoi anni: nel primo piano della pagina successiva Beth non riusciva più a intravedere la ruga sulla sua fronte causata dallo stress di rispettare le alte aspettative riposte sulle sue spalle dal governo sovietico. Ricordava chiaramente di averla provata a lisciare, ridendo sommessamente mentre giacevano a letto insieme una mattina, e di quanto fosse bello il sorriso di Vasily prima che la baciasse, mozzandole il fiato.
Beth rivide quello stesso sorriso tre mesi dopo, a San Diego, nella hall affollata dell'hotel dove l'Open si sarebbe svolto. Era da solo questa volta, nessun interprete né agente del KGB ad accompagnarlo, e sembrava fuori luogo con il suo completo carbone e una pacchiana cravatta bordeaux fra i turisti vestiti in modo casual. Vasily la trovò immediatamente nella folla, come sempre, e il mondo di Beth si ridusse ai suoi occhi. Rimasero in silenzio uno di fronte all'altro per un lungo momento, come se temessero che l'altro sarebbe scomparso da un secondo all'altro. Fu Beth a rompere l'impasse prendendo la sua mano fra le sue e facendo scivolare sul suo palmo il re nero di Mosca.
Lui riconobbe immediatamente il pezzo, anche senza guardarlo, e, proprio come allora, l'attirò in un abbraccio. Questa volta, tuttavia, non si limitò ad abbracciarla nella luce dorata di quel pomeriggio estivo: Vasily posò la mano libera sulla sua guancia e premette la bocca sulla sua. Era un bacio lungo e senza fretta fra due persone che non avevano più bisogno di nascondersi: avevano tutto il tempo del mondo ora. Beth fu la prima a staccarsi, le guance appena arrossate e il rossetto cremisi leggermente sbavato. Un dolce sorriso si allargò sul suo volto mentre la sua mano stringeva ancora la usa, il re fra i loro palmi.
"Ciao, Vasya".