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Autore: moonwhisper    27/08/2009    3 recensioni
Ed io ho pensato che certe volte la vita è proprio ironica,
che forse c’è qualcuno che si diverte a guardarci morire seduti ad un tavolo di plastica,
lo sguardo basso contro le ginocchia e il cuore abbandonato nel piatto,
da mangiare con coltello e forchetta.
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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2 – C & S

 

Barcollavamo verso il niente di un’altra notte. Senza cose da dire e da fare, con le dita nelle tasche. Che poi di tasche non ce n’erano mai, quando ne avevamo davvero bisogno.

Avremmo dovuto scrivere a quattro mani gli avvenimenti comici della nostra vita, per poi riderci su, un giorno. Invece abbiamo dimenticato.

Accasciati sui muretti, a bere dai bicchieri trasparenti dei cocktail, con quelle cannucce nere che sono sempre tutte uguali. E se ne stanno lì a ricordarmi quella merda dentro di me, che c’è sempre, che non importa scappare, perché per quanto veloce io corra, dal mio corpo non posso fuggire.

Qualcuno, sotto il manto di stelle, cantava di cuori sporchi e mani lavate. Ed era bello starsene fermi a respirare, nel buio degli alberi, io abbandonata contro di te, che mi accarezzavi il capo. Non riuscivo ad alzare troppo la testa, ma vedevo. Vedevo anime perse vagarci intorno, nei movimenti lo smarrimento che corrodeva anche il nostro, di sangue, anche la nostra, di mente, che ci trascinava giù, nell’abisso. E noi immobili, a guardarci affondare, ad ascoltare in silenzio la musica bella che ci invadeva le orecchie. Io ero sconvolta, dentro e fuori, con la matita sciolta attorno agli occhi e una maglietta rossa troppo scollata. Avevo il sonno nelle braccia, nelle mani, e non riuscivo a muoverle davvero, continuavo a spostarle, ma non trovavano mai il loro posto. Ti sussurravo frasi spezzate, affondando la bocca nei tuoi capelli. Sentivo il mio alito infrangersi contro le tue tempie e tornare indietro, caldo, umido, leggero contro le labbra.

Ti supplico, dimmi che ricorderai, anche quando saremo lontani, tanto lontani da non riuscire più a guardarci negli occhi. Dimmi che ricorderai cosa ti dissi. Perché le tue parole continueranno a perseguitarmi nei sogni, negli incubi, e il tuo sguardo d’amore mi schiaffeggerà forte il viso anche da sveglia.

Ricorderai?

 

Tentai nuovamente, provai ad alzare la testa, ma era così pesante. Era tutto così pesante. Mi pareva di sciogliermi, come in quel quadro degli orologi.

“Non volermi mai bene. Mai. Capito?” biascicai. E non sapevo se tu mi stavi a sentire, ma vedevo la tua sigaretta brillare nel buio. Mi pareva bella come poche altre cose al mondo. Tesi la mano per afferrarla, te la sfilai via dalle dita, e tu mi guardasti dall’alto, senza obiettare.

“Non dire stronzate”

“Stronzate”. “Stronzate” mi riecheggia ancora nel cervello, e rimbalza da una parete all’altra, come una fottuta pallina da pingpong.

Con un tiro lungo mi girò la testa, e provai il forte desiderio di buttare via la sigaretta, e di lanciarmi lontano insieme ad essa.

“Ecco, allora puoi volermi bene” risposi “Ma non troppo. Mai troppo. Troppo ti farà male”.

Ed ero sicura di quel che dicevo. Sapevo che quella mia lucidità strana, costante, mi permetteva di confessarti ciò che avevo sempre taciuto.

“Non me ne frega un cazzo. Non te ne devi preoccupare, non sarà colpa tua. Troppo mi viene naturale. Meno non mi riesce”

Avrei voluto piangerti addosso, ma non potevo, no. Mi sarebbero scese lacrime d’alcol, ti avrei rovinato la tua bella maglietta metallica.

 

Ti trascinai giù dagli scalini, in mezzo alla gente. Tutto era colorato e brillante, molto più del previsto. La luce mi violentava gli occhi, ed incrociavo gli sguardi dei passanti, allucinata.

Non ricordo come, ma ci risvegliammo su metri di erba sintetica, confusi in un mare di corpi, distesi a guardare il cielo notturno. Salivano fumo e voci, e cori, ed urla. Poi fu la volta di un silenzio magico. E prese a scorrere una melodia conosciuta, morbida e malinconica, di quelle melodie che ti straziano il petto a furia di martellate.

Ci sono molti modi. Ci sono molti modi anche di morire, come ad esempio morivamo noi, le mani strette e la convinzione di essere unici.

Eppure ero certa d’aver vissuto una delle mezz’ore più straordinarie della mia misera e breve esistenza.

E, in effetti, era proprio così.

 

*

 

NOTE

 

“Cuori sporchi e mani lavate” è il verso di una canzone degli Afterhours (Voglio Una Pelle Splendida). “Ci sono molti modi” è invece il titolo di un’altra canzone della band. Specifico che gli avvenimenti riportati nel testo, autentici o meno che essi siano, sono ambientati durante un concerto del gruppo in questione.

“Quel quadro degli orologi” non è altro che “La persistenza della memoria”, il dipinto più famoso del surrealista Salvador Dalì.

 

Detto ciò, ringrazio Bellis e Chamelion_ per aver inserito questa raccolta nelle storie seguite, e, di nuovo, Chamelion_, Keyra e MarilynStar_ per aver recensito. Grazie di cuore, specialmente a voi tre.

 

Au revoir.

  
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