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Autore: Lodd Fantasy Factory    16/05/2021    0 recensioni
Non ho tempo per le introduzioni. Devo raccontare questa storia, e voglio farlo il prima possibile. Prima che qualcosa mi possa fermare... prima che loro... sono dietro ogni angolo. Sono nella mia casa... cancelleranno tutto. Persino me...
Genere: Dark, Mistero, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Il piano di Zhùt

 

 

L’oscurità si avventò sul corpo di Enrico, dominandolo senza difficoltà. Quello sguardo taurino indugiò sulla figura del ragazzo ancora per un’istante, alla stregua d’un ricercatore di reliquie che finalmente riesce nell’impresa di un’intera vita. Quanto a lungo aveva bramato quell’anima!

Il corpo del Widjigò era gelido al tatto, con l’epidermide umida e ruvida; Enrico ebbe la sensazione di trovarsi a contatto con una pianta, oppure con le squame di un pesce.

Il grande salice venne scosso da un tremito che andò a evolversi in un sordo boato che echeggiò per l’intera grotta; la città udì un verso immondo, ma avrebbe finito col convincersi di aver frainteso la natura. Pochi avrebbero invece affidato al Diavolo quella voce infernale, e altri ancora, per il solo desiderio di andar loro contro, avrebbero giurato di aver letto la parola di Gesù in quel lamento.

Io, invece, raggelai.

Mi levai in piedi ad osservare il cielo.

“Enrico…”, mormorai una preghiera alle stelle, ma presto ricordai l’origine di quell’entità primordiale, così come mi era stato confessato da Esso stesso. Anche noi Uomini, eoni addietro, lo siamo stati a nostra volta. Era questa la scomoda realtà dei fatti. Nessuna religione, nessun paradiso, nessun inferno. Iniziava e finiva tutto nel vuoto cosmico.

Avvertii una fitta di gelo, e allora mi strinsi di più nel cappotto.

 

Lloyd contemplò Enrico per un periodo indefinibile, ed entrambi ebbero l’impressione di aver vissuto insieme per milioni di vite.

Osservando dentro quelle cavità malefiche, il giovane riuscì a scorgere cose lontane nello spazio e nel tempo: altre civiltà, altre inutili religioni, altri mondi. Rimase in quello stato sinché il Widjigò non lo adagiò all’interno dell’alcova. Le rampicati risalirono leste lungo le gambe del sacrificio, e quei minuscoli aghi gli iniettarono la sostanza paralizzante ed inebriante.

“Dopo… cosa verrà dopo?”

Philipp lo osservò con la consueta espressione truce prima di liberarsi di quel fardello. “Un pezzo alla volta, un’anima pregna di esistenza dopo l’altra, sino al risveglio ultimo. Quando Màlk-ar-Sùm avrà un solo corpo, torneremo alla nostra natura. Quando questo sarà ormai prosciugato, passeremo al prossimo mondo. Tra i molti, il vostro è quello che ha resistito meno; L’inconcludenza e la belligeranza insensata, gratuita, hanno finito col rendervi deboli, vulnerabili. Abbiamo dormito a lungo, ascoltando per millenni la sofferenza di questo pianeta. Noi siamo la sua cura definitiva. Mi chiedi cosa verrà dopo…? È doveroso risponderti. Sarete parte di Esso.”

“Il mietitore di mondi, intendi?” disse Enrico, notando l’espressione alquanto sorpresa di Lloyd. Non si aspettava di certo che fosse abbastanza in forze per rispondere.

“L’ironia come mezzo di soppressione della paura. Arreso al proprio destino, ma indisposto alla tragedia.”

“Hai imparato bene le nostre lingue. Mai pensato di scriverci sopra un libro? Sarebbe stato un ottimo modo per raccattare fedeli e anime disposte a farsi sacrificare… Ti spaventa che riesca ancora a muovermi, eh? Ricordi: una parte di te è ancora dentro di me. Questo lo avevi dimenticato?”

Philipp Lloyd distolse lo sguardo da Enrico e rimase in ascolto, quasi avesse captato un rumore in lontananza; poi, tornò su di lui e gli impose uno degli artigli sulle labbra, quasi volesse silenziarlo; al solo contatto, sul labbro inferiore si aprì una lieve ferita, di quelle che non si rimarginano più per il resto della vita. La lacrima di sangue appena spillata venne assaporata da una viscida creatura che, affrettandosi lungo l’arto del suo padrone, la raggiunse lasciandosi dietro una scia viscosa simile a inchiostro.

A differenza di quelli già scorti in passato, questa pareva più simile ad un vero e proprio serpentello, dotato però di due raccapriccianti aculei, a mo’ di baffi, che impiegò subito per portarsi alla bocca aguzza e circolare la sostanza. Era disgustosa a vedersi, con una coda che pareva un tentacolo.

“Hai un piano, ragazzo. Folle, ma è chiaro che tu lo abbia”, affermò il Widjigò, rimanendo straordinariamente posato. Si avviò in direzione degli altri sacrifici e, con una certa cura, si premurò che gradualmente iniziassero a morire per mezzo di un taglio preciso della carotide e della giugulare. Frattanto, alcuni esserini avevano preso a discendere dal corpo sigillato nell’albero, lì probabilmente dall’ultimo rituale, e si calarono voraci in direzione di Enrico.

Poteva sentirle strisciare, ma non solo; alcune erano dotate di piccole zampette che, a contatto con il liquame prodotto dalle altre, producevano un raccapricciante zampettio. Il terrore stava al base del rituale; qualora Enrico non avesse ceduto con le parole, le immagini, i pensieri, quegli esserini l’avrebbero costretto con il dolore fisico, strappandogli lembi di pelle con minuscoli morsetti. Sarebbe stata una lunga agonia.

“Suppongo la tua richiesta possa avere a che fare proprio con questo piano. L’ordine è alla base dell’arco vitale, e solo chi in è dote di scrutare attraverso il caos del creato può leggere le tavole dell’esistenza: tutto segue un corso, una linea di condotta. Caos è il termine che utilizzano gli inetti per identificare qualcosa che non sanno spiegare, ma è l’unico che avete coniato e a voi comprensibile. Lo Sciamano…”, aggiunse, fermandosi proprio davanti al vecchio indiano d’America. “Lui faceva parte di quei pochi che hanno osato contrastarci sin dall’inizio; ciò nonostante la sua stirpe si è indebolita, mescolata, sinché non è rimasto l’ultimo. Ostinarsi a lottare contro il tempo è servito a poco. Credi davvero che dei semplici umani possano contrastarci?”

Enrico sgranò gli occhi. Provò a ribellarsi, ma le radici erano troppo aderenti al suo corpo. Tuttavia, la punta della pietra che aveva portato con sé riuscì ad aprirsi un piccolo varco nell’involucro che lo aveva immobilizzato.

“Come sospettavo: non faranno mai in tempo…”, diede voce al brusio dei pensieri, Lloyd, e ne parve deluso, quasi quel frammento di natura umana presente nel Widjigò si stesse rassegnando alla fine. Tornò presto alla sua consueta espressione: “Non sono preparati: già una volta Zhùt ha osato contrastarci, ma la stessa strategia non può funzionare una seconda volta. Ci avete provato. Di questo vi do atto. Un tentativo disperato.”

Si udirono delle voci distanti, terrorizzate, di chi per la prima volta ha da confrontarsi con entità sovrannaturali. In molti sarebbero morti, paralizzati dalla paura.

“Arriva un tempo per ogni cosa… per il fallimento… per la vittoria”, mugolò lo Sciamano. La sua voce era flebile, soffocata, ma indisposta ad arrendersi del tutto. “Se non in questa vita… nella prossima. I peccati dei padri ricadono sempre sui figli. È il mio tempo… era destino che le nostre famiglie fossero unite anche nel fallimento. Ho impiegato tanto per capirlo. Hai ragione tu… sul caos… è stato un onore conoscerti, Philipp Lloyd.”

Quelle furono le sue ultime, rispettose parole: l’artiglio del Widjigò incise con precisione chirurgica la gola dell’indiano; un rivolo prese a sgorgare lento e inesorabile mentre una colonia di quegli esserini si avventava sul suo corpo. Fu un coro di guaiti da far gelare il sangue.

“Zhùt!”, esplose di rabbia Enrico, impotente. Si agitò, incidendo con più ferocia l’involucro, aprendosi per un breve attimo un varco più ampio, sebbene subito le radici si ricomposero.

L’entità all’interno dell’ambra si scosse, estasiata dall’energia assorbita dallo Sciamano; prese a sbattere le ali, scagliando in ogni dove quelle bestiole voraci. Una cadde proprio sul viso di Enrico. Si avventò sul suo occhio con i suoi dentini, perforando il bulbo.

Il dolore fu lancinante, una sensazione pari a venir punti contemporaneamente da un nugolo di aghi. Il giovane lanciò un urlo agghiacciante.

La vista all’occhio destro venne a mancare subito, ed ecco che subentro il terrore, la coda di quell’essere che si agitava sul suo volto, cercando di scavarsi una braccia nella sua iride. Il momento che Philipp Lloyd aveva atteso con piacere.

“La tua anima è pronta!” esclamò, avvicinandosi a grandi falcate. Una delle teste si precipitò da lui, portando per mezzo del tentacolo una fiamma viva, intensa, tanto da permettere a Enrico di vedere la quantità di creature ormai sopraggiunta sul suo volto. Avrebbero iniziato a mordere come una sola bestia, e quel pensiero tirò fuori tutte le sue più recondite paure. Prese a scuotersi, ma avverti i dentini ricercare le sue labbra, i lobi delle orecchie, gli zigomi, il naso!

Il Widjigò sapeva di aver poco tempo per portare a termine il rituale.

Sollevò il Diario verso l’albero, come per annunciare il sacrificio imminente, quindi punse la guancia del giovane per prenderne una goccia di sangue, che lasciò cadere sul dorso del libro. Si accese come una specie di lampada. Solo allora lo protese verso le fiamme per liberarne l’anima contenuta al suo interno.

Il fuoco avviluppò il tomo, crepitando per la grande fame. Si diffuse nell’aria un odore strano, come d’aglio.

L’espressione estasiata del Widjigò, nel contemplare l’ombra oscura contenuta al suo interno librarsi a mezz’aria, non ebbe il tempo di mutare quando il vero segreto del libro si espresse così come Zhùt aveva voluto: un’esplosione di fiamme si propagò per alcuni metri, travolgendo Philipp Lloyd, una parte del salice e raggiungendo l’alcova dove era contenuto Enrico.

 

 

 

Continua...

   
 
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