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Autore: Gaia Bessie    03/05/2021    2 recensioni
Shimizu pensa che, in fondo, è stata fortunata: è nata dal lato giusto della clessidra.
In un mondo in cui le anime gemelle sono rinchiuse all'interno di una clessidra, Shimizu e Suga si scoprono predestinati.
[Soulmate!AU | Presumibile OOC | Prima classificata al contest "Song on Fire" indetto da Fiore di Cenere sul forum di EFP]
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kiyoko Shimizu, Koushi Sugawara
Note: AU, OOC, Soulmate!AU | Avvertimenti: nessuno
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Shimizu pensa che, in fondo, è stata fortunata: è nata dal lato giusto della clessidra.
 
Il lato giusto del tempo perso
 
They say we are what we are
But we don't have to be
I'm bad behavior but I do it in the best way
I'll be the watcher (Watcher)
Of the eternal flame
I'll be the guard dog of all your fever dreams
 
 
Li chiamano Osservatori, quelli che vivono sopra la sabbia, i prescelti, i fortunati: Kiyoko è nata lì per caso, creata e non generata da una sostanza irrisolta e mai vista, ma è nata e cresciuta nella certezza che deve esser suo il lato giusto. Perché la sabbia viene risucchiata e lei rimane lì a vederla scendere, in attesa di poter scorgerlo o scorgerla attraverso il vetro – li chiamano Ascoltatori, quelli che interpretano il silenzio come una cantilena e le voci della propria anima gemella come litania mortale, quella che li porterà a finire sepolti in cumulo di sabbia e tempo infranto: Kiyoko lo sente respirare, a volte, quell’esistenza condannata, ed è nata e cresciuta nella certezza che un giorno lo vedrà e s’innamoreranno in uno sguardo.
Durerà qualche secondo, poi la sabbia finirà di scendere – e si perderanno per sempre: lei costretta a vivere di ricordi, l’Ascoltatore soffocato in sussurri. A volte prova a parlargli, ma la sabbia attutisce ogni suono, e forse lui o lei non sa ascoltare abbastanza bene, forse è Kiyoko stessa che non sa scandire le parole o le sue frasi sono in una lingua sconosciuta oppure insensata.
Però, lui la sente gridare – perché il giorno in cui si scaglia contro il vetro della clessidra, provando a infrangerlo, lui le risponde. Con un timido bussare, prima, con un tentativo di smuovere la sabbia, poi. E con la voce, infine.
«Non serve che ci provi» sussurra, voce arrochita di chi mai la usa e un colpo di tosse che sa di granelli di sabbia. «Tanto è inutile. Siamo predestinati, io e te».
Lei spalanca gli occhi, incerta, e sfiora la sabbia ai suoi piedi come se potesse sostituire il contatto semplice, basilare, tra pelle e pelle. Sente granelli e vetro sporco, la voce di lui non ha consistenza – ed è per questo incancellabile.
«Tu mi ascolti sempre» sussurra Kiyoko, guardando il cielo terso e azzurrissimo fuori dalla clessidra. «E io non so niente di te, non… perché non mi parli mai?».
Lei è orgogliosa, non vorrebbe pronunciare quelle parole: ma, nella sua eterna solitudine, nell’immobilità forzata, è anche abbastanza disperata da voler cercare un contatto con l’unico altro essere che conoscerà mai.
Lui ha la voce che sa di sorriso, quando in un colpo di tosse le risponde. «Mi chiamo Koushi Sugawara » sussurra, con tono cantilenante. «Suga».
Kiyoko s’è distesa sulla sabbia, le mani a cercare il vetro come se il fatto che lui possa vedergliele, quelle mani, possa rappresentare una sorta di contatto. Ma lui parla in una maniera che ha il sapore dei sorrisi, del sole che splende e, allora, quando le dice e tu come ti chiami, lei pensa che è solamente il primo granello delle domande che vorrebbe porgli.
«Kiyoko Shimizu» sussurra, con voce limpida. «Tu sai…».
Perché siamo qui, perché esistiamo in una maniera talmente rozza e imperfetta, perché dobbiamo per forza ferirci vicendevolmente.
Ma non dice niente di tutto questo – le mancano le parole.
«Perché non piove mai?» completa. «Ha piovuto solamente il giorno del Risveglio».
L’ha soprannominato così: quando ha aperto gli occhi e s’è trovata in una clessidra senza avere un reale senso del tempo, del prima o del dopo, e del fatto d’esser venuta al mondo senza essere stata prima consultata1.
Suga ride, questa volta ad alta voce, e Kiyoko lo sente inghiottire qualche granello di sabbia.
«Potresti domandarmi tutto quello che stai pensando» tossisce. «E non avrei risposte da darti, Kiyoko».
Triste, il modo in cui le corde vocali graffiano quelle parole, e lei non riesce a non pensare a quando si potranno vedere per la prima volta – e sarà solamente un inutile riscoprirsi, senza essere stati consultati. Lo sguardo del condannato a morte, quello degli Ascoltatori: Kiyoko lo vedrà per una manciata di istanti e poi mai più.
Passerà tutto il resto della sua esistenza soleggiata e priva di senso a ripensarci al fatto che, sebbene li separi pochissimo, non si sono sfiorati mai, nemmeno con brandelli di pensiero.
«Pensavo ascoltassi tutto» sussurra, giocherellando con la sabbia ai suoi piedi. «Che sapessi più di me».
«Ma la sabbia mi impedisce di vedere» risponde Suga, calmo. «Non so che senso abbia il tempo, perché non lo posso osservare».
Lei, ancora una volta, pensa che è stata fortunata – è nata dal lato giusto della clessidra e, per questo, potenzialmente potrà vivere finché suo padre, quell’essere innaturalmente astratto ma sensato, le concederà di vivere. Finché non la ucciderà un dolore che non crede di poter provare: non si muore per un cuore spezzato, le urlano i suoi pensieri, non sarà quella voce a spaccarmi il cuore.
Pensa a quanto infelice debba essere Suga, con gli occhi perennemente chiusi per non trovarseli infestati dalla sabbia che continuamente cade, e il corpo immerso in quella granella intollerabile. A sentire con precisione, a sentirla, ma non poterla guardare mai.
«Mi dispiace» sussurra Kiyoko, posando nuovamente una mano sopra il vetro, anche se adesso sa che di guardarla non potrà guardarla mai. «Non è giusto».
Lui ride – a metà tra una risata e un colpo di tosse, di chi si ostina a parlare nonostante la sabbia che entra nella bocca e ivi si deposita.
«E tu pensi che la tua vita sia quella giusta?» le domanda, amaramente. «Siamo condannati entrambi e tu ancora non te ne rendi conto».
Suga è troppo buono per quelle parole crudeli. Ma le fa spalancare gli occhi e, allora, Kiyoko vede con chiarezza offuscata che, sì, di male al cuore si può morire. Eppure, si dice, non ci crede abbastanza.
«Vedrai» gli sussurra, rannicchiandosi tra la sabbia mentre il sole comincia a cedere alla notte la propria resa. «Io riuscirò a vivere senza di te».
«Te lo auguro» risponde lui, dolcemente. «Spero proprio che tu ci riesca, Kiyoko, io…».
Un colpo di tosse ne frena le parole e Suga non riprende più: forse, si dice lei, s’è addormentato – tiene gli occhi chiusi tutto il giorno, con che certezza potrebbe dire di non aver dialogato con un sonnambulo?
 
***
 
I am the sand in the bottom half of the hourglass, glass (Glass)
I try to picture me without you but I can't
 
 
Il giorno dopo, Suga non parla – lei bussa sul vetro, sussurra parole insensate, ma lui non risponde mai. Forse, si dice Kiyoko, s’è stancato di dover tossire parole quando il tempo scorre ed è insensato provare ad avere un contatto attraverso quel vetro che li divide.
La giornata la trascorre a picchiettare la clessidra in punti casuali, come se spostandosi di qualche centimetro potesse consentire a Suga di udirla meglio o di volerle rispondere: in ogni modo, lui non lo fa mai.
Non finché il sole non comincia a sanguinare lacrime e, allora, tutto si tinge di rosa e rosso – in quel momento, Suga tossisce una singola parola e lei, che non è brava ad ascoltare quanto lui, fatica a udirla. Ma la vede colorata tra le nuvole, tratteggiata a matita e, allora, si convince che sia verità.
«Scusami».
Kiyoko respira una boccata d’aria viziata – non ha mai capito da dove venga, quel minimo di ricambio d’aria che le serve per sopravvivere – e spalanca gli occhi con aria perplessa, come se non avesse ben compreso il senso di quel sussurro.
Lui non si ripete.
Ma continua a parlare, intervallato da dolorosi colpi di tosse, come se avesse fame di condividere con lei quelle sensazioni. Forse, si dice Kiyoko, vivere nel silenzio ti fa venire fame per davvero – loro si nutrono di luce, ma a volte semplicemente è come se il sole lasciasse un buco nel sangue, nelle vene, che solamente le parole sono in grado di colmare. E se lei ha urlato, strepitato e gridato contro il destino, Suga ha sempre taciuto. Fino a quel momento.
Quando le parole cominciano a non bastare e lui vi si aggrappa con tutte le forze, tra un colpo di tosse e il successivo, e allora cosa rimane? Forse, si dice, brandelli di speranze ormai in frantumi: ma lui continua a parlare, come se non ne avesse mai abbastanza, di quel dolore ai polmoni, alle costole.
Basta così, vorrebbe gridare Kiyoko, ma questa volta è lei quella a riscoprirsi muta e sul punto di soffocare. Basta così.
«Penso solo che tu sia fortunata» tossisce Suga, così forte da far tremare la clessidra. «E io sono invidioso, perché vorrei… no, non vorrei stare al tuo posto. Vorrei solamente immaginarmi accanto a te».
Questa volta, è lei a tossire – non l’ha nemmeno mai guardato negli occhi, eppure c’è un tono di tale deferenza che non le lascia scampo, costringendola a sputar via l’aria dai polmoni a fatica, come fosse densa quanto il sangue.
«Come puoi dirlo?» sussurra, sfiorando il vetro sotto i suoi piedi. «Non mi hai nemmeno mai vista».
«Ma io ti vedo, Kiyoko» risponde lui, calmo. «Io riesco a vederti, quando mi parli».
Lei sospira, vorrebbe dirgli che per lei è lo stesso: ma è orgogliosamente sincera, Shimizu, e allora quelle parole mai lasceranno la sua bocca.
«T’immagino qui e, quando mi cade la sabbia addosso, la raccolgo» continua Suga, placidamente. «E immagino che siano le tue mani. Ma non ti basta, non è vero?».
«Vorrei poterlo fare per davvero» sussurra lei, con una lacrima che le buca la pelle. Una soltanto, si dice, prima che un fiume le sfregi il volto. «Prenderti le mani».
Lui ride, anche se quel suono gli costa una fatica incommensurabile. «Poi dovresti rimanere con me per sempre» risponde, pieno di rimpianto. «Non ti lascerei mai andare via».
Lei sorride, cerca di non fargli sentire quel rumore di lacrime che sgocciolano sulla sabbia, che le graffiano la voce, recidendo le corde vocali mentre pronuncia quelle parole.
«Era proprio quello che temevo» tossisce, ma sembra più un singhiozzo carico di dolore residuo. «Lo sai, dovremo lasciarci andare, prima o poi».
«Scomparire nel vortice» sussurra Suga, probabilmente indicando la sabbia che gli cade addosso con deliberata lentezza. «Non credo manchi poi molto, sai?».
Lo dice con rassegnazione, costringendola a guardarsi i piedi con aria perduta (dimenticata) e a scoprirseli quasi liberi dall’impiccio della sabbia. Kiyoko soffoca un urlo, nello scoprire che, adesso, riesce quasi a vedere chiaramente attraverso il vetro della clessidra – non credo manchi poi molto, sai?
Questione di giorni, forse persino di ore, e a lei già manca il fiato al pensiero di dovergli dire addio, di doverlo salutare con le parole troncate dalla sera prima. Suga ride, nel silenzio, come se da esso avesse compreso qualcosa di importante.
«Io…» torna a sussurrare, prima di lanciare un urlo soffocato. «Scusami, stavo provando a guardarti».
La sabbia negli occhi è comunque un fastidio, seppur meno doloroso del suono dei loro cuori che all’unisono cominciano a frantumarsi.
«Cerchiamo di crearti bei ricordi, nel tempo che mi resta» continua Suga, calmo. «Voglio che tu resista, Kiyoko, hai capito? Voglio che tu esista».
«Anche tu» sussurra lei, chinandosi sul vetro. «Anche tu devi resistere».
Adesso inizia a vederne i contorni, sepolti tra i granelli di polvere, di Koushi Sugawara – i capelli argentei, il viso sepolto tra le ginocchia e annaffiato dalla sabbia, in una cascata che deve rendergli difficoltoso anche il solo articolare le persone.
Lui, come se fosse in grado di percepirne lo sguardo, alza il volto con gli occhi serrati. Buffo, come anche mantenendo le palpebre calate riesca a bucarla come se la stesse guardando con quelle iridi di cui Kiyoko non conosce il colore.
Improvvisamente, Suga sorride – e un po’ di anima gli cola attraverso i denti, in un rivoletto tempestato di granelli di sabbia.
Per un momento, apre gli occhi, prima che la sabbia li aggredisca con violenza. Sono color nocciola, o almeno così le sembra da lassù.
 
***
 
'Cause we could be immortals, immortals
Just not for long, for long
Live with me forever now
Pull the blackout curtains down
Just not for long, for long
 
 
Lei vorrebbe avere abbastanza voce per rimproverarlo, per quel suo avere incautamente aperto gli occhi, contravvenendo alle leggi divine e di autoconservazione – immagina solamente il dolore che possa causargli la sabbia in quegli occhi che la sputano via insieme a brandelli di lacrime, e duole il pensiero che lui possa aver sperimentato quel fastidio (quel dolore).
Kiyoko s’è chinata sul vetro della clessidra, ormai contenente sempre meno sabbia, e ha pianto tutte le lacrime che ha sentito di avere, finché non le sono rimasti occhi arrossati e granelli d’insensatezza tra le mani.
«Non dovevi» sussurra, così piano che si sente solamente lei. «Non dovevi farlo, tu…».
Ma lui scuote il capo, gli occhi serrati su lacrime di fastidio condensate alla base delle ciglia, e sorride. Quel sorriso che le spacca il cuore ancor prima che sia l’ultimo gesto che lui abbia da dedicarle, e allora persino il semplice respirare diviene un atto in grado di spezzarla in frammenti insensatamente diseguali.
«Va bene così, Kiyoko» sussurra Suga, sfregandosi il volto con il dorso della mano. «Volevo vederti una volta, prima di… lo sai».
Adesso, lo sa. Percepisce quell’insoddisfazione, quel desiderio, come le appartenesse – e basta per volere rimanere con lui per sempre, quello sì, e crogiolarsi nell’impossibilità di farlo è solamente inutile e doloroso. Anche quello: cos’è che non duole, in questa vita?
«Mi vedrai ancora» risponde lei, aggrappandosi alla sabbia rimanente come se potesse impedirle di scorrere via. «Non… non ci credo che tutto questo esista solamente per vederti scivolare via».
Lui sorride.
Sembra quasi che debba essere il suo ultimo gesto, perché rimane immobile con il viso proteso verso la luce che gli carezza il viso – prima, con tutta quella sabbia a filtrarla, faceva fatica ad avvertirla sulla pelle come una promessa ancora da infrangere.
«Potevamo vivere per sempre» sussurra lui, in un colpo di tosse. «Ma non ce l’hanno concesso, Kiyoko. Forse saresti stata in grado di dirmi che andava bene, rimanere sempre con me».
E prendergli le mani, toccargli l’anima con un dito – forse non sarebbe bastata come una promessa, ma per un po’ avrebbe funzionato: meno di un per sempre, più di quelle ore che la clessidra scandisce con violenza, priva di dolcezza.
Potevano vivere per sempre. Ma l’eternità ha regalato loro solamente una manciata di tempo e screpola le mani e scivola via, trascinando con sé pelle e speranze.
«Te lo avrei detto» sussurra lei, gettando alle ortiche il proprio orgoglio. «Te lo giuro, te lo avrei detto».
Lui segretamente pensa che, fossero stati in un altro contesto, in un altro mondo – allora, forse, lei non l’avrebbe scelto.
Ma il Creatore li ha messi nella stessa clessidra, con lei che non ha idea di essere nata dal lato sbagliato di questa.
Suga inghiotte una boccata di sabbia e pensa che, alla fine, è stato fortunato: è nato dal lato giusto della clessidra.
 
***
 
Sometimes the only payoff for having any faith
Is when it's tested again and again everyday
I'm still comparing your past to my future
It might be your wound but they're my sutures
 
Quando i granelli smettono di cadere, lui ha il viso schiacciato contro il vetro e la sabbia comincia a risucchiarlo – l’anima coperta di cicatrici, lui, gli occhi limpidi che la guardano per l’ultima volta. Potrà giurare quanto vuole, Kiyoko: quell’immagine non se la toglierà mai dalla testa e lo sa, lo sa, morirà con quel dolore che le scava il petto.
Potevano vivere per sempre – ma non ce la farà nessuno dei due.
Pensa che, in fondo, così fortunata non lo è stata mai: non è mai esistito un lato sbagliato e uno giusto della clessidra.
 
 
We could be immortals, immortals
Just not for long, for long
(Immortals, Fall Out Boy)
 

Mentre sto scrivendo queste note sono le 6.45 di mattina e io, in un attacco di insonnia bello potente, mi sono svegliata alle cinque: scusate il poco senso di quanto scriverò.
Tengo tanto a questa storia, perché fa parte di quelle OS che meriterebbero un seguito a capitoli che, con tutta probabilità, non scriverò mai (ma voglio aver fede, e magari qualcuno potrebbe venire a costringermi).
Non scrivo mai Soulmate!AU e, per questo, spero che questa breve OS possa piacere a qualcuno.
Grazie per avermi letta, 
Gaia

1Montale, Ai tuoi piedi
   
 
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