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Autore: _Eclipse    22/04/2021    1 recensioni
Dal capitolo 8:
-Ci sono venti di tempesta che si avvicinano, ormai salpo molto più di frequente, le esercitazioni sono più durature e in maggior numero. Questo addestramento vuol dire solo una cosa, il conflitto si estenderà, dove non lo so, ma ci sarà qualcuno di potente- Hiroto sospirò.
-Se vi è tempesta, all’orizzonte, non importa quanto forte soffierà il vento, quanta pioggia cadrà a terra, quanta sofferenza e distruzione causerà. Alla fine tornerà a splendere il sole e sarà allora il momento di ricostruire ciò che è caduto e preservare ciò che è rimasto. Imparare dai nostri errori e prevenire un nuovo disastro- rispose Shirou.
****
-Possiamo agire come una piovra e allungare i nostri tentacoli sul continente e sulle isole del Pacifico. Per i primi sei o dodici mesi di guerra potremo conseguire una vittoria dopo l'altra, ma se il conflitto dovesse prolungarsi, non ho fiducia nel successo- parole dure, pronunciate davanti al governo, ai generali, ammiragli e all'imperatore in persona, come se fosse un ultimo tentativo per rigettare un conflitto.
-Allora sarà vostro compito assicurarvi la vittoria assoluta il prima possibile- replicò il primo ministro.
Genere: Guerra, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hayden Frost/Atsuya Fubuki, Jordan/Ryuuji, Shawn/Shirou, Xavier/Hiroto
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 14: America

 

27 dicembre 1941

Baia di San Francisco

 

Dopo una decina di giorni di viaggio, Mark e Atsuya giunsero nel Nuovo Mondo, gli Stati Uniti.

Il medico poteva tirare un sospiro di sollievo, per tutto il tempo non aveva fatto altro che guardarsi intorno sospettoso, con i nervi a fior di pelle.

Aveva il timore di poter essere scoperto, al punto che rivolse solo poche parole spicciole alla famiglia che viaggiava nella stessa cabina.

La nave attraccò nel porto e uno alla volta i passeggeri scesero con i loro pochi averi sulla banchina.

-Ora sei ufficialmente libero, nessuno può sapere che sei qui!- esordì Mark dando una pacca sulla spalla di Atsuya.

-E' ancora presto per dirlo- mormorò l'altro.

Passarono il controllo dei documenti da parte degli agenti della polizia all’ufficio della dogana.

Il lasciapassare fu considerato valido.

-Zhao Jie, quindi siete cinese- osservò il poliziotto mentre leggeva il passaporto falsificato.

-Sì, ovvio…-

-Eh non ve la passate bene! Cani giapponesi…-

-Oh no, tutt'altro che bene- rispose Atsuya, teso come una corda di violino.

-Ora ci siamo anche noi, vedrete che li schiacceremo!- l'agente restituì il passaporto e si lasciò andare una risata gracchiante, poi passò alcuni documenti al rosa.

-Il lasciapassare è chiaro, rifugiato di guerra e così sia, andate-

I due giovani, con il permesso del poliziotto si allontanarono a passo spedito.

-E ora?- chiese il medico.

-Non so-

-Siamo arrivati a San Francisco, ma non abbiamo un posto dove andare-

-Potremmo anche non fermarci qui-

-E dove vorresti andare?-

-Dalla mia famiglia, sono anni che non la vedo-

-Dove vive?-

-New York-

-E dove si trova di preciso?- domandò il giapponese.

-Non distante… solo dall'altra parte della del continente, sulla costa orientale-

-Ah, piuttosto lontano-

-Possiamo arrivarci via treno in qualche giorno-

-Arrivarci?-

-A meno che tu non voglia rimanere qui, in una città a sconosciuta a migliaia di chilometri da casa tua e… in un paese in guerra con il tuo- Mark sussurrò le ultime parole cercando di non farsi sentire.

Erano appena usciti dall'ufficio della guardia di frontiera, era già buio ma nonostante tutto le strade erano ancora gremite di gente.

San Francisco era più simile a Tokyo di quanto non pensasse.

Le palazzine in mattoni, i tram che percorrevano le strade in pendenza costeggiate dai lampioni che rischiaravano l’oscurità, sullo sfondo poteva ammirare il Golden Gate Bridge, illuminato, che aveva accolto la nave al suo arrivo nella baia.

-Allora? Abbiamo abbastanza denaro per un viaggio da costa a costa, il mio trasferimento era durato quattro giorni su un treno delle reclute-

-Se proprio insisti… e poi ricordo che i soldi che stai usando sono quelli che ho guadagnato in anni di onesto lavoro!-

Mark sorrise, prese il suo bagaglio e si incamminò verso la banchina del tram seguito a ruota dal rosa.

Non sapendo la direzione per la stazione e chiese indicazioni ad una signora in attesa. 

Avrebbero dovuto aspettare un po' prima che arrivasse il tram giusto, non troppo tempo in realtà.

Comprarono due biglietti a bordo e si sedettero nei primi posti liberi.

La lenta accelerata ricordava al medico di quando doveva prendere lo stesso mezzo, la "confezione di latta per gli sgombri" di colore giallo, per andare in centro e frequentare l'università, erano passati anni da allora, da quando passava intere giornate sui libri di scuola, da quando litigava con alcuni suoi compagni di corso, da quando aveva visto per l'ultima volta la sua famiglia.

Con tutto quello che era accaduto; l'attacco, il servizio in ospedale, l'arresto e la fuga, non aveva avuto molto tempo per pensare al fratello e Yukimura.

Non si sarebbe mai immaginato di vivere un'avventura come quella. 

Pensava che dopo l'università avrebbe aperto un proprio studio, conosciuto una bella ragazza da sposare e perché no, avere dei figli.

Ora si trovava dall'altra parte del mondo e si stava allontanando sempre di più. 

-Tutto bene?- gli chiese Mark notando quanto fosse assorto nei suoi pensieri.

-Sì, stavo solo pensando… sto realizzando solo ora tutto ciò che è accaduto nelle ultime settimane e di quanto ormai sia lontano da "Shangai"-

-Deve essere dura…-

L'altro sorrise:

-Spero solo che mio fratello stia bene e Yukimura non si cacci nei guai-

Nuovamente calò il silenzio, interrotto solo dalla fiumana di gente che saliva a bordo e scendeva dal vagone.

Mark teneva il conto delle fermate in modo da capire a quale scendere.

Arrivati a quella prestabilita, uscirono dal mezzo.

La stazione era proprio davanti a loro, uno stabile di colore bianco splendente, con due piccole torri ai lati e tre archi sulla parete frontale con gli ingressi.

Sopra l'arco centrale vi era una scritta nera, di metallo: "Southern Pacific".

la Southern era una delle maggiori compagnie ferroviarie, ed una delle poche in grado di fornire collegamenti da costa a costa.

Ironicamente, pur essendo nata per unire il Pacifico meridionale, si espanse fino a diventare una delle linee principali nelle grandi pianure.

Con il bagaglio in mano, i due entrarono.

L'ambiente era enorme, bianco come l'esterno, dall'alto pendeva un orologio e sparsi vi erano i tabelloni degli orari.

Si diressero verso la biglietteria, sulla sinistra; un insieme di semplici sportelli, dalle finestrelle sbarrate.

Dietro di essi vi era una giovane donna dai capelli biondi raccolti.

-Buongiorno, posso esservi di aiuto?- domando mostrando un sorriso smagliante.

-Salve, avremmo bisogno di raggiungere la East Coast, New York per la precisione- rispose Mark.

-New York? E quando dovete partire?-

-Il prima possibile-

-Allora vi chiedo di aspettare qualche istante-

La donna si alzò per andare a consultare un tabellone alle sue spalle con indicati orari e destinazioni dei vagoni della compagnia.

-Il primo treno disponibile è domani alle sette del mattino. Segue la tratta meridionale fino al capolinea a New Orleans per circa due giorni e mezzo di viaggio. Per arrivare a New York dovrete cambiare la compagnia e proseguire con essa-

-Va più che bene-

-Perfetto, in che classe desiderate i vostri posti?-

I due si guardarono indecisi sul da farsi.

-Ricorda che sono i miei soldi, ci terrei portarne un po' con me se mai dovessi tornare in patria- sussurró Atsuya.

-Non ti facevo così tirchio!- ribatté Mark dandogli un colpetto con il gomito.

-Ci faremo andare bene una terza classe- affermò rassegnato.

-Due biglietti di terza classe, ottimo-

Mark pagò quanto dovuto e la donna restituì due biglietti di carta su cui aveva scritto il giorno di imbarco, la tratta e poi sovrapposto il timbro della compagnia ferroviaria.

-Grazie e arrivederci da parte della Southern Pacific-

-Un'ultima domanda, se possibile- disse l'americano

-Certamente mi dica pure-

-Siamo appena arrivati in città, conosce un posto a buon prezzo dove potremmo stare per la notte?-

-Vi un ostello per i viaggiatori dall'altra parte della strada. Non è un albergo di lusso e da quanto so potreste dover condividere la camera, ma il prezzo è onesto-

-La ringrazio, arrivederla-

I due si congedarono e raggiunsero l'ostello designato.

Non ci avevano fatto caso all'arrivo, eppure vi era un piccolo edificio cubico tinto di giallo con delle finestre quadrate dagli infissi bianchi, che recava un cartello che ben indicava cosa fosse.

Era tutt'altro che grande, la stessa ricevitoria era una stanzina rettangolare dalle pareti verdastre e un pavimento in legno, alla quale si accedeva direttamente dall'ingresso.

In fondo il banco con un uomo anziano dai capelli grigi dietro di esso.

I due presero una stanza per la notte e l'uomo segnò la prenotazione su un grosso libro mastro.

-205, Secondo piano, quinta stanza sulla destra. Non ci sono molti clienti in questo periodo, la stanza è tutta vostra- indicò le scale affianco al banco, dando le chiavi ad Atsuya.

Ringraziarono e salirono al secondo piano.

Era un lungo corridoio rettangolare, piuttosto stretto, sulla destra vi erano gli ingressi delle camere.

Il quinto era quello più distante.

La camera effettivamente era più una camerata, con tre letti a castello in legno allineati, una finestra sbarrata dalle imposte e una plafoniera alla parete per illuminarla.

Il mobilio scarso, solo un armadio e il bagno era in comune con il piano.

-Poteva andare molto peggio- commentò Mark.

-Abbiamo percorso l'Oceano con una famiglia nella nostra cabina, sopravviveremo- rispose serafico Atsuya stendendosi su un letto per tastarne la comodità.

-E ora?-

-Aspettiamo e ammazziamo il tempo fino a domani-

-Non abbiamo molte altre scelte, è già sera… anzi potrei già andare a dormire-

-Sei così stanco?-

-No, ma domani dovremo svegliarci presto-

-Come vuoi, io cercherò un posto dove mangiare qualcosa, buonanotte-

Mark uscì dalla stanza, mentre il giapponese se ne andò direttamente nel letto, dopo aver caricato una sveglia su un piccolo mobile a cassettiera. Erano solo le ventuno, ma durante la traversata del Pacifico non era riuscito a chiudere occhio, era sempre nervoso della comparsa improvvisa di qualche agente nascosto sulla nave.

Non si levò neanche i vestiti, si infilò sotto le coperte e chiuse gli occhi.

Il mattino dopo, nel massimo della puntualità, quell'arnese armato di campanelli chiamata anche sveglia, suonò alle sei esatte.

Avevano circa un'ora prima della partenza, giusto il tempo di potersi rinfrescare e fare colazione, poi andarono diretti alla stazione e al binario in particolare.

Il treno che dovevano prendere era enorme, decine di carrozze trainate da una singola e lunga locomotiva di colore nero.

La terza classe non era la migliore per il confort ma certamente era la più economica.

I posti che avevano riservato erano due divanetti blu scuro, uno davanti all'altro, in un piccolo scomparto vicino al finestrino.

Quegli stessi sedili erano usati per dormire la notte dato che erano abbastanza lunghi per far stendere una persona, anche se non del tutto.

Gli interni del vagone erano tutti in legno chiaro che facevano risaltare ancor di più i due sedili.

I due giovani si sedettero uno di fronte all'altro.

Alle ore sette e dieci minuti, la locomotiva emise un lungo fischio acuto e il treno cominciò il suo lungo viaggio.

 

****

 

29 dicembre 1941

Baia di Tokyo

 

La portaerei Kaga era tornata ufficialmente in base insieme al resto della squadra.

Gettata l'ancora tutto il personale di bordo, dal più umile mozzo al più abile pilota, ebbe la possibilità di toccare terra dopo settimane di navigazione.

La nave sarebbe rimasta alla fonda solo per qualche giorno, il tempo per potersi rifornire di nafta, munizioni e viveri.

Con il sacco dei loro effetti personali, Hiroto e Ryuuji scesero sulla banchina.

Volevano raggiungere il grigio complesso della base di Yokosuka, la loro casa per quando erano a terra.

Oltrepassarono la rete metallica che separava il molo dalla base vera e propria.

-Amata terra, non ne potevo più delle onde!- esclamò Ryuuji mentre andava in direzione degli alloggi.

-Sai che staremo qui solo qualche giorno, vero?-

-E’ sempre meglio di nulla. Allora che farai? Andrai a trovare quella geisha di cui mi hai parlato tanto?-

-Passerò a farle un saluto, e tu?-

-Sono tentato di vedere se anche Haruya e Fuusuke sono in licenza… ma ho poche speranze a riguardo-

-Dov’è che dovrebbero essere? Cina come sempre?-

-Credo di sì, la loro unità è sempre stata schierata là-

Arrivarono entrambi nel dormitorio, era identico a l’ultima volta che l’avevano lasciato, con le brande di metallo e le pareti di cemento, e lasciarono i loro averi all’interno di alcuni armadietti.

-Hiro, amico mio… non vorrai presentarti così alla tua geisha- lo riprese Ryuuji con tono tagliente.

-Cosa vuoi dire?-

-Siamo scesi dalla Kaga con la tenuta da aviatore, per favore indossa almeno l’uniforme!-

-E poi che altro dovrei fare? Sfoggiare sul petto la sesta classe del Nibbio d’oro?(1) -

-Potrebbe essere una buona idea, sei abbattimenti in Cina ti sono valsi una medaglia-

-E’ un pezzo di latta-

-Veramente la tua dovrebbe essere in oro, sia la base che il nibbio, non certo un "pezzo di latta" come dici tu- commentò Ryuuji.

-E va bene, ho capito, mi cambio d’abito!- sbuffò il rosso compiacendo l’amico che si lasciò sfuggire una risata.

Riprese il sacco dall’armadio e si cambiò nel bagno.

Vestiva ora l’uniforme base della marina imperiale: un completo di pantaloni e giacca blu scuro con colletto alto, un cappotto a doppio petto che arrivava al ginocchio della medesima tonalità e dai bottoni dorati e infine un cappello con visiera, tuttavia si rifiutò di indossare la medaglia, troppo formale per l’occasione.

Si fermò davanti all'amico in attesa di un giudizio.

-Perfetto, ora sei un vero pilota della marina!- esclamò Ryuuji approvando il cambio d'abito.

-Mi sentirei più a mio agio in vesti civili…- bofonchiò l'altro.

-Ti ho sentito, ora vai, non staremo qui tutto il tempo del mondo, in quelle acque abbiamo una guerra da vincere!-

Il rosso sospirò e si congedò dall'amico.

Doveva essere di ritorno per la sera o sarebbe stato sanzionato dai superiori, il tragitto era piuttosto lungo: da Yokosuka alla periferia di Tokyo, per fortuna il tram arrivava fino al centro della capitale.

Dopo numerose visite, Hiroto, si ricordava bene del quartiere in cui lavorava Shirou: un insieme di vie costellate da case e locali dai tetti in ardesia, ben differenti dai palazzi nel cuore della città, era un luogo che riusciva a fondere l'antico e austero Giappone feudale, con il nuovo, aggressivo ed evoluto Impero nipponico.

Hiroto scese dal tram, il cielo era coperto da nubi, faceva più freddo del previsto, il respiro si trasformava in vapore e sentiva che le proprie mani stavano congelando.

Si mosse rapidamente verso l'abitazione della geisha.

La strada era innevata e non vi erano molti passanti a causa del tempo.

Vide una coppia di kempeitai, avvolti in un lungo cappotto di lana marrone,  recante sul braccio la fascia distintiva, che riconoscendo l’uniforme del pilota lo salutarono portando la mano alla fronte.

Hiroto ricambiò frettolosamente il saluto senza fermarsi, aveva ben altro da fare che curarsi degli agenti della kempeitai o tokkou di pattuglia.

Continuò fino ad arrivare al portone in legno di Fubuki.

Era socchiuso e poteva vedere la sagoma di una persona, decise quindi di entrare.

Il cigolio dei cardini attirò l’attenzione della persona nel cortile.

-Salve!- esclamò.

-Buon pomeriggio…- rispose il rosso non capendo chi avesse davanti a sé.

La figura era imbacuccata per tenersi al caldo, cappotto, una sciarpa che copriva il volto  fino al naso e un berretto per la testa.

In mano teneva una pala e stava spostando la neve dal sentiero di ciottoli del cortile.

Il ragazzo si tolse il cappello e abbassò la sciarpa per farsi riconoscere.

-Siete voi, il pilota se non sbaglio-

-Sì a meno che non vi siano altri piloti tra i clienti-

-Non direi, per Shirou siete l’unico o per lo meno l’unico abituale. Temo che non mi abbiate riconosciuto… sono Yukimura-

-Oh sì, so chi siete, l’aiutante-

-Diciamo che mi occupo della casa, commissioni, accoglienza dei clienti e cose di questo tipo, ma non credo che siate qui per me!- sorrise il più piccolo per poi riprendere subito il discorso:

-Se siete venuto per incontrare Shirou, devo dirvi che non è qui, deve incontrarsi con delle geisha dell’okiya Kira per un evento abbastanza importante, ma se è di vostro gradimento posso riferire del vostro passaggio e forse organizzare un incontro-

Hiroto non rispose, si prese qualche secondo per pensare, non aveva molto tempo prima di ripartire e Shirou era impegnato con qualcosa di grosso.

-No, resterò solo qualche giorno e non voglio essere di disturbo, ma vorrei che sappia del mio passaggio e che conservo “Aki no kaze” con grande cura. Vi auguro una buona giornata- si congedò con un inchino.

Yukimura ebbe appena il tempo di ricambiare il saluto che il rosso era sparito.

Deluso e amareggiato tornò in caserma.

Ryuuji lo avrebbe rimproverato sicuramente, ma non voleva insistere, forse anche se avesse aspettato il ritorno di Shirou anche solo per un saluto, non avrebbe avuto la possibilità di tornare in orario.

Con la mente annebbiata dai pensieri, si fermò per fare un respiro profondo.

Sarebbe passato molto tempo, ma sarebbe tornato anche a costo di aspettare la fine della guerra.

Dopo essersi calmato ritornò sui suoi passi verso il tram per la base di Yokosuka.


****

 

31 dicembre 1941

New York

 

Viaggiare per treno era stato più scomodo del previsto.

Quasi tre giorni passati ad annoiarsi guardando dal vetro il paesaggio mutare all’esterno, dalla città di San Francisco ai deserti del sud, le vaste pianure degli stati centrali e poi scorgere in lontananza gli alberi delle paludi del Bayou a New Orleans e poi rapidamente prendere la coincidenza della compagnia convenzionata con la Southern Pacific.

La seconda tratta non fu più entusiasmante della prima, ma almeno era più breve, un giorno e mezzo  intervallato da alcune soste per rifornirsi di carbone.

La locomotiva si fermò al Grand Central Terminal, a Midtown Manhattan, sbuffando fumo e vapore.

I due ragazzi presero quel poco che avevano con loro e scesero dal vagone.

La banchina del binario era affollata come non mai: persone in attesa di amici e parenti in arrivo, passeggeri di altre linee che sbarcavano e viaggiatori che al contrario salivano a bordo.

-Benvenuto a New York!- esclamò Mark dopo che Atsuya mise piede fuori dal vagone.

-Non pensavo ci fosse così tanta gente a quest’ora!- rispose l’altra cercando di seguire il biondo facendosi strada nella mischia.

-E’ la vigilia di Capodanno, chi aveva l’occasione di tornare, l’ha colta per divertirsi-

I due attraversarono la stazione per intero, una delle più grandi al mondo, con decine di binari e scambi e centinaia di passanti ad ogni ora del giorno.

L’atrio principale era riccamente decorato da sculture di foglie di quercia, enormi finestre con inferriate, nel mezzo vi era il banco delle informazioni: un chiosco circolare in marmo e vetro, sormontato da un inusuale orologio sferico con quattro quadranti.

L’unica nota negativa era l’altissimo soffitto: doveva essere tinto di un brillante azzurro o turchese, ma era completamente sbiadito, crepato e coperto da una patina grigiastra e che dava alla stazione un aspetto più trascurato di quello che era.

 Atsuya era rimasto ad ammirare l’atrio per diverso tempo, era una sala maestosa, messa a confronto la stazione di San Francisco era una fermata di campagna.

-Non è il momento di fare il turista- disse con tono scherzoso l’americano.

-Di che ti preoccupi? Siamo arrivati…-

-In realtà non abbiamo ancora finito, dobbiamo prendere un taxi per Long Island-

-Ed è lontano?-

-Non troppo, ma voglio fare una sorpresa alla mia famiglia-

Uscirono dalla stazione e si trovarono subito davanti all’enorme strada.

Faceva molto più freddo rispetto a San Francisco e, ovviamente, alle Hawaii. Il cielo era sereno ma privo di stelle, era rischiarato dalle miriadi di luci della Grande Mela, dai lampioni agli enormi grattacieli di Manhattan.

Atsuya era rimasto letteralmente a bocca aperta: il Giappone poteva solo sognare una città di quel genere.

Poco distante, si ergeva la monolitica sagoma del Hemsley Building, con tutte le sue piccole finestre quadrate e il tetto piramidale di colore verde sormontato da una piccola cupola, il tutto ovviamente illuminato da centinaia di lampadine.

Il medico si voltò poi verso il viadotto che passava sopra la sua testa,  e vide un altro palazzo più basso, ma comunque maestoso ai suoi occhi, all’apparenza costruito in mattoni che si innalzava davanti a lui.

-E voi a New York vivete dentro case come quelle?- domandò meravigliato il nipponico.

-Certo che no, solo Manhattan ha tutti questi edifici, gli altri quartieri sono più tradizionali-

-Per me è incredibile anche solo pensare che ci siano palazzi del genere!-

-Io preferisco una casetta isolata, come ad Oahu, gli appartamenti da queste parti sono costosi e scomodi, piccoli e con decine di condomini, non si può star tranquilli… a meno che uno non sia ricco e si possa permettere un attico, in quel caso sarebbe l’equivalente di una villa. Comunque, caro signor turista, ti stupisci di questi blocchi di cemento da quattro soldi e non hai fatto caso a quello!- esclamò Mark indicando la guglia lucente di uno dei grattacieli in prossimità della stazione: il Chrysler Building.

Elegante, alto, brillante, con i suoi settantasette piani, le sculture delle aquile e la guglia in acciaio inossidabile era di certo il simbolo dell’opulenza americana e della città stessa.

-E’ enorme! Quanto tempo e uomini sono serviti per costruirlo!?-

-Non so quanti operai hanno lavorato al progetto ma è stato costruito in un anno e non molto tempo fa, ne saranno passati solo nove o dieci dall’inizio dei lavori- Mark avvistò un taxi e con un cenno gli indicò di fermarsi.

-Non è possibile, meno di un anno…- commentò il rosa.

-Eppure è la verità, ma non è l’edificio più alto,  poco dopo il suo completamento, venne ultimato l’Empire State, ben più grande-

L’auto accostò davanti a loro, completamente gialla con un’insegna sul tettuccio e caratterizzata dalle forme rotondeggianti del cofano e dei parafanghi.

Entrambi salirono a bordo, Mark diede l’indirizzo e partirono a tutta velocità.

Il traffico era impressionante, Atsuya non aveva mai visto così tante auto in circolazione, nemmeno a Oahu, e le strade stesse erano molto più larghe per consentire il transito di tutti i mezzi.

Si stavano allontanando dal Manhattan, in lontananza i due potevano scorgere la guglia dell’Empire State Building che dominava la metropoli.

Il viaggio fu più lungo di quello che pensasse, si erano dovuti allontanare parecchio e la città stessa era mutata, dai grattacieli alle piccole palazzine fino ad arrivare poco fuori dal Queens, in un quartiere di ville e magioni.

L’auto si soffermò davanti ad un cancello argentato. Mark pagò il tassista promettendo al giapponese di restituirgli quanto aveva speso.

-Eccoci arrivati e direi ancora in tempo, prima dell’arrivo degli invitati-

-Invitati?-

-Per il Capodanno, la mia famiglia è solita organizzare una festa per celebrarlo-

-Non mi hai mai parlato della tua famiglia-

-Perché non ne ce n’era bisogno- il ragazzo si avvicinò al cancello e suonò il campanello.

-Beh, devo immaginarmi che sia gente altolocata se vivono in quartiere del genere…- disse il medico mentre osservava la casa dalle sbarre del cancello, pareva piuttosto imponente.

-Non direi altolocata, più semplicemente benestante…- rispose con imbarazzo l’americano.

Dal cortile fece capolino la figura di una signora vestita di nero con un una cuffia di pizzo bianca sulla testa. Era una donna adulta di circa quarant’anni con una torcia per rischiarare il vialetto.

-Sia chiaro, andatevene via! Non vogliamo scocciatori questa sera! Andate a tormentare qualche altra famiglia!- urlò a squarciagola.

-Credo che non siamo i benvenuti…- mormorò Atsuya.

-E se fossi una persona che non vedi da molto tempo, Brigit?- rispose Mark.

La signora si avvicinò al cancello ed esclamò:

-Oh siete voi! Grazie al cielo state bene signor Mark! La vostra famiglia era in pensiero per voi! Entrate, prego!-

La donna aprì il cancello facendo strada nel cortile.

-Pensavo foste dei giornalisti, ronzano sempre da queste parti a Capodanno, vogliono fotografare le feste di questo quartiere e chi vi partecipa… ma se mi è permesso, chi è il giovane con voi, signor Mark?-

-Non preoccuparti, non è un giornalista è un mio amico che ho deciso di invitare come ospite, piuttosto, non siamo in ritardo per la festa, vero?-

-Certo che no, non sono nemmeno le diciannove, gli invitati arriveranno tra non meno di un’ora-

Arrivati all’ingresso, Atsuya capì che la famiglia di Mark era forse un po’ più che benestante.

L’abitazione era santuario in onore dell’Art Déco, l’esterno era sobrio ma elegante, una facciata bianco avorio, ma con ampie finestre e un bordo in rilievo a motivi floreali tracciava il confine tra il pianterreno e quello superiore, il cortile era un grande giardino con cespugli verdi privi di fiori e un viale piastrellato che conduceva dal cancello all’uscio.

Per quanto la facciata fosse semplice, la forma dell’abitazione non lo era affatto: ai lati dell’ingresso vi erano due finestre in particolare, o meglio due bovindi(2), completamente in vetro alti quanto tutta la parete.

Al di sopra si poteva notare una terrazza e posteriormente il primo piano e probabilmente ve ne era anche un secondo ma Atsuya non riusciva a scorgerlo dal basso.

La donna aprì la l’uscio per farli accomodare, il giapponese venne travolto dalla luce proveniente dall’atrio, una grande sala rettangolare con due scale principali. Le pareti erano tinte in color avorio e attraversate da linee per formare dei rombi turchesi riccamente decorati all’interno da inserti del medesimo colore quali triangoli o segmenti che li dividevano in parti uguali.

La pavimentazione era anch’essa inusuale, piastrelle chiare che si incastravano in intricati motivi geometrici. Dal soffitto pendeva un lampadario formato da decine di pendagli di vetro tubulari, che illuminava tutto l’atrio.

-Certo che vivi in un posto molto strano…- mormorò il medico cercando di non farsi sentire dalla domestica.

-Questo stile andava molto di moda, fino ad un decennio fa- rispose l’altro.

Dalla scalinata dal corrimano d’ottone davanti ai due ragazzi, comparve una seconda donna, alta ed elegante quanto Marlene Dietrich, vestita con un lungo vestito da sera blu notte, i capelli nascosti da un turbante verde scuro, aveva sicuramente più di cinquant’anni e il volto era segnato da alcune rughe, anche se lo sguardo veniva distolto dal trucco sapientemente usato e dai gioielli che indossava come una ricca collana argentata con dei piccoli pendagli di brillanti.

-Brigit, non saranno per caso già arrivati i nostri ospiti… - la dama si fermò a metà della scala, sgranò gli occhi mentre con la mano destra, coperta da un guanto di seta, si coprì le labbra per nascondere l’espressione di sorpresa:

-Mark! Non sai che gran sollievo vederti qui a casa! Io e tuo padre eravamo così preoccupati, non abbiamo ricevuto tue notizie da quel giorno, tuo padre sarà sicuramente felice di sapere che stai bene e anche tua sorella e tuo fratello maggiore, peccato che solo che non sia in città! Brigit, per cortesia chiamate subito mio marito, deve sapere subito del ritorno del nostro Mark!-

La signora corse ad abbracciare il figlio, Atsuya potè notare quanto fosse sollevata nel vedere che stava bene.

-Avresti potuto scrivere una lettera, almeno per avvertire del tuo ritorno!-

-Volevo farvi una sorpresa… purtroppo non sono riuscito a tornare prima di Natale- ribatté il figlio facendo sorridere il rosa che stava dietro di lui.

Il padrone di casa, il signore Krueger arrivò quasi di corsa, era un uomo non troppo alto, un po’ in sovrappeso, dai capelli ormai grigi. Portava degli occhiali pince-nez che contornavano gli occhi marroni ed indossava un frac scuro per l’occasione.

-Che piacere vederti qui in salute, mi hai tolto un gran peso dal cuore, tua madre io eravamo veramente…-

-Molto preoccupati- lo precedette il figlio per poi continuare: 

-Vorrei presentarvi un mio amico, il dottor Zhao Jie, probabilmente non sarei qui se non fosse stato per lui. Mi farebbe piacere se potesse stare da noi per un po’ di tempo-

La richiesta inaspettato del giovane lasciò abbastanza sorpreso il padre.

-Spero non sia un problema- aggiunse il biondo.

-No, certo che no, è solo una richiesta inaspettata, non avrei mai immaginato un tuo ritorno, soprattutto con un ospite…  ad ogni modo non mi sono presentato, Richard Krueger, lei è mia moglie Olivia-

-E’ un grande onore conoscervi signori- rispose Atsuya stringendo la mano all’uomo.

-Credo abbiate molte cose da raccontare, ma a breve arriveranno i nostri ospiti per festeggiare la fine dell’anno e dobbiamo anche aggiungere due posti in più a tavola…- disse il signor Kruger.

-Capisco, mi occupo io di mostrare la stanza degli ospiti a Zhao-

Con un cenno di assenso i padroni di casa si allontanarono.

Le camere erano al piano superiore, quattro in totale, divise equamente nell’ala destra e sinistra del piano.

Atsuya venne accompagnato fino all’ingresso della sua stanza. Questa era in perfetta linea con l’esagerato stile Art Déco, le pareti erano di colore blu scuro decorate con dei motivi a foglia di palma dorati  e un pavimento in parquet a spina di pesce.

Alla parete di destra vi era un grande letto dalle lenzuola bianche e dalla parte opposta una cassettiera con un grande specchio.

-Questa era la stanza di mio fratello maggiore, ma da quando se ne è andato è diventata la stanza degli ospiti. Anche se non viene utilizzata spesso, è sempre pronta per accogliere ospiti. Se vuoi darti una rinfrescata, dalla porta a sinistra puoi accedere al bagno, su questo piano ne abbiamo due e ognuno è in comune con due camere. La biancheria da bagno pulita la puoi trovare nell’armadio- spiegò l’americano.

-Detto così sembra di essere in un albergo di alta classe!- esclamò Atusya.

-Più o meno… la mia famiglia ci tiene a fare una bella impressione con tutti, ah non preoccuparti per il cambio d’abito, ti faccio trovare qualcosa… qui in camera, anche se dovremo prima o poi rimediare a questa mancanza. Ci incontriamo al piano di sotto dove vi è l’ingresso- 

Mark uscì dalla stanza chiudendo la porta.

Il ragazzo si guardò intorno, lo stile della stanza non gli si addiceva, preferiva un ambiente più sobrio senza tutti quei fronzoli.

Si affacciò alla finestra, da lì poteva vedere il primo piano dalla forma a ferro di cavallo, nel cui centro vi era una piscina rotonda.

Il bagno era alla francese, di gran lunga più semplice rivestito di piastrelle bianche che tuttavia gli ricordavano l’ospedale ad Oahu.

Come consigliato, si fece una doccia, ormai erano passati tre giorni dall’ultima volta che aveva potuto usare acqua e sapone.

Una volta finito tornò nella camera, avvolto nell’asciugamano per coprirsi.

Trovò ben piegato sul letto tutto il necessario per la serata: giacca, pantaloni con bretelle, panciotto e farfallino neri, camicia bianca con gemelli ed anche un paio di scarpe di vernice, poco più grandi delle sue, abbinate al resto del completo.

Non si era mai dovuto vestire così elegantemente, tanto che ci volle più tempo del previsto per indossare tutto quanto, chiudere i polsini della camicia con i gemelli, sistemare il farfallino affinché non pendesse di lato e cercare di pettinare i propri capelli che erano tutt’altro che noti per essere ordinati.

Si guardò nello specchio della camera, aveva un aspetto decisamente più curato del solito.

Raggiunse Mark nell’atrio dell’ingresso. Stava aspettando nei pressi delle scale.

Come suo padre indossava un elegantissimo frac nero dalla giacca a coda di rondine e completo con un farfallino bianco.

-Che classe! Di norma ad un evento del genere bisognerebbe indossare una “cravatta bianca”, peccato solo che non ho un altro completo da prestarti, ma ammetto che lo smoking non sfigura affatto su di te- esordì con un sorriso.

-E’ la prima volta che ne indosso uno, da dove vengo io le vesti eleganti sono di tutt’altro tipo!-

-Beh direi che non sarebbe il caso presentarsi questa sera con in vesti tradizionali “cinesi” attireresti troppo l’attenzione. Ora che sei pronto direi di raggiungere la gli altri invitati, saranno sicuramente nella sala da ricevimento-

-Sala da ricevimento? Non è forse esagerato avere un’intera sala solo per le feste?- domandò Atsuya sempre più sorpreso dalla ricchezza della famiglia Krueger.

-In realtà è la sala da pranzo, ma in occasione di eventi speciali viene sgomberata del mobilio inutile. Ad ogni modo, ricordati che non devi essere Atsuya, ma il dottor Zhao Jie da Shangai. Tienilo ben a mente- si raccomandò Mark, pronunciando le ultime parole sottovoce per non farsi udire da nessuno, nonostante fossero i soli nel corridoio.

-Non preoccuparti, ci tengo alla mia persona e… alla mia incolumità- 

I due raggiunsero l’ala della casa designata ai festeggiamenti.

Una porta in vetro dagli infissi di legno tinti di bianco conduceva alla sala da pranzo.

Era più piccola di quello che si immaginava il giapponese, anche se era comunque una stanza di dimensioni importanti che si sviluppava più in lunghezza che in larghezza.

Le pareti erano di un color verde tenue privo di tutte le decorazioni che caratterizzavano i muri della casa, anche il pavimento era più sobrio, rivestito di piastrelle bianche.

Nel mezzo dell’ambiente erano stati disposti dei tavoli coperti da tovaglie candide e sopra di essi, in mostra come dei trofei, una serie di pietanze da far venir l’acquolina in bocca a chiunque le guardasse: carne, pesce, verdure e su un tavolo più distante vi erano numerosi calici, coppe e diverse bottiglie di vino. In un angolo della stanza vi era un giradischi che riproduceva vinili delle migliori “big band” del momento, da Glenn Miller a Benny Goodman, rendendo l’aria della festa frizzante e colorata.

Gli invitati erano circa una ventina, la maggior parte di loro erano coppie con i relativi consorti. Le loro vesti eleganti rendevano chiaro il loro livello della scala sociale, le donne in particolare agghindate con bracciali e collane splendenti.

-E tutti loro chi sono?- chiese Atsuya con imbarazzo alla vista di tutti gli altri ospiti, si sentiva fuori luogo in mezzo a loro, in parte perché era l’unico asiatico.

-Amici di famiglia, soci o investitori di mio padre- replicò l’altro dirigendosi verso uno dei tavoli seguito dall’amico.

-Persone molto influenti suppongo-

-Nessuno di loro è un Rockfeller-

-Non sembrerebbe a prima vista… te lo chiedo di nuovo, di cosa si occupa tuo padre?- domandò per la seconda volta in modo più insistente il giapponese.

-E’ nel settore dell’industria alimentare, la mia famiglia è stata piuttosto fortunata… ha fatto affari d’oro con la Grande Guerra inviando rifornimento in Europa e successivamente ha avuto la fortuna di continuare a produrre e vendere durante la Crisi- mentre parlava, Mark, prese un piatto di porcellana e iniziò a scorrere lo sguardo sulle delizie davanti a sé indeciso su cosa prendere.

-Ora si spiegano molte cose-

-Sono piuttosto indeciso, l’arrosto di maiale sembra squisito, ma anche il salmone ha un aspetto decisamente invitante!-

-Non credo vi sia nulla di male nell’assaggiarli entrambi- Atsuya si portò una mano alla bocca per coprire il sorriso che gli era sfuggito nel vedere l’amico in quella situazione.

-Certo che no, vi sono piatti in abbondanza, a nessuno dispiacerà! Sono così contento di essere tornato a casa e poter mangiare bene nuovamente! I pasti della marina sono tutt’altro che commestibili…-

Mentre scherzavano davanti al buffet, una ragazza poco più giovane di loro con un urlo di gioia:

-Oh Mark! Sei tornato!- si avvicinò al biondo e lo strinse in un abbraccio proprio sotto lo sguardo sorpreso di Atsuya.

-Per favore Daisy, sii più educata ed evita di renderti protagonista di certe sceneggiate- la rimproverò la signora Krueger che l’aveva seguita.

-Cosa avrei dovuto fare? Sono passati due anni dall’ultima volta che l’ho visto!- 

-Anche io sono felice di rivederti ma preferirei se potessi lasciarmi- replicò con tono quasi implorante stretto ancora nelle spire dell’abbraccio.

-Non ci si può mai divertire con te! E chi è il bel ragazzo al tuo fianco?-

-Daisy lui è il dottor Zhao Jie, un mio caro amico, Zhao lei è mia sorella Daisy-

-Daisy? Come Daisy Buchanan de Il grande Gatsby?-

-Non pensavo conosceste i romanzi di Scott Fitgerald, dottor Zhao, sono noti anche in Cina?- si intromise curiosa ed interessata la signora Krueger.

-Certo che sì, molti... libri sono tradotti in cinese…- esitò, mentendo, il medico, Il grande Gatsby era stata una delle numerose letture nei giorni tranquilli ad Oahu.

-Pensate che Fitzgerald trascorse parte della sua vita non lontano da qui, anzi si dice che i quartieri di East e West Egg(3) siano ispirati a dove siamo ora- aggiunse la signora con un pizzico di eccitazione nella voce.

-Con tutto il rispetto madre, credo che al nostro ospite non interessi la vita di uno scrittore ormai defunto- irruppe Daisy.

-Non ti ho insegnato ad essere così irriverente, ti pregherei di fare attenzione a come ti esprimi, soprattutto ad un evento importante come questa sera! Chiedo scusa per il comportamento di mia figlia e spero che vi possiate divertire dottor Zhao, purtroppo la mia presenza è richiesta altrove- si scusò la signora Krueger la cui attenzione era attirata dal marito poco distante che le faceva cenno di avvicinarsi, probabilmente per essere presentata alla coppia di ospiti con cui stava amabilmente conversando.

-Dottor Zhao… ebbene come avete conosciuto mio fratello?- 

-Ah… è difficile da spiegare…-

-Diciamo che è una storia molto lunga e non vuole annoiarti- lo salvò Mark.

-Allora spero che per non farmi annoiare, voglia almeno concedermi il piacere di bere un calice di vino in compagnia-

-Lo conosci da cinque minuti e già ci provi con lui!- scherzò il fratello.

-Voglio solo fare amicizia e conoscere questo grande ospite che hai portato come un souvenir dalle Hawaii! Se non vuole seguirmi allora berrò...-

-Oh no, sarebbe un vero piacere- la interruppe Atsuya.

La ragazza sorrise compiaciuta:
-Allora da questa parte, dottore- aggiunse.

-Vi prego chiamate solo Zhao-

-E io vi prego di darci del tu, cosa gradisci? Abbiamo una selezione di vini dall’Europa, merce ormai rara-

-Veramente non saprei, ho bevuto del vino solo in pochissime occasioni- ammise il medico.

-Per quanto mi piaccia, non sono un’esperta, quindi signor cameriere due coppe della migliore bottiglia che ha!- ordinò al giovane dietro al tavolo che prontamente servì quanto richiesto.

Atsuya prese la sua coppa: rotonda, bassa, con un lungo stelo di vetro e riempita quasi fino all’orlo di un vino bianco e frizzante, dall’odore dolciastro.

-Zhao, non ci rimane che brindare, a questa festa, mio fratello che è tornato a casa sano e salvo… si potrebbe brindare anche a te che sei qui come ospite speciale-

-Ospite speciale? Non pensavo di essere tenuto in così grande considerazione- 

-Se Mark ti ha portato fin qui, deve esserci un buon motivo, no?-

-Forse…-

-Non essere modesto! Alla salute!- 

Atsuya alzò la coppa per il brindisi e la portò alle sue labbra lasciandosi inebriare dal dolce sapore del vino.

Daisy era una ragazza affascinante dai capelli biondi e occhi come quelli del fratello, tagliati a caschetto, vestita con un abito beige adornato di frange e lustrini che arrivava alle ginocchia. Dava l’apparenza di essere un lontano ricordo, una reliquia dei “Ruggenti anni ‘20” come lo era anche la casa in pieno stile Art Déco e in qualche modo anche la sua famiglia. 

La sua figura spiccava tra tutti gli invitati, una flapper(4) in tutto e per tutto, dall’abbigliamento al carattere irriverente, mondano e forte, così diversa da tutte le altre donne americane dopo la Grande Depressione abbandonarono il lusso e la stravaganza, ripudiati fortemente dalla società, per il rigore e la sobrietà.

Parlarono a lungo sorseggiando champagne estraniandosi dalla folla di facoltosi ospiti della famiglia Krueger. Loro erano gli estranei, un giapponese e una flapper in mezzo ad una ventina di smoking neri e abiti da sera privi di personalità.

-Per quanto tempo rimarrai qui?- domandò la ragazza.

-Non so, dipende da quanto tempo vorrete ospitarmi!-

-In questo caso, se la decisione stesse a Mark, staresti qui in eterno!-

-Non vorrei essere inappropriato, ma desidererei tornare a casa un giorno…- mormorò sconsolato.

-Deve essere dura essere lontano da casa-

-Soprattutto quando c’è una guerra in corso-

-Da quale parte della Cina provieni?-

-Shangai-

-Sai, hai un accento strano, diverso da quello degli abitanti del quartiere cinese a New York…-

In quell’istante Atsuya sussultò. Fino ad allora nessuno aveva prestato attenzione al suo accento nipponico, probabilmente perché quasi nessuno aveva mai parlato con un vero cinese, al contrario di Daisy.

-Forse è perché la Cina è un paese molto grande- continuò la ragazza.

-Forse è così anche per l’America- aggiunse Atsuya nervoso, cercando di giustificare la sua parlata.

-Ovviamente, ogni stato ha un modo di parlare differente, a volte cambia anche da città a città-

-Zhao, Daisy, venite è quasi mezzanotte, non vorrete perdervi i fuochi d’artificio!- esordì Mark di ritorno, dopo una lunga e noiosa serata passata a rispondere alle infite domande su Pearl Habour da parte di alcuni invitati.

La maggior parte dei presenti si era spostata all’esterno, vicino alla piscina nel cortile centrale.

Il gruppetto di ragazzi arrivò appena in tempo per lo spettacolo.

Con lo scoccare della mezzanotte, il cielo scuro si riempi di scie ed esplosioni colorate, con grande stupore e meraviglia di Atsuya.

Lampi e scintille rosse, verdi, gialle e blu, l’ultimo saluto ad un anno che portò la guerra ad un nuovo livello: mondiale.


****
 

 

1) Sesta classe del Nibbio d’oro: onorificenza militare giapponese, conferita per meriti speciali. L’ordine consisteva in sette classe, in ordine di importanza, la sesta era riservata ai soldati e sottufficiali.

 

2) Bovindi: tipologia di finestra in cui ante e infissi seguono un percorso ad arco orizzontale, la parola deriva dalla contrazione dei termini inglesi “bow window”.

 

3) East e West Egg: quartieri fittizi presenti ne Il grande Gatsby che pare siano ispirati alla Gold Coast di Long Island, a trenta chilometri dalla città di New York.

 

4) Flapper: la generazione di donne dei Ruggenti Anni ‘20, riconoscibili per il loro stile come capelli corti, abiti corti (un abito all’altezza del ginocchio era già considerato corto) e trucco eccessivo, per ballare il charleston, ascoltare la musica jazz e perché violavano le norme morali dell’epoca (bere alcolici, fumare, guidare un’automobile e una vita sentimentale più libera e indipendente) proponendo una immagine della donna più emancipata. Con l’avvento della Grande Depressione la figura delle flapper scomparvero in quanto considerate inadeguate con la società post-crisi. Figure simili erano presenti anche in Francia (garçonnes), Germania (neue Frauen) e curiosamente anche in Giappone (modern girls, abbrevviato anche come moga) anche se in quest’ultimo caso, la figura delle moga venne soppressa con l’avvento della società ultranazionalista e militarista nipponica degli anni ‘30 poiché considerata come simbolo dell’occidentalizzazione. Venne quindi favorito un ritorno all’immagine precedente della donna definita come “buona moglie e saggia madre”.


Angolo d’autore...

Mi sono nuovamente fatto attendere e desiderare xD

Questo capitolo mi ha fatto dannare e l’ho riscritto più e più

volte tuttavia non capivo il perché non andasse bene…

poi l’ho capito l’errore… mi ero dimenticato di Atsuya e Mark 

nella traversata del Pacifico e ho dovuto cestinare tutte le idee 

e riscrivere da capo tutto quanto!

Il lato positivo è che il lavoro non è stato sprecato e posso riutilizzarlo

più avanti nei prossimi capitoli.

Non c’è molto da dire qui se non che i protagonisti sono i due fuggiaschi

e il loro arrivo nel nuovo mondo, interrotto da un piccolo stralcio del ritorno

di Hiroto. 

Mi auguro come sempre che la storia sia di vostro interesse, 

ormai è passato più di un anno da quando ho iniziato a scrivere e i 

capitoli si sono fatti sempre più corposi e lunghi con l’andare

avanti della storia. Ho iniziato anche un primo lavoro di revisione

dei primi capitoli in modo da migliorare ciò che si può migliorare

e riscrivere le parti peggiori (e mi sono accorto che ve ne sono molte).

Con questo, direi che mi sono dilungato abbastanza, 

al prossimo capitolo!

Un saluto

 

_Eclipse

   
 
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