Buon compleanno…
❄ primo capitolo ❄
Yuri
si massaggiò le tempie inspirando profondamente per non soffocare la donna
dinanzi a lui rischiando così un soggiorno in carcere, magari avendo per vicino
di cella lo stesso Vorkov.
I
pochi addetti presenti nella sede della BBA nei giorni festivi si erano
dimostrati una massa di incompetenti. Al suo arrivo la receptionist catapultatasi
addosso l’aveva trascinato giù per le scale fino alla cascata artificiale
ricreata nel muro da un muratore che aveva leggermente sbagliato punto da
trapanare. Ritrovatosi tra intonaco disciolto e calcinacci vaganti scaraventati
in giro dalla pressione dell’acqua, Yuri aveva evitato di chiedersi come con
una punta di appena sedici millimetri avesse creato una voragine di un metro.
Preferendo concentrare le sue energie nel nuoto, unico escamotage utile a raggiungere
il pannello di controllo dall’altra parte dell’edificio.
«Ivanov hai avuto un’idea geniale!»
L’istinto
gli aveva persino suggerito di provare ad affogare il suo coetaneo neoassunto per
metterlo a tacere insieme alle ovvie precisazioni decantate giusto per dare
aria alla bocca. Era servito tutto il suo sangue freddo per non sradicare la
valvola dell’acqua appena chiusa ed usarla come arma bianca.
D’altro
canto, la situazione drastica aveva reso necessario un cospicuo numero di mani per
mettere in salvo tutte le apparecchiature elettroniche. Gli ultimi tre quarti
d’ora passati tra una corsa e l’altra nella pozza d’acqua arrivata alla sua
pancia – in attesa dei pompieri che quel mattino avevano deciso di prendersela
comoda – gli avevano fatto sperare che il peggio fosse passato.
Yuri Ivanov, povero illuso.
«Signor Ivanov?»
Yuri
trasse un profondo respiro seduto sulla scalinata per metà ostruita dall’acqua
afferrando di malvoglia la cornetta tesa dalla segretaria, più per togliersela
finalmente di torno che per il desiderio di dover intrattenere quella
conversazione.
«Buongiorno
presidente Daitenji» esordì con calma forzata continuando a massaggiarsi la
tempia pulsante ed aggiungendo mestamente «Mi scusi, volevo dire buonasera. A
Tokyo sarà ormai sera»
«Oh
Yuri non preoccuparti di queste formalità! Volevo ringraziarti per aver accettato
l’incarico all’ultimo momento, mi è dispiaciuto toglierti il giorno libero» le
interferenze della linea non attutirono il tono caloroso dell’uomo che per un
attimo riuscì a placare i nervi del russo «Inoltre, volevo informarti di
prenderti domani una bella giornata di risposo. Lo so che sei un eccellente
lavoratore ma non devi fare tutto tu, ho assunto altri impiegati
appositamente!»
La
calda risata dell’uomo risuonò nell’apparecchio, nettamente in contrasto con il
lugubre ed incessante gocciolio del tubo sul pantano creatosi nel seminterrato.
Yuri
mordicchiò le proprie labbra non del tutto convinto dell’“ottimo lavoro” svolto.
Il compito affidatogli era di aiutare nella gestione uno dei più importanti
centri di allenamento per il Beyblade della Russia, non di trasformare la
suddetta sede in una piscina in cui istruire futuri bagnini.
«Non si preoccupi, ho accettato di
buon grado»
Yuri
lo pensava sul serio. Avrebbe fatto di tutto per ringraziare le cure di
quell’uomo rimastogli costantemente accanto durante il suo coma ma dopo aver
terminato la frase si era ritrovato a mettere in discussione lui stesso la
veridicità di tali parole. Uno dei tecnici passatogli accanto aveva perso
l’equilibrio ruzzolando giù per le scale, insieme allo schermo di un computer,
in un volo leggiadro fino allo schianto nell’acqua sottostante.
A
fior di labbra aveva sussurrato esasperato il suo addio al secondo monitor ormai
distrutto nella mattinata non sapendo se optare per la sottrazione della cifra
esorbitante alla paga dell’operaio – che probabilmente si era appena rotto una
gamba – o assumersi la responsabilità del disastro in quanto supervisore e responsabile
dei lavori.
Poteva
già avvertire il suo portafoglio più leggero con banconote dotate di ali
immaginarie pronte a spiccare il volo.
«Yuri, va tutto bene?»
L’uomo
caduto nella pozza rilasciò una vivace imprecazione che il russo riuscì ad
attutire per metà con la mano sul cordless. Il presidente gli aveva concesso un
posto altamente di rilievo nella struttura nonostante la giovane età, non
avrebbe permesso ad alcun incidente di sottrarglielo né di darla vinta alle
dicerie dei nuovi associati sulla ricerca di personale più qualificato. Il
presidente Daitenji poteva essere messo al corrente della disastrosa faccenda appena
accaduta anche l’indomani, quando il danno sarebbe stato risolto.
«Sì,
benissimo» mentì spudoratamente sperando che la sottile isteria venisse
coperta dalle interferenze telefoniche «Mi scusi ma ora la devo lasciare,
incontri di beyblade turbolenti»
Ivan
tirò su col naso nascondendosi il più possibile nello strato della sciarpa.
Il
suo istinto gli aveva detto di non ascoltare Boris e le sue idee strampalate ma
lui si era fatto fregare ugualmente come un allocco insieme a Sergej, trovandosi
nelle strade del distretto di Tverskoj a
spingere sotto la neve il loro ferrovecchio.
«Giuro
che questa è la volta buona che ti uccido» soffiò inferocito nella stoffa, privato
della sensibilità alle dita diventate due stalattiti.
«Zitto
e spingi, mancano ancora dieci minuti alla pompa di benzina»
I
passanti lanciarono loro occhiate di sottecchi mantenendosi a debita distanza
dal ciglio strada contro cui loro incespicavano nella fanghiglia a passo di
lumaca. Lo spazzaneve aveva fatto il proprio ottimo lavoro per la viabilità
automobilistica gettando tutto agli angoli, rendendo di contro un inferno la
mattinata di Ivan.
Le sue piccole gambe non erano fatte per camminare in strati di neve alti mezzo
metro.
«Perché
diavolo Sergej se ne sta seduto in macchina?! Sarebbe più utile di me!»
Le
giunture arrugginite dello sportello verdognolo cigolarono all’apertura
stagliandosi contro il resto dell’intelaiatura porpora della vettura. Ivan
dubitava altamente che la loro Reliant Robin degli
anni Settanta – amorevolmente etichettata da Yuri come “una trappola
mortale col motore di una Ferrari” – avesse mai visto effettivamente dei
giorni per così dire, migliori. Il sol fatto di aver avuto diciotto
proprietari precedenti avrebbe dovuto essere un monito per stare alla larga ma
Boris non aveva sentito ragioni preferendo dar ascolto ad Andrej, la loro ex
conoscenza del monastero impiegata allo sfascio. Avevano acquistato un’auto che
alla prima curva si era ribaltata con loro dentro finendo contro un albero,
costringendoli non solo a pagare i danni per la distruzione del recinto di una
proprietà privata ma a sborsare un capitale per un pezzo di ricambio,
ovviamente introvabile, se non tramite importazione dall’Inghilterra.
«Avete
dimenticato voi di far benzina» fu l’ammonimento di Sergej enunciato con
la schiena aggobbita a causa dell’angusto spazio lasciato a disposizione
dall’abitacolo «Ora pagate per i vostri errori, così la prossima volta starete
più attenti»
«Ti
ricordo che l’obiettivo della giornata non è farci da insegnante di vita ma preparare
per tempo una torta a Yuri!»
«Allora,
la vostra fatica la renderà più gustosa»
«In
realtà, dovremo preparare anche la cena» aggiunse tra sé Boris interrompendo il
futuro scatto del piccoletto accanto a lui a cui iniziò a ticchettare nervosamente
il sopracciglio.
«Perché
ogni fottuto dovere che esce dalla tua bocca è sempre al plurale?!»
Ivan
sbatté la mano sul cofano per marcare la sua poca accondiscendenza. A sedici
anni si era ritrovato a provare la stessa frustrazione di una mamma a tempo
pieno bloccata in casa a badare ad un marito e pargoletti rompiscatole. Puliva
e rassettava la casa non solo per via dei turni di lavoro di Boris e Yuri alla
BBA e i corsi universitari di Sergej, ma soprattutto perché la lista con la
suddivisione delle faccende inizialmente stilata era diventata – dopo soli due
giorni – un semplice ornamento del frigorifero.
«Siamo
una squadra»
«Eh
no! Non ti rigirare le parole di Kinomiya a fatti tuoi!» con pochissima
difficoltà l’avanzata rabbiosa di Ivan fu bloccata da una mano premuta sulla
fronte, il piccoletto si ritrovò a scalciare nella neve e dimenare le braccia a
vuoto nel tentativo di avvicinarsi «Se non fosse per Sergej che si prende la
briga di cucinare solo per la paura di poter essere avvelenato e l’ossessione
di Yuri per l’ordine, a quest’ora sarei un povero schiavo!»
«Non
sei felice? Sei importante per la squadra» il sorrisetto accattivante di
Boris fece salire il sangue al cervello ad Ivan che senza pensarci due volte
sfruttò la bassa statura per saltare sul ginocchio piegato del compagno e
prendere lo slancio fino al viso.
Colto alla sprovvista Boris ritirò il braccio allontanandosi di qualche passo
per evitare il ragazzino che finì per rotolare a terra nel pasticcio nevoso. Il
sogghigno derisorio stampato sul viso sorse spontaneo e non venne meno nemmeno
al successivo attacco del piccoletto che con il capello mezzo calato sugli
occhi inveiva contro di lui tra i cumuli di neve tentando di rialzarsi e al
contempo sistemare la propria vista oscurata dalla lana.
Sergej
dopo un ultimo sguardo di disapprovazione al duo richiuse lo sportello tirando
il freno a mano. Come da sua previsione i due dietro di lui aveva iniziato a
litigare non considerando minimamente di essersi fermati in pendenza.
Lo
specchio dell’ufficio contabile restituì il riflesso di un volto pallido
decisamente contrariato. I jeans, la camicia e la giacca del classico
abbigliamento da lavoro ormai bagnati fradici erano diventati completamente
inutilizzabili lasciando a Yuri due alternative: girare come un pulcino bagnato
fino a sera col rischio di prendersi un malanno, oppure, indossare una delle
divise della BBA per evitare di camminare in mutande nella struttura.
Yuri
contemplò dubbioso la tuta intera blu elettrica di due taglie più grande risvoltata
tre volte alle caviglie e attorno ai polsi domandandosi internamente se
indossarla fosse stata davvero la scelta più giusta. L’abbigliamento extralarge
urlava fino alla più piccola fibra quanto Sergej avesse ragione nei suoi
rimproveri e rendeva la sua figura esteticamente fin troppo fragile e delicata.
Così simile al sé di tredici anni prima disperso nelle strade di Mosca,
racchiuso in abiti estranei toppo grandi e fuori misura da farlo sentire il
reietto del mondo.
Il
logo plastificato della BBA svettante sul petto era l’unico dettaglio a
mantenerlo ancorato al presente, a rammendargli di aver ormai superato quella
fase brutale anche se l’inconscio sovente ricascava nel passato tormentandolo
con brutti ricordi e associazioni che voleva dimenticare.
Istintivamente
le sue dita ricalcarono sullo specchio il contorno degli occhi cerchiati da un
alone violaceo accertandosi al contatto freddo col vetro di essere ancora
all’interno dell’associazione e non in un’illusione.
Aveva sempre avuto quell’aria così
malata?
Spostatisi
sui lineamenti induriti della mascella, i polpastrelli vennero ritratti di
scatto all’improvviso bussare e alla conseguente apertura della porta.
«Cosa
c’è ora?» tuonò infastidito per l’interruzione della sua privacy fregandosene
altamente di indossare un’aria di forzata cordialità dopo aver espressamente
ribadito centinaia di volte di aspettare un “avanti” prima di entrare.
Inna,
impalata sulla soglia, doveva essersi appena ricordata tale particolare.
La
giovane ventenne sua collega nelle assenze di Boris era il tipo di persona che
Yuri detestava. Accondiscendente e docile, Inna aveva sempre una parola buona
per tutti, persino per il ragazzo che l’aveva lasciata da sola a occuparsi di
una bambina di due anni. Non alzava mai la voce, arrossiva per un nonnulla,
parlava guardando sempre altrove, si scusava di continuo e si prodigava sempre
verso il prossimo, anche verso chi non se lo meritava.
Il
classico esempio di troppa bontà e buonismo che faceva passare per babbeo.
Nonostante
ciò, nei pochi mesi di lavoro fianco a fianco non era riuscito a odiarla
completamente, involontariamente si era persino un pochino affezionato a lei.
Dopo una giornata di lavoro estenuante all’ennesimo ordine lei aveva sbottato
mandandolo a quel paese, urlandogli contro come una dannata. Dalle semplici
polemiche di lavoro si era ritrovato ad ascoltare uno sproloquio sull’intera
vita insoddisfatta della ragazza.
Poteva
essere l’unico uomo sulla faccia della terra a desiderare di passare del tempo
in compagnia di una donna nel suo periodo mensile. Quei giorni rendevano la sua
collega più spontanea e menefreghista dell’opinione altrui.
Molto
più incline al carattere delle persone che gli andavano a genio.
«Allora?»
addolcì leggermente la voce dopo aver constatato di non essere nel tanto
sperato periodo rosso, anche se leggero ne fu il cambiamento tonale «Cosa
dovevi dirmi di tanto urgente da non poter aspettare due secondi pur di
entrare?»
«Oh,
ecco…sono arrivati i fornitori! Uno di loro ti sta aspettando nell’atrio»
Yuri
annuì stancamente oltrepassandola e facendole silenziosamente intendere con
un’occhiataccia gelida di non parlare. Lo stato di cucciolo indifeso era
sparito dalla ragazza lasciando spazio alla perplessità dirottata al suo
vestiario e alla successiva velata risatina trattenuta a fior di labbra
difficile da non notare.
«Se
la situazione ti diverte tanto, la prossima volta mi assicurerò di farti
sgobbare al mio posto per ore in mezzo a quintali di acqua stagnante» decretò
seccato imboccando la rampa di scale seguito dallo scalpiccio dei tacchi al suo
fianco.
Inna
dichiarò immediatamente la resa scuotendo frettolosamente la treccia bionda con
le mani sollevate davanti al petto e un tenue rossore sulle guance.
«Mi
dispiace aver fatto tardi ma la babysitter di Alexia mi ha dato buca stamattina
e ho dovuto accompagnare la piccola da mia zia dall’altra parte della città,
come se non bastasse c’è stata una bufera e ho dovuto rallentare per non fare
un incidente e…»
Gli
occhi azzurri di Yuri si contrassero per l’esasperazione alle chiacchiere
frettolose che evidenziavano un mix completo di ansia ed apprensione, e senza
indugi smise di ascoltarla dopo il quarto gradino per non ritrovarsi con
un’emicrania. Inna poteva fornirgli tutte le attenuanti del mondo poiché non
era lei la fonte dei suoi mali della giornata, ma uno stupido tubo in un
altrettanto stupido muro che nemmeno doveva essere bucato.
Anche
se fosse stata presente al momento del disastro di certo non avrebbe lasciato a
lei l’ingrato compito. La sciocca giunta al suo fianco, infatti, doveva aver
completamente dimenticato di averlo messo al corrente della sua paura
dell’acqua a causa di un incidente in piscina quando era poco più che una
bambina.
Alla coscienza di Yuri bastava
l’operaio ingessato.
Giunto
nell’atrio si avvicinò con lei al seguito agli scatoloni ammassati nell’angolo,
allungando senza mezze cerimonie la mano al fattorino che anziché consegnargli
la cartellina per firmare continuò a squadrarlo da capo a piedi.
«Si decide a darmi quel foglio? Non
ho tutta la giornata»
L’uomo
sulla quarantina si aggiustò gli occhiali guardandosi intorno diverse volte
prima di riportare l’attenzione su Yuri decisamente infastidito da tutto quel
tergiversare.
«Mi dispiace ragazzino ma non
posso consegnarti nulla»
«Come mai?» fu la contro risposta
sibilata con un sopracciglio tremolante e le dita della mano tesa a mezz’aria contratte
a scatti.
Inna
poggiatasi ad uno degli ingombranti cartoni giocherellò tesa con l’estremità
della treccia alternando lo sguardo fra i due uomini presenti lì con lei.
Nonostante la stazza non le era difficile credere che quello più corpulento
avrebbe fatto la fine peggiore. Fino alla sua assunzione non sapeva nemmeno
cosa fosse il beyblade ma le era bastato recuperare le riprese dei precedenti
mondiali per inquadrare che tipo fosse il suo collega.
Evidentemente
il fattorino non aveva la sua stessa cultura per lo sport, oppure, non ci
teneva poi tanto alla propria vita.
«Devo consegnarla a Yuri Ivanov. Quindi,
potresti gentilmente chiamarlo?»
Yuri
considerò l’opzione di prendere la penna a scatto e piantarla di forza nella
gola del corriere, non solo per l’odioso e incessante clic clac che gli stava perforando il cervello.
«Sono io Yuri Ivanov»
Inna
tossicchiò coprendosi repentinamente la bocca, optando per distogliere lo
sguardo e ammirare le sue décolleté nere pur di non incrociare di nuovo due
iridi azzurre omicide.
Erano
le tredici passate di un giorno festivo, in una struttura quasi del tutto
vuota, compreso l’atrio in cui c’erano soltanto loro. Le risultava fin troppo
facile immaginare il proprio corpo smembrato e richiuso in uno degli scatoloni
insieme al fattorino.
«Sì certo,
ed io sono lo zar» la grassa risata di scherno proruppe dall’omaccione che si
chinò intimidatorio verso il russo di una spanna più basso «Moccioso, la
prossima volta ruba almeno una divisa della tua taglia se vuoi spacciarti per
qualcuno che non sei. Così non sei per niente credibile, levati di torno e
fammi lavorare»
Yuri
inspirò a fondo contando mentalmente fino a dieci sotto le occhiate sempre più
preoccupate di Inna che vedeva il petto del russo abbassarsi e sollevarsi
sempre più freneticamente. La donna gettò un urletto spaventato allo scatto
repentino di Ivanov che sigillate le dita attorno al polso dell’uomo ne aveva
strappato con forza la cartellina dalle mani, lanciandogli addosso quella che
aveva tutta l’aria di essere un passaporto.
«Controlli»
fu l’ordine imperioso soffiato tra i denti digrignati mentre scribacchiava la
propria firma «Potrà notare come sia io l’uomo che sta cercando»
Inna
piombò nel mezzo dei due litiganti prima che la situazione potesse precipitare
accaparrando ogni genere di scusa possibile all’individuo che non aveva per
nulla digerito l’atteggiamento sfacciato.
Yuri dopo aver sbattuto la cartellina sullo sterno dell’omaccione aveva
ignorato gli improperi girando sui tacchi per dedicarsi al controllo del carico
come se l’uomo urlante non fosse più presente. Consapevole di aver perso il suo
proverbiale autocontrollo rendendosi la brutta copia di sé stesso. Infastidito
altamente dall’essersi comportato nel medesimo atteggiamento sempre
rimproverato ad Hiwatari.
Lui
non era così.
Al
solo ricordo del mezzo russo l’ondata di rabbia mattutina tornò prepotente
facendogli mormorare imprecazioni solitarie, fortunatamente distanziato dal
fattorino che finalmente aveva deciso di sloggiare e continuare il suo giro di
consegne. Dallo pseudo amico riccone passò a maledire l’amico biondo che più
degli altri compagni quella mattina l’aveva infastidito, ritrovandosi infine a detestare
il mondo intero.
Come
se non avesse già fin troppi grattacapi nella testa.
«Che diavolo prende a tutti per
paragonarmi ad un bambino?» bisbigliò iroso sbarrando con stizza dalla lista il
materiale appena rinvenuto in uno degli scatoli.
«Da giorni ti comporti come tale»
Yuri
abbassò il foglio voltandosi repentinamente verso Inna rimasta bloccata sul
posto con gli occhi sbarrati puntati verso un punto indefinito. Riscossasi
dalla trans la donna lasciò andare lo strato di nastro adesivo a malapena
tirato via arretrando istintivamente di qualche passo, con un sorrisetto teso
stampato sul viso e con molta probabilità l’intero rosario recitato nella
testa.
«Per essere una che si fa problemi
pure sul perché l’acqua scorra in senso antiorario, la lingua non riesci proprio
a tenerla a freno» proferì seccato il russo aumentando il rossore sulle guance
della donna che copertasi la bocca simulò un colpo di tosse per nulla discreto.
«Mi disp-…»
«No, non ti azzardare» Yuri incrociò
le braccia assottigliando gli occhi nel classico sguardo rifilato ai suoi
compagni quando non voleva sentire repliche «Se vuoi parlare fallo ma senza
rifilare una delle tue stupide scuse di circostanza. Parla chiaro»
Nonostante
l’enorme fastidio di trovarsi sotto il mirino di tutti preferiva quelle
rispostacce sincere alle frasi di falsa cordialità rifilategli continuamente.
«Cosa dovrei dirti allora?» domandò
lei confusa con una vocina delicata a malapena udibile «Che da qualche mese a questa
parte sembri un tiranno dispotico? Che il tuo aspetto è sempre più simile a uno
spaventapasseri? Che sei diventato talmente insopportabile da star sulle
scatole a metà dei dipendenti per il tuo improvviso bipolarismo?» trasse un
profondo sospiro prima di aggiungere sempre più debolmente sopraffatta dalla
penetrante occhiata celeste «È davvero quello che vuoi sentirti dire?»
«Se
è quello che pensi, sì»
«Bene, se la metti così» agguantando
tutto il suo coraggio ella avanzò parandosi impettita davanti al ragazzo che
sbatté gli occhi colto di sorpresa «Qui ci penso io, posso sopravvivere senza
la tua glaciale presenza per mezz’ora»
Yuri
inarcò un sopracciglio scettico trovandosi il braccio della donna puntato
imperioso verso destra.
«Ora, muovi il culo e vai a pranzare»
fece per protestare ma Inna glielo impedì intimandogli con l’altra mano di far
silenzio in un atteggiamento combattivo che non le aveva mai visto «Non accetto
un no come risposta. Ti conviene andare prima che decida di legarti ad
una sedia e imboccarti come mia figlia, chiaro?»
Yuri
per qualche secondo fissò interdetto le iridi castane puntate fermamente su di
lui chiedendosi perché tutti quel giorno volessero costringerlo a mangiare
qualcosa. Il suo rifiuto nell’accettare un ordine venne però meno davanti al
broncio intimidatorio divenuto man mano poco convincente. Tutto quello che
riuscì a fare fu aprirsi in un ghigno divertito ed esasperato al contempo, i
suoi tentativi di farla uscire dalla perenne insicurezza gli si erano ritorti
contro.
Perlomeno poteva ritenersi soddisfatto di qualcosa.
«Leghi tua figlia a una sedia?»
«Niente scherzi. Hai capito benissimo
il punto Ivanov»
«Tu sei davvero sicura di non aver
mai parlato con Sergej?»
«Hobbit di poca fede, guarda e piangi!»
Ivan
mollò la presa sul carrellino di plastica sforzandosi di non prendere uno dei
barattoli in vetro sul ripiano del supermercato e frantumarlo così sulla testa
del suo amico.
Boris
pieno d’orgoglio e sfacciataggine era salito su di una
scala con le rotelle utilizzata dai dipendenti per ergersi sulla sommità come
Cristoforo Colombo alla vista della terra, con la differenza di non star
indicando l’America ma il ripiano colmo di confetture.
«Scendi
da lì deficiente, non hai trovato delle pepite d’oro ma della comunissima e
scadente marmellata di fragole. Confezionata in chissà quale recondito luogo
del pianeta, piena di schifezze e altri addensanti…probabilmente nemmeno ci
sono le fragole lì dentro!»
«Non
sai accettare una sconfitta mio piccolo hobbit»
«Piantala
di chiamarmi come gli esseri di quello stupido film fantasy!» urlò esasperato
calciando violentemente la scala che slittò in avanti lungo il corridoio, distanziando
Boris dal suo obiettivo in vetro «E sconfitta di cosa?! Ti avevo detto che era
impossibile trovare delle fragole fresche in pieno febbraio a Mosca, ed infatti
avevo ragione io. Nessuno dei quattordici fruttivendoli che abbiamo
visitato ne aveva!»
«Non
farmici pensare, abbiamo solo sprecato benzina» mormorò sconfortato Sergej
gettando nel cestino dei panetti di burro mentre Boris deciso a non scendere
dalla scala per spostarla verso la precedente postazione era ormai proteso in
avanti cercando di arraffare il vasetto di marmellata.
Un
allungamento estremo del braccio, il peso spostato sulla mezza punta, la gamba
sollevata per darsi equilibrio e il barattolo divenne più vicino nello stesso
istante in cui Sergej vide le rotelle posteriori della scala sollevarsi dal
pavimento.
«Boris!»
maledicendo il suo amico si tuffò sulla scala balzando agilmente sui pioli
inferiori per fare da contrappeso, non calcolando l’esatta differenza di stazza
fra loro.
Boris
ondeggiò avanti e indietro agguantando due vasetti di marmellata che non
servirono a ridargli l’equilibrio perduto. Agitando vanamente le braccia
nell’aria cadde dal suo punto di vedetta coinvolgendo Sergej nello schianto sul
pavimento.
La presa sul bottino venne meno, i vasetti volarono in aria ed Ivan si gettò
imprecando in aramaico verso il presunto punto di atterraggio.
Il
“no” sembrò fuoriuscire a rallentatore dalla bocca mentre le ginocchia e
i gomiti sferzarono contro le piastrelle nel tentativo di agguantare la
marmellata. Il vasetto terminò la sua discesa tra le mani a coppa ma prima che
potesse anche solo definirsi migliore di Michael – non avendo nemmeno
mai giocato a baseball – l’altro vasetto atterrò con un sonoro tonfo
sulla testa di Boris ormai collassato addosso a Sergej.
Ivan
spolveratosi i pantaloni e raccolto il vasetto miracolosamente ancora intatto,
sbuffando si era avvicinato ai due ancora ancora distesi in terra, ondeggiando
una mano davanti al volto di Boris intento a mormorare strane associazioni su
Vorkov, delle fragole, Yuri e la benzina.
«Boris?» picchiettò due dita sulla
fronte del ragazzo senza ricevere alcuna risposta coerente «Boh, avrà perso
l’ultima rotella integra... Sergej tu invece stai bene?”
Il ragazzo biondo annuì scostando il
compagno per rimettersi in piedi, ma l’eventuale tentativo di rianimare Boris fortunatamente
per lui non fu necessario. Alzatosi di scatto, perfettamente vigile anche se
barcollante, Boris come se nulla fosse accaduto aveva strappato dalle mani di
Ivan il vasetto innalzandolo al cielo al di sotto del neon.
Urlando la propria vittoria ad una scommessa mai stipulata.
Sergey sospirando pesantemente annotò sul suo taccuino quell’ennesimo strano
comportamento constatando di aver esaurito lo spazio a disposizione. Aveva
iniziato la stesura di quegli elenchi per studiare al meglio la psicologia dei
suoi amici, ma Boris aveva superato ogni aspettativa occupandone buona metà in
meno di un mese.
Avrebbe dovuto comprare un nuovo block-notes.
«Boris, ho capito che abbiamo trovato
la stramaledetta marmellata ma ciò non toglie che hai quasi distrutto un
reparto per prenderla!»
«Ivan e che cavolo, falla finita! Mi
sembri Yuri»
«Vuoi preparare una torta ma nemmeno
la spesa riesci a fare! E sai perché?! Perché non la fai mai!»
«Sei proprio una casalinga schizzata»
«Ma come? Poco fa non ero Yuri?»
«Appunto»
«Smettetela
tutti e due…ora ci serve la farina» sbiascicò innervosito Sergej afferrando il
carrellino per metà ricolmo di prodotti che perlopiù non avevano nulla a che
vedere con la preparazione di una torta, ad incominciare dalle quattro
bottiglie di vodka.
«Questo è un giochetto da ragazzi» spingendo da parte il compagno alle prese
con la lista, Boris si avvicinò allo scaffale colmo di sacchetti trasparenti
prendendone uno di un’intesa tonalità giallognola «Vedi piccolo hobbit? Non ci
vuole nulla a fare la spesa»
«Capra, hai preso quella sbagliata!» il piccoletto sorpassò a sua volta Sergej
prendendo dal ripiano superiore una confezione plastificata di un giallo
leggermente più chiaro «Questa è la farina che serve a noi!»
«Non dire scemenze! Pensi che non sappia riconoscere nemmeno la farina?!»
«Sì! Juliette o come cavolo si chiama lei, ti ha dato una ricetta fin
troppo complicata se non sai nemmeno prendere l’ingrediente basilare!»
Sergej abbassò sconfortato il braccio con la lista osservando rassegnato i due
individui lì con lui sbattersi rispettivamente in faccia i pacchi di farina
ostentati come esatti fra vaganti epiteti poco carini. Due anni prima nemmeno
nei suoi sogni più strampalati avrebbe potuto assistere ad una scena tanto
surreale, a quel punto gli mancava solo Vorkov con il grembiulino e cappello da
chef per poter dire di averle viste tutte.
Ai
granelli dorati svolazzanti fuoriusciti da chissà quale sacchetto decise di
porre fine a quello scempio di ignoranza culinaria bloccando i due per le
spalle, indicando con un gesto secco il cartello sopra le loro teste.
“Preparati dolci e salati”
«Questa
non è farina per fare una torta, ma un preparato per la polenta» brontolò
scontroso riponendo sullo scaffale la confezione trattenuta da Ivan, strappando
poi con poca grazia il pacchetto preso da Boris «Quest’altro invece è purè
preconfezionato»
Ivan e Boris continuarono a guardarsi in cagnesco per qualche secondo, indecisi
se rinfacciarsi l’errore a vicenda prima di optare silenziosamente per un
fronte comune.
«Ovviamente lo sapevamo» sputò fuori Ivan incrociando le braccia onnisciente
eguagliato da Boris che aggiunse «Volevamo vedere se eri attento».
Sergej inarcò un sopracciglio squadrando il duo tronfio dirigersi alla fine del
corridoio nella sezione dedicata alle farine senza scrollarsi di dosso un
brutto presentimento.
Boris e Ivan baldanzosi giunti dinanzi allo scaffale restarono a contemplarlo
all’unanimità fino a poter quasi udire delle cicale in sottofondo. Quattro
ripiani estesi per oltre due metri esponevano pacchetti variopinti recanti il
nome delle più svariate marche e tipologie di farine, ognuna adatta a una
preparazione diversa secondo le microscopiche etichette.
Boris
si grattò adagio la nuca lanciando di sottecchi un’occhiata ad Ivan che con una
mano sotto il mento e lo sguardo concertato ricercava i segreti dell’universo
in una confezione dalla sgargiante carta rosa.
«Farina
per dolci, farina per dolci soffici, farina per dolci super soffici…»
Boris aggrottò le sopracciglia confuso facendo scorrere nuovamente il dito su
quel “super” che pensava di aver letto male «Che diavolo di differenza
c’è fra un dolce soffice e uno super soffice?!»
«Non lo so, non me lo chiedere» fu la concisa e alquanto perplessa risposta di
Ivan.
«Farina
per pancake, farina per pasta frolla, farina per dolci di cocco, farina 0,
farina 00…sì, farina 007 tra poco, diventa un agente segreto» commentò
inacidito scostando uno dei pacchetti con fin troppa foga, tanto da far
sollevare uno sbuffo bianco fra le fessure di carta «A che serve scrivere il
peso se la perdi per strada? Mah…farina di tipo 1, farina di tipo 2, ora
passiamo alle farine geneticamente modificate? Ah no, c’è quella bio»
Ivan
si strofinò le palpebre sentendo il mal di testa aumentare alla quantità
spropositata di nomi che imperterrito Boris continuava a elargire nel suo
fastidioso mormorare.
«Farina
di carruba, farina di grano tenero, farina dura, farina super indurente…»
All’improvviso
spegnimento della litania colto dal timore dischiuse le palpebre voltandosi
lentamente verso Boris rimasto inebetito a contemplare un sacchetto bianco e
azzurro, recante al di sotto della scritta l’immagine di due tortine
tondeggianti cosparse di panna montata con tanto di fragola decorativa sulla
sommità.
«Non
ci credo… questa è perfetta per Yuri!»
Ivan
sudò freddo alla macabra ed esaltata nota entusiastica prodotta dall’amico,
inquietandosi maggiormente quando lo vide abbassare lo sguardo sulla patta dei
pantaloni per poi annuire vigorosamente al sacchetto di farina tra le mani.
«Boris…»
lo chiamò turbato senza essere minimamente ascoltato.
«Cosa
non si inventano pur di vendere!» commentò sarcastico l’altro con un ghigno malizioso
stampato sulla faccia «Ora vogliono spacciare persino la farina che migliora il
sesso! È proprio il caso di dirlo: prendo due piccioni con una fava»
«Boris…di
cosa diavolo stai parlando?»
«Della
fantomatica farina stimolatrice sessuale! Guarda qua che inventiva, hanno
paragonato dei semplici bomboloni ripieni ad un altro tipo di bombe
ricoperte di panna! La compriamo, ci facciamo la torta e poi consigliamo a Yuri
di utilizzarla per cospargere di panna qualcosa di Julia…Credo di aver
visto questa stessa associazione su una di quelle riviste dal meccanico quando
abbiamo portato l’auto…beh, veritiera o meno, Yuri sicuramente non rifiuterà
una situazione del genere con Julia. Ci sono persino le fragole»
Ivan
fissò perplesso il cartoncino posizionatogli davanti la faccia sempre più convinto
non solo di voler trovare una fidanzata al suo amico per placare quegli
squilibri ormonali che di lì a poco avrebbero coinvolto il loro capitano, ma
prima di tutto fu pienamente convinto di volerlo portare da un oculista.
«Boris…farina
“super dura” non indurente» esordì adagio spingendo diligente le mani di
Boris sullo scaffale per riporre il sacchetto in questione «Si parla del tipo
di grano non di quello che pensi tu… vedi? Sta scritto sull’etichetta»
Boris
strizzò gli occhi sulla confezione con aria contrita.
«Non
puoi negare che quei dolci ricordassero davvero due seni però…»
Chiaramente
insoddisfatto dei suoi strani progetti andati in fumo, controvoglia tornò a
leggere le varie didascalie senza però cessare di inserire qua e là le sue
perverse associazioni fra Yuri e una certa spagnola.
«Farina
di cocco, farina di mandorle, farina di castagne…»
Alla
lista di farine derivate dalla frutta Ivan sentì di aver toccato l’apice della
sua pazienza.
Afferrato
il braccio dell’amico inspirò a fondo per non iniziare a urlare come uno
schizzato nel bel mezzo del supermercato a causa dei crampi della fame e il mal
di testa prepotente.
«Boris…
puoi leggerle tutte pure dieci volte ma non sapremo ugualmente quale prendere»
A
malincuore Boris asserì in accordo volgendosi simultaneamente con Ivan in
direzione di uno spazientito Sergej rimasto a osservali da lontano, a braccia
conserte e con un piede battuto ritmicamente sulla mattonella.
«Allora?»
chiese con tono lievemente irritato «Volete prendere la farina così
possiamo tornare a casa o volete aspettare il calare della notte?»
Boris
alternò lo sguardo dallo scaffale alle sue spalle all’amico spalancando le
braccia esasperato all’ennesima insistenza.
«Quale?
Ce ne sono centinaia»
Sergej
mormorando termini che un bambino farebbe meglio a non udire mai, si diresse a
passo di marcia verso lo scaffale trascinando con malagrazia il carrellino che accidentalmente
finì per colpire la caviglia di Boris.
«Questa»
Sergej senza aspettare risposta, dopo
aver preso altri pacchetti, afferrò il manico del carrellino proseguendo
furente verso il prossimo reparto non accertandosi nemmeno di essere seguito.
Ivan
sbuffando sonoramente si avviò malvolentieri nella medesima direzione,
sentendosi per la prima volta nell’arco della giornata affine allo stato
umorale di Boris.
«E
saremo io e Yuri quelli schizzati?»
Yuri
tirò un sospiro di sollievo quando la luce del semaforo divenne finalmente
verde.
Fiondandosi
in avanti anticipò la massa di persone al seguito sull’attraversamento pedonale
scansando agilmente l’ondata umana controcorrente. Non gli piaceva camminare in
mezzo alla folla, solitamente usciva nelle ore meno caotiche o nelle zone poco
trafficate ma il quartiere in cui sorgeva la BBA per sua sfortuna era nella
zona centrale in cui era un incubo muoversi anche con l’auto. Non che potesse
comunque usufruire del veicolo messo a disposizione dalla sede. Sapeva guidare
perfettamente ma la patente ufficialmente ancora non l’aveva e non
desiderava altri motivi per alleggerire il suo stipendio.
Non
si sentiva particolarmente fortunato da quella mattina.
Era
perseguitato dalla sfortuna.
Tanta
sfortuna.
Yuri
pensò per una frazione di secondo di abbandonare il cellulare vibrante estratto
dal cappotto in uno dei cassonetti sulla strada. Quel giorno era ormai chiara
la sua poca voglia di parlare con le persone, tantomeno con quelle in grado di
far peggiorare il suo umore apparendo soltanto sottoforma di nome sul suo
display.
«Dimmi»
ringhiò avvicinando il cellulare all’orecchio.
«Oh,
ciao anche a te Ivanov» la sarcastica e pacata risposta attraversò pungente
la linea statica «Nessuno ti ha mai insegnato che è da maleducati chiudere il
telefono in faccia alle persone?»
«No,
mia madre mi ha abbandonato quando avevo tre anni e mio padre quando non era
troppo ubriaco mi usava come personale sacco da box» disse gelidamente senza
nemmeno pensarci «Se invece parli di Vorkov, lui era troppo occupato ad
insegnarmi come mutilare e ferire gravemente il prossimo per preoccuparsi della
mia educazione»
«Un
bambino adorabile»
«Che diavolo vuoi Hiwatari?»
«Parlare
con te» il voluto accento sull’ultima parola giunse perfettamente chiaro
anche a chilometri di distanza «Non con la tua brutta copia nevrotica. Sei una
merda anche in versione originale ma perlomeno lì non mostri un unico neurone»
«Giuro
che riattacco se non ti muovi a parlare»
Una
macchina giallo fluo sfrecciò fin troppo vicino al bordo del marciapiede costringendo
Yuri a balzare istintivamente all’indietro per non tirare precocemente le cuoia,
nel medesimo istante in cui il semaforo pedonale divenne nuovamente rosso.
«Cosa
stai facendo?» domandò Kei alla delicatissima frase dal marcato accento russo
udita nel costoso cellulare: un dolce e poco velato invito a morire
schiantandosi contro un albero.
«Diffondo
il mio spirito patriottico» commentò l’altro seccamente osservando il proprio
riflesso in una delle vetrine retrostanti, la vistosa tuta blu accompagnata dal
cappotto bianco faceva a pugni con i capelli svolazzanti rosso sgargiante «Letteralmente».
Kei
accomodato sulla poltrona dello studio di suo nonno allontanò il cellulare per
accertarsi di star parlando con la persona giusta prima di riprendere il
discorso.
«Sono
contento che oltre a maledire il sottoscritto tu abbia anche altri hobby» spostò
uno dei plichi ingombranti dalla scrivania recuperando pigramente un foglio
dallo scanner «Comunque, come ti ho detto da alcuni mesi a questa parte e come
ti ho già ribadito stamattina, mio nonno continua a non voler cedere la
proprietà del monastero» dall’altra parte del mondo una smorfia deformò i
lineamenti diafani «Ma, prima che ti venga nuovamente in mente di chiudere il
telefono senza farmi finire la frase, io credo di aver trovato una via
alternativa»
Yuri
abbassò il pollice sollevato sul display inspirando al fondo con gli occhi al
cielo prima di tornare a scrutare la fissa luce cremisi.
«Avanti,
parla»
«Sul
monastero non ho autorità ma parte delle quote dell’azienda mi appartengono,
dopo il fiasco con Vorkov per non farla chiudere Hito
è stato costretto a cederla insieme ad una discreta cifra della sua eredità»
Yuri
sbatté gli occhi all’improvviso spintone realizzando con ritardo della luce
finalmente verde. Rimasto in silenzio si era estraniato nei propri pensieri
dimenticandosi del semaforo.
«Vorresti
comprare il monastero?» domandò sorpreso incamminandosi titubante sulle
strisce.
«Provo
a comprare il monastero»
Yuri
oltrepassò le porte scorrevoli del supermercato allentando la chiusura del
cappotto per non sciogliersi al di sotto del getto bollente dei condizionatori.
Dopo la disastrosa chiacchierata mattutina e la morte augurata ad Hiwatari,
ricevere una tal proposta non aveva sfiorato neppure il più fantasioso dei suoi
pensieri. Si era aspettato uno schietto dietrofront da parte del nipote del
vecchio.
«Ti giocheresti metà della tua
eredità»
«Lo so»
«Non ci guadagneresti nulla»
«Lo so»
Sorpassò il banco frigo recuperando
una bottiglietta d’acqua. In assoluto silenzio svoltò tra diversi reparti prima
di arrivare presso il gradevole profumo del banco alimentare. Tra due persone
di poche parole la conversazione poteva dirsi ormai giunta a una situazione di
stallo.
«Kei. Se lo stai facendo perché Boris
o gli altri ti hanno detto qualco-»
«Non fraintendermi Ivanov» lo
interruppe bruscamente Kei senza celare l’acidità «L’ultima persona a cui darei
ascolto è proprio Kuznestov e non mi interessa nemmeno ciò che dicono Sergej o
Ivan. Voglio comprare il monastero giusto per non essere più rotto le scatole
da te»
«Solo per togliermi di torno»
«Esatto»
Yuri
si ritrovò scuotere la testa a vuoto con un ghigno divertito stampato sul volto
fregandosene altamente se l’interessato avrebbe capito il suo divertimento. Per
togliere di torno una persona che abitava a diecimila chilometri di distanza
non serviva sborsare un capitale, bastava tagliare un filo telefonico come
aveva fatto lui.
«Se andrà a buon fine, allora non dovrò
nemmeno ringraziarti»
Qualunque
fosse la risposta scorbutica, Yuri non riuscì a capirla.
Le parole di Kei furono surclassate dal frastuono di vetri in frantumi a pochi
passi da lui che persino il mezzo russo a Tokyo riuscì a udire attraverso il
telefono.
Yuri
voltatosi di scatto si avvicinò perplesso al carrellino della spesa abbandonato
alle sue spalle che ancora ruotava su sé stesso dopo essersi ribaltato. Due
delle quattro bottiglie di Vodka erano andate in frantumi al brusco contatto
spaccandosi in tanti piccoli pezzi mentre il liquido trasparente era finito sul
resto della spesa. Il tutto contornato da un vasetto di marmellata scheggiato
dal quale la poltiglia rossastra era scivolata via facendo sembrare quel
piccolo incidente una scena del delitto.
«Yuri
cosa hai appena distrutto?»
«Io
nulla… ma c'è un gruppo di ubriachi che a parte disseminare alcool in giro,
probabilmente ha scambiato la farina per qualche sostanza stupefacente per
quanta ne ha comprata» rispose piattamente spostandosi di alcuni passi all’arrivo
degli addetti del supermercato «Mi domando chi siano tali disadattati»
Sergej inginocchiato dietro al cartonato del banco del pesce, si scrollò di dosso
alcuni gamberetti surgelati caduti durante la repentina fuga alla ricerca di un
nascondiglio.
«Non mangia mai, proprio oggi doveva iniziare?!» sussurrò fra i denti scrutando
nel piccolo spiraglio sotto al bancone i piedi di Ivanov a pochi passi da loro «Tra
l’altro, dove si è cacciato Boris?!»
«La
domanda esatta sarebbe un’altra…» mormorò a propria volta Ivan seduto nella
strettoia con il gomito poggiato sul ginocchio «Perché siamo venuti nell’unico
supermercato vicino alla sede della BBA?»
______
Note finali
Cos’è
la gif messa qui sopra?
Ovviamente la sicurissima Reliant Robin dei
nostri russi preferiti!
💙
Il
mio fidanzato non ha ancora capito che le idee strampalate e i video idioti che
mi fa vedere io li uso per davvero nelle mie fanfiction…>.>
Tralasciando i retroscena nella creazione del capitolo, nel prologo avevo
dimenticato di dirlo ma il giorno del compleanno di Yuri è davvero l’otto febbraio.
Takao Aoki dopo venti anni ha finalmente deciso di farci sapere quando sono
nati i nostri beneamati blader…anche se mi manca l’idea fanmade
che lo vedeva nato il 23 dicembre xD
Detto ciò, fra uno Yuri schizzato e Boris e compagnia incapaci di fare una
spesa per comprare quattro ingredienti, vi do appuntamento al prossimo capitolo
dove finalmente vedremo i poveri russi ai fornelli! >.>
…
Si salvi chi può.
Ringrazio
di cuore tutti quelli che hanno letto, recensito e inserito la storia tra le
preferite e le seguite! Davvero, siete la mia gioia in questo periodo 💙
Aky
Ps: avevate mai notato quanti tipi di farina sono in
commercio? :o
Questi
personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Takao Aoki, questa
storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.