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Autore: IndianaJones25    09/03/2021    2 recensioni
È una luminosa e calda giornata estiva di fine Ottocento quando, in una casa di Princeton, nel New Jersey, nasce l’unico figlio del professor Henry Jones Sr. e di sua moglie Anna.
Nel corso dei venticinque anni successivi, il giovane Junior vivrà esperienze indimenticabili e incontrerà persone straordinarie, in un viaggio di formazione che, tappa dopo tappa, lo porterà a diventare Indiana Jones, l’uomo con frusta e cappello, il più celebre archeologo del mondo…
Genere: Avventura, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Abner Ravenwood, Henry Jones, Sr., Henry Walton Jones Jr., Marion Ravenwood, René Emile Belloq
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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XIX.
PRINCETON, NEW JERSEY, NOVEMBRE 1919

   Suo padre aveva fatto ritorno nella loro vecchia casa di Princeton dopo soltanto pochi mesi dal giorno in cui Indy era partito per il Messico.
   Fu davvero una strana sensazione, come muoversi attraverso un sogno dai contorni sfumati, ripresentarsi dinnanzi a quella porta da cui, tante volte, era corso fuori insieme al suo cane Indiana, accompagnato dalla mamma; dall’ultima volta che se l’era chiusa alle spalle, in procinto di trasferirsi nello Utah, erano successe così tante cose che pareva essere trascorsa una vita intera. Se ne era andato un bambino, e ora tornava un uomo.
   Ma Henry, abbassando la maniglia e ritrovandoselo di fronte, lo accolse come se ne fosse uscito soltanto il giorno prima e non fosse accaduto assolutamente nulla. Di certo, non fu il ritorno del figliol prodigo da festeggiare uccidendo il vitello grasso. Soltanto una fugace scintilla parve attraversagli lo sguardo; durò per così poco, per meno di un secondo, che suo figlio pensò di essersela immaginata.
   «Salve, Junior» lo salutò, con tono tranquillo e cordiale.
   Il tempo, per Henry Jones, sembrava aver accelerato. La barba gli si era ingrigita, i capelli parecchio diradati e, ormai, non toglieva più gli occhiali. Profonde rughe gli solcavano la fronte, sempre più alta a causa della calvizie, e gli avevano scavato le guance attorno alla bocca. Se non fosse stato per quegli occhi grigi dallo sguardo profondo e severo, forse Junior avrebbe persino stentato a riconoscerlo. Indy, dal canto suo, non poté fare a meno di domandarsi se anche lui apparisse tanto diverso, agli occhi di suo padre. Due perfetti estranei che si incontravano per un puro caso dopo tanti anni.
   Forse per stemperare la tensione di dover stare da soli tra le mura domestiche, il pomeriggio andarono insieme in un locale del centro a bere qualcosa. Indy prese un frappé, che sorseggiò lentamente nel tentativo di vincere l’imbarazzo che li divideva. Nessuno dei due, a parte qualche frase di circostanza o qualche commento sul tempo, che dopo gli ultimi sprazzi di sole autunnale si stava mettendo al peggio, riuscì a dire qualcosa di sensato.
   Il problema sorse la sera, quando sedettero al tavolo della cucina per la cena. La prima cena insieme dalla primavera del 1915.
   Fu Henry a sollevare l’argomento di cui, evidentemente, gli premeva parlare.
   «Allora, Junior, sei tornato» constatò l’ovvio. «Ora che hai finito di divertirti e di bighellonare in giro per il mondo, che cosa hai intenzione di fare?»
   Senza guardarlo negli occhi, a disagio, cercando di reprimere la collera che gli dava il solo pensiero di poter definire come un divertimento gli orrori di cui era stato testimone sui campi di battaglia, Indy sussurrò la sua risposta.
   «Intendo iscrivermi all’università e prendere la laurea» rivelò.
   «Molto bene, Junior. Approvo la tua scelta di mettere finalmente la testa a posto e sbarazzarla di tutti gli sciocchi e vani grilli che l’hanno abitata finora. Qui a Princeton c’è un’ottima facoltà di linguistica, credo che sarebbe la scelta migliore per te, considerato che hai sempre avuto una buona predisposizione per l’apprendimento delle lingue. La mai abbastanza compianta miss Seymour lodava con molto entusiasmo questa tua grande capacità. Certo, avrei preferito saperti laureato in letteratura, ma so riconoscere una causa persa, quando me la trovo davanti. E, una volta laureato, io potrei fare in maniera di trovarti un posto sicuro.»
   Indy strinse il pugno sotto il tavolo. Non aveva bisogno dell’aiuto di suo padre. E, tantomeno, voleva che fosse lui a decidere per il suo futuro. Non riusciva a credere che, dopo tutti quegli anni, dopo tutto quello che era successo, non fosse cambiato assolutamente nulla. Eppure sembrava proprio che, una volta di più, stesse cercando di mettersi di mezzo.
   «In verità, pensavo di andare a studiare a Chicago» disse, tentando con scarsi risultati di controllare il tremito nella voce.
   «Chicago» ripeté Senior, pensoso, grattandosi il mento. «Nell’Illinois. È piuttosto lontano. E che cosa c’è di tanto speciale, a Chicago, che non ci sia anche qui?»
   «Abner Ravenwood» rispose Indy, secco.
   «Ravenwood» ribatté Senior, aggrottando le sopracciglia.
   Sentire Henry ripetere di continuo le sue parole cominciava a dargli ai nervi, ma di nuovo Indy riuscì a mantenere il controllo e a non sbottare.
   «Ah, sì. Ora rammento» proseguì Senior. «Uno studioso di archeologia biblica. Marcus mi ha parlato di lui, una volta.» Il suo tono divenne pungente e sarcastico. «È un tipo eccentrico, anzi un po’ uno svitato, da quel che si dice in giro; ossessionato dalla ricerca di una città perduta di nome Tanis e dall’Arca dell’Alleanza. Pare che trascorra ogni momento libero di cui dispone a fare ricerche in tal senso. Spreca le primavere andando su e giù a fare buche tra Egitto e Palestina. Sì, credo che non sbagli, chi lo definisce un po’ tocco.»
   Indy non replicò nulla. Gli sembrava quantomeno assurdo, però, che proprio suo padre, che da anni compilava quel suo stupido e inutile libretto del Graal, accusasse altri di avere un’ossessione per qualcosa, e che addirittura per questo arrivasse a dargli del pazzo.
   «Ne arguisco, Junior, che tu vorresti studiare archeologia» concluse Henry.
   Il ragazzo trovò finalmente il coraggio di alzare lo sguardo su suo padre. Trovarsi gli occhi penetranti di Senior puntati addosso non fu una bella esperienza, ma riuscì a reggere la prova.
   «Sì» disse. «E quindi? Pensi che non vada bene?» Le sue parole erano cariche di un accento di sfida.
   Henry restò impassibile.
   «Penso che sarebbe la professione giusta per un operaio, Junior» replicò. La sua voce era bassa, calma, come se stesse facendo un dettato in classe. «E allora perché non fare domanda per andare a interrare le condotte dell’acquedotto o come addetto alla pulizia dei porcili? Tanto, sempre di spalare il fango, si tratta. Lavori umili, sottopagati, ma che perlomeno potresti iniziare subito, senza sprecare fatica e denaro a studiare robaccia su manuali compilati da uomini di dubbia levatura morale.»
   «L’archeologia è una disciplina seria!» grugnì Indy. Ormai il suo sguardo fiammeggiava.
   «La letteratura, la matematica e la storia sono discipline serie, Junior!» lo redarguì Henry, questa volta alzando il tono della voce. «Non l’archeologia! Quella non è affatto scienza! Quella è solo una perdita di tempo! Ricostruire il passato tramite i reperti… sciocchezze!» Scosse il capo, come se lo esasperasse il solo pensiero. «Il passato è già scritto nei libri e nelle conoscenze che i nostri giganteschi antenati, sulle cui spalle noi siamo come nani, ci hanno tramandato! È già tutto lì, quello che serve! Non nascosto sottoterra! E tu vorresti andare a studiare con un vecchio folle che crede che sotterrato da qualche parte ci sia un manufatto biblico che è senza dubbio mera invenzione simbolica? Ma non farmi ridere, per favore!»
   Indy stava perdendo sempre più velocemente la pazienza. Puntò un dito minaccioso contro il viso del padre, che non batté ciglio.
   «A me non interessa quello che Revenwood crede o non crede! Io voglio studiare con lui perché è il più celebre archeologo d’America! E poi, Cristo santo, non venirmi a fare questi discorsi proprio tu, che da anni sei ossessionato da uno stupidissimo bicchiere…!»
   «Junior!» ruggì Henry, questa volta balzando in piedi con tale impeto che la sedia si rovesciò dietro di lui. «Non osare mai più bestemmiare in questa maniera davanti a me! Fallo ancora una volta e ti darò uno schiaffone, promesso!» I suoi occhi lampeggiarono sinistramente, dando a intendere che, quella promessa, non l’avrebbe scordata mai. «Tu sei ancora minorenne, e quindi studierai quello che io ho deciso e non farai niente senza il mio permesso!»
   Anche Indy si alzò. Si costrinse a ficcarsi le mani nelle tasche dei pantaloni per non colpire suo padre con un pugno. Non voleva arrivare a tanto, sebbene fosse certo di non essere mai stato così vicino dal compiere un’azione di cui si sarebbe pentito amaramente per tutta la vita. Ma era mai possibile che quell’uomo fosse tanto arrogante e ottuso da non rendersi conto che era di lui, e del suo futuro, che si stava parlando?
   «Non sono venuto a chiedere il permesso a te!» sibilò. «Se tu sei abituato a comandare a bacchetta i tuoi studenti, non credere di poter fare lo stesso con gli altri! E se non ti va a genio quello che ho scelto per me, non me ne frega nulla!»
   «Ti rovinerai la vita a frequentare quel Ravenwood! Farà di te uno spalatore di fango senza futuro!» gridò Henry, furibondo. «Quell’uomo segnerà la tua rovina!»
   «Se è questo che pensi, non abbiamo più nulla da dirci» replicò Indy, secco. «Addio.»
   Si girò e si avviò fuori dalla cucina.
   «Non voltarmi le spalle!» sbraitò Henry, pestando un pugno sul tavolo. «Junior! Torna qui!»
   Ma Indy era già nell’ingresso e stava staccando dall’attaccapanni il suo cappotto. Lo infilò e prese il cappello.
   «Junior! Aspetta! Dove stai andando?! Junior! Junior…!»
   Era una sua impressione, o il tono di suo padre adesso era cambiato e si stava facendo supplichevole, come se lo implorasse di non lasciarlo solo un’altra volta? Non gli interessò minimamente di scoprirlo. Non voleva avere più niente a che fare con quell’uomo. Mai più.
   Aprì la porta e, proprio come aveva fatto quasi cinque anni prima nello Utah, si allontanò nella notte.
   
 
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