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Autore: KiaeAlterEgo    17/03/2021    1 recensioni
Dallo scontento per l’adattamento de “Lo Hobbit” a Thorin e Thranduil che finiscono in una ricerca imbarazzante dei propri vestiti, il passo è più breve di quanto ci si potrebbe aspettare.
Genere: Comico, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Thorin Scudodiquercia, Thranduil, Valar
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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III. La mazza

 

Thorin sbucò su un sentiero di montagna, lasciandosi alle spalle le fanciulle-albero e la cascata.

Come se non fosse appena passato attraverso un velo d'acqua, Thranduil lo raggiunse asciutto, circospetto e guardingo, ma soprattutto ridicolo con addosso solo gli stivali argentati.

Thorin saggiò il terreno sassoso con i piedi, stupito dal solletico che gli facevano i sassi aguzzi sotto di lui. Era come se non avesse abbandonato il prato soffice del giardino. Fece scorrere lo sguardo sulle rocce nude e il terreno brullo, con qualche spruzzata di neve qua e là che scintillava sotto i raggi del sole.

Quella montagna non gli era familiare e, nudo com'era, gli si stavano congelando le parti intime. Almeno le sue erano protette da sana e folta peluria, mentre a Thranduil gli si sarebbero staccate per il freddo. Ah! Quella era una cosa che avrebbe visto volentieri.

E ne avrebbe riso, di gusto!

Tirò su col naso e si alitò le mani. Nell’aria fredda c'era un pessimo odore di uccelliera, quel misto di odore di paglia, cacca di uccello e piume. Il Re di Bosco Marcio aveva le sopracciglia aggrottate e si guardava attorno, come se non capisse qualcosa.

Bah, che c'era da capire?

«Ti è familiare questo posto?» gli chiese.

«No».

Thorin sollevò gli occhi al cielo. Perché dovevano essere insieme in quella disavventura? Non gli sapeva nemmeno dare informazioni! Fosse stato da solo, sarebbe stato più sopportabile.

«Potremmo essere sulle montagne dei Signori dell'Ovest» disse Thranduil.

Le sue parole valevano quanto una manciata di sassi di fiume. Di sicuro erano da qualche parte vicino a un nido di Aquile, c'era lo stesso odore di quelle bestie che li avevano salvati dai goblin. 

Si incamminarono lungo il sentiero e dopo una svolta, Thorin poté confermare la sua ipotesi. Su un dirupo, c'era un'Aquila che aveva tutta l'aria di star covando uova.

Ignorando il sedere bianco di Thranduil di fronte a lui come ormai aveva imparato a fare, Thorin procedette finché non raggiunsero un piazzale ricoperto di ghiaia e ampio quasi quanto la sala del trono di Erebor.

Al fondo c'era una casa di legno e paglia, con un camino da cui usciva fumo.

Thranduil aveva già attraversato metà piazzale e Thorin si affrettò dietro di lui. Statue circondavano l'area, bellissime per somiglianza alla realtà, chiunque le avesse fatte non era un mortale. E nemmeno Spocchia Elfica. No, non potevano essere fatte dalle mani di quelli lì. Mica sapevano lavorare la pietra come un vero Nano.

Che fossero sulle montagne di Aulë e quelle fossero state opera sua?

Sul fronte della casa, la porta era enorme, anche per gli standard di altezza di quegli spilungoni degli Elfi, il Re di Bosco Marcio aveva la maniglia davanti al naso.

«Ci chiederanno di fare altre cose ambigue?»

Thranduil gli sorrise. «Vuoi che ti aiuti a capire cosa ci obbligheranno a fare?»

Thorin raddrizzò le spalle e gonfiò il petto. 

«Magari questa volta servirà a te un aiuto a comprendere». Non era necessario che il Re di Bosco Marcio gli ricordasse il suo bruciante fallimento.

Thranduil si voltò con la sua espressione più spocchiosa e bussò.

«Avanti» disse una voce maschile.

La porta si aprì e rivelò una stanza enorme, con pavimento di legno e un nido di paglia in un angolo, un camino al fondo. 

«Sire, sono arrivati» disse un essere così alto che Thranduil gli arrivava alla vita.

Thorin lo scrutò: sembrava un Elfo, ma era troppo alto. Aveva il naso a punta, come il becco di un corvo, i capelli giallo paglia e gli occhi dorati.

Thranduil si era inginocchiato al cospetto del tizio seduto su un trono di legno. Reggeva uno scettro tempestato dei più grossi e bei zaffiri, come mai Thorin ne aveva visti in vita sua, e vestiva di strati di stoffe, ognuna più preziosa delle altre. La sua barba era bianca e dall'aspetto soffice, come una nuvola. 

Thorin lo fissò stupito e il tizio sul trono lo fissò a sua volta, a lungo, con occhi penetranti. Thorin si sentì in imbarazzo per quell'uomo: cosa doveva pensare un re nel trovarsi un Nano e un Elfo nudi di fronte a sé?

Il re voltò la testa verso destra e chiamò: «Vardaaaaaaaaa».

All'ingresso di una donna Thorin sgranò gli occhi. Un verso strozzato giunse da Thranduil e Thorin si voltò per non perdersi la vista. L'Elfo aveva una faccia stupita e meravigliata, e anche un po' di bavetta. 

Come come? C'era qualcosa che rendeva Thranduil più stupido che essere di Spocchia Elfica?

Poteva capirlo: quella donna era bellissima. No, bellissima non rendeva. Per quanto non avesse una barba, come una vera bella donna, Thorin non riusciva a trovare nessun altro aggettivo per descriverla. Tra i suoi capelli neri come la notte brillavano le stelle e nei suoi occhi scuri si rifletteva il cielo stellato.

«Che c'è, caro?» chiese, la voce soave.

L'uomo sul trono indicò lui e Thranduil.

La donna unì i palmi con un sorriso. «Oh! Sono loro?»

«Eönwë?»

«Davanti a voi, sono Thranduil, Re degli Elfi Silvani del Boscoverde, ora detto Bosco Atro, e Thorin Scudodiquercia, Re Sotto la Montagna in Esilio» annunciò il tipo con il naso a becco.

Era un araldo? Ma avrebbe dovuto annunciarli subito appena entrati!

La donna –Varda– si avvicinò all'uomo sul trono e gli posò una mano sull'avambraccio. «Bisogna decidere la prova che devono superare per spezzare la maledizione che li affligge».

«Decisioni!» rispose lui gettando le braccia al cielo. «Sempre qualcosa da decidere. Perché io? Io voglio solo stare tranquillo e che tutti stiano tranquilli, buoni e in pace».

L'uomo si alzò e tornò a guardare lui e Thranduil. «Io, Manwë Súlimo, sarò il giudice della vostra prova. Ma ho due possibilità e non so quale scegliere».

Thorin sollevò le sopracciglia. Era una decisione così penosa?

«La scelta è tra lucidare la Spada d'Amore di Irmo o la Vigorosa Mazza di Ulmo» annunciò il tizio dal naso a becco – Eönwë.

Spada d'Amore? Vigorosa Mazza? Se quelli non fossero stati eufemismi, Thorin non avrebbe saputo a cosa potessero essere riferiti. Scambiò un'occhiata con Thranduil, per vedere la sua reazione. Anche lui sembrava confuso. Oh, se anche lui pensava a eufemismi, non sarebbe successo come alla prima prova.

«Irmo! Mi serve la roba buona!» gridò Manwë.

Dal nulla si materializzò un altro uomo della stazza di Manwë ed Eönwë, con gli occhi gonfi di sonno e i capelli in una strana acconciatura fatta di ciocche aggrovigliate.

«Bella ziooo» salutò il nuovo arrivato e consegnò delle foglie verdi a Manwë. «Oh, la migliore, come sempre». Fece l'occhiolino e sparì, lasciando dietro di sé uno strano odore, tipo di pianta medicinale bruciata.

Quindi quello era Irmo? Non gli aveva visto spade addosso.

Non prometteva nulla di buono.

Manwë abbassò lo sguardo su di loro, l'espressione gentile. «Miei cari bambini, voglio che la prova sia giusta e adatta a voi, perciò chiederò consiglio all'Uno. Datemi il tempo di contattarlo».

Detto questo, sparì dietro una porta. Varda si sedette sul trono accanto a quello di Manwë, l'espressione serena. Mentre Eönwë stava dritto sul posto, come se avesse un palo nel didietro.

«Senti, Nano». Al solo tono strafottente di Thranduil, Thorin sbuffò e fissò con determinazione il naso a punta di quell'Eönwë.

Ci fu un altro sbuffo, questa volta di Thranduil. 

«Senti, Thorin, secondo te cosa potrebbero prevedere queste prove?»

Né Eönwë né Varda diedero segno di aver sentito. Thorin scrutò l’Elfo. Il Re di Bosco Marcio si era degnato a chiamarlo per nome e a usare un tono decente, per una volta. Visto il risultato disastroso della prova precedente, Thorin poteva abbassarsi a collaborare. Anche se con un re degli Elfi.

«Io, termini come Spada d'Amore e Vigorosa Mazza, li ho sentiti come eufemismi di... Mazze, appunto. Di carne». 

Thorin abbassò lo sguardo.

Per la barba di Mahal, doveva mettersi a parlare di quella roba con uno di Spocchia Elfica.

E che cosa avrebbero dovuto fare davvero? Chi era la mente brillante che aveva chiamato un'arma di ferro tagliente "Spada d'Amore"? A meno che quell’Irmo non avesse un pessimo senso dell'umorismo. O praticasse usi alternativi della spada. Thorin rabbrividì. Quei pensieri non servivano a tranquillizzarlo. 

Ma l'alternativa lo disgustava.

«Eufemismi» gli rispose Thranduil. Stava facendo vagare lo sguardo e sembrava imbarazzato. Quella era bella.

«Avevo anche sentito nominare gli attributi maschili come Scettro d'Amore o Scettro Virile, ma mai come spada».

Dall'altra stanza giunse un mormorio di piacere. Dal sotto della porta oltre cui era sparito Manwë proveniva un odore strano di erba bruciata, lo stesso odore che si era lasciato dietro quell'Irmo.

Varda ed Eönwë erano delle statue, tanto avevano cambiato espressione.

«Che ne pensi pensi?» chiese Thorin. 

Thranduil volse infine lo sguardo su di lui. «Penso ad alternative poco lusinghiere sulle due prove. Hai notato anche tu la stazza di Irmo. E che non portava nessuna spada addosso».

Thorin rabbrividì. 

Avvicinarsi alla mazza di carne di un altro maschio e lucidarla, poi? Ugh, non voleva pensarci proprio.

E se poi il possessore della vigorosa mazza si fosse eccitato?

Per la barba di Mahal! E se invece fosse stato proprio quello lo scopo? E avrebbero dovuto farlo insieme, lui e Thranduil? 

L'immagine di loro due, a lavorare su una mazza gigantesca –viste le dimensioni delle persone di Manwë e di quell'Irmo– gli diede il voltastomaco. Si aggiunse quella della fontana d'amore che riversava il suo liquido denso e caldo su di loro, fino a ricoprirli quella sostanza appiccicosa... Soffocò un conato.

Moanwë cominciò a canticchiare.

«Ooooooooooooooooooooh Maria! Ti amoooooooooo!» 

Thorin sbatté le palpebre incontrò lo sguardo di Varda. Come se gli avesse letto le sue preoccupazioni nella mente, gli disse: «Manwë sta chiedendo consiglio all'Uno sulla vostra prova. Pazientate e non preoccupatevi».

Thorin si fissò i piedi. Aspettare era fastidioso, stare nudi era ridicolo e, se dovevano maneggiare mazze, chi se ne frega a chi appartenevano? 

Sempre mazze di carne erano.

Il risultato sarebbe stato lo stesso.

Ugh.

Manwë rientrò con uno sguardo sognante, e l'odore di erba medica bruciata era così forte che uno strano senso di calma pervase l'animo di Thorin. Osservò distaccato Manwë che si muoveva piano, mentre Varda gli andava incontro, per prenderlo sottobraccio.

«Vardina, ogni tanto dovremo contattare Eru Ilúvatar insieme».

«Certo, caro» disse lei, dandogli pacche sul braccio, «un giorno mi unirò a te in comunione con l'Uno».

Varda accompagnò Manwë sul trono e lui si sedette con le gambe larghe e un braccio penzoloni oltre il bracciolo del trono. Il suo sguardo vagò per la stanza, il sorriso gentile sulle labbra.

«Il mio signore Manwë vi comunicherà ora il verdetto» disse Eönwë.

Manwë sbatté le palpebre e il sorriso si allargò.

«Oh, giusto: Eönwë, vai a prendere il premio».

Varda si avvicinò all'orecchio di Manwë. «Caro, la prova, prima».

«Hai ragione, tesoro. Eönwë, manda Thorondor a chiamare Ulmo». Manwë rivolse lo sguardo a loro. «Dovrete lucidare la sua Vigorosa Mazza».

Eönwë lanciò un grido che sembrava il grido di un'aquila. Gli fece eco un verso simile e poi ci fu solo silenzio.

Silenzio che rese più reale l'avvicinarsi della prova.

Thorin chiuse gli occhi e inspirò più volte. 

Doveva farcela. 

Per spezzare quella stupida maledizione, per Erebor e i suoi sudditi. 

Era già stato umiliato una volta con la prima prova, che differenza faceva? E poi nessuno l'avrebbe saputo. Se Thranduil avesse fatto girare voci, gli avrebbe ricordato che avevano fatto le stesse cose in quelle prove. 

Due valletti si avvicinarono a loro, ognuno con una brocca d'olio, spazzola di ferro e pelle di daino. Che se ne dovevano fare di quella roba? A questo Ulmo piacevano cose strane.

Thorin strinse il manico della spazzola di ferro tra le mani e prese ampi respiri. Con sua soddisfazione notò che anche Thranduil era teso, i muscoli contratti si vedevano benissimo in quel corpo spelacchiato.

Con un tuono comparve nel mezzo della stanza un uomo enorme e completamente nudo. Aveva i capelli e la barba scuri, bagnati fradici e intrecciati con alghe e conchiglie. Dalla fitta peluria –sempre decorata da alghe del pube– pendeva la sua mazza grossa e moscia.

Thorin deglutì all'idea di quello che gli aspettava.

Con una spazzola di ferro!

«Mi hai chiamato, fratello» disse il nuovo arrivato e aggrottò le sopracciglia nel posare gli occhi su Manwë. «Hai chiamato l'Uno?» chiese con tono preoccupato.

«Il mio signore Manwë è stato chiamato come giudice per una prova di due Incarnati e ha decretato che dovranno lucidare la tua Vigorosa Mazza, Ulmo».

Ulmo si schiaffò una mano sulla fronte. «Che le meduse ti tocchino, Manwë, ho lasciato la Vigorosa Mazza a casa! Ma non potevi dire tutto subito al tuo uccellaccio?

«Ossë!» chiamò Ulmo, «Ossë, portami la mazza».

In un turbinare di vento e tuoni nella stanza, comparve nelle mani di Ulmo una mazza da guerra.

Era grossa, poco meno dell'altezza di Thorin, e tutta in metallo. Ma soprattutto dalla testa con le coste sinuose e le punte rinforzate fino al manico con l'impugnatura sagomata, era incrostata da fare schifo. C’erano residui bianchicci, viscidume verde e roba grigiastra a chiazze. Forse aveva anche degli abbellimenti nella testa e nel manico, ma con tutto lo sporco era difficile dirlo.

Ulmo si rivolse a loro due e posò la Vigorosa Mazza ai loro piedi.

«Ecco, pulite». 

Non dovevano maneggiare mazze di carne. Oh, che bello!

Non poteva credere ai suoi occhi e alle sue orecchie. Thorin rise dal sollievo e si mise all’opera. 

Con la spazzola di ferro in mano, prese a fischiettare mentre puliva il manico.

Certo, la mazza era difficile sia da maneggiare che da pulire, ma lucidare armi e metallo era qualcosa che sapeva fare. E poteva apprezzare anche la fattura di questa Vigorosa Mazza che resisteva agli attacchi del mare e del sale.

All'altra estremità della mazza, Thranduil si dava da fare, le orecchie rosse, zitto e nessuna puzza sotto il naso. Ah! Che spettacolo. Il Re di Bosco Marcio che si abbassava a pulire.

Questo sì che avrebbe voluto raccontarlo! Altro che mazze di carne!

Per quanto la prova fosse migliore di ciò che aveva immaginato, pulire e lucidare la Vigorosa Mazza dal maltrattamento che aveva subito dal tempo e dal mare fu un lavoro lungo e faticoso. Thorin smise di fischiettare e, quando finirono, entrambi erano esausti e con le braccia doloranti. 

Ma la mazza splendeva così tanto da potercisi specchiare.

Eönwë si fece avanti con due indumenti. 

«La vostra prova è superata, signori».

Thorin prese mutande e pantaloni e con somma gioia li strinse al petto.

Non avrebbe più dovuto soffrire la vista degli attributi del Re di Bosco Marcio! 

Niente più sederi al vento! 

Avrebbe voluto piangere e saltare e ballare, ma invece indossò le mutande.

 


 

Angolo dell’Autrice

Ebbene, sì, i nostri eroi si vestono un pochino… Con somma delusione di tutti coloro che avrebbero voluto vederli andare ancora in giro nudi (tecnicamente sono ancora a torso nudo!)

Comunque.

Al prossimo capitolo!

  
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