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Autore: SkysCadet    08/05/2021    0 recensioni
La cittadina di Filadelfia sembra un borgo tranquillo, in cui la gente comune passa la giornata senza occuparsi degli strani avvenimenti che accadono da diverso tempo. Tuttavia, Simon si ritrova - suo malgrado - a combattere per la salvezza delle anime sfuggite al potere dei Lucifer. Tra questi c'è Joshua, un ragazzo con un dono particolare. Il giorno in cui Ariel - una matricola impulsiva dell'università di Filadelfia - lo incontra per la prima volta, capisce che in lui c'è qualcosa di diverso dagli altri ragazzi. Solo un nome sembra in grado di cambiare il corso degli avvenimenti, un nome che i Lucifer non possono nominare...
Genere: Fantasy, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Passarono inverni, primavere e Joshua, alla soglia dei diciotto anni, aveva cominciato a colmare il vuoto di suo fratello Caleb attraverso l'impegno all'interno del Centro di Aggregazione.

Come faceva solitamente, in uno di quei giorni di giugno in cui il sole pomeridiano di Filadelfia inizia a far sentire l'umidità addosso, dopo aver sistemato le derrate alimentari nel magazzino della mensa, decise di andare a riposare nella sua stanza. Dopo circa mezzora in cui - girandosi e rigirandosi - le lenzuola non erano più tanto fresche, si mise seduto, sbuffando rumorosamente; passandosi le mani sul viso rasato, si accorse di essere madido di sudore. Già fa questo caldo a giugno...Quanto ne farà ad agosto?

La città di Filadelfia si trovava all'estremo sud della Penisola e non era strano avvertire il caldo afoso già dai mesi di maggio e giugno. Cosa che Joshua, però, mal sopportava. Amava le giornate tiepide di ottobre e quel primo sentore di freddo. Tuttavia non amava nemmeno il gelo rigido di gennaio, che soffiava dal monte Aspro situato al centro della Regione e da cui si poteva ammirare il mare cristallino che baciava le coste.

Si alzò e dopo qualche passo, si mise ad osservare il cortile dalla finestra, appoggiato con la spalla al muro: il manto di cemento era adombrato dalla figura del palazzo che permetteva alle cuoche della mensa di confabulare sedute sulle panche di legno e ridacchiare delle proprie esperienze culinarie. Una brezza soffiava da est, rendendo quell'angolo di cortile un punto di aria condizionata naturale. Gli alberi di pepe rosa più in là erano sotto il sole e ci sarebbero volute almeno altre due ore purché i rami facessero la giusta ombra per sedersi sulle panchine poste al di sotto delle fronde.

Girò lo sguardo e vide Nathan dirigersi verso l'auto di Simon: entrava dal lato guida per spostarla e girarla verso l'ingresso. Questa Operazione suggerì al giovane che Simon era in procinto di uscire, e - se alla guida c'era Nathan - voleva dire solo una cosa: un'intervento importante al quale lui non era stato invitato. Sorpreso e lievemente irritato si fiondò in bagno per sciacquarsi la faccia e indossare la maglia bianca lasciata poco prima sulla sedia.

Non avrebbe voluto indossare i jeans lunghi, bensì dei bermuda comodi e freschi, ma era l'unico modo per rendersi presentabile in qualsiasi situazione.

Una sistemata ai capelli arruffati con la mano, uno spruzzo di profumo agli agrumi e sandalo e di corsa percorse il corridoio per farsi trovare in tempo davanti alla soglia della porta di ingresso.

Per le scale si scontrò con Heliu che gli apostrofò un insulto amichevole e a cui rispose un sorriso furbo; per di più, tenendo lo sguardo basso alle scale non si accorse di andare a sbattere contro le spalle larghe di un individuo dal capo riccioluto.«»

«Se non è quel teppista di Heliu, sarà di sicuro suo compare...» constatò l'uomo prima di voltarsi e guardarlo con un cipiglio.

«Perdonami Nathan!»

«Come mai così di fretta?»

«Volevo fare in tempo a venire con voi. Dove andate?» con una mano sul fianco e trafelato.

Nathan aggrottò la fronte, mentre si alzava le maniche della camicia celeste sopra i gomiti: «Ci sono posti in cui tu non puoi venire, Joshua. Se nostro Padre non ti ha chiamato, ci sarà un ragione.» lo licenziò con una pacca sulla spalla.

Quello, ancora con il fiato corto, gli rivolse uno sguardo interrogativo.

«Comunque adesso è impegnato con un'anima. Tarderà l'uscita.» spiegò. Non avrebbe potuto dirgli che, le indagini per Caleb, avevano scoperchiato un vaso di Pandora in cui compariva il movente del traffico di organi.

Così, Joshua attese sul gradino appena fuori l'uscio. Era seduto e si passava il tempo giocherellando con la catenella della sua collana, un po' rigirandola nell'indice, un po' poggiandola sul mento, fin quando non sentì dei passi avvicinarsi alle sue spalle.

«Spero che qui ti troverai bene. Noi faremo di tutto per proteggerti. Stai tranquilla.»

La voce sicura di Simon precedette il suo arrivo allo scalino in cui c'era Joshua. Il ragazzo alzò gli occhi e si mise subito in piedi.

Dopo aver sorriso a Simon con lo sguardo di chi attende la chiamata alle armi, i suoi occhi furono attratti dalla figura che gli stava accanto, raggomitolata su se stessa.

«Ah, ecco Joshua. Potrai stare con lui oggi pomeriggio.» Le rivolse un sorriso sicuro, accarezzandole le spalle. «Ricorda: qui sarai sempre al sicuro, se tu lo vorrai.»

A quello sguardo dolce e rassicurante, lei sorrise timidamente, prima di puntare gli occhi marroni verso quelli verdi di Joshua, da sotto la frangetta castana.

Nonostante il ragazzo fosse incuriosito dalla giovane nuova arrivata, il suo pensiero fu subito rivolto a ciò che avrebbe dovuto fare per seguire Simon.

«Ah! Il rubacuori di Filadelfia!» lo schernì Simon con un paio di pacche alla schiena e stringendo il palmo sulla spalla sinistra, lo avvicinò a sé: «Stai attento a quello che fai. E' giovane e nuova, potrebbe non comprenderti. Lo sai.»

Lui sorrise di sbieco, leggermente infastidito da quell'affermazione, ma glielo concesse. Era la verità, dopo tutto. La sua particolare inclinazione all'ascolto delle anime fragili era spesso confuso con un approccio di interesse affettivo.

Rimase fermo sul posto, fino a quando, dopo aver rivolto un rapido sorriso alla ragazza, si diresse verso Simon in un accenno di corsa. Si fermò fuori dalla vettura in cui il Padre era già entrato, poggiando i palmi sul vetro abbassato. «Ma...Simon, io voglio venire con te.»

Gli occhi al cielo di Simon e le labbra nascoste dietro la barba prima di dargli un insegnamento: «Dimmi Joshua: come pensi di diventare grande nel regno di Dio, se non vuoi fare le cose minime, mh?»

La risposta del giovane fu il silenzio e la mascella serrata. Abbassò il capo un paio di volte e lasciò andare via l'auto grigio metallizzato.

Ritornando verso l'interno si accorse della giovane, sola, poggiata al muro della facciata che lasciava vagare gli occhi al cielo. La maglia di cotone più grande di almeno una taglia era inserita dentro dei jeans a vita alta. I capelli lisci, lunghi fino alla vita contornavano il viso dolce che doveva essere di una giovane poco più piccola di lui. Con un palmo si frizionava la pelle del braccio destro.

«Perdonami, non sono stato carino.» le mostrò la mano con un sorriso tale da provocarle un certo imbarazzo. «No, tranquillo, va bene così.» gli occhi ridenti, ma sfuggevoli alla stretta di mano.

C'era qualcosa di inspiegabilmente attraente in lei; qualcosa di nascosto che lui voleva scoprire, una sensazione mai provata prima; un istinto indefinito, come chi avverte la vibrazione della vertigine semplicemente per il piacere di scoprire come si vola. E con quel pensiero elettrizzante che gli frullava nella mente, si morse il labbro, divertito.

«Vieni, ti mostro un posto per farmi perdonare della pessima accoglienza.» con un cenno del capo, la invitò a seguirlo. «Già perdonato.» gli confidò in un sussurro.

Era troppo strano: quel sorriso e quelle guance arrossate, lo lusingavano parecchio. Forse troppo. Si grattò il mento mentre raggiungevano insieme lo spiazzale che dava di fronte alla Chiesa e dove le fronde degli alberi di pepe rosa sfioravano le panche di legno e metallo rifinito con ghirigori astratti.

La fece accomodare e lui si sedette accanto. Lei con l'aria tesa di chi non conosce nessuno, gambe incrociate come le braccia strette al petto, si guardava le ginocchia.

Rimasero in silenzio a osservare il cielo illuminato dal sole calante i cui raggi tagliavano le nuvole rosa, posandosi su di loro. Nell'osservarla meglio, baciata dal sole, notò che il naso lievemente all'insù era caratterizzato da lentiggini e gli occhi marroni avevano assunto una colorazione chiara, tendente all'oro. Il viso fine, chiarissimo, stava colorandosi nuovamente, forse perché i suoi occhi stavano diventando fin troppo curiosi. Così, si schiarì la voce e iniziò a parlare, poggiando una mano alla fronte per schermare il sole. «Che stupido!» si disse «Non ti ho chiesto nemmeno come ti chiami.»

Lei si voltò, piegando gli angoli delle labbra in un sorriso «Evelyn, piacere mio. Di nuovo!» rise divertita, quando lui le porse la mano e quando lei gliela strinse, Joshua capì di avere in volto un sorriso diverso dal solito; glielo confermarono gli ammiccamenti di Heliu, affacciato dal balcone della sua stanza al primo piano. Fortunatamente lei non aveva notato nulla.

Ma quando lei staccò la mano in uno scatto, lui spense il sorriso, attraversato da una scossa elettrica lungo la nuca.

«Non ti devi vergognare di quello che provi solo perché qualcuno non ti ha mai compresa...»

Le sue parole, erano uscite spontaneamente, come sempre, quando il suo cuore avvertiva la sensazione che un'anima avesse bisogno di essere amata con l'amore di Dio. Sapeva di avere questo dono che già si era manifestato in altre occasioni. Tuttavia quella volta bastò davvero troppo poco: quella parola capace di mettere insieme pezzi di un cuore rotto, poteva essere facilmente frainteso, ma, in quel caso, gli avrebbe fatto davvero piacere esserlo.

La ragazza spalancò gli occhi appannati di pianto. Poi inarcò un sopracciglio, con sguardo rovente. «Cosa sei, tu? Un medium?»

Joshua roteò il busto nella sua direzione. «No. E' che...» improvvisamente giunsero alla memoria le parole di Simon che lo mettevano in guardia sulle sue azioni, ma non volle badarci, preoccupato di scoprire quello che la giovane nascondeva dietro quella corazza di timidezza. «Ho solo la strana capacità di capire da parte dello Spirito ciò di cui hanno bisogno le anime dal cuore rotto.»

La giovane, con gli occhi languidi, si alzò per non mostrare a quel perfetto sconosciuto anche le lacrime, dopo che parti insondabili di lei erano già state scoperte.

Lui la bloccò dal braccio. Poi, in piedi davanti a lei, le prese le mani tra le proprie e mentre la ragazza non riusciva a decifrare i comportamenti di Joshua, lui sentì in dovere di dimostrarle che esistono alternative fuori dal mondo degli uomini e dei Lucifer.

Rimasero in quel modo per qualche secondo, fino a quando lui iniziò ad avvertire uno strano peso sul cuore alla vista degli arti tremanti. I pollici che le sfioravano il dorso delle mani si accorsero di alcune cicatrici concentriche, come bruciature. Fissò lo sguardo sul suo viso basso, mentre una lacrima le attraversava la guancia e i capelli nascondevano i suoi lineamenti. «Chi è stato?»

«C... Come?» gli chiese alzando il mento. Lui le sfiorò i polsi in cui vi erano macchie violacee.

Non avrebbe dovuto agire in quel modo, lui lo sapeva bene. Avrebbe potuto farle del male. Simon l'aveva avvertito più volte di non aprire il cuore alla condizione di coloro che si avvicinavano a lui.

Il respiro di lei si fece concitato e iniziò a guardare oltre le mura della struttura del Centro, quasi con il terrore di non scorgere qualcuno che l'avesse seguita.

«Lasciami andare... Ti prego...» cercò di divincolarsi.

Le lacrime bagnavano le sue guance, mentre l'espressione di aiuto comparsa nei suoi occhi tradiva la richiesta appena pronunciata.

Lui non smise di guardarla dritto negli occhi indagando, quasi con rabbia. Era la prima volta che avvertiva la smania di capire chi avrebbe potuto farle del male. Lei non incrociò i suoi occhi, per non far trasparire anche il nome del suo aguzzino.

«È un Lucifer.»

La ragazza strinse le palpebre, e annuì, in un'espressione disperata. Lui le prese il viso tra le mani. «Puoi fidarti di me. Ci sono qui io, adesso.»

La giovane sembrò perdersi in quel viso e in quegli occhi, ma non comprendeva quegli atteggiamenti così carichi di bontà e interesse e quando la avvolse in un abbraccio, nascondendo la testa tra i suoi capelli lisci e dalle sfumature ramate, pensò davvero di potersi fidare.

Quell'abbraccio, vigoroso, in cui nascondere le proprie paure, le sembrò riempire i vuoti lasciati da chi aveva abusato delle sue emozioni per compiacersi dei propri poteri.

Inalò a pieni polmoni quel profumo agrodolce di bergamotto e sandalo e, con fare insicuro, appoggiò i palmi alla schiena di Joshua.

«Stringimi.»

Le sussurrò all'orecchio e lei lo fece. «Brava, così, non avere paura...» osò e nuovamente la voce di Simon fece capolino nella sua mente: l'avrebbe illusa, ma non poteva farne a meno.

Il suo animo si inebriava al solo pensiero di poter essere stato uno strumento di salvezza.

Evelyn, dopo qualche istante si staccò da lui, rimanendo sul posto senza incrociare il suo sguardo. Si scrocchiò le dita, in preda ad un forte nervosismo, che lui tradusse come la sensazione di chi si aspetta sempre di ricevere il male.

La guardò, ancora e ancora, con le mani ai fianchi studiò la sua figura per cercare di capire quale altra ferita le avessero procurato.

«Smettila di fissarmi!» gli ordinò prima di correre lontano da lui per entrare nelle sale interne del Centro. Quando lui la raggiunse, lei era appena arrivata al terzo piano, proprio di fronte alla sua stanza.

Un guizzo di sorpresa lo colse nel vedere che la ragazza tentava di aprire la porta. «Se ti mostro una cosa, prometti che non lo dirai a nessuno?» era come se nel volto di quella innocente vittima dei Lucifer fosse cambiato qualcosa...

Lui però la assecondò: la fece entrare dopo averle aperto. Lei si guardò intorno e sfiorò con i polpastrelli l'armadio posto accanto al letto per poi appoggiarvi la schiena.

«Siediti.» gli disse, indicandogli il letto. Lui mosse qualche passo senza però staccare lo sguardo da lei con occhi scuriti da un improvviso presentimento. Una volta seduto, lei lo spinse, facendolo ricadere sulla schiena poi poggiò le ginocchia sul materasso per posizionarsi sui suoi fianchi.

Il letto sprofondò sotto il loro peso. «Ma...cosa fai?» pronunciò lui, in una risata nervosa.

«Ecco cosa mi hanno fatto...» un fuoco di ansia mista a eccitazione lo colse improvviso quando lei iniziò ad alzarsi la maglia bianca fin sopra l'ombelico, per mostrargli dei tagli cicatrizzati male che costeggiavano il fianco e finivano oltre il bordo dei jeans; e mentre una mano teneva il tessuto, l'altra prese quella del ragazzo per permettergli di sfiorare una delle cicatrici.

Lui seguì quella linea con l'indice fino a quando lei non decise di levare del tutto la maglia, mostrando ferite in ogni parte del busto e, a quel punto, Joshua si sentì imprigionato in una morsa di rabbia unita a un desiderio irrefrenabile di curare tutte quelle ferite in un modo non del tutto convenzionale.

Così fece in modo di ribaltare la sua posizione: cinse i suoi fianchi per poi adagiarla sulle lenzuola e quando si posizionò sopra di lei, petto contro petto, le tolse dagli occhi una ciocca di capelli e le riservò una carezza col dorso della mano. «Adesso ci sono io. Nessuno ti farà più del male.»

Un sorriso diverso dai precedenti comparve nel volto pallido della ragazza; le gambe gli strinsero i fianchi e le mani gli accarezzarono il volto rigato da un rivolo di sudore.

Le labbra morbide di lei si posarono su quelle di Joshua generando in lui un groviglio di sensazioni contrastanti che lo portarono a confondere realtà e illusione. Avvenne tutto troppo velocemente: fu come essere avvinto da una volontà estranea che lo spaventava e lo attraeva al tempo stesso.

Alla fine, la giovane Lucifer, aveva adempiuto al suo compito: nel gioco della seduzione, lei era alle prime armi, ma, a quanto pare, bastarono quelle a liberare Joshua dai lacci dell'inibizione. Gesti e respiri rimasero avvolti nelle ombre di quella notte che sconvolse per sempre la vita di Joshua.

Il mattino seguente, si era ritrovato solo in quel letto disfatto, con un senso di vuoto nel petto che gli attanagliò i pensieri. Si sedette, scoprendosi nudo e temendo le conseguenze di quella pazzia, si alzò di scatto, cercando di rivestirsi il prima possibile. Uscì alla sua ricerca, ma era scomparsa, così come lo era stato il suo controllo. Cercò invano di rimettere insieme i pezzi di quello che era successo, ma, in quel momento, all'alba di un nuovo giorno nel Centro di Aggregazione, si sentì come Adamo nel giardino dell'Eden quando alle sue orecchie giunse in lontananza la voce di Simon. «Joshua, dove sei?»

***

«Hai idea di cosa voglia dire quello che hai fatto? Qui, in questo luogo? Questa Struttura non è casa tua! Lo è nella misura in cui tu hai rispetto del significato di queste mura! Questa è la Sua casa, nata con i sacrifici dei tuoi fratelli per aiutare chi una casa non c'è l'ha più!»

Le parole che seguirono furono anche peggiori delle precedenti e avrebbero tuonato per sempre nei ricordi e nei suoi sogni«Quella ragazza era un Lucifer ben addestrato e... Dannazione!» esclamò fuori di sé «Io l'avevo capito! Ed era per questo che ti avevo dato delle istruzioni precise. Tu l'ha fatta entrare nel tuo cuore e...» e in un sospiro «Nel tuo corpo...»

«Non mi avvicinerò più ad una ragazza...» gli aveva detto dopo una lunga pausa di silenzio.

«Vedi? Sbagli di nuovo. Dio non vuole questo per te. Non puoi essere come San Paolo che ebbe la forza di non avere moglie e dedicarsi solo al Vangelo. Tu potrai innamorarti, potrai fare innamorare, ma dovrai rendermi partecipe di ogni tua decisione e dubbio. Gesù Cristo non vuole questo genere di sacrifici. Egli vuole solo benedirti mentre accetti la Sua Parola.»

E come ogni volta che si ritrovava a sognare quell'episodio, si svegliò di soprassalto, rigato da un rivolo di sudore ghiacciato; l'unica differenza era che, quel giorno, si trovava nel suo appartamento del quartiere residenziale per studenti.

 

   
 
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