IV
Akira Nakadawa era
stanchissimo. Erano sei giorni che quasi non dormiva: prima per il
lavoro sulla
sonda, poi per il nervosismo dell’attesa. Provava una
stranissima inquietudine:
era certo che questa volta ci sarebbe stata una risposta registrata
sull'oggetto che stava tornando dal loro pianeta natale, ma, per
qualche
motivo, la temeva. Ormai non doveva mancare molto: la sonda era
già arrivata
nel sistema di Elysian e stava completando la fase di stabilizzazione
nell'orbita alta del pianeta. Salvo complicazioni, entro pochi minuti
sarebbe
stata nella posizione ideale per inviare alla nave il contenuto dei
suoi banchi
di memoria.
Una spia lampeggiò
sul monitor, scuotendo l’ufficiale dalla sua assonnata
apatia: bastarono pochi
gesti per capire che era giunto il momento della verità.
Eseguì rapidamente il
download, quasi temendo che si ripetesse quanto era avvenuto in
precedenza, e
questa volta, dopo pochi secondi di analisi, vide che erano giunti due
file.
Uno era la registrazione delle videocamere, ma il secondo era senza
ombra di
dubbio un audio. Questa volta la Terra aveva risposto.
Stava per attivare
l’interfono per chiamare il capitano e gli altri tre
ufficiali autorizzati ad
ascoltare il messaggio, ma si bloccò con il dito a pochi
millimetri dal
pulsante: non poteva aspettare. I suoi brutti presentimenti avevano
bisogno di
essere sfatati il prima possibile. Si guardò in giro,
accertandosi di essere
solo, poi si mise le cuffie ed aprì il file audio.
La trasmissione durò
alcuni minuti. Alla fine Nakadawa era stravolto, gli occhi spalancati e
fissi
nel vuoto. Crollò con la schiena contro lo schienale,
svuotato di ogni forza.
«Capitano!
Comandante Brent!».
I due ufficiali
erano nella plancia di comando, impegnati a leggere alcuni rapporti
giunti dai
coloni civili, quando videro uno degli aiutanti di Nakadawa arrivare di
corsa,
trafelato.
«Cosa succede,
signor Willis?» chiese Farris, cercando di nascondere la
trepidazione. Dal tono
di urgenza del messaggero, poteva intuire facilmente il contenuto del
messaggio.
«Il tenente Nakadawa
chiede che lo raggiungiate in sala radio il prima possibile!».
Il comandante e
Brent si guardarono negli occhi per un paio di secondi, poi,
abbandonati i
rapporti, uscirono dalla plancia di comando a passo veloce.
Giunsero alla sala
radio contemporaneamente al capo Wulf e a Lin. Entrambi sembravano
trafelati e ansiosi,
con i volti entusiasti: era chiaro che l'arrivo del tanto atteso
messaggio
significava la fine di una preoccupazione tanto ignota quanto
sgradevole. Tutta
la loro vivacità, però, si spense non appena
videro il volto di Nakadawa: era
color cenere, disfatto, svuotato di ogni traccia di gioia. Era il volto
di un
uomo che ha subito il più devastante shock della sua vita.
Era accasciato sulla
sua sedia, e fissava il vuoto con occhi spenti.
Mentre Brent
chiudeva la porta, Farris prese l’orientale per una spalla e
lo scosse dicendo:
«Akira, che ti prende? C'è qualche problema? Il
messaggio è arrivato?».
Vedendo che l’altro
non reagiva, lo afferrò anche con l’altra mano
alzando la voce: «Insomma,
tenente! Riprenditi! Lo hai ascoltato? Cosa dicono?».
Finalmente Nakadawa
sollevò gli occhi, e ciò che Farris vide non gli
piacque per nulla: orrore,
puro orrore.
Il tenente prese
fiato, poi balbettò: «Io…
loro… comandante… non ce la faccio -
portò la mano al
monitor, mentre gli altri si affollavano intorno a loro - E’
meglio che
ascoltiate da soli. Io non riuscirei a spiegarlo» e premette
sullo schermo del
computer il pulsante di riproduzione.
Prima si udì solo un
fruscio, poi il messaggio iniziò. Era una voce strascicata,
come di un uomo giunto
allo stremo delle proprie forze: “Qui
è
Martin Defleché, già Direttore Esecutivo dello
United Nations Human Settlements
Programme, e attuale facente funzione di Segretario Generale delle
Nazioni
Unite. Questo messaggio è destinato all’astronave
Columbus. Prego Dio perché in
qualche modo vi raggiunga e siate in grado di ascoltarlo: la frequenza
stabilita per voi è andata perduta, ma il trasmettitore che
sto usando è
alimentato ad energia eolica, e ripeterà il messaggio per
anni, quindi spero
che, non ricevendo risposta su quella, ne tentiate altre. So che
ciò che vi
dirò sarà per voi orribile da sentire, che
potrebbe distruggere le vostre menti
e oscurare il vostro cuore, ma è necessario che sappiate.
Non potete aspettarvi
una seconda spedizione. Nessuno vi raggiungerà su Elysian,
perché quando
ascolterete questo messaggio, non ci sarà più
nessuno in grado di farlo - Si
udì una sorta di singhiozzo, e per un attimo la voce
s’interruppe - Scusatemi, anche per
me è difficile
accettare tutto questo. Sarebbe inutile spiegarvi come è
iniziata, ma sappiate
che meno di un anno dopo la vostra partenza il mondo era già
piombato nel caos:
contrasti tra nazioni, rivoluzioni, colpi di stato, conflitti locali.
L’ONU ha
fatto il possibile per evitare il disastro, ma entro altri sei mesi la
guerra
era già scoppiata in almeno una dozzina di luoghi
differenti. Il passo verso la
prima esplosione atomica è stato, poi, molto breve - ancora un silenzio - Ora
siamo nell’ottobre 2181… credo, non sono
completamente certo della data, e
neanche della stagione in effetti, fuori è sempre freddo. La
guerra è finita da
un anno e mezzo. Non era rimasto praticamente nessuno per combatterla.
Gli
scienziati che avevano teorizzato l’inverno nucleare hanno
avuto ragione: la
Terra è avvolta da una nera nube di polvere, ed è
iniziata la più oscura delle
ere glaciali. Ciò che restava dell’ONU ha fatto il
possibile per i
sopravvissuti. Inutilmente: non restano che pochi milioni di persone;
la vita
vegetale e quella animale sono quasi estinte; il freddo e il buio
stanno
finendo di uccidere ciò che è sopravvissuto alle
radiazioni. Entro pochi anni,
la Terra sarà solo un cupo deserto radioattivo - l’uomo prese ancora fiato - Voi
siete la sola speranza del genere umano, gli ultimi uomini ancora vivi.
Quando
la situazione è degenerata abbiamo provato a terminare la
Magallanes prima del
previsto, ma è stata colpita da un missile vagante, quindi
siete tutto ciò che
ci resta. Io prego perché almeno la Colonia AA-001 possa
continuare a vivere,
che il genere umano non sia destinato a sparire con noi. Parla Martin
Defleché,
ultimo Segretario delle Nazioni Unite. Fine del messaggio, e che Dio ci
perdoni
per ciò che abbiamo fatto”.
Il silenzio calò
come un macigno sulla sala radio. I cinque presenti non erano in grado
di
parlare per lo shock. Farris si voltò verso Nakadawa, con
occhi imploranti,
quasi a chiedere una qualsiasi smentita, ma l’ufficiale radio
toccò di nuovo il
monitor, attivando il video delle telecamere.
Fu il colpo finale:
vedere Base Luna ridotta in macerie e la Terra avvolta da una compatta
nube
color acciaio fu troppo anche per uomini temprati come gli ufficiali
della Columbus. Liu Li Park,
semplicemente, si
appoggiò alla parete, si portò le mani al volto e
iniziò a piangere a dirotto.
Il capo Wulf colpì la porta con un pugno che la fece
tremare, bestemmiando in
tedesco. Brent crollò su una sedia, gli occhi fissi nel
vuoto, mormorando: «Tutto
finito… tutti quelli che conoscevamo… che
amavamo… tutti morti!».
Wulf si passò il
dorso di una mano sugli occhi: «Avevo un fratello…
il suo figlio più piccolo
era uguale a me da piccolo… amava i motori, voleva capire
come funzionavano… ho
passato ore in officina con lui… - non ce la fece
più, e si abbandonò anche lui
alle lacrime - Partendo avevo accettato di non vederli
più… ma questo…» strinse
i pugni fino a piantarsi le unghie nei palmi.
Farris aveva
appoggiato le mani su uno dei tavoli di metallo, e ne fissava la
superficie a
testa bassa, in silenzio, come svuotato. Solo dopo un paio di minuti si
sollevò, con occhi duri come il ferro: «Dobbiamo
decidere cosa fare adesso».
Vedendo che gli
altri lo fissavano con sguardo sconvolto, l’uomo
continuò: «Non crediate che
non capisca il vostro dolore. Il mio è altrettanto grande -
abbassò lo sguardo,
per nascondere una lacrima - Mio figlio era ufficiale della Marina
degli Stati
Uniti. Quando sono partito, il suo primo figlio aveva quasi due anni, e
sua moglie
era incinta del secondo. Non li hanno lasciati partire con noi, ma il
Segretario Generale Reeves mi aveva promesso che avrebbe fatto in modo
di
metterli sulla seconda nave. E ora lui, mia nuora, i miei
nipotini… sono solo
cenere radioattiva nell’aria di un pianeta morto. E non posso
neanche
permettermi di piangerli, perché adesso sulle nostre spalle
c’è una
responsabilità immensa, perfino più grande di
quella che avevamo prima. Le
persone che si trovano su questo pianeta sono tutto ciò che
resta della razza
umana: se noi crolliamo, se questa colonia non dovesse sopravvivere, la
nostra
specie morirà con noi. Non possiamo lasciarci trasportare
dai nostri
sentimenti, per il bene di tutti!».
Per un paio di
minuti nessuno riuscì a parlare, ognuno troppo oppresso dal
peso della
situazione. Fu la voce rotta del guardiamarina Park a sciogliere quel
silenzio
pesantissimo: «Che cosa diremo a questa gente? Non possiamo
dire loro la
verità, li distruggeremmo!».
«Ha ragione -
mormorò Brent, faticando a riprendere una parvenza di
controllo - Vivrebbero
con la morte nel cuore sapendo di essere gli ultimi uomini
nell’universo. Molti
forse si ucciderebbero al pensiero di chi hanno lasciato indietro e che
magari
speravano di rivedere dopo uno dei prossimi viaggi. Non durerebbero
dieci anni:
la colonia si autodistruggerebbe».
«Qualcosa però
dobbiamo dire - intervenne Nakadawa, che aveva già avuto il
tempo di piangere i
due fratelli che ormai da tempo dovevano essere polvere tra le rovine
di
Yokohama - Si aspettano una risposta dalla Terra. Sono già
preoccupati per il
ritardo, si fanno delle domande. Abbiamo un paio di giorni al massimo,
poi,
però vorranno una spiegazione. Cosa possiamo
inventarci?».
Farris rimase in
silenzio per quasi due minuti, mentre il suo cervello valutava le
possibilità
che avevano di fronte, poi si voltò verso l’ancora
devastato Wulf e disse: «Capo,
comprendo i tuoi sentimenti, ma sono costretto a chiederti di fare
qualcosa che
non ti piacerà per niente».
Quella notte tutti i
coloni furono svegliati da un prolungato e acuto stridio, seguito da
una
terribile esplosione. Accorrendo fuori dalle case prefabbricate, videro
lingue
di fuoco alzarsi dalla fiancata devastata della Columbus.
L’equipaggio e i soldati si precipitarono a tentare di
domare l’incendio; alcuni civili intervennero per aiutarli,
ma la maggior parte
rimase semplicemente pietrificata a guardare le fiamme macchiare il
cielo buio.
Gli ultimi focolai
non vennero spenti fino alla tarda mattinata, e anche allora
dall’enorme
squarcio nelle paratie della parte poppiera della nave continuarono ad
alzarsi
dense colonne di fumo. All’interno, si vedevano i resti
contorti dei motori.
Nel pomeriggio,
radunati tutti i coloni e i militari, il comandante in seconda Brent,
affiancato dal capitano Farris, spiegò quanto era accaduto:
durante un normale
test della funzionalità dei motori, qualcosa doveva essersi
rotto, e la potenza
era salita al massimo, senza che nessuno riuscisse a ridurla. Prima che
fosse possibile
staccare tutto, i motori erano esplosi, ma prima avevano provocato un
disastro:
con la maggior parte dei sistemi spenti, l’energia in eccesso
non aveva potuto
scaricarsi da nessuna parte, e aveva fuso la maggior parte degli
impianti
elettronici della nave, inclusi la radio e il sistema di navigazione.
Non c’era
alcuna speranza di ripararli: perfino in un bacino di carenaggio
sarebbe
perfettamente attrezzato sarebbe stata un'impresa quasi impossibile.
«Questo significa
che non potremo ricevere risposte dalla Terra. Quando la sonda
tornerà, non
avremo niente con cui farla rientrare al suolo, né per
connetterci a essa.
Siamo certi che sulla Terra il messaggio sia arrivato -
deglutì faticosamente,
cercando di nascondere l'orrore che ancora lo attanagliava - ma fino a
quando
non arriverà la seconda nave saremo completamente
soli».
Dalla folla si
levarono voci di protesta e di preoccupazione, il cui volume si
alzò
rapidamente; la voce stentorea di Farris, però,
riportò immediatamente la
calma: «Questo brutto incidente non cambia nulla. Sapevamo
già che saremmo
stati soli per molto tempo, per oltre sei anni. Il fatto che non
possiamo
ricevere messaggi cambia poco. Certo, sarà dura non poter
sentire per tutto
questo tempo le persone care che abbiamo lasciato sulla Terra, ma
supereremo ogni
difficoltà che ci si presenterà davanti, con lo
spirito degli antichi
colonizzatori. Noi resisteremo, continueremo le nostre vite, renderemo
questo
pianeta adatto all’uomo, lo trasformeremo nella nostra casa.
E, quando la seconda
nave arriverà, noi saremo qui per accoglierla!».
La fine del discorso
fu accolta da grida di gioia e applausi scroscianti, che fecero sentire
il
comandante il peggiore dei bugiardi.
Mentre la folla si
disperdeva, Brent si avvicinò al suo superiore:
«Belle parole, veramente. Dopo
averla sentita sarebbero stati pronti a lanciarsi alla carica contro
una
cittadella fortificata».
Il volto di Farris
si aprì in un mesto sorriso: «Non è
finita. Il capo Wulf, mettendo in scena
l’incidente, ci ha fatto guadagnare sei anni, ma il problema
tornerà a proporsi».
Brent scosse la
testa: «Non sarà la stessa cosa. Certo, quando tra
sei anni non vedranno
arrivare nessuno saranno delusi, tristi, si sentiranno abbandonati. Si
faranno
domande, e forse alcuni arriveranno anche a intuire la
verità, a comprendere
che qualcosa di terribile è accaduto sulla Terra. Non
sarà però possibile avere
una conferma o una smentita, e la sola cosa che potranno fare
sarà continuare a
vivere. Con il passare del tempo e delle generazioni, si abitueranno a
considerare questo pianeta la loro casa. Non dimenticheranno mai la
Terra, il
pianeta azzurro dei loro ricordi, che per coloro che saranno nati qui
sarà una
leggenda. La loro realtà però sarà
ciò che avranno. Elysian sarà la loro
patria».
Farris sorrise di
nuovo, questa volta con più allegria, e strinse la spalla
del suo secondo: «Credo
che tu abbia ragione. In fondo il genere umano ha sempre dimostrato una
grande
capacità di ripresa».
Rimase per qualche
secondo in silenzio, pensando alle proprie responsabilità di
comandante, poi
aggiunse: «Ho preso una decisione: lascerò uno
scritto che testimoni quanto è
successo sulla Terra al mio successore come comandante della Colonia,
con il
compito di fare altrettanto con chi lo seguirà, senza
leggerlo per almeno due
secoli. Per allora, la popolazione si sarà legata
profondamente a questo luogo,
e sapere la verità non sarà più
così devastante».
L’uomo infilò le
mani nelle tasche, e lasciò correre il suo sguardo sulla
radura, sulle persone
che tornavano alla loro vita: «Con un po’ di
fortuna, la razza umana continuerà
ad esistere in questo nuovo mondo, e forse, un giorno, se non
commetteremo
nuovamente gli stessi sbagli, qualcuno riuscirà a realizzare
un'astronave in
grado di tornare sulla Terra. Per allora il pianeta si sarà
ripulito, e
l'umanità rivedrà la propria casa».
I due ufficiali,
molto più sereni, tornarono verso il relitto della Columbus, dal quale
l’equipaggio stava scaricando tutto ciò che
c’era di utilizzabile. Non sarebbe mai più
servita: la loro colonia sarebbe
stata per sempre.