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Autore: oscuro_errante    27/03/2021    4 recensioni
[What If: A Star Trek Series // L'Esplorazione del Quadrante Gamma] Il Tenente Comandante Jadzia Dax è devastata in seguito agli eventi narrati in Riuniti, durante i quali incontra il nuovo ospite del simbionte Kahn, la dottoressa Lenara Kahn, innamorandosi nuovamente di lei, rimanendo però delusa dalla decisione presa dalla donna. Qualche giorno dopo, parlando con un giovane ufficiale della U.S.S. Europa, scopre che la dottoressa Kahn è tornata su Deep Space Nine...
Genere: Romantico, Science-fiction, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Benjamin Sisko, Jadzia Dax, Julian Bashir, Kira Nerys
Note: AU, Soulmate!AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'What If: A Star Trek Series'
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Totalmente ignara di quanto le stesse accadendo attorno in quel momento, Jadzia Dax non poteva credere ai propri occhi, che le mostravano una seppur pallida Lenara Kahn in carne e ossa di fronte a lei, così come aveva desiderato che accadesse dalla sua partenza. Quasi inconsciamente, le sue mani si mossero e andarono a stringere quelle della donna, come a volersi assicurare che ci fosse davvero; di riflesso, Lenara ricambiò la stretta, sorridendo con dolcezza: «Sì, Dax, sono qua… sono davvero qua.»
Le loro dita si intrecciarono dolcemente, palmo contro palmo. Lenara strofino i pollici sui dorsi delle mani dell’altra donna nel tentativo di diminuire la tensione che sapeva pervaderla e che ancora non sembrava volerla lasciare per alcun motivo.

Kahn desiderava profondamente parlare con Jadzia, aveva un tremendo bisogno di fare ammenda per il modo in cui si erano lasciate, per il modo in cui lei si era comportata nei suoi confronti, per come non si fosse resa conto di essere guidata dalla sua paura, più che da altro. All’improvviso il Bar di Quark le sembrò fin troppo affollato e troppo rumoroso per sostenere una conversazione di quel tipo, che richiedeva forse un luogo più raccolto e silenzioso, più rispettoso della loro privacy, che potesse accoglierle e metterle a proprio agio: «Ti dispiace se ce ne andiamo da qua? Al momento non mi sento particolarmente a mio agio, in mezzo a tutte queste persone, e… Jadzia, ho davvero, ma davvero bisogno di rimanere da sola con te… solo con te…»

«No, certo che no…» Jadzia sembrò finalmente ritrovare la voce, un sorriso timido e pieno di speranza che le si affacciava sul volto, nonostante gli occhi tradissero la tensione e la paura di essere nuovamente messa da parte, di non essere ancora una volta un motivo sufficiente perché la donna che amava rimanesse. A Lenara si strinse lo stomaco, nel leggere tutto questo negli occhi di Jadzia, e una volta in più si pentì di aver lasciato la stazione pochi giorni prima. Ringraziò il destino di averle dato la possibilità di ritornare su Deep Space 9 per fare ammenda, nonostante avesse forse preferito evitare di rischiare la vita.
«Dove preferisci andare?» le chiese Jadzia, lasciando le mani di Lenara giusto il tempo di alzarsi in piedi, per poi affrettarsi ad aiutarla ad alzarsi a sua volta, spinta da un istinto di protezione così potente da fare quasi male: nonostante la donna sembrasse stare bene, ai suoi occhi era diafana e rischiava di spezzarsi da un momento all’altro.
«Ti va bene andare in una delle sale ologrammi di cui Quark va tanto fiero? Sono sicura che abbia a disposizione un programma che riproduca fedelmente Trillius Prime e ci sono sicuramente...» Jadzia fu fermata dal fantasma di un bacio sulle labbra, che permise a Lenara di intervenire: «I tuoi alloggi andranno bene, Jadzia... sono molto più intimi e correremo meno rischi di essere interrotte.»

***

Ferrari e Bashir continuarono a parlottare ben dopo aver lasciato il Bar di Quark, camminando lungo la Promenade senza far troppo caso alle persone che, come loro, popolavano la passeggiata. Erano rimasti entrambi sorpresi dalla comparsa di Lenara, considerando quanto la sua ripresa fosse ancora parecchio lunga e quanto sembrasse ancora davvero poco in forma, nonostante gli importanti passi avanti compiuti fino a quel momento.

La loro conversazione venne interrotta dal comunicatore di Ferrari, che segnalò una chiamata da parte della Guardiamarina Rebim Nyra, l’ufficiale operativo del turno Beta: «Europa a Tenente Ferrari.»
Con uno sguardo apologetico rivolto a Bashir, Ferrari attivò la comunicazione dalla propria parte: «Qua Tenente Ferrari. Cosa c’è, Guardiamarina?»
«Il Capitano T’Vok richiede la sua presenza a bordo il prima possibile.»
«Attendete un attimo Europa.» Ferrari si voltò verso Bashir, che agitò una mano con gesto dismissivo, a voler far intendere di non preoccuparsi: «Il dovere chiama, non è il caso di farlo attendere, soprattutto se ha il volto di un vulcaniano.» La donna sogghignò, ma un istante più tardi il suo volto era tornato serio, come sempre: «Mi faccia sapere se c’è qualche evoluzione, Dottore.» Lui annuì, sorridendo a sua volta. Prima che lei potesse chiedere all’Europa di farsi teletrasportare a bordo, aggiunse: «Congratulazioni ancora per la promozione, Tenente.» Ferrari, con un lieve sorriso di ringraziamento e un cenno della mano, si rimise in contatto con l’Europa e, pochi istanti dopo, svanì nel teletrasporto della nave.

***

«Sei sicura che questa sia una buona idea, Lenara?» Jadzia si ritrovò a chiedere per l’ennesima volta dopo aver fatto entrare nei suoi alloggi l’altra donna, la quale le lanciò uno sguardo esasperato prima di risponderle: «Sì, Jadzia, ti ho detto che sono non solo sicura, ma anche certa, che questa sia una buona idea! Quante altre volte dovrai rifarmi la stessa domanda per esserne assolutamente certa tu stessa?»
Gli alloggi di Dax, come tutti quelli presenti su Deep Space 9, erano ampi e spaziosi, si aprivano in un’area giorno ariosa, normalmente decorata e arredata diversamente a seconda dei gusti degli occupanti e, tendenzialmente, non presentavano semplicemente il mobilio standard di stampo cardassiano che caratterizzava la base, ma anche tutta una serie di oggetti che gridavano a gran voce chi fosse il proprietario di quegli appartamenti. Nel caso di Jadzia, era possibile vedere elementi tipici della cultura Trill venire affiancati ad alcuni oggetti Klingon, di cui la donna era una grande estimatrice, e umani o bajoriani, a dimostrare anche la poliedricità delle amicizie mantenute dal proprio passato - remoto o meno che fosse.

Subito vicino all’ingresso, a destra, era posizionato un ampio divano grigio su cui perfino uno kzinti si sarebbe trovato comodo, dietro il quale era possibile trovare alcune piante. Lenara, aiutata da Jadzia, si accomodò con cautela su di esso; l’altra donna, dopo aver borbottato un «Scusa,» fece per voltarsi verso il replicatore, chiedendo a Kahn se desiderasse qualcosa.
«Una tisana alle erbe andrà benissimo,» le rispose Lenara, «ti ringrazio.» Ma quando Jadzia ritornò con la tisana e una tazza di raktajino, Kahn prese entrambe le bevande dalle mani di Jadzia e le appoggiò sul tavolino di fronte a loro, prima di voltarsi nuovamente verso Dax e tenderle una mano: «Vieni a sederti qua vicino a me, Jadzia, per favore.» Dopo un primo tentennamento - Jadzia sembrava dilaniata dal dubbio sul cosa fare e come muoversi - afferrò la mano di Kahn e le si sedette di fianco, le dita delle due donne che istintivamente si intrecciavano, quasi a non voler correre il rischio che di perdersi, le loro ginocchia che si toccavano.

«Jadzia, per favore, non fare così,» la pregò Lenara, massaggiando dolcemente con l’altra mano un ginocchio della donna, prima di continuare, «non essere così tesa, per favore… fidati, non ne hai davvero alcun motivo, davvero… non ho intenzione di lasciarti andare.» Nonostante capisse, nel profondo, le ritrosie di Jadzia, Kahn iniziava a essere esasperata dal suo comportamento altalenante: se in certi momenti sembrava volerla avvicinare, con sguardi e gesti quasi intimi, in altri pareva chiudersi su se stessa, guardinga e circospetta.
Da parte sua, Dax si rendeva conto di essere sommersa da sentimenti contrastanti, ma non aveva ancora trovato il modo per uscirne… e questo la metteva in seria difficoltà, visto che si rendeva conto di non riuscire a lasciarsi trasportare da una situazione che aveva sperato ardentemente che accadesse.

Sempre stringendo spasmodicamente la mano di Lenara, Dax le lanciò uno sguardo così ferito, che l’altra donna si ritrovò a deglutire, tanto forte era il dolore che vi si poteva leggere dentro: «Lenara… io ti amo. Ma non riesco, forse non posso, dimenticarmi del fatto che tu abbia deciso di andartene… e questo ha fatto molto, ma molto male. Fa male ancora adesso, in verità.»

Per un attimo, lo sguardo di Jadzia mostrò una vulnerabilità tale da spaventare quasi Lenara, che mai si sarebbe immaginata di vedere un’espressione tale sul volto dell’altra donna, che si era sempre dimostrata forte: «Non è mai stata mia intenzione farti del male, Jadzia. Ti prego, perdonami… ero così spaventata - a essere oneste, lo sono ancora adesso - paralizzata dalle mie paure, che ho intrapreso quella che era, che sembrava, la strada che sentivo come più semplice per proteggere me stessa.» Gli occhi erano ora offuscati da un velo di lacrime, mentre continuava: «Sono sempre stata una persona ligia al proprio dovere, anche quando questo comportava mettere da parte me stessa per un bene più alto… è il motivo per cui ho superato con pochissime difficoltà gli stadi finali del Programma Simbiosi: difficilmente sarei stata sopraffatta dal mio simbionte, qualsiasi fosse. Ho sempre dato valore alla vita del mio simbionte, ma per la prima volta… Kahn non era più la cosa importante, perché lo eri diventata tu. E non volevo assolutamente che fosse così. Decisamente non potevo permetterlo, avrebbe distrutto tutte le mie convinzioni, avrebbe distrutto me stessa.»

Lenara prese un profondo, tremulo respiro, prima di continuare: «La verità, Jadzia, è che sei più importante tu. E preferisco sacrificare Kahn che perdere te, perché sei tu, tu e solo tu, la cosa più importante per me. E sono sicura - no, sono certa - di non essere influenzata dal mio simbionte, perché… perché mi ricordo di un momento di totale astrattezza, come se non fossi più nel mio corpo… la mia coscienza era separata anche da quella di Kahn - presumo si fosse durante l’operazione chirurgica condotta dal vostro medico e da quello dell’Europa - e la sensazione di vuoto era esacerbata dal non saperti al mio fianco.»

Per qualche lungo momento, Jadzia si limitò a fissare l’altra donna quasi come se non la vedesse: le parole dette da Lenara, innegabilmente, le toccavano il cuore, quelle erano le parole che voleva sentirsi dire fin da subito, così come fin da subito avrebbe voluto averla al suo fianco, invece di vederla partire con la certezza di non vederla più. Ma allo stesso tempo, però, qualcos’altro si stava facendo strada dentro di lei, dettato dalla paura folle di non essere altrettanto onesta nei suoi sentimenti verso Lenara come Lenara si stava dimostrando verso di lei. Il rischio di essere sopraffatti dal proprio simbionte era parecchio alto - principale motivo per il quale, di solito, gli aspiranti nuovi ospiti venivano sottoposti a tutta una serie di test psicologici e psichiatrici ad alto livello - soprattutto se il simbionte, come Dax, aveva un caratterino tutto suo e ospiti precedenti con una storia tutta particolare, ma Jadzia non si era mai posta il problema fino a quel momento. Ora, invece, il timore che i suoi sentimenti non fossero così puri come quelli di Lenara si fece strada prepotente in lei, facendole temere proprio l'influenza che lei aveva sempre ritenuto di poter tenere a bada.

Si liberò, il più dolcemente possibile, dalla stretta di Kahn per poi alzarsi e, superato il tavolino posto lì vicino, andare a piazzarsi di fronte uno dei grandi oblò che ritagliavano una finestra sull’universo circostante, braccia incrociate sotto il seno, quasi a volersi abbracciare. Stava visibilmente tremando, incontrollabilmente. Lenara la osservò per un po’, prima di azzardarsi a parlare e a dirle qualcosa - «Jadzia…?» - ma si interruppe quasi subito, rendendosi conto di non sapere bene cosa dire e vedendo, comunque, l’altra donna prendere un profondo respiro, prima di girarsi verso di lei: «Lenara…».
Si guardarono negli occhi a lungo, incapaci di lasciare andare lo sguardo. Jadzia manteneva la fierezza che l’aveva sempre contraddistinta, e non avrebbe mosso una palpebra, anche se nel suo petto e nella sua mente si stavano scontrando incertezze indicibili. Lenara era finalmente sicura di sé, di ciò che desiderava, di cosa provava: voleva che la donna che amava vedesse questa sicurezza, che era ciò che proprio Jadzia aveva cercato di tirarle fuori nei giorni passati assieme prima della sua partenza, senza volersi mostrare in alcun modo debole.

Anche Lenara si alzò dal divano e si spostò verso Jadzia, sempre guardando l’altra donna negli occhi. Erano ormai una di fronte all’altra, ma non osavano nemmeno sfiorarsi: il timore che qualcosa si spezzasse tra loro era palpabile. Jadzia sentì una lacrima scenderle sulla guancia. Lenara la vide scorrere fino all’angolo delle labbra e si preoccupò: non voleva ancora darlo a vedere, sollevò impercettibilmente un braccio, avrebbe voluto asciugarle la lacrima e baciare quelle labbra, ma si trattenne. Non capiva fino a dove poteva spingersi, e Dax non stava incoraggiandola.
«Lenara…» provò a riprendere il discorso Jadzia, inspirando e chiudendo gli occhi per un istante, «...non nego di amarti. Ti ho amato prima e ti amo adesso. Ma cosa sarebbe successo se il tuo trasporto non avesse avuto quell'orribile incidente che ha costretto l'Europa a venire in tuo aiuto e a riportare qui te e Bejal per una lunga assistenza medica? Non saresti mai stata in grado di scoprire che il tuo amore per me esisteva senza Kahn. E non saresti tornata da me.»
Lenara si trovò a confermare ancora una volta quello che già aveva detto: «Il mio amore per te è – cercò la parola migliore – mio. Non dipende dall’eco di una storia passata tra Kahn e Dax.» Non capiva perché questo concetto infastidisse Jadzia. Cosa c’era di sbagliato nel lasciarsi amare, quando lei per prima le aveva dichiarato il suo amore?

Le due Trill erano una di fronte all’altra, ormai vicine al punto di potersi abbracciare, ma non lo facevano. Jadzia, per la prima volta da quando aveva conosciuto Lenara, sentiva di essere lei quella fuori posto, quella in errore; Lenara aveva iniziato a temere che Jadzia si facesse indietro, che la situazione tra loro, ora che avrebbe potuto finalmente appianarsi, invece si ripresentasse a ruoli invertiti.
Ancora una volta Jadzia inspirò, socchiudendo gli occhi, come a prepararsi le parole prima di dirle: «Io non potrò mai amarti come tu ami me. Questo puoi capirlo?» A Lenara mancò il respiro, tuttavia raccolse tutto il fiato che aveva per dire, a un tono forse troppo alto, cosa il cuore e le tante vite del simbionte che portava con sé le avevano insinuato nella mente: «Tu hai riacceso l’amore tra Dax e Kahn, tu mi hai spronato a infrangere le leggi – alzò ancora il tono di voce – tu mi hai preso tra le braccia, e ora che finalmente corro da te… mi vieni a dire che non mi ami abbastanza?»
Jadzia alzò le mani come a difendersi dall’aggressività delle accuse che stava ricevendo: «Mi hai detto che Kahn non ti sta influenzando, che il desiderio che provi è tuo. Ma io come faccio a sapere che il mio desiderio non sia stato influenzato da Dax?» E indicò il simbionte nel suo ventre: «Dimmi, come posso – ora esasperata – garantirti che sia io, proprio io ad amarti e non lui?»

«Non ti ho chiesto questo!» Lenara cercò di interrompere il fiume di parole di Jadzia, la quale però non dava segno di volersi interrompere per alcun motivo. «Devo avere anch'io una esperienza di quasi morte? Devo essere separata da Dax? Dimmi, come posso guardarti negli occhi e dirti “Ti amo” ed essere sicura di essere io a dirlo? Come faccio a dire a te che sono io?»
«Non ti ho chiesto questo, Jadzia,» ripetè esasperata.
«Ma sono io a chiedermelo, Lenara! Io non so più se sono alla tua altezza, prima era diverso, prima ero io che...»
Lenara non riuscì a frenarsi e sferrò una sberla sulla guancia della donna di fronte a lei, gesto di cui si pentì immediatamente nell’istante successivo: la stessa mano con cui aveva appena colpito Jadzia corse subito davanti al proprio volto, a voler trattenere un singhiozzo.
«Prima eri tu… cosa? Eri tu che avevi un dannato piccolo Curzon nello stomaco che ti faceva essere la più audace, quella che mi corteggiava, che voleva sfidare tutto e tutti? Ora che ci sono io in quel ruolo, e senza che Kahn mi dica cosa fare, non ti va più bene?»
Le lacrime sul volto di Jadzia si susseguirono una dopo l’altra. Era ammutolita: non si aspettava un’azione di quel tipo da parte dell’altra Trill. Lenara rimase qualche secondo a guardarla: nonostante la durezza del momento sentiva ancora il desiderio di abbracciare l’altra donna, ma Kahn aveva ormai preso il sopravvento e la lucidità del simbionte, fino ad adesso escluso da questo gioco di sentimenti, le impose di allontanarsi, di proteggersi: «Torno in infermeria.»
L’ultima cosa che Jadzia vide, prima di accasciarsi su sé stessa singhiozzando, furono le porte del suo alloggio chiudersi alle spalle di Lenara.

***

Una volta materializzatasi in una delle sale teletrasporto dell’Europa, Ferrari si diresse con passo spedito verso la plancia e l’ufficio del Capitano T’Vok, avvisata del suo arrivo dall’addetto al teletrasporto di turno. Nel fermento dei giorni precedenti, la giovane donna si era trovata inaspettatamente promossa al rango di Tenente, il che la rendeva candidabile per alcuni ruoli chiave all’interno delle gerarchie dell’equipaggio, soprattutto tenendo in considerazione come alcuni colleghi avessero accettato di trasferirsi su altri vascelli. Di necessità virtù.

Quando arrivò in plancia, trovò a coordinare le attività il bajoriano Leeda Sevek e non il Primo Ufficiale R’Mau, fedele braccio destro del Capitano T’Vok da ben prima dell’Europa. Sul momento la donna non ci fece immediatamente caso, considerando che il Caitiano era stato ricoverato in Infermeria a seguito di alcuni scontri contro il Dominio immediatamente prima di imboccare il Tunnel Bajoriano per ritornare nel Quadrante Alpha, riportando alcune ferite anche piuttosto gravi. Nonostante la partenza fosse programmata da lì a pochi giorni, la plancia e il resto della nave vedevano ancora in servizio un numero ridotto di membri dell’equipaggio, per permettere a tutti di godere appieno della licenza accordata.
L’attenzione di Ferrari non si soffermò troppo sull’ambiente circostante, mancando quindi di notare come Leeda non indossasse più la divisa tipica del dipartimento operativo, sostituita da una coi colori del comando, e che sul colletto campeggiassero i gradi pieni da Comandante.

Arrivata all’ingresso dell’ufficio del Capitano, la donna annunciò la propria presenza suonando il campanello e, un istante più tardi, la voce di T’Vok le diede il permesso di entrare. La stanza, caratterizzata da un mobilio sobrio, era dominata da una scrivania minimal, dietro la quale era seduta T’Vok, Capitano dell’Europa dal varo del vascello avvenuto qualche mese prima, nel 2372. Nella stanza era anche presente R’Mau, che si voltò appena verso Ferrari quando la sentì entrare, salutandola con un impercettibile cenno del capo, prima di ritornare a rivolgersi alla vulcaniana - Ferrari rimase discretamente da parte, inarcando impercettibilmente un sopracciglio: «La Leonidas è quasi al punto di rendez-vous, Capitano. Chiedo il permesso di sbarcare.»
La vulcaniana annuì: «Permesso concesso… Capitano. Lunga vita e prosperità.»
«Pace e lunga vita,» rispose R’Mau, prima di voltarsi e, per l’ultima volta, uscire dall’ufficio del suo vecchio ufficiale comandante. Passando di fianco a Ferrari, si fermò un istante - «Ancora congratulazioni per la promozione, Tenente. Continui così e avrà un’importante carriera, di fronte a lei.» - dopodiché se ne andò, passo deciso e testa alta, verso il suo primo comando, vascello di classe Ares appartenente a una linea di navi strettamente da battaglia.

Una volta che l’ingresso fu nuovamente sigillato, Ferrari si voltò verso la vulcaniana, facendo qualche discreto passo in avanti e domandando: «Voleva vedermi?» L’altra donna annuì: «Sì, Tenente. È mia intenzione assegnarle l’incarico di nuovo Ufficiale Operativo dell’Europa. Ora che il Comandante Leeda ricopre l’incarico di Primo Ufficiale, ci manca qualcuno che possa rivestire quello di responsabile delle operazioni del turno Alfa e del relativo dipartimento - il Comandante Cartier ha accettato di ricoprire quello di secondo ufficiale. La persona più adatta a prendere quell’incarico, dietro anche consiglio del Capitano R’Mau e dello stesso Comandante Leeda, è lei.»

Ferrari inarcò un sopracciglio: «Sono onorata dal fatto che sia stata messa una buona parola su di me, Capitano, tuttavia io sono un pilota… ricoprire un incarico di quel tipo richiede anche altre competenze, considerato tutto.» La vulcaniana inarcò un sopracciglio: «Considerato tutto, Tenente, ritengo che lei sia la scelta più logica per il ruolo che le sto chiedendo di ricoprire da ora in poi. Si è dimostrata efficiente ed efficace nel gestire e coordinare il dipartimento a cui ha fatto riferimento fino a questo momento e ha ricevuto numerosi elogi da parte dei suoi sottoposti e dei suoi colleghi. Ritengo che sarà perfettamente in grado di assumere nuove responsabilità, Tenente. Si tratta di un ottimo slancio per la sua carriera nella Flotta.»
Ferrari si limitò ad annuire, pensierosa: non aveva - ancora - pensato di fare carriera, non così rapidamente almeno, ma sarebbe stato sbagliato perdere un’opportunità di quel tipo quando le si presentava di fronte, anche senza averla cercata, come in quel momento. Era ironico, pensò: tutte le ultime occasioni le si erano parate di fronte praticamente ‘per sbaglio’, con lei che vi si era imbattuta o con qualcuno che le aveva servito le giuste opportunità. Era ora che prendesse in mano il proprio destino, indirizzandolo verso una strada ben precisa. Semplicemente accettò.

Prima di congedare il Tenente, il Capitano T’Vok aggiunse poche parole, quasi distrattamente, per quanto ‘distrattamente’ si potesse dire per una Vulcaniana: «Farà anche parte dello staff di comando, da ora in avanti. La prima riunione sarà domattina, alle ore 0700: mi aspetto che lei arrivi puntuale.»

   
 
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