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Autore: Old Fashioned    20/05/2021    10 recensioni
Prima guerra mondiale. A un giovane e ardimentoso pilota tedesco viene assegnata una strana missione: dovrà atterrare con il suo aereo dietro le linee nemiche e lì caricare a bordo una persona, poi rientrare alla base. Tutto semplice, all'apparenza, peccato che la persona che dovrà caricare, una pericolosa spia tedesca, sia inseguita dal suo arcinemico: una spia inglese di pari livello, disposta a tutto pur di catturare il rivale.
Questa storia è stata scritta per Crazy_person, come modesto ringraziamento per tutte le bellissime recensioni che mi ha sempre lasciato.
Genere: Angst, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Gente mia,
ecco un altro po’ di mappazza, sperando che non siate ancora stanchi delle disavventure del nostro tenente.
Ringrazio molto tutti coloro che mi stanno seguendo, con particolare trasporto affettivo nei confronti di chi è così gentile da lasciarmi anche un commento.
Enjoy (si spera^^)





Sdraiato nel suo letto, le braccia dietro la nuca, von Knobelsdorff rifletteva sulle parole dell’amico. Cosa gliene importava, in fondo, se Herbert lo credeva invaghito di una inesistente valchiria-aviatrice?
In teoria, nulla.
Era un’ottima scusa, anzi, in grado di far passare ogni sua reticenza per delicatezza da gentiluomo.
Senz'altro l'agente segreto avrebbe saputo fare buon uso di una faccenda del genere.
Ripensò a quando, in paramenti sacerdotali, era riuscito a convincere una mezza compagnia di soldati inglesi che si trovava sul loro stesso treno per portare il conforto della fede ai combattenti delle trincee.
Oppure a quando, con la massima disinvoltura, si era fatto passare per un invertito che voleva trascorrere un'ultima notte con il suo amante.
A quel ricordo sentì qualcosa di strano pungolarlo. Gli tornò in mente il momento il cui l'uomo, per rendere la recita più credibile, l'aveva baciato sulla tempia.
Con suo stupore, la cosa non gli suscitò il disgusto che si sarebbe aspettato.
In un empito inconfessabile persino a se stesso, anzi, si trovò a chiedersi cosa sarebbe successo se in quel frangente avesse girato il viso, intercettando le sue labbra con le proprie.
L'enormità di quell'idea gli fece letteralmente balzare il cuore nel petto. Si rigirò sul materasso ed ebbe quasi la tentazione di tirarsi le coperte sulla testa, come faceva da piccolo quando era spaventato da qualcosa.
Herbert,” sussurrò.
Dal letto accanto al suo provenne un grugnito.
Herbert?”
Dormi.”
Imperterrito, von Knobelsdorff chiese: “Senti, ma è vero quello che dicevi oggi?”
L'altro sporse una mano dalle coperte e palpò il comodino alla ricerca della scatola di fiammiferi. Ne prese uno e con quello accese una candela infilata in una bottiglia vuota. Alla fine dell'operazione si voltò verso di lui e perplesso ripeté: “Quello che dicevo oggi?”
Che sono strano.”
Se ti comporti così, indubbiamente mi aiuti a convincermene.”
Von Knobelsdorff si limitò a emettere un sospiro.
Hoffmeyer scosse la testa e gli disse: “Maxmilian, senti, non ha nessun senso rimuginare su di lei nel cuore della notte. Domani dobbiamo andare in volo e non possiamo permetterci di essere stanchi.”
Egli non replicò. Avrebbe voluto rispondergli che non c'era nessuna 'lei', che erano altri i dubbi che lo tormentavano, ma all'ultimo preferì tacere. Emise un sospiro e disse: “Va bene, scusa se ti ho disturbato.”
Vedi di dormire, Max.”
Va bene.”
La candela si spense. Hoffmeyer si raggomitolò di nuovo sotto le coperte, avendo cura di girargli la schiena.
Von Knobelsdorff tornò a sdraiarsi con le braccia dietro la testa, ma il sonno non ne voleva sapere di arrivare. Al suo posto c'erano pensieri di ogni genere che, come sempre accade di notte, si sottraevano a ogni suo tentativo di controllo.
Riandò con la mente agli anni dell'accademia militare.

Gli Spartiati sono gli allievi migliori dell’accademia. I più bravi in ogni materia, i più dotati nelle discipline sportive. C'è chi dice che condividano con l'élite guerriera di cui hanno scelto il nome anche una particolarità che non si può menzionare, ma sono senz'altro malelingue, invidiose delle loro maggiori capacità.
Friedrich von Wangenheim è il migliore degli Spartiati. Nella lotta nessuno può tenergli testa, sa portare all'obbedienza anche il cavallo più riottoso. Con una spada in mano, sembra l’arcangelo Michele che combatte contro Satana.
Egli lo guarda mentre in sella a un vigoroso baio affronta una doppia gabbia che ha avuto ragione di ogni cavaliere prima di lui.
Von Wangenheim porta l'animale a raccogliere l'andatura, accumulando potenza in vista del salto. Il baio si raccoglie e vola sul primo verticale senza nemmeno sfiorarlo. “Voglio vederlo sull'oxer,” dice un allievo che come lui sta seguendo il percorso dello Spartiate.
La muscolatura del baio si tende, l'andatura si accorcia mantenendo però il vigore. L'animale supera anche quell'ostacolo con facilità.
Egli sposta lo sguardo dal potente animale al volto concentrato del cavaliere. Lo vede stringere le labbra e aggrottare appena la fronte in vista del terzo elemento della gabbia. Mani e busto cedono in avanti dando spazio al cavallo, che di nuovo sembra volare con facilità sull'ostacolo.
Vorrebbe entrare anche lui in quel gruppo esclusivo.
Veramente non sarebbe consentito ai ragazzi del suo anno, dovrebbe aspettare come minimo il successivo. Von Wangenheim però gli ha sempre dimostrato una considerazione particolare, che ad altri non riserva. Duella con lui, ad esempio, gli concede incontri di lotta. Una volta sono anche andati a nuotare insieme al fiume e poi si sono stesi nudi sulla rena ad asciugarsi, uno accanto all'altro.
È sicuro che accetterà di metterlo alla prova.
Glielo chiede mentre von Wangenheim, ancora una volta trionfatore, sta uscendo dal recinto con il cavallo alla mano.
Questi lo fissa serio, così a lungo che a un certo punto lui si convince che lo manderà via, ma alla fine semplicemente dice: “Domani sera, all'ala est.” E poi prosegue verso le scuderie.
Il cuore gli balza nel petto. “Ci sarò!” gli assicura con calore, e a quelle parole ha come l'impressione di suscitare anche nell'altro un calore particolare.

L'ala est è vuota, forse in attesa di lavori di ristrutturazione. È un susseguirsi di stanze immense, dai soffitti altissimi, nei quali si indovina il biancheggiare di stucchi ornamentali.
Dalle finestre entrano i raggi freddi e senza colori di un'enorme luna piena.
Egli scruta nel buio, oltre le chiazze di luce lattescente che si proiettano sul pavimento. Sarà lì von Wangenheim?
Sorride fra sé e sé. Sa che è li, sa che lo sta aspettando in qualche punto di quel labirinto silenzioso. Quasi percepisce una strana forma di inquietudine aleggiare nell'aria: sarà venuto? Avrà il coraggio di portare a termine la prova?
Sorride di nuovo, come per rassicurare un invisibile interlocutore, poi si addentra nel luogo oscuro, traendo cupi echi dai soffitti. Man mano che procede, sente che si sta lasciando alle spalle tanti elementi della quotidianità – la luce, il calore, la tranquilla consuetudine con i camerati – e sta raggiungendo una solitudine gelida, nella quale troverà se stesso o si perderà per sempre.
Tutto è immobile e come in attesa.
Egli procede, raggiunge una scala d'onore i cui gradini si perdono nel buio. Ai lati di essa, silenti guardiani, due Atlanti di marmo lo fissano.
Va oltre, sale, si addentra nelle tenebre e poi ne esce, giungendo a un salone nel quale di nuovo si riversa la luce argentea della luna.
Sotto uno strato di polvere si indovinano sul pavimento scacchi bianchi e neri. Le pareti sono ornate da stucchi d'ispirazione militare.
Al centro del salone vi è un tavolino. Si avvicina e vede che su di esso è posata una sciabola sguainata.
La lama brilla debolmente.
Si guarda intorno. Sente che von Wangenheim è vicino, molto vicino. Forse lo sta già tenendo d'occhio. Sta guardando cosa fa, se raccoglie l'arma, o se scappa spaventato da quella sinistra messa in scena.
Non ha attraversato quel misterioso regno dei morti per girarsi e fuggire: impugna la sciabola, procede.
Si lascia il salone alle spalle, si addentra in un corridoio oscuro.
Sbuca in un secondo salone, più grande del precedente. Più ampio, più solenne. Con echi più cupi.
Von Wangenheim è lì.
È in piedi davanti a una finestra, sembra assorto nella contemplazione della pianura notturna. Impugna una sciabola che tiene lungo la gamba, con la punta rivolta verso il basso. Egli si accorge dell'arma solo dal fremito di luce che per un istante ne percorre il filo.
Ti aspettavo,” dice lo Spartiate senza voltarsi.
Sono qui.”
A quel punto Friedrich von Wangenheim si gira lentamente. Il viso non tradisce alcuna emozione. Solleva la sciabola in un elegante saluto e si mette in guardia.
Egli capisce che quel solenne invito a battersi è un alto segno di considerazione. Non è l'assalto scolastico portato avanti in presenza degli istruttori, ma è un confronto onorevole, senza esclusione di colpi. Un confronto tra guerrieri.
Solleva a sua volta la lama nel saluto, accettando il duello con una strana sensazione di aspettativa.
E poi esplode la violenza dello scontro.
Il silenzio cristallizzato – un silenzio che sembra perdurare intatto da duecento anni – viene scacciato dal clangore delle lame e dagli ansiti dei contendenti.
I colpi sono portati a pieno, ogni assalto è esaltazione e bramosia.
Infine von Wangenheim lo costringe con le spalle al muro. Tira un fendente che sarebbe letale, ma lui riesce a pararlo bloccando la sua sciabola con la propria.
Non ha paura. Il sangue gli romba nelle orecchie, il petto si alza e si abbassa in respiri che sembrano letteralmente tracannare l'aria fredda. Si sente vivo come non mai.
Von Wangenheim gli si fa più vicino, si fissano ansanti al di sopra dell'incrocio micidiale delle lame. “Combatti bene,” mormora. Illuminati in pieno dal chiarore lunare, i suoi occhi sono abissi di fuoco gelido.
Non potevo offrirti di meno,” gli risponde.
Le lame tra loro due sono sempre immobili l'una contro l'altra, senza un fremito. Croce di acciaio disegnata dalla luce senza colore.
Continuano a fissarsi negli occhi. Poi le lame cadono a terra con un subitaneo clangore, rimangono immote sulle pietre nude del pavimento.
I corpi si avvincono come quelli di due lottatori, le bocche si uniscono bramose, avide. La vicinanza ideale, prima che fisica, li stordisce.

Quasi sussultò a quel ricordo. Istintivamente si fece indietro come se anche lì, nel buio della sua camera, von Wangenheim fosse accanto a lui, pronto a baciarlo come aveva fatto quella volta.
Il pensiero gli spedì lungo la schiena un colpevole brivido di eccitazione.
Emise un sospiro sconsolato. Si era sottratto, era stato vile. Aveva interrotto un bacio che era estasi e perdizione al tempo stesso, ed era tornato al rassicurante calore della quotidianità, chiedendosi se in realtà fosse quella la vera prova.
Non l'aveva più ripetuta, comunque, perché aveva capito in quel frangente che il passo sarebbe stato senza ritorno.
La voce di Hoffmeyer lo richiamò bruscamente alla realtà: “La pianti?”
Cosa?
Ti stai rivoltando come un bue sul girarrosto. Vatti a fare una passeggiata se non hai sonno, ma lascia dormire me.”

§

Von Knobelsdorff contò gli aerei che i meccanici stavano preparando e dedusse con soddisfazione che ce n'era uno anche per lui.
Nonostante tutto, l'ebbrezza della caccia nel cielo si stava impadronendo di lui come di consueto. I muscoli erano tesi, lo sguardo inesorabilmente calamitato dall'orizzonte, ove si addensava la caligine del fronte. Laggiù si combatteva, laggiù c'erano aerei nemici.
Nonostante il discorso che Kunz gli aveva rivolto, calcolò quanti abbattimenti gli mancavano all'agognata qualifica. Da una parte sorrise fra sé e sé all'esiguo numero, dall'altra si obbligò alla prudenza: era proprio quando si arrivava a sei o sette vittorie che l'entusiasmo soppiantava l’avvedutezza.
Il tenente considerò che morire in un frangente del genere sarebbe stato veramente triste.
Guardò i colleghi che stavano uscendo dagli alloggi. Alcuni avevano già gli abiti di volo addosso, altri erano inseguiti da attendenti con le braccia cariche di cappotti e pellicce. Il capitano Kunz camminava un po' discosto dagli altri, con addosso un pastrano che doveva essere quello che aveva portato anche in trincea.
Quando il comandante ebbe raggiunto il suo aereo, i piloti gli si riunirono intorno.
Von Knobelsdorff li imitò, prendendo posto nel semicerchio che si andava costituendo.
Kunz fissò ognuno di loro dritto negli occhi. Non si soffermò su nessuno in particolare, dedicando a tutti, con severa imparzialità, lo stesso sguardo duro e indagatore.
Infine disse: “Lor signori conoscono gli ordini: compito delle truppe aeree è impegnare in combattimento e neutralizzare il nemico. Non voglio sciocche gare tra piloti, voglio efficienza.”
Si diresse al suo aereo e prese posto nella carlinga. Un meccanico andò all'elica per la procedura di messa in moto.
Gli altri si diressero alla spicciolata verso i rispettivi Albatros.
Von Knobelsdorff individuò quello che gli era stato assegnato, per forza di cose neutro come quello del comandante, e vi montò sopra pensando a come avrebbe potuto personalizzarlo. Gli venne in mente un lupo ringhiante, con il pelo dritto sulla schiena.
La voce di Kramer lo richiamò alla realtà: “È pronto, signor tenente?”
Egli si riscosse. Compì i controlli pre-volo con la disinvoltura dell'abitudine, quindi azionò i circuiti elettrici ed esclamò: “Contatto!”
Dal basso provenne la risposta: “Contatto!” E poi la familiare vibrazione dell'elica che veniva azionata manualmente.
Sorrise fra sé e sé mentre il motore cominciava a girare, salutò come vecchie amiche le lancette degli strumenti che si animavano e raggiungevano, si sarebbe detto con trepidazione, il loro posto sui quadranti.
I meccanici tolsero i tacchi da sotto le ruote, l'aereo prese a rullare dolcemente sull'erba. Egli si guardò ai lati, controllando la posizione dei colleghi, e manovrando freni e manetta si diresse verso la testata pista per il decollo.
Per primo s'involò il comandante, poi Marquadrt, poi Hoffmeyer... sorrise di nuovo: era come una magnifica battuta di caccia fra amici, pericolosa ma esaltante. Raggiunse la posizione di decollo, fece gli ultimi controlli e poi diede tutta manetta. L'Albatros balzò in avanti, l'aria cominciò a frustargli il viso.
E poi ci fu il momento magico in cui l'aereo staccò le ruote da terra. In quell'istante, a von Knobelsdorff parve che una cappa di piombo gli cadesse dalle spalle, rendendolo libero, leggero e colmo di ardore.

La Jasta volava in formazione compatta. Il fronte ribolliva in lontananza, velando l'aria tersa di una caligine venefica.
Già si coglievano le vampate gialle delle esplosioni e gli archi bianchi che i proiettili incendiari si lasciavano dietro, quegli stessi archi che di notte aveva visto come fatati zampilli di luce.
Scrutò il cielo con aspettativa. Sapeva che gli inglesi c'erano, o se non c'erano sarebbero arrivati a breve.
Controllò ancora una volta gli strumenti, poi di nuovo sondò l'azzurro. In alto, dove il ribollire delle esplosioni non giungeva a offuscare il nitore del primo mattino.
Individuò qualcosa: punte di spillo che apparivano e scomparivano nell'aria tersa. Simultaneamente vide l'aero di Kunz guizzare verso l'alto alla ricerca di quota.
Tutta la Jasta si animò, gli Albatros schizzarono in ogni direzione. Von Knobelsdorff diede tutta manetta, continuando a tenere lo sguardo fisso sul nugolo di puntini, che stavano diventando rapidamente sempre più visibili.
Salì fino a che non cominciarono ad assumere le fattezze spigolose di biplani, poi livellò. Il più avanzato degli inglesi stava già sparando: vide Marquardt scivolare d'ala e buttarsi nella parabola ascendente di un looping.
Hoffmeyer si era già scelto un avversario e così anche Kunz. Lui si guardò intorno e captò ai margini del campo visivo il guizzo di un Sopwith Pup: l'inglese gli stava piombando addosso a tutta manetta, i lampi arancioni sul muso dell'aereo indicavano che gli stava già sparando.
Egli cabrò rapido, sottrasse bersaglio e con un mezzo looping gli si portò alle spalle. Sparò a sua volta una raffica, strappandogli brandelli di rivestimento alare.
L’inglese derapò per cercare di sganciarsi, ma von Knobelsdorff ormai gli era stabilmente in coda. Fece partire un altro paio di raffiche. Il Sopwith Pup sembrò immobilizzarsi nell'aria, poi puntò il muso verso il basso e cominciò a precipitare lasciandosi dietro una scia di fumo nero.
Cadde e rimase immobile. Tutti l’avevano visto, quindi, con buona pace di Kunz, l’abbattimento era confermato.
Numero sette!” gridò. Alzò il braccio in un gesto di vittoria, ma a quel punto una gragnola di colpi gli attraversò una semiala. Si girò di scatto e si trovò alle spalle un Sopwith Triplane. Immediatamente si attaccò alla cloche e fece una brusca virata. Riuscì a evitare la seconda raffica, ma il triplano gli rimase attaccato alla coda.
Diede manetta, salì bruscamente di quota, impostando subito dopo una virata a coltello. Brandelli di rivestimento alare schizzarono via lasciando in vista una centinatura.
Si girò di nuovo e gli parve quasi di cogliere l'espressione concentrata del pilota inglese.
Eseguì una virata talmente stretta che sentì le strutture dell'Albatros vibrare, salì ancora, cerò di rigirarsi per affrontare l'avversario, ma esso non perdeva la posizione, nonostante la minore manovrabilità del suo aereo.
Peraltro, essendo più veloce stava anche inesorabilmente accorciando le distanze.
Diede manetta, tirò la barra tutta indietro in un brusco looping, poi al culmine della parabola si rigirò con un mezzo tonneau. L'inglese parve rimanere disorientato per qualche secondo, ma subito dopo le sue pallottole ricominciarono a perseguitarlo.
Il tenente era costretto a fare una manovra dopo l'altra per cercare di sfuggire a quello che evidentemente doveva essere un asso. Ormai aveva il rivestimento di un'ala a brandelli e poteva immaginare che i piani di coda non fossero in condizioni migliori. Un tirante reciso sbatacchiava a ogni manovra.
Fece derapare bruscamente l'aereo, virò stretto, puntò il muso verso l'alto e poi di nuovo lo buttò in basso per arrivare a fronteggiare il triplano. Per un secondo riuscì a inquadrarlo nel collimatore e a sparagli una raffica, ma subito dopo l'inglese guizzò via.
Von Knobelsdorff, ormai sudato e ansante, si guardò disperatamente intorno, scrutando il cielo alla ricerca dell'avversario. Non sapeva da quanto stesse andando avanti il combattimento, ma ad ogni manovra era più stanco e si sentiva sempre più frastornato. Doveva sganciarsi in qualche modo, oppure entro breve avrebbe commesso l'errore fatale.
Altri proiettili gli bucarono l'ala. Si girò e il respiro gli si bloccò nel petto: l'inglese gli stava piombando addosso dall'alto, col sole alle spalle.
Un pensiero gli attraversò la mente come un lampo: è la fine.
Poi un'ombra passò rapida dietro il triplano. L'aereo inglese parve sussultare, poi si inclinò, buttò giù il muso ed entrò in vite.
Il tenente rimase a fissarlo attonito per qualche secondo. Si guardò intorno per capire chi fosse intervenuto in sua difesa e vide un aereo dalla mimetizzazione standard, con nient'altro che le coccarde di nazionalità.

§

Sull'attenti davanti alla scrivania di Kunz, l'espressione perfettamente neutra, von Knobelsdorff fissava un punto all'infinito dietro le spalle del comandante.
Questi lo squadrò severo per lunghi secondi. Infine, con voce tagliente gli chiese: “Dove pensava di essere, tenente, alle giostre? Magari seduto su un cavallino di legno?”
Nossignore.”
E allora come mai si sbracciava come uno stupido nel bel mezzo di un combattimento aereo?”
Von Knobelsdorff strinse le labbra. Lo sa benissimo, il perché, avrebbe voluto rispondergli, ma preferì rimanere in silenzio.
L'altro naturalmente non si accontentò. “Allora?” lo sollecitò.
Esultavo per aver conseguito la settima vittoria, signor capitano.”
Kunz sollevò le sopracciglia e si fece addirittura un po' indietro sulla sedia, come se la notizia l'avesse lasciato sconcertato. “Lei esultava per la vittoria conseguita?”
Sissignore.”
Il capitano annuì grave, quindi disse: “Allora lasci che le spieghi un paio di cose, tenente: in guerra non si esulta ma si compie il proprio dovere. Non ci sono vittorie da conseguire, dal momento che non siamo al tiro a segno di una festa di paese, ma obiettivi da raggiungere e nemici da neutralizzare.” Fece una pausa, poi decretò: “Fino a nuovo ordine, lei è adibito al servizio a terra.”
Cosa?” esclamò il tenente.
Senza alzare la voce, Kunz replicò: “Non le ho dato il permesso di parlare.”
Von Knobelsdorff ignorò la precisazione e ripeté: “Cosa? Mi lascia a terra?”
Impassibile, il capitano proferì: “In volo è un pericolo per sé e per gli altri.”
Lei non può lasciarmi a terra! Io sono un pilota, sono qui per volare!”
Lei è qui per eseguire gli ordini. Ora si calmi, altrimenti mi obbligherà a prendere ulteriori provvedimenti disciplinari nei suoi confronti.”
Signore...”
Si ritenga congedato, tenente.”

Von Knobelsdorff abbandonò la stanza furibondo. “Ecco cosa succede quando si ha a che fare con i borghesi,” ringhiò, a voce sufficientemente alta da farsi udire al di là della porta.
Era capitato che von Stade gli avesse salvato la vita, una volta, come del resto era capitato il contrario. Signorilmente, nessuno aveva mai fatto pesare la cosa: il salvato aveva offerto all'altro una bottiglia di buon vino del Reno e la questione si era chiusa con un brindisi.
Era partito con le migliori intenzioni, onestamente. Avrebbe voluto ringraziare il capitano Kunz e offrire anche a lui una bottiglia, ma evidentemente quel tanghero non aveva idea di come ci si dovesse comportare tra ufficiali.
Si chiese se avesse fatto l'accademia o se provenisse dai ranghi, poi stabilì che in fondo non gli interessava.
Si allontanò a grandi passi. Servizio a terra, ancora non riusciva a crederci.

§

Von Knobelsdorff calciò sconsolato un sassolino, spedendolo a rimbalzare poco lontano. Alzò gli occhi verso il cielo, poi li abbassò sulla pista ed emise un sospiro. Era una settimana che saliva sugli aerei solo per spostarli da un punto all'altro del campo d'aviazione, o per tirarli fuori dall'hangar al mattino.
Tese l'orecchio, ma nell'aria vi erano solo qualche cinguettio d'uccelli e il parlottare di due meccanici che stavano riparando un'ala danneggiata. Non si udiva ancora il familiare ronzio degli aerei in avvicinamento.
Si chiese se il Vecchio avesse intenzione di tenerlo a terra ancora a lungo. Rivolse uno sguardo velenoso all'edificio del comando e masticò un'imprecazione, poi si accorse che un piantone si stava dirigendo verso di lui.
Quando l'ebbe raggiunto, il soldato si mise sull'attenti e scandì: “Signor tenente, il Rittmeister[1] von Thurn und Taxis chiede di vederla!”
L'ufficiale rimase perplesso. Conosceva i principi von Thurn und Taxis, ma solo superficialmente, perché tra famiglie nobili più o meno ci si conosceva tutti. Non ne aveva mai incontrato uno di persona.
Dov'è questo Rittmeister?” chiese.
Nella sala grande, signor tenente.”
Von Knobelsdorff congedò il soldato e si diresse a grandi passi verso la palazzina degli alloggi, formulando nel frattempo le più varie ipotesi: chi poteva essere un capitano di cavalleria sconosciuto che chiedeva di lui? Era qualcosa che aveva a che fare con la guerra o con la nobiltà?
Entrò nella sala grande. C'era in effetti un ufficiale. Era di spalle rispetto a lui, aveva l'uniforme degli ussari. Era di altezza un po' superiore alla media, snello, con i capelli biondo grano.
Von Knobelsdorff si mise sull'attenti e in tono marziale si presentò.
L'altro si girò.
Oh! Ma...” balbettò il tenente, e poi non riuscì a dire altro.








[1] Capitano di cavalleria.





   
 
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