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Autore: Corydona    07/05/2021    0 recensioni
Come in una partita a scacchi, due fazioni si ritrovano schierate l'una contro l'altra, pronte a dichiararsi una guerra che entrambe non vorrebbero. Da un lato gli Autunno, la cui potenza sembra inarrestabile, dall'altra i Primavera-Inverno, che possono contare su un'influenza senza eguali.
Una situazione di apparente stasi: apparente, perché nell'ombra i sovrani cadono e le successioni al trono sembrano più complicate del previsto. La guerra sarà dichiarata? Termineranno i regicidi? Quale delle due parti avrà la meglio?
Un'antica profezia annuncia la disfatta degli Autunno: si realizzerà? O rimarranno solo vaneggiamenti di un passato caduto nell'oblio?
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Selenia '
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Giampiero sedeva immobile di fronte ad Alcina, nella carrozza che la sovrana aveva preparato per loro due non appena il marchesino era tornato al castello del Defi. Sapeva di non aver fatto il proprio dovere fino in fondo, e temeva che la regina lo avrebbe punito una volta giunti a destinazione.

Nelle sue orecchie risuonava ancora la seconda parte del colloquio con Pietro Riutorci, che aveva origliato una conversazione segreta tra sua madre e l'ormai defunta regina di Ruxuna.

"Parlavano di una profezia... una profezia che secondo loro riguardava Flora Primavera e Raissa Autunno. Ho sentito solo alcune frasi, tenevano la voce bassa..."

La regina di Defi, davanti a lui, guardava il paesaggio scorrere fuori dalla carrozza, tranquilla all'apparenza. Un venticello afoso si infiltrava nello spazio stretto in cui erano seduti i due nobili, ma la donna non ne sembrava affatto infastidita.

"Non so se la Primavera è in pericolo, non sono riuscito a capire dove si trova Raissa, né se si sia messa in cerca di lei... So che voi siete devoto alla sua famiglia, quindi lo dovete sapere..."

«Hai l'aria sconvolta» disse la regina. «I Lupfo-Evoco non sono andati come avevamo previsto, ma tu sembri distrutto più di quanto lo sarebbe stato chiunque altro.»

«Ho fallito, Maestà» ammise lui, amaramente. Non voleva che Alcina sapesse i reali motivi che lo turbano. L'incertezza della sorte di Luciana tra tutte, ma si era convinto di potersi fidare del Riutorci, quindi almeno per lei non avrebbe più dovuto darsi pensiero. Tuttavia, c'era anche altro, non solo quanto riguardava Flora e Raissa. «Era importante salvare Nicola... e non ci sono riuscito. Ho fatto quello che ho potuto, ho persino convinto Ivan Del Nord a votare per la sua salvezza...»

«Gli Autunno hanno giocato le loro carte e hanno ottenuto una stracciante vittoria diplomatica» constatò Alcina, interrompendolo. I suoi occhi chiari guizzarono in quelli del marchese con disappunto. «In parte è stata colpa mia, ti ho assegnato un incarico troppo grande.»

Giampiero abbassò il capo, sconfortato, e si guardò le mani, con le dita intrecciate tra loro. Aveva ipotizzato quell'eventualità e sentirla dire ad alta voce dalla sua sovrana era una pugnalata in pieno petto: lui non era stato all'altezza.

«Tuttavia questo non significa che tu non sia un diplomatico valido, o che non ti voglia più nella mia corte» proseguì lei. «Significa che io non avrei dovuto dare ascolto a chi mi avvertiva di non andare ai Lupfo-Evoco. Anche io ho commesso un errore e il mio, caro marchese, è imperdonabile.»

Lui rimase impassibile, nascondendo la sorpresa. Qualcuno sapeva cosa sarebbe successo dopo i Lupfo-Evoco? L'incendio che aveva raso al suolo la reggia di Mitreluvui doveva essere stato premeditato da tempo; e Giampiero era certo di sapere chi l'aveva voluto Ma, allora, perché Raissa avrebbe dovuto avvertire Alcina? Che cosa voleva da lei?

Flora...

Che lui fosse stato inviato lì con il compito preciso di fallire pur provando a salvare Nicola? Per quale motivo? Per tenerlo lontano dalla principessa Primavera? Ma la regina come avrebbe potuto sapere, se lui non ne aveva parlato con nessuno nel Defi?

Il Tirfusama si strinse nelle spalle, sentendo un brivido solleticargli il collo. Non poteva più fidarsi della sovrana, non se lei aveva deciso di consegnare sua figlia alla principessa Autunno. Non riusciva a immaginare come avessero potuto accordarsi, ma le parole di Alcina sottintendevano sempre qualcos'altro; e quella volta non faceva eccezione.

«Quindi voi sapevate che la situazione lì era pericolosa e non avete avvisato le vostre alleate?» chiese, con un garbata sorpresa.

Lei inclinò il capo a destra, come Giampiero l'aveva vista fare quando era in difficoltà. In quei casi c'era qualcuno della corte che interveniva a togliere d'impaccio la regina. Ma in quel momento loro due erano da soli e nessuno le sarebbe corso in aiuto: il marchese sapeva di aver posto una domanda scomoda, e sapeva altresì di averla posta con tutta l'ingenuità che avrebbe potuto avere.

«Non avevo scelta» rispose lei. «Se mi fossi presentata avrei fatto la stessa fine di Amelia e Matilde, se avessi detto a Matilde o a Lavinia o a Felicita che la situazione laggiù non era tranquilla avrei esposto te al pericolo.»

La carrozza sobbalzò, forse per un sasso che le ruote non avevano evitato, e il marchese poté nascondere il suo stupore a quelle parole. Era stato usato come pedina di scambio in un accordo segreto!

«Avreste dovuto correre il rischio» disse, asciutto, una volta che entrambi si furono ricomposti dopo lo sbalzo. Si trattenne dal passarsi una mano tra i capelli scuri, perché Alcina avrebbe potuto interpretarlo come un segno di debolezza. Era costretto a mostrarsi imperturbabile, facendo comprendere alla Primavera che non ci fosse nulla su Selenia di cui non fosse a conoscenza.

«No, la tua vita è preziosa» ribatté lei, con fermezza.

«Più di quella di Nicola Lotnevi?» domandò Giampiero, atono.

La regina chinò il capo. «Più della sua.»

«Perdonatemi, Maestà, ma non è così.» Le parole gli erano uscite di bocca senza che lui potesse accorgersene. Nonostante il solito tono cortese, non aveva mai osato contraddire Alcina.

Sigillò le labbra, attendendo la reazione della sovrana. Sperò che lei non lo considerasse un segno della sua insubordinazione e che non comprendesse che ormai la sua fedeltà era perduta.

«Nicola non ha alcuna esperienza politica, non sa come si governa, né come ci si comporta con gli alleati o con i nemici. Ha buon cuore, questo non lo nego, ma per tenere le sorti di un regno non è sufficiente» disse la regina, scacciando con un gesto della mano un insetto che era volato nella carrozza. Persino quel moscerino sembrava averne timore e volo via così come era arrivato, permettendole di proseguire. «Tu, invece, sei un uomo capace. Hai sempre dimostrato le tue abilità, conosci i meccanismi politici, sei in grado di inserirtici senza perdere te stesso; ed è una qualità da non sottovalutare. Ti ho dato molto potere, considerandoti come mio rappresentante, eppure il potere non ti ha dato alla testa, come ha fatto con uomini molto più maturi e molto più esperti.»

Tacque, e Giampiero ebbe l'impressione che lei volesse vederlo riconoscente; tuttavia, lui non era disposto a darle quella soddisfazione.

«Il potere non mi interessa» replicò. «E se Nicola non ha alcuna esperienza, questo non significa che non potrebbe essere un buon re: neanche io ne avevo quando mi avete assegnato i primi incarichi. Da lui ho ricevuto la sensazione opposta: se non fosse stato subito accusato dell'uccisione di Guglielmo, avr...»

«Il problema è proprio questo» lo interruppe lei. «Guglielmo non lo riteneva all'altezza, era convinto che fosse troppo docile e che i cortigiani ne avrebbero approfittato. E infatti sono stati proprio loro a chiamare Donna Clara.»

Il marchese sospirò mentre la carrozza si fermava, e sbirciò all'esterno: erano giunti a una villa in aperta campagna.

Il servitore che aveva guidato i cavalli li fece scendere a terra e lui si guardò intorno. Un tempo doveva essere stata una residenza importante, ma le piante rampicanti avevano ricoperto le mura del palazzo e il cancello che delimitava la proprietà. Una distesa verde dalle più varie sfumature si dipanava davanti ai loro occhi, imperando su qualsiasi superficie, con la natura che sembrava aver ripreso il suo potere sull'operato umano.

«Dove siamo?» domandò Giampiero.

«Questo casale appartiene alla mia famiglia da generazioni, ma non lo usa più nessuno da decenni. La posizione sfavorevole, lontano dalle vie principali, non l'ha mai reso una residenza comoda, perché per noi il contatto con Nilerusa è fondamentale, visto che è il cuore pulsante del Defi. Potrebbe essere la tua ricompensa per il servizio presso la mia corte.»

Il Tirfusama aveva ascoltato con attenzione. Un luogo in disuso, lontano dalle vie e dalla capitale... e dunque dal castello di Defi. Alcina lo voleva fuori dagli intrighi di corte? Credeva che il dono di quella villa potesse ristabilire il nome della sua famiglia?

Ci sono in ballo destini che contano più del mio.

«Mi spiace, Maestà» disse. La regina lo scrutava con sguardo inquisitore, quegli occhi chiari che sembravano fatti di vetro; una donna imperturbabile e calcolatrice che nulla poteva scalfire. Ma la decisione del marchese era presa. «Non posso accettare, non sono stato all'altezza. Non merito un dono che mi possa restituire il rango di nobiltà... vorrei prima dimostrare di meritarlo, perché finora non ho fatto abbastanza.»

Seguì un silenzio incerto, in cui Alcina lo scrutava con aria inquisitoria, quasi volesse comprendere le ragioni più recondite del suo rifiuto; ma la mente del marchese le era preclusa, non riusciva a intravedere se non quello che lui voleva.

Non so come tu abbia imparato, ma contrasti la mia magia.

Lui resistette, con la testa sgombra da qualsiasi pensiero: si concentrò sul cielo limpido sulle loro teste e gli parve di vedere che tutto intorno a loro fosse dipinto di quel colore. Non poteva avere la certezza che funzionasse, ma era consapevole di aver già nascosto i propri propositi alla regina in passato e con un po' di fortuna ci sarebbe riuscito anche quella volta.

«Siete un uomo d'altri tempi» constatò infine la sovrana, soffermandosi a guardare le inferriate coperte di ruggine ed edera. «Siete consapevole del fatto che chiunque altro avrebbe accettato senza pensarci?»

Lui annuì, ma non disse nulla.

«Voi forse, e notate bene che vi do del voi e non più del tu, non siete come chiunque altro. Proprio per questo, mio caro Tirfusama, vi concederò la possibilità di poter continuare la vostra carriera da diplomatico rimanendo al mio fianco. Quando vorrete interrompere la vostra carriera, la villa sarà ancora qui per voi, insieme a una somma di denaro sufficiente per ridarle lustro e a un pagamento annuale direttamente dal mio tesoriere.»

«Vi ringrazio» mormorò Giampiero. Trattenne la tentazione di esultare, nell'eventualità che Alcina potesse accorgersene, e si preparò ad affrontare il viaggio di ritorno senza alcun pensiero.

Solo quando fu nella sua camera nel castello di Defi, lontano dagli sguardi della regina, si soffermò a riflettere sulla conversazione avuta con lei. Si accorse di un dettaglio importante e di cui lei non aveva fatto menzione.

La lettera di Felicita... lei non sa che Luciana e Nicola sono ancora vivi.

Lui era certo che la sovrana si fosse accorta del suo modo di guardare la principessa di Dzsaco, che invece era sfuggito a molti. Se Bianca si era accorta dei suoi sentimenti, lei non poteva essere stata da meno; eppure quando parlavano dei Lupfo-Evoco lui ancora non aveva dato alcun segnale di resistenza nei suoi confronti, quindi l'avrebbe rassicurato. Eppure Alcina non ne aveva accennato. Si era limitata a constatare il suo aspetto distrutto: dunque se Raissa l'aveva informata del pericolo che avrebbe corso andando a Mitreluvui, non le aveva messa a parte di tutta la verità

 

***

 

«Maestà, ho delle notizie sui Gredasu.»

La voce di Marco Pomi la raggiunse mentre lei era intenta a rileggere una lettera, arrivata a corte mentre lei era insieme al marchese. La posò sulla scrivania di cristallo e infisse i suoi occhi chiari in quelli bruni del capitano delle guardie. -Sono ansiosa di sapere.»

«Carmen e Silvano vivono ancora nella periferia di Nilerusa, nella casa ereditata dagli avi che vi hanno abitato, così dove li avevamo lasciati l'ultima volta che ho controllato. Ma i figli non sono più lì... Il maggiore è scappato di casa parecchi anni fa, forse una decina, mentre la minore è scomparsa da qualche giorno, ma loro non sembrano preoccupati. Forse sanno dov'è.»

«Questo non è un problema» sorrise Alcina, con il viso di porcellana che riluceva alla luce della candela scarlatta posata sul tavolo. «Se hanno sfidato la maledizione, come ho ragione di credere, la Luna li punirà.»

«E del Tirfusama? Cosa vi è sembrato di lui?» domandò l'uomo.

«Ora che la Lugupe non c'è più, deve trovare un senso ai suoi giorni. Ha rifiutato la mia offerta.»

«Questo vi preoccupa?»

«No.» Alcina si alzò in piedi, rivelando a Marco Pomi la profondità delle rughe sulla sua fronte. «Credevo che le questioni personali l'avrebbero distratto, invece è ancora più determinato nel ristabilire il nome della sua famiglia. Abbiamo ancora bisogno di lui.»

 

   
 
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