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Autore: Shadow writer    08/04/2021    4 recensioni
Nate è un ventiquattrenne disilluso e pessimista. Ha un lavoro che odia, vive in una città che non sente sua ed è rimasto intrappolato in un passato che non riesce ad accettare.
Per aiutare un amico, partecipa a una corsa automobilistica, ma questo lo porterà a invischiarsi in qualcosa di più grande di lui.
"«Si dice che tu ti stia facendo un nome in città» commentò Alison, appoggiandosi al bancone di fronte a lui.
Il ragazzo alzò gli occhi dalla bistecca e incrociò quelli civettuoli di lei.
«È stata la mia prima e ultima gara» ribadì, «l'ho già detto a Richie.»
Lei fece schioccare la lingua contro il palato in segno di disappunto.
«Mi hanno riferito che ci sai fare con le auto.»
Nate rise e si sporse verso la ragazza.
«Me la cavo bene con molte cose, Alison» quando pronunciò il suo nome, le appoggiò le dita sotto il mento, costringendola a guardarlo negli occhi, «ma ciò non significa che io sia interessato a tutte queste.»"
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Mila

 

Mila si accorse che James era seccato dal modo in cui stringeva il volante e dal guizzo sulla sua mascella ben rasata. Non aveva ancora parlato da quando lei era entrata nell’auto e ogni secondo il silenzio si faceva più pensante.

«Forza, dì quello che vuoi dire» lo incoraggiò, stufa di aspettare la sua sfuriata.

James respirò rumorosamente e lei lo vide stringere ancora di più i denti.

«Sai che ti sei messa in una situazione pericolosa. Pensavo lo capissi» replicò piano.

«Sono arrivata nel quartiere con la luce e avevo dello spray al peperoncino in borsa».

Lui alzò gli occhi al cielo. «Sarebbe potuta finire male. Perché diavolo sei andata in un quartiere del genere da sola?»

«Te l’ho detto, volevo parlare con il nostro nuovo cliente. Quando è passato in ufficio ho a malapena fatto in tempo a scambiare due parole».

«Già» constatò James poco convinto. «A proposito, ho fatto qualche ricerca su quel Richard Bryant. Non è certo un campione di legalità».

«Lo so, Nate ha anche ammesso di essere colpevole, ma non è questo il punto. Ricordi quando mi hai detto di voler fare di più per il sociale?»

L’uomo annuì, così lei continuò: «Questa è la tua occasione. Si tratta di un ragazzo senza opportunità che è stato costretto a fare un lavoro illegale per vivere. Quello non è certo un criminale, James».

Lui era ancora contrariato per essersi dovuto recare in quel quartiere a recuperarla, lo si intuiva dalla rigidezza della sua posa, ma pareva in qualche modo convinto dalle parole della ragazza.

«Presumo che la vostra chiacchierata sia andata bene» commentò.

Mila assentì, poi si mordicchiò nervosamente le unghie, prima di decidersi a parlare.

«Sì, a dir la verità, conosco Nate dai tempi del liceo».

Un’occhiata veloce al guidatore le permise di notare che le sopracciglia di lui erano levitate in un’espressione perplessa.

«Sapevo che si era trasferito, ma non mi aspettavo di trovarlo come nostro cliente» proseguì in tono calmo.

«Non credevo fosse il tuo tipo di persona».

Mila avvampò. «Cosa intendi?»

James non si scompose, ma accennò un lieve sorriso. «Non mi sembra il tipo di compagnia che i tuoi genitori approverebbero».

Lei sorrise a sua volta, ma tornò a mordicchiarsi le unghie. «È vero, ma non lo conoscevano. Ci siamo anche frequentati per un po’».

La rivelazione strappò all’uomo una risata. Quando si accorse che lei non stava scherzando le rivolse uno sguardo interrogativo.

«Non era niente di serio e comunque non lo vedevo da anni».

«Ci credo. Guarda dove è finito. Mi stupisce che tu abbia retto anche solo qualche giorno vicino ad uno che conduce una vita del genere».

La ragazza si sentì scaldare, ma si morse la lingua. Aveva già parlato troppo.

«Per fortuna non hai più avuto a che fare con gente come lui. Sei sempre stata una figlia e studentessa modello, è comprensibile che tu abbia cercato la tua ribellione in qualche modo».

«Già» commentò lei laconica.

James, per quanto sorpreso da quelle informazioni, pareva più che altro divertito dall’idea di una Mila che cercava di infrangere qualche regola. Come se si fosse trattato tutto di un gioco, di un divertimento momentaneo. Come se lei non avesse mai amato Nate Winchester.

 

 

***

 

I giorni passarono tra processi, lavoro in ufficio e ricerche. Mila sapeva che Nate e Richie avevano parlato con James una volta in settimana, ma era stata fuori tutta la mattina e non era riuscita ad incrociarli.

Presto arrivò il venerdì sera e con esso tutta la stanchezza accumulata nei giorni precedenti. Non vedeva l’ora di poter staccare dal lavoro e rilassarsi. 

Era seduta sul divano con il laptop sulle gambe incrociate, quando sentì la porta del bagno aprirsi e dopo poco ne vide emergere James, che indossava un paio di pantaloni morbidi e una maglia fresca di bucato, con i suoi capelli chiari ancora umidi dalla doccia. Mila socchiuse il computer e si voltò verso l’uomo che, dopo aver attraversato l’ampio open space della zona giorno, la raggiunse sul divano.

«Sei sicura di non voler stare a casa?» le chiese sedendosi al suo fianco.

«Sai che lo preferirei» replicò la ragazza. Si tolse il pc dalle gambe e si voltò verso di lui per guardarlo negli occhi. Anche James pareva provato da quella settimana intensa, le palpebre gli cadevano pesanti sugli occhi e la sua espressione era un poco spenta, ma Mila sapeva che era abituato al lavoro impegnativo. Gli sarebbe bastato un weekend di relax per riprendersi.

«Clelia è la mia migliore amica e non so quanto rimarrà in città. Devo passare del tempo con lei finché ne ho la possibilità» si giustificò lei. «Per quanto non mi piaccia essere trascinata a feste di sconosciuti».

James sorrise e l’attirò a sé, facendola accoccolare sul suo petto caldo. 

«Non ho mai visto migliori amiche tanto diverse» commentò e Mila sentì la sua voce attraverso lo sterno su cui era appoggiata. «Lei la regina di ogni festa e tu che vorresti stare sempre a casa in pigiama».

La ragazza rise. «Hai ragione, ma a volte c’è bisogno di fare dei compromessi».

Si raddrizzò e, dopo aver lasciato un bacio sulle labbra dell’uomo, annunciò che sarebbe andata a prepararsi.

Mezz’ora più tardi, avvolta nel suo tubino nero, salutò James – che stava leggendo un libro sul divano – e scese in strada, dove Clelia la stava già aspettando in un taxi. 

Ostile ad ogni tipo di sobrietà, la sua amica indossava un abito di paiettes colorate senza calze e, per ripararsi dal freddo invernale, portava una pelliccia voluminosa e appariscente.

«Mi sei mancata, tesoro» la salutò, stringendola a sé e baciandole le guance con un’energia che era solo sua.

«Anche tu, Clel, è bello rivederti».

L’altra ammiccò, come se quelle smancerie fossero per lei naturali. Si lanciò i capelli biondi dietro alle spalle e guardò l’amica con aria divertita. «Mi hai colta alla sprovvista quando mi hai proposto di andare ad una festa. Mila Barnes che non mi offre una serata in tisaneria? Credevo di aver capito male».

Rise, scuotendo i boccoli chiari.

Mila fece un sorriso nervoso. «Ho ventidue anni, Clelia, ho pensato che forse dovrei recuperare tutto il divertimento che ho schivato in passato».

«Tesoro, ora sì che si ragiona!» esclamò l’altra. Saltellò sul suo sedile, come impaziente.

«Questa notte è nostra, signorina Barnes».

Mila si mordicchiò le unghie e piantò gli occhi fuori dal finestrino. 

“Puoi dirlo forte”, pensò.

 

 

 

 

***

 

 

 

Il buio della notte scorreva al di fuori del finestrino del bus. Nate fissava quell’oscurità uniforme con sguardo vacuo. 

Richie aveva interrotto il suo inoperoso mercoledì sera chiedendogli di recarsi al Venus senza ammettere repliche. Ovviamente Nate non aveva nulla da fare dato che era stato sospeso dal lavoro – il che significava che non sarebbe stato assolto in breve tempo la sospensione sarebbe diventata un licenziamento – e non poteva allenarsi insieme a Ross.

L’unico problema era che sia lui che Mike erano senza patente e l’unico con una condotta irreprensibile si era rifiutato di accompagnarlo.

«Abbiamo degli ottimi mezzi pubblici» era stato il commento di Jay e Nate lo aveva salutato con il dito medio alzato. 

L’autobus si fermò poco distante dal Venus, di cui si vedevano da lontano le insegne. Il ragazzo scese dal mezzo e si diresse con passo svogliato verso l’edificio. Il parcheggio quasi pieno gli fece intuire che i clienti erano numerosi quella serata e, non appena entrò nel locale, constatò che le sale erano piuttosto affollate.

Si sentì tirare per la felpa e si trovò contro le labbra di Alison. La ragazza gli infilò una mano tra i capelli e lo baciò ancora, poi tornò dietro al bancone dove stava lavorando.

«Richie ti aspetta nel suo ufficio» gli disse ammiccando.

«Perché non lo facciamo aspettare ancora?» replicò sornione. L’altra scosse il capo, ridendo.

Deluso, si diresse verso il piano superiore e, quando raggiunse la porta dell’ufficio di Richie, bussò due volte. La voce tonante dell’uomo gli disse di entrare.

Quando Nate obbedì, notò che il padrone del locale lo stava guardando con un sorriso stampato sul volto. C’era un’altra persona in piedi davanti alla scrivania, ma il ragazzo si concentrò su quell’espressione trionfante che Richie gli stava rivolgendo.

«Nate, sei un fortunato figlio di puttana» esclamò a gran voce quello.

«Grazie?» replicò incerto il ragazzo facendosi avanti.

L’altra persona presente si voltò a guardarlo e, non appena la riconobbe, Nate si paralizzò dov’era. Davanti a lui, totalmente fuori luogo con quel dolcevita nero e i pantaloni eleganti, c’era Mila

 

 

Nate e Mila si fissarono in silenzio per qualche secondo, entrambi con gli occhi sgranati e senza parole.

«Cosa ci fai qui?»

Fu lui ad interrompere il silenzio, in tono neutro. Non riusciva ad immaginarla mentre si infilava in quel locale squallido e passava tra le ragazze nude e gli uomini sbavanti per raggiungere lo studio di Richie. Fu proprio quest’ultimo a rispondere a Nate.

«La signorina…»

«Barnes» disse lei arrossendo.

«La signorina Barnes ha risolto tutto amico mio, sei un uomo libero!»

Lo sguardo di Nate balzò dall’uno all’altra confuso. Richie assicurò che gli avrebbe spiegato subito e congedò Mila ringraziandola ancora. Lei raccolse il proprio cappotto dallo schienale della sedia e si diresse verso la porta. Nate la fermò afferrandola per un braccio. «Ehi, aspettami. Ti porto a casa io».

Lei lo fissò con i suoi occhi blu, mordicchiandosi le labbra, poi annuì lievemente e scivolò via.

Non appena la porta si fu richiusa alle sue spalle, il ragazzo si voltò verso Richie in attesa delle dovute spiegazioni.

«Cosa intendi precisamente per “uomo libero”?»

L’uomo rise fragorosamente, facendo vibrare il suo corpo possente, poi si lasciò cadere sulla sua poltrona e fece cenno anche all’altro di accomodarsi.

«Amico, quella bambolina è un genio del male. Mi ritiro tutto quello che avevo detto».

Nate cominciò a scaldarsi. «Che cos’ha fatto?» chiese nervosamente.

Richie non notò, o forse ignorò, la sua apprensione.

«Mi ha fornito un’informazione fondamentale che mi ha permesso di contattare direttamente i piani alti e ottenere qualche favore. Questo è tutto ciò che devi sapere, meno conosci e più sei al sicuro».

Nate sbuffò, ma sapeva che l’uomo era irremovibile. «E le mie accuse?»

«Oh, amico, il massimo che ti daranno è eccesso di velocità, non preoccuparti. Perché non vai a festeggiare? Scendi al bar e dì che offro io».

Richie batté un pugno sul tavolo in modo che voleva essere incoraggiante e per evitare di provare ciò che aveva provato quel pezzo di legno, Nate decise di togliere il disturbo. Avrebbe potuto cercare di estrapolare maggiori informazioni da Mila e, prima la raggiungeva, meno tempo la ragazza avrebbe dovuto trascorrere nel Venus.

Salutò Richie e ritornò al bancone all’ingresso. Alcuni uomini stavano bevendo e un paio di loro ci stavano spudoratamente provando con Alison, che li rimise rapidamente al loro posto con un’espressione di ghiaccio.

Nate si guardò attorno, alla ricerca della figura sottile di Mila, ma non la vide da nessuna parte. Lanciò un’occhiata nella sala più grande, ai divanetti, nel corridoio che conduceva ai privé, ma la ragazza sembrava essersi volatilizzata. 

Sospirò profondamente e si diede dello stupido. Davvero pensava che sarebbe tornata a casa con lui? Sapevano entrambi che non poteva guidare e che lei si sarebbe potuta tranquillamente permettere un taxi. Oppure avrebbe potuto chiamare di nuovo il suo fidanzato. Tutto sembrava meglio, piuttosto che farsi accompagnare da lui.

Con fare sconsolato, si diresse verso il bancone e si lasciò cadere su uno sgabello sgualcito. Forse bere non sarebbe stato così male.

Alison si piazzò davanti a lui. Indossava un top attillato di un verde acceso e una gonna di vernice rosa shocking che lasciava in bella vista le sue gambe. «Posso prendermi cinque minuti di pausa, ti va?»

«Solo se prima mi dai uno shot della cosa più forte che hai».

Lei rise e afferrò un bicchiere da sotto il bancone, poi lo riempì di un liquido denso e scuro e glielo passò

«Vado a prendere la giacca» disse e si allontanò lasciando una scia di profumo nell’aria. Nate scolò lo shot in un solo colpo, poi si diresse verso l’ingresso dove lo aspettava Alison, con addosso una pelliccia zebrata. Lei lo prese sottobraccio e lo condusse all’esterno. Vennero accolti dall’aria fredda e scura della notte. L’unico suono che si udiva era la musica ovattata che proveniva dall’interno.

Nate estrasse il pacchetto di sigarette dalla tasca dei jeans e se ne portò una alla bocca.

«Posso?» gli chiese lei, sporgendo il labbro inferiore in fuori, come per convincerlo. 

Nate prese un’altra sigaretta e la strinse tra le labbra, poi le accese entrambe e ne tese una alla ragazza. Sotto al suo sguardo interrogativo, la ragazza si sentì in dovere di giustificarsi: «Stasera sono felice».

«Per cosa?»

Lei inspirò una boccata di fumo, poi la rilasciò lentamente e le sue labbra si tirarono in un sorriso. «Ho portato alcuni campioni in una boutique e mi hanno richiamata. Ho un colloquio settimana prossima».

Il ragazzo sgranò gli occhi e sorrise con entusiasmo. «Ma è grandioso!»

L’abbracciò e le lasciò un bacio sulla guancia. Alison pareva raggiante. Il ragazzo sentì le mani di lei che risalivano sulla sua schiena, come se volesse attirarlo a sé e non lasciarlo andare.

«Nate?»

Lui si voltò di scatto verso la voce che lo aveva chiamato, alle sue spalle. Mila era appena uscita dal Venus con un’aria spaventata. 

Con un braccio ancora intorno alla vita di Alison, il ragazzo commentò: «Credevo te ne fossi andata».

Il volto di Mila si corrucciò. «Hai detto di aspettarti. Ero solo andata in bagno».

«Hai ragione».

Tra loro calò un silenzio stemperato dal suono soffocato della musica. Mila pareva trattenere il fiato, in attesa. Dei piccoli spasmi sul suo volto ne manifestavano il nervosismo. 

Nate realizzò in quel momento che teneva ancora un braccio intorno alla bionda al suo fianco. Come se tornasse nuovamente consapevole della presenza di Alison, si rivolse a lei: «Mi presti la tua auto?»

Lei gli mostrò il medio. «Fottiti».

«Non puoi guidare» si intromise Mila, beccandosi un’occhiata penetrante da Alison che non sfuggì a Nate.

«So che strade fare per evitare la polizia di notte» si giustificò lui.

«Allora perché non l’hai evitata quando sei stato arrestato?» replicò Alison gelida e lui roteò gli occhi. «Non conoscevo quella parte di città e sai che non è così semplice. Poi te la riporto, giuro».

La bionda lo guardò attraverso con un’espressione tagliente. «Se succede qualcosa ti faccio cercare dagli amici di Ross e mi assicurerò che non siano delicati».

Nate le mostrò un sorriso smagliante e scivolò via. 

«Le chiavi sono nel mio armadietto» aggiunse lei. «E vaffanculo, Nate Winchester».

 

 

 

Qualche minuto più tardi, il ragazzo era dietro al volante della vecchia auto e il sedile del passeggero era occupato da una sempre più a disagio Mila.

Come promesso, Nate aveva preso una strada in cui la polizia non sarebbe mai passata, quindi si trovarono circondati dall’oscurità più profonda. I fari illuminavano l’asfalto di una luce flebile e traballante.

«Non preoccuparti» Nate cercò di confortare la ragazza. Sentì che lei lo stava fulminando con lo sguardo. «Una cosa che non mi mancava di te: non sapere chi sarebbe arrivato vivo a fine serata».

Lui fece un sorrisetto. «Questo presuppone che qualcosa ti sia mancato di me».

La sentì sbuffare e con la coda dell’occhio notò che stava scuotendo il capo. «Ho notato che anche la tua straordinaria capacità di far incazzare la gente è rimasta invariata».

Nate intuì che stava parlando di Alison, ma stroncò la conversazione introducendo l’argomento che lo stava tormentando da quando erano partiti: «Vuoi spiegarmi come hai fatto a far cadere le mie accuse?»

«Richard non ti ha spiegato?»

Sentiva lo sguardo di Mila pesare di sé.

«No, è stato piuttosto vago. Ti dispiacerebbe rimediare?»

Lei sospirò e si mosse sul sedile, fino a sistemarsi con il capo inclinato e lo sguardo fisso fuori dal finestrino.

«Sono stata ad una festa insieme a Clelia…»

«Sei sicura che la tua storia cominci così?»

«Giuro che se non stai zitto scendo dall’auto e torno a piedi» sbottò lei scaldandosi rapidamente.

Nate ammutolì e lei riprese: «Sapevo che ci sarebbe stata tutta l’alta società della città, tra cui la figlia di un giudice molto in vista nell’ambiente giudiziario. Mi sono avvicinata alla ragazza – e non è stato difficile dato che già sapeva chi fossimo io e Clelia – e sono stata con lei tutta la serata. Avevo fatto delle ricerche prima e sapevo che la ragazza ha tendenza a perdere il controllo durante queste feste, così l’ho riempita di domande».

Mila prese una pausa e fissò gli occhi sull’auto che comparve alle loro spalle. Si trattava solo di una normale station wagon che svoltò al primo incrocio, lasciandoli nuovamente soli sulla strada buia.

«Tra le tante cose che mi ha detto, ha raccontato come sia riuscita ad entrare nel prestigioso college che frequenta. A quanto pare sua madre, ovvero il giudice Waller, ha pagato un’ingente somma aggiuntiva rispetto alle regolari donazioni perché i risultati dei suoi test fossero truccati. È un reato che può portare ad una reclusione di sei mesi e distruggere la carriera di una persona così in vista».

«Quindi Richie ha minacciato il giudice con quest’informazione?» chiese Nate lanciando uno sguardo nervoso alla ragazza. Sapeva che il proprietario del Venus non era nuovo agli affari illeciti, ma che Mila ne fosse coinvolta gli metteva addosso una certa ansia.

Lei annuì. «Durante la festa avevo un registratore sempre attivo, quindi ho una prova concreta che potrebbe far aprire un’indagine. E prima che tu faccia quella faccia, la ragazza non si ricorda nulla della serata, quindi non riuscirà mai a capire che ci sono io dietro questo. Sempre che sua madre decida di raccontarle della telefonata di Richard».

Avevano ormai raggiunto il centro della città e la strada su cui stavano viaggiando pareva illuminata a giorno dalla sfilza di lampioni che la costeggiavano. Nessuno parlò per qualche minuto, ad eccezione delle indicazioni che Mila diede al pilota per raggiungere il suo appartamento.

«Promettimi che non farai mai più nulla di così stupido per me» disse poi Nate. «Per favore»

«Ci proverò» ribatté lei poco convinta, ma era chiaro che non avesse voglia di litigare e che preferiva lasciar perdere la conversazione.

Non impiegarono molto a raggiungere il palazzo in cui abitava Mila. Si trattava di un edificio alto e slanciato, elegante e moderno.

L’auto si fermò di fronte all’ampio ingresso. Nell’atrio illuminato dall’interno, si scorgeva il portiere accanto alla porta a vetri.

«Grazie per avermi accompagnata» disse Mila raccogliendo le proprie cose e voltandosi a guardarlo.

«Era il minimo» replicò lui. «Sono ancora in debito con te per quello che hai fatto».

La ragazza sorrise. «Diciamo che mi devi un favore. Buona notte».

Questa volta non si sporse per lasciargli un bacio, ma si limitò a salutarlo prima di scendere dalla macchina.

Nate la guardò entrare e salutare il portiere. Li vide scambiarsi qualche parola, poi Mila si diresse verso l’ascensore e sparì al di là delle porte metalliche.

 

   
 
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