Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: macabromantic    04/04/2021    4 recensioni
[ SPOILER ALERT: Stardust Crusaders / Stone Ocean / Diamond is Unbreakable || TW: ptsd / depression / flashbacks ]
[ Jotaro Kujo x Kakyoin Noriaki ]
...
Kakyoin aveva camminato fino alla stazione di Shibuya immerso nei propri pensieri. Arrivato al grande incrocio nel quale si snodavano numerose strade del quartiere alzò lo sguardo verso il semaforo.
Fu in quel momento che lo vide.
Alto, immensamente alto, sarebbe stato impossibile non riconoscerlo anche in mezzo a tutta quella gente. Sebbene fosse di un bianco smagliante, illuminato dai colori al neon che si mescolavano in piazza fra i toni del turchese e bluette, Kakyoin avrebbe riconosciuto quel cappello dovunque. Un cappotto lungo fino a terra, una pesante catena che scivolava dal lato sinistro del petto. Una sigaretta accesa tra i denti, la mano sinistra vicino alle labbra, quella destra infilata in tasca, una grossa busta di carta che pendeva dal polso.
Jotaro Kujo si trovava dall’altro lato della strada, con la fronte corrugata e gli occhi fermi sulle strisce pedonali. Quando il semaforo scattò dal rosso al verde, Jotaro sollevò lo sguardo e in quell’istante incontrò gli occhi di Kakyoin.
Il cuore gli si fermò nel petto, la sigaretta gli cadde dalle mani.
...
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash | Personaggi: Jolyne Kujo, Joseph Joestar, Jotaro Kujo, Noriaki Kakyoin
Note: Lemon, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 02

D’istanti



 
 
Salirono sul taxi in silenzio, distanti sui sedili posteriori. Kakyoin era entrato per primo. Si era spinto fino allo sportello opposto, contro di esso si era poggiato con la spalla sinistra, lo sguardo assente sulla neve che scivolava dal gelido cielo di Tokyo. Jotaro era salito subito dopo di lui, borbottava qualcosa al telefono, parlò a voce più alta solo per indicare la destinazione al conducente, poi chiuse lo sportello, tornò a parlare con la persona al cellulare. Kakyoin immaginò si trattasse di qualche receptionist che dava informazioni sulla stanza. Non che a lui importasse sul serio, l’unica cosa davvero importante per Kakyoin era che ci fossero delle lenzuola pesanti e un buon riscaldamento, per il resto poteva anche trattarsi di uno stanzino per le scope.
La telefonata di Jotaro si concluse dopo appena un paio di minuti, il silenzio cadde nel taxi con l’eco di una canzone alla radio. Dopo dieci anni erano di nuovo insieme sui sedili posteriori di un’automobile, diretti verso la camera di un albergo come unico luogo sicuro. Tali pensieri strisciarono nella mente di Kakyoin causandogli una fitta alle tempie. Strinse le palpebre in un sospiro, poggiò il capo contro il finestrino. Jotaro, il quale si impegnava a sua volta per mantenere le distanze, aveva le gambe accavallate e il gomito poggiato contro la sporgenza da cui usciva il vetro del finestrino. Si reggeva il viso, guardava fuori dal taxi sforzandosi per non guardare in direzione di Kakyoin nemmeno ora che lo aveva sentito sospirare. Fra loro la busta di carta colorata rifletteva nell’abitacolo le luci filtrate dai finestrini. Kakyoin abbassò lo sguardo verso di lei, si accorse solo adesso che accanto a un grande fiocco di carta verde smeraldo c’era un bigliettino che recitava in bella grafia: a Jolyne. Un altro sospiro si fece largo dai polmoni di Kakyoin, stretti nell’abbraccio in cui si impegnava per non soffrire il freddo, e si fece sprofondare di qualche centimetro più ingiù sul sedile. I suoi immensi occhi celesti, di un celeste che alle volte sembrava tendere al glicine, sfiorarono di nascosto Jotaro.
Era ancora giovane, eppure portava nello sguardo la maturità di un uomo con il doppio dei suoi anni. Occhi immensi, occhi stanchi. Guardò la linea del naso dritta, drittissima sebbene ricordasse innumerevoli pugni andati a rovinarlo. E gli zigomi alti erano più sporgenti di dieci anni fa, incavati in una pelle più ruvida e dura di quella di un diciassettenne. Era un viso pulito e stanco, segnato da una tristezza che Kakyoin non pensava potesse appartenere a uno come Jotaro. Lo ricordava serio, d’un pezzo, con dei valori inderogabili. Lo ricordava eroico e bellissimo, l’Achille di cui amava leggere nelle ore buca tra i banchi di scuola. Ci sono alcune esperienze che non andrebbero mai vissute, ancor meno andrebbero vissute a diciassette anni.
Per evitare di incappare nello sguardo di Jotaro chiuse gli occhi. Si accorse che gli girava la testa, l’alcol aveva rallentato il battito cardiaco, le palpebre pesavano sebbene fossero chiuse. Il movimento dell’auto che si fermava e ripartiva a ogni incrocio non aiutava la sensazione poco gradevole che si era risvegliata sotto lo stomaco, l’intestino sintetico pizzicava tra le pareti. Un mugolio scivolò fuori dalla bocca asciutta di Kakyoin.
«Ehi.» Jotaro si voltò verso di lui quel tanto che bastava, si dovette imporre di non avvicinarsi. Lo vide a stringersi le braccia attorno al torace, le gambe a loro volta strette fra loro. «Ti senti bene?»
Kakyoin posò di nuovo la tempia contro il vetro appannato del finestrino.
«Sì, ho solo...» Si rese conto che la gola era talmente secca da avergli bloccato la lingua. Fece un piccolo colpo di tosse per schiarire le corde vocali, con la punta della lingua bagnò le labbra. «Ho solo bisogno di andare a dormire.»
Jotaro lo guardò, annuì lentamente. Non distolse lo sguardo, Kakyoin ne sentiva ancora il peso.
«Ma poi abbiamo bevuto entrambi due cocktail, perché tu non stai male?» borbottò mentre si accucciava meglio su sé stesso.
«Potrei...» Un attimo di esitazione, un istante in cui lo sguardo di Kakyoin andò sul viso dell’altro. I suoi occhi li trovò socchiusi verso un punto indistinguibile dell’autostrada, oscurati dall’ombra del cappello e dal colletto del cappotto. «...semplicemente essere più abituato di te.»
Una risposta semplice, che non poteva essere interpretata in nessun modo se non nel significato più cupo di quelle parole. Il cuore di Kakyoin ebbe un sussulto, dentro di sé si sentì colpevole di avere pensato anche solo per un istante che la sua vita andasse meglio della propria. Bastarono quelle parole e una frazione di secondo, un’ombra sul suo viso a fargli capire che del Jotaro Kujo che aveva conosciuto al terminare degli anni ’80 non era rimasto nulla. Voleva chiedergli scusa, voleva sfiorarlo come si erano sfiorati nel centro della stazione, come avevano fatto cento, mille altre volte durante il viaggio per l’Egitto. Voleva avvicinarsi, stendersi un po’ sul sedile e trovare lo spazio che, fra il petto e la sua spalla, avrebbe accolto in un incastro perfetto la sua testa stanca. Ma fra loro c’era il regalo per Jolyne.
Jotaro infilò una sigaretta tra i denti, il taxi si fermò sotto l’insegna luminosa di un Holiday Inn.
«Siamo arrivati.»
Scese dall’auto portando con sé il regalo, fece il giro per parlare attraverso il finestrino con il taxista. Kakyoin fece un respiro profondo, portò indietro la testa sul sedile. Ci sono esperienze che non andrebbero mai esperite, pensò fra sé, e ci sono ricordi che non andrebbero ricordati. Facendosi forza si staccò con la schiena dal sedile, aprì lo sportello. Fuori trovò Jotaro, la sigaretta accesa, una mano tesa verso di lui. Kakyoin dapprima guardò la sua mano, poi guardò il suo volto da cui non trasparivano emozioni, infine guardò di nuovo la mano. Accettò l’aiuto, stentando a reggersi sulle proprie gambe uscì dal taxi. Venne colto da un giramento di testa, le luci sembravano tutte troppo brillanti per i suoi occhi stanchi.
«Non pensavo ti saresti ubriacato, non era mia intenzione,» mormorò Jotaro mentre avvolgeva le spalle di Kakyoin con un braccio per evitare che potesse cadere. In un primo momento questi si irrigidì sentendosi toccare e Jotaro si era allontanato, ma alla fine aveva ceduto senza remore.
«Non è colpa tua, sono io che non reggo più un cazzo.»
Camminarono lentamente fino all’ingresso dell’albergo, Jotaro fumava in silenzio la sua Marlboro rossa.
«Jotaro...»
«Mh?»
«Anch’io ti amavo.»
Il passo di Jotaro si fece più stretto, ora che erano arrivati davanti alla grande porta a vetri che li avrebbe immessi nella hall, indugiò. Fece un ultimo, profondo respiro alla nicotina, poi spense la sigaretta nel posacenere a muro poco distante da loro.
«Andiamo.»
Mentre raggiungevano il banco d’accoglienza, Kakyoin si morse con forza l’interno della guancia sinistra. Sarebbe stato meglio non dire nulla, in realtà sarebbe stato meglio non incontrarsi proprio. Sarebbe stato meglio morire quella sera, ancora meglio non accettare di partire per sconfiggere Dio, ancora meglio non incontrare Dio in primo luogo. Si era sempre sentito incapace di scrivere il proprio destino. Fin da bambino Kakyoin Noriaki aveva avuto l’impressione che ci fosse qualcosa, qualcuno che si divertiva a scrivere la sua vita al posto suo. In un primo momento, anzi, per i primi anni della sua esistenza pensò che fosse normale, compito intrinseco dei genitori è quello di indirizzare i propri figli verso una strada che sia per loro congeniale. Lo pensò finché non comparve per la prima volta Hierophant Green, questo mostro inquietante che, in qualche strano modo, lo proteggeva dagli incubi ma non gli permetteva di giocare con gli altri bambini. Ma poi anche quando pensava di essere diventato grande abbastanza, da adolescente, quando era convinto di scegliere per sé, aveva visto che alla fine tutto ciò che decideva era in funzione di qualcos’altro, qualcun altro. Si era sempre trovato immerso in una solitudine che lo aveva portato a inseguire la maledizione di una famiglia che non conosceva, una maledizione che lo aveva portato a perdere anni preziosi della propria vita.
«Puoi restare fino alle quattro di domani pomeriggio.» La voce di Jotaro lo risvegliò con forza, guardandosi intorno si accorse che avevano raggiunto le mura metalliche dell’ascensore. Non si era accorto del check-in, non aveva nemmeno salutato la ragazza che li aveva accolti, che maleducato. «Ti ho preso una doppia così puoi stare più comodo. Stanotte fa particolarmente freddo, almeno avrai più cuscini e coperte a disposizione.»
L’ascensore si fermò al quindicesimo piano, solo ora Kakyoin si accorgeva di quanto fosse grande il posto in cui lo aveva portato Jotaro. Il corridoio nel quale si immisero era illuminato da tenui luci aranciate, la moquette color mattone si intonava nel tono su tono delle pareti. Kakyoin, tentennante, appeso al braccio sinistro di Jotaro si faceva guidare verso la propria stanza. Si fermarono davanti alla porta numero duecentocinquantacinque. Fu Jotaro a infilare la chiave e fare scattare la serratura, aprì la porta ma si fece da parte per far accomodare Kakyoin e lasciare quella stessa chiave in mano sua.
«Ah, c’è la colazione inclusa. Dalle sette alle dieci.»
«Jotaro...»
«Se durante la notte o il giorno dovessi avere fame non farti problemi a chiamare il servizio in camera, verrà addebitato sul mio conto.»
«...non dovevi, davvero.»
Jotaro espirò con lentezza, le spalle si sgonfiarono insieme ai polmoni. Com’era suo solito fare, aveva portato le mani nelle tasche dei propri pantaloni.
«È meno del minimo, davvero.» Kakyoin abbassò lo sguardo, annuì con le braccia incrociate al petto. Sentiva il cuore sul punto di scoppiare, fredde gocce di sudore gli bagnavano la nuca. Qualcosa restava appesa tra le labbra dell’uno e dell’altro, parole non dette non trovavano il coraggio di risuonare. «Allora io vado.»
Kakyoin annuì, alzò lo sguardo su di lui.
«Verrai alla mia mostra?»
«Ma pensa te, certo.»
Un sorriso infinitesimale curvò l’angolo sinistro della bocca di Jotaro, per un istante un sorriso identico si aprì su quella di Kakyoin. Annuì di nuovo, irrequieto nel battito del suo cuore così come lo era sul posto. Forte era il desiderio di salutarlo con un bacio, almeno con un abbraccio.
«Allora ci vediamo.»
«Sì.»
«Buonanotte.»
«Buonanotte.»
Kakyoin chiuse la porta facendo meno rumore possibile, appese le chiavi al gancetto accanto allo stipite. Si lasciò andare a un sospiro profondo, ripensò a tutte le sedute di terapia degli ultimi sette anni. Un percorso tortuoso per levarsi dalla testa una persona, infiniti tentativi per convincersi che era tutto finito, che ricominciando una vita nuova, diversa sarebbe stato impossibile incappare di nuovo in quella gente. E invece.
Invece si sentiva sull’orlo di una crisi di pianto, l’unica consolazione o forse speranza era quella di riuscire a dormire un sonno profondo per colpa dell’alcol. Si passò una mano sulla faccia, un mero tentativo di cacciare via la sensazione di avere bruciato nel giro di un paio d’ore i progressi che aveva fatto finora.
Poi bussarono alla porta.
Tre colpi piccoli ma decisi, un unico sussulto nella gola di Kakyoin. Si voltò, aprì la porta, dietro di essa c’era ancora lui.
«Jotaro, cosa...»
Non ebbe il tempo di finire. Jotaro si era avventato su di lui, le mani sul viso, le labbra sulle sue. Il respiro di Kakyoin si fermò insieme al cuore, ebbe la sensazione che questi gli fosse scivolato fino al ventre e in un rimbalzo fosse tornato in gola. Incapace di resistere a quel bacio, Kakyoin indietreggiò oltre la porta aggrappandosi con entrambe le braccia alle spalle di Jotaro. Jotaro, il quale si chiuse la porta alle spalle e si tolse il cappello, la stessa mano apriva il suo palmo sulla schiena di Kakyoin per stringerlo a sé.
«Jotaro, aspetta– non... non possiamo–...» provava a parlare sulle sue labbra, ma l’altro lo zittiva con i suoi baci, la fronte contratta, le mani che restavano tra il viso e la schiena di Kakyoin.
«Ho sognato il tuo ricordo per anni, Kakyoin.» Gli occhi di Jotaro stavano immobili dentro quelli di Kakyoin, la bocca compressa in un’espressione amara. La sua voce tremava, sulle iridi una patina lucida. «Per anni ho avuto la sensazione di vederti fra i passanti, ho visto il tuo fantasma dovunque. Nei supermercati, sulla metropolitana, per strada, per strada...» sibilò.
Kakyoin lo guardava con il respiro pesante nel petto, le mani si erano aggrappate al suo dolcevita nero. Lo stringevano con forza, indecise se per respingerlo o tirarlo ancora a sé.
«Per tutti questi anni...» la voce di Jotaro era inquieta sebbene ridotta a un sussurro. «E pensare che potevi essere davvero tu.»
«Jo... Jotaro, ti prego...»
«Perché non me lo hai mai detto?» Parlava a denti stretti, un bisbiglio infuriato che restava in gola, i muscoli del viso deformati fra rabbia e frustrazione. Il respiro di Kakyoin si era fatto irrequieto, le mani avevano scelto di volerlo respingere.
«Lasciami...»
«Perché non me lo hai detto?!» Gridò.
«Lasciami!» Gridavano entrambi, con tutta la forza che aveva in corpo Kakyoin lo spinse via, Jotaro lasciò la presa. Nel contraccolpo della spinta si manifestò Star Platinum, il quale sorresse Jotaro per evitare che questi cadesse per terra. Gli occhi di Kakyoin si sgranarono in uno spettro di emozioni contrastanti. Dietro di sé avvertiva il calore di Hierophant Green per la prima volta dopo dieci anni.
Jotaro recuperò l’equilibrio, lo sguardo sul pavimento, i pugni stretti nelle tasche. Una ciocca di capelli si era scomposta sulla fronte, il colletto alto della giacca proteggeva la sua espressione.
Kakyoin sentiva il proprio corpo paralizzato sebbene le braccia tremassero, temeva che le gambe lo avrebbero abbandonato a breve. Ciò che più lo congelava era la vista di Star Platinum. Bellissimo nel suo corpo atletico, nudo nelle rilucenze del blu e del lilla eccetto che per pochi tessuti in punti strategici, fluttuava in silenzio dietro Jotaro. I capelli di un blu talmente intenso da tendere al nero oscillavano come mossi dall’acqua del mare, fra le ciocche brune brillavano costellazioni d’argento. A sconvolgere Kakyoin, però, era la sua espressione. Immobile, perfettamente coincidente a quella delle proprie memorie, eccetto che per un dettaglio: dai suoi occhi vitrei scendeva un liquido scuro che, di tanto in tanto, riluceva di un bagliore rovente, come di meteore che cadevano dal cielo.
Quando Jotaro risollevò il suo sguardo, Star Platinum si dissolse e Kakyoin sentì una fitta nel ventre. L’espressione accigliata di Jotaro ricordava quella di un dipinto, gli occhi arrossati, le lacrime che scendevano inesorabili sul suo viso fino a congiungersi sotto il mento.
«Non ha significato niente, per te, quello che c’era fra noi?» disse Jotaro mentre si avvicinava a lui.
Un rantolo incredulo uscì dalle labbra schiuse di Kakyoin.
«Non ha significato niente?» ripeté in preda a una risatina d’isteria.
«Ho passato dieci anni a cercare di elaborare un lutto che non esisteva!»
«Mi sembra che tu ci sia riuscito alla fine,» la mano sinistra indicò il regalo di Jolyne caduto per terra accanto alla porta. I denti stretti di Jotaro facevano vibrare l’angolo superiore delle sue labbra. Sentendo il bruciore della rabbia crescere dallo stomaco, Jotaro afferrò Kakyoin per le ante del suo cappotto così da parlargli a un centimetro dal viso.
«Come cazzo ti puoi permettere, la mia vita è in pezzi per colpa tua.» La voce era tornata a un sussurro rauco, le lacrime non smettevano di scendere sul viso. Quelle parole furono uno schiaffo per Kakyoin, le mani sui polsi bollenti di Jotaro, con la schiena si sforzava verso dietro per mantenersi distante.
«Ah, la tua vita è in pezzi e la colpa sarebbe mia.» Nonostante sentisse il fiato tremare, il cuore incespicare, Kakyoin rise di un’altra risata isterica. «Perché non mi chiedi in che condizioni è la mia, di vita, eh, Jotaro?!»
Quando ebbe gridato quell’ultima frase, Jotaro lasciò andare la presa con disprezzo. Kakyoin barcollò, lo guardò allontanarsi, scuotere il capo di spalle, irrequieto come sarebbe stato un leone rinchiuso in gabbia.
«Mi sembra che tu abbia trovato una persona capace di starti accanto, hai persino una figlia che ti ama.»
«Giuro che ti ammazzo,» disse Jotaro andando verso di lui, un nuovo bagliore a infuocare le sue iridi cerulee.
«Benissimo, fallo! Jotaro, cazzo, fallo davvero!» Urlò Kakyoin aprendo le braccia. «Ammazzami! Non ho desiderato altro che essere morto dopo quella notte in Egitto. Ho provato ad andare avanti, a rifarmi una vita, a non pensarti più! E invece ti rivedo in ogni cazzo di cicatrice che ho sul corpo, non passa un giorno senza che il tuo ricordo non venga a trovarmi!»
E gridando le lacrime avevano preso a rigargli il viso, a scavarsi la strada lungo le cicatrici degli occhi come facevano ogni volta. Era andato verso di lui con la voglia di prenderlo a schiaffi, ma incontrò di nuovo le mani grandi di Jotaro che lo presero tra la linea delle mascelle ed il collo.
«Ma allora perché non mi hai detto che eri vivo?!» gridò disperato, a denti stretti.
«Perché ti odio!»
Fu solo in quel momento che Hierophant Green si dissolse da dietro Kakyoin: quando le sue spalle si spaccarono nei singulti del pianto. Sul viso di Jotaro si distrusse la rabbia e con essa il suo cuore. In un istante venne soprasseduto da una nuova consapevolezza. Finora era rimasto talmente concentrato sul proprio dolore da non avere preso davvero in considerazione che cosa potesse essere successo a Kakyoin da quella notte in poi. Le mani avevano lasciato la presa al suo viso e Kakyoin si era rifugiato nella propria mano sinistra, incapace di controllare il tremore nelle spalle e quello nel cuore.
Distrutto dal senso di vuoto oltre lo sterno, Jotaro avvolse le proprie braccia attorno alle spalle di Kakyoin. Allora lui si abbandonò in quell’abbraccio, si strinse nel petto ampio di Jotaro. Questi lo accolse con una mano sulla nuca, tra i suoi capelli color ciliegia lasciava minuscole carezze. Sospirò sotto il pianto di Kakyoin, socchiuse le proprie palpebre ancora umide, immerse un bacio tra quei capelli. Sentiva il corpo dell’altro opporre sempre meno resistenza, il respiro ritrovare una frammentata regolarità. Le braccia di Kakyoin erano lentamente scivolate ad avvolgerlo per i fianchi, tiepide da sopra i vestiti.
«Ti odio,» cominciò a spiegare Kakyoin a bassa voce, senza cattiveria. «Perché per dieci anni ho cercato di negare a me stesso quanto bisogno avessi di sentirti accanto.»
Jotaro chiuse gli occhi, un altro bacio si disperse tra i suoi capelli seguito da un altro, poi un altro, ancora uno. Baci senza rumore, senza rancore che si susseguivano a spegnere ogni cattivo pensiero. E ad ogni suo bacio Kakyoin si sentiva di un centimetro più vicino al suo cuore caldo, pulsante. I baci di Jotaro scivolarono dai capelli alla fronte, dalla fronte alla cicatrice dell’occhio sinistro. Continuarono sulle palpebre chiuse, si bagnarono delle lacrime che avevano scavato il loro letto di morte, indugiarono quando il respiro giunse in prossimità delle labbra. Kakyoin lo guardava con i propri occhi semichiusi, proteso verso di lui.
Si congiunsero in un bacio morbido, spogliato della foga che li aveva uniti pochi momenti prima. Un bacio che si modellava tra le loro labbra, mescolando l’odore acre dell’alcol a quello denso delle Marlboro che Jotaro si ostinava a fumare.
Non mi lasciare, pensò in un attimo Kakyoin quando le labbra di Jotaro si staccarono dalle sue. Lo trattenne aggrappandosi al suo dolcevita con una presa stretta sul petto, il viso inclinato a chiedere ancora un altro bacio, le sopracciglia disegnate in un fregio supplichevole. Questa volta Jotaro non esitò. Le mani messe a coppa sul suo viso lo indirizzarono verso le proprie labbra ed entrambi poterono perdersi in un bacio che era più dolce del precedente. Le mani di Kakyoin si mossero sulle spalle di Jotaro, il quale un momento dopo assecondò lo scivolare del cappotto finché non se lo sfilò del tutto. Esso cadde al suolo in un fruscio che attutì la pesantezza della catena, subito venne seguito da quello di Kakyoin. Intanto lui sospirava con gli occhi ridotti a due fessure, dell’alcol restava in corpo la sola sensazione che il tempo fosse dilatato, che la stanza non fosse del tutto immobile sotto i suoi piedi. Con la mano destra accarezzò la nuca di Jotaro, incontrò i suoi capelli di nero velluto.
Non mi lasciare, pensò di nuovo mentre con la lingua andava a cercare il sapore dell’altra, un sapore al contempo nuovo e familiare. Non c’era mai stato un retrogusto diverso da quello delle sigarette tra le labbra di Jotaro, eppure oggi c’era quello amaro di un drink di troppo. Lo trattenne a sé con la mano che stringeva ancora la stoffa sul petto, i palmi di lui erano invece fermi sui fianchi di Kakyoin. Kakyoin, il quale indietreggiò fino a sfiorare il letto con i polpacci. Un sospiro si perse tra le loro labbra intente a rincorrersi tra baci d’istanti nel tempo.
Jotaro lo spinse piano fino a sedersi sul letto, Kakyoin si trovò a dovere indietreggiare con le braccia, i gomiti puntati sul materasso. Jotaro lo raggiunse salendo dapprima il ginocchio destro, poi lo sovrastò con il torace per obbligarlo a stendersi sotto di sé. Allora lui lo guardò in silenzio, nelle sue memorie si sovrapposero le innumerevoli volte in cui, da ragazzini, si erano ritrovati in questo modo. Ma un tempo erano sorridenti, pieni di vita, di voglia d’avventura, di voglia d’innamorarsi. Adesso la voglia d’innamorarsi non c’era più, era stata scalciata via dal bisogno di prendersi cura di sé, dalla paura di morire e di morire da soli.
Non mi lasciare, pensava Kakyoin mentre faceva uscire dall’asola il bottone che gli stringeva il colletto. Jotaro si sollevò con il busto, incrociando le braccia sul ventre si sfilò il dolcevita in un movimento fluido. Scoprì un torace più snello rispetto a quello di dieci anni fa, sempre muscoloso, definito, ma meno gonfio in quanto a massa. Kakyoin sospirò, le dita gli erano diventate fredde, tremavano man a mano che scendevano tra i bottoni. Jotaro, tornato a sovrastarlo con il proprio corpo, schioccò un bacio sulle sue labbra e la propria mano sinistra raggiunse le sue dita. Era calda.
«Vuoi che mi fermi?» domandò Jotaro in un sussurro. Kakyoin lo guardò, scosse il capo. Allungò un altro bacio sulla bocca di Jotaro, aiutò le sue dita a sciogliere i restanti bottoni. Poi Kakyoin, senza staccarsi da quelle labbra di cui aveva represso il ricordo per troppo tempo, si sollevò di nuovo sui gomiti, Jotaro lo assecondò nel bisogno di mettersi dritto. Lo aiutò a sfilare la camicia e mentre questa cadeva al suolo Kakyoin tornava sui suoi gomiti. Stringeva tre le mani piccole porzioni di lenzuola, si mordeva il labbro inferiore incapace di reggere ancora lo sguardo di Jotaro. Allora lui lo cercò, sfiorò il suo naso con la punta del proprio. «Ehi...»
Kakyoin sollevò il viso ma non lo guardò che per un istante, poi andò subito a rifugiarsi in un dettaglio lontano nella penombra della stanza. Gli occhi di Jotaro, perplessi da quella fuga, scesero lenti sulla linea che disegnava lo sternocleidomastoideo, sull’incavo al centro delle clavicole, sui pettorali ampi, le curve degli addominali e ...oh.
Fu in quel momento che la vide.
Un’immensa cicatrice dal diametro di venti centimetri stagliava una grossa differenza cromatica sul ventre di Kakyoin. I bordi erano frastagliati, bianchi, quasi trasparenti persino rispetto alla sua pelle d’alabastro. All’interno del loro contorno, però, la pelle era di un colore rossiccio, sanguinolento, e la superficie irregolare dava la sensazione che su di essa fossero state riportate delle bruciature. Non c’era ombelico che si riconoscesse tra quelle irregolarità cromatiche, un dettaglio che colpì Jotaro solo dopo una manciata di secondi.
«...è orribile.»
Jotaro sollevò lo sguardo su di lui, ma non trovò i suoi occhi. Kakyoin aveva l’espressione affranta, le palpebre pesanti di chi non ha mai visto una realtà diversa da quella in cui si era abituato a vivere.
La mano sinistra di Jotaro lo raggiunse sul viso e finalmente gli occhi di Kakyoin incrociarono i suoi. Jotaro scosse il capo.
«È la dimostrazione di quanto sia forte il tuo desiderio di vivere,» mormorò vicinissimo al suo viso.
Il cuore di Kakyoin perse un battito, le palpebre si ammorbidirono. Le labbra si allungarono per raggiungere quelle di Jotaro, le braccia si avvolsero attorno alle sue spalle per trascinarlo di nuovo su di sé. E Jotaro seguì i suoi movimenti, strisciò con il ventre su quello di lui, si portò la sua gamba destra attorno ai fianchi. I respiri di Kakyoin si fecero più caldi insieme ai suoi, i capelli rossi si sparsero nel candore delle lenzuola. Le labbra di Jotaro disegnavano baci che scendevano umidi sul collo, sulla clavicola; a sua volta Kakyoin lo baciava sullo zigomo e ora sull’orecchio, poi sul collo dove nasceva un brivido, ora sulla spalla.
Con movimenti gentili vennero sfilati gli indumenti restanti, Jotaro prestava attenzione in ogni impronta che le sue mani lasciavano su Kakyoin. La sensazione era quella di stare toccando un corpo per la prima volta, anche se quello sotto di sé non era uno sconosciuto. Nessun altro, uomo o donna che fosse, era mai stato capace di svegliare nel ventre di Jotaro sensazioni tanto intense quanto lo era stato Kakyoin, e quella notte non fu da meno. Le viscere di Jotaro erano in subbuglio, un intrecciarsi di nodi e un innescarsi di passioni sopite. Poi i loro corpi si unirono. Sulla bocca di Kakyoin un sospiro interrotto, negli occhi di Jotaro si tratteneva l’inferno. Intrecciò le dita della mano destra con quelle di lui, la sollevò oltre la sua testa, oltre i cuscini; il braccio sinistro si avvolgeva ai suoi fianchi. Kakyoin chiuse gli occhi, si abbandonò alle sue spinte che riaccendevano la vita dove finora aveva sentito il vuoto. Si amarono nel condensare dei loro sospiri, in un calore che permetteva di esistere anche se fuori c’era la neve.
Non mi lasciare, continuava a pensare Kakyoin mentre chiamava il suo nome. E Jotaro lo baciava sul mento, sul collo, sul cuore. Gli teneva strette le gambe, ora i fianchi, ora ancora le gambe. Kakyoin si aggrappava alle sue spalle, si stringeva contro i nodi del suo bacino, tra le fronde dei suoi capelli.
Quel loro amarsi si tinse di bianco, si fece pregno di un calore che tenne uniti i loro corpi ancora per un poco, tra stanchi sospiri e carezze abbandonate tra le spalle e i capelli. Fuori il giorno era ancora lontano, la neve scendeva con rabbia rispetto a qualche ora addietro, il vento sbuffava oltre gli spifferi della finestra.
Avvolti dal piumone che conservava il calore di entrambi, Kakyoin e Jotaro erano svegli. Il primo sdraiato con le spalle tra i cuscini, lo sguardo sul trapezio di luce che entrava dalla finestra. Scorreva con le dita tra i capelli di Jotaro, morbidi, inumiditi dai pensieri. Jotaro era sdraiato per metà su di lui, il viso poggiato dove riusciva a sentire il cuore oltre al respiro.
«Jotaro...»
«Mh?»
Restando in quella posizione Jotaro alzò lo sguardo verso il viso di Kakyoin. Era assorto in un punto del soffitto.
«Prima, quando ho detto che ti odio...» Sospirò, abbassò lo sguardo su di lui. «...non è vero. Non ti odio.»
Jotaro rimase in silenzio per un momento, poi sciolse l’abbraccio per puntare il gomito destro tra i cuscini e reggersi il capo. Kakyoin si girò di fianco per poterlo guardare.
«Anch’io prima ti ho detto una cazzata.» Gli occhi di Kakyoin si contrassero nelle sopracciglia senza capire. Con l’indice e il medio della mano sinistra Jotaro scostò alcune ciocche di capelli dal suo viso. «Ho detto che ti amavo.»
Il cuore di Kakyoin ebbe un fremito.
Non lo dire, non lo dire. Se lo dici sarà reale. Non–
«Io ti amo ancora.»
Non si era accorto, Kakyoin, di avere smesso di respirare. Riprese con un sospiro ad occhi chiusi, si avvicinò al corpo di Jotaro per cercarlo in un abbraccio. Questi lo strinse a sé, la mano posata a palmo aperto sulla sua schiena lì dove corrispondeva l’altra ruvida parte della sua cicatrice.
«Questo potrebbe essere un problema,» mormorò mentre si sistemava con il capo sotto il suo mento. «Come facciamo?»
Jotaro lo accolse con un sospiro, un ultimo bacio posato sulla fronte.
«Ci penseremo domani.»



 
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N.d.A.:

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Bentorat* nelle note d'Autore,
è con immensa gioia che oggi ci hanno dato la notizia della parte animata di Stone Ocean, FINALMENTE, quindi per festeggiare questo evento ho pensato di regalarvi in largo anticipo il capitolo che era previsto per giovedì prossimo. Giovedì ne uscirà un altro? E' probabile, ma non ve lo assicuro. Fra l'altro, ho urlato come una pazza e so che lo avete fatto anche voi quando avete sentito la voce di Jolyne Kujo, se non l'avete sentita ve la lascio qui: Jolyne è proprio la figlia di Jotaro e io sto male.
Detto ciò, spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento e che i personaggi siano risultati IC, è sempre difficile cercare di mantenere coerenti le reazioni di persone come Jotaro, ma ci si prova. Questo capitolo mi ha fatto urlare - non delle stesse urla che ho urlato (...) per Stone Ocean, però insomma.
Se avete consigli, opinioni o voglia di sclerare insieme su part 6, io vi aspetto a braccia aperte!
Buona Pasqua, un bacio ♥

iysse
   
 
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