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Autore: _Lisbeth_    20/05/2021    1 recensioni
Dal prologo:
"- E anche questa giornata di lavoro è giunta al termine. - la frase della dottoressa Warren fece annuire la giovane tirocinante, che raccolse tutte le sue cose dal divanetto e le sistemò nella borsa.
- A che ora dovrei venire, domani?
- Domani... - Danielle Warren si alzò dalla propria sedia e diede uno sguardo al calendario appeso alla parete, mettendosi in punta di piedi per poter vedere meglio. – Domani non abbiamo pazienti. Però ho una buona notizia da darti: da venerdì potrai tenere tu stessa le sedute."
"Jake prese un sorso dal bicchiere. – Perché sono qui?
- Perché sono il tuo numero di emergenza e ieri sera eri praticamente in coma etilico."
"- Jake. – la ragazza puntò gli occhi in quelli del fratello. – Ti rendi conto che è qualcosa che potrebbe aiutarti?
- No! – si alzò dalla panchina su cui era seduto e sbarrò gli occhi. – Come dovrebbe farmi stare meglio parlare con una persona che non ho mai visto dei cazzi miei? E’ come prostituire i propri neuroni."
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Jacob Kiszka, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Tracy si scompose per un attimo quando, aprendo gli occhi scuri, si vide in un letto non suo. Letto che, per altro, era piccolissimo.
Per meglio dire, non lo sarebbe stato se, in quel letto, ci fosse stata solo lei.
Guardò alla sua destra e sorrise, notando solo una chioma di capelli lunghi a coprire un volto immerso già per metà nel cuscino sotto alle loro teste. Le coperte erano finite ai piedi del letto, sicuramente calciate via durante la notte da uno dei due. Si erano addormentati con ancora addosso i vestiti, Tracy aveva ancora la sua gonna e Jake, quasi complementarmente, la camicia che aveva indossato la sera prima e i pantaloncini del pigiama.
Tracy scostò le ciocche scure dal viso dormiente di Jake, incastrandole dietro al suo orecchio destro. Restò a guardarlo per un po’, ricordando la serata che avevano passato insieme. Era da tempo che non si trovava a letto con qualcuno, durante gli anni passati era successo un paio di volte e due erano le cose: o si svegliava da sola o concludeva subito la relazione ancor prima che iniziasse.
Ma, in quel caso, aveva aperto gli occhi e si era trovata Jake accanto. Si sentì sorridere ancora e posò una mano sulla guancia visibile del chitarrista, accarezzandola dolcemente con il pollice.
Jake aveva sbavato leggermente sul cuscino, dormiva a bocca semiaperta. Una gamba era avvolta intorno alle proprie, il braccio sinistro sotto al cuscino e il destro penzolante all’altezza dello stomaco. Aveva le ciglia più lunghe di quanto pensasse, distese dolcemente sugli zigomi sporgenti. Passò il pollice sulle sopracciglia folte e spettinate, sistemandole.
Ancora una volta, pensò di non aver mai visto un ragazzo più bello di lui. La corporatura minuta, i lineamenti quasi femminili e la bassa statura lo rendevano adorabile, tanto da farlo sembrare più piccolo della sua età. Se non lo avesse conosciuto, non gli avrebbe dato ventisette anni.
Osservò il petto di Jake muoversi lentamente, cullata dai suoi respiri morbidi mentre continuava ad accarezzargli la fronte e le guance. Si sedette cercando di essere più delicata possibile per non svegliare il ragazzo addormentato, allungandosi per afferrare la camicetta bianca che aveva lanciato via la sera prima.
Doveva aver fatto un movimento brusco senza rendersene conto, perché sentì Jake mugolare. Si voltò a guardarlo, allungando un braccio per accarezzargli i capelli quando lo vide aprire gli occhi. Jake le prese la mano, portandosela vicino al petto.
Nonostante sapesse che quello della sera prima non era stato semplicemente del sesso occasionale, che tra lei e Jake ci fosse un legame che nemmeno lei sapeva spiegare, quel gesto la sorprese. Le faceva capire che Jake la volesse accanto a sé. Aveva l’esigenza che qualcuno si prendesse cura di lui, e Tracy amava prendersi cura delle persone. Lo faceva per lavoro. Si sdraiò nuovamente accanto al chitarrista che nel frattempo aveva richiuso gli occhi. Il ragazzo accettò ogni tocco con un sorriso e intrecciò le dita con le sue, rannicchiandosi in posizione fetale. Tracy prese a pettinargli i capelli con le dita e Jake, a quel tocco, si rilassò completamente.
Quando i suoi occhi scuri si schiusero di nuovo, la ragazza sorrise e gli lasciò un’altra morbida carezza sul viso. – Ehi.
Jake sbadigliò e seppellì il viso nella sua spalla. – Ehi.
- Dormito bene?
Il ragazzo abbassò nuovamente le palpebre e annuì. – Mhmh.
Era di poche parole, ancor di più a prima mattina. Tracy rispettò il suo silenzio, capendolo, restando semplicemente lì ad accarezzargli i capelli.
- Grazie per essere rimasta.
- Be’, non ho le chiavi.
- Oh. – Jake riaprì ancora gli occhi grandi. – Vero.
Tracy rise, stringendogli la mano. – Scherzo. Sarei rimasta in ogni caso.
- Possiamo restare così per un po’?
- Sì, a patto che non ci venga fame.
 
 
Tracy aggrottò la fronte quando si ritrovò da sola nel suo letto. Non che le interessasse granché, in realtà. La sera prima era stata forse la più noiosa della sua vita e si chiese cosa le fosse preso per essere effettivamente stata a letto con quel ragazzo. Era stato imbarazzante, lui aveva fatto versi eccessivi e forzati per tutto il tempo, e lei aveva anche cercato di dirgli che non ne aveva bisogno, ma il ragazzo aveva continuato, mettendola evidentemente a disagio. E non aveva provato piacere, nemmeno un po’.
Lui si chiamava Nick ed era un amico di Brad, il ragazzo di Maggie. Inizialmente aveva pensato di essere interessata a lui, ma più la serata era andata avanti meno si era sentita sicura della cosa. Si era comunque detta di provarci, di dargli una possibilità, ma il sesso della sera prima le aveva confermato che Nick non era assolutamente il suo tipo.
Solo che, quando non lo trovò, non poté fare a meno di chiedersi dove fosse andato a finire. Si alzò in piedi e infilò la prima cosa che trovò accanto a sé, una lunga vestaglia azzurra.
- Nick? – domandò a bassa voce, cercandolo. Quando entrò in sala, non riuscì a ignorare il fatto che quel ragazzo fosse sdraiato sul suo divano a mangiarsi tranquillamente una mela, completamente vestito e con le scarpe sul tavolo davanti a sé.
Restò immobile sulla porta, per poi sbottare: - Ma che cazzo?!
Nick sobbalzò, passandosi una mano tra i capelli a spazzola, per poi ricomporsi e guardarla. – Che, vuoi una mela, principessa?
Tracy, se possibile, strabuzzò ancor di più gli occhi. Quell’approccio da ragazzino alle prime armi la innervosì non poco. – Principessa?
- Be’? Non ti piace?
La povera psicologa inclinò la testa, fissandolo con le sopracciglia inarcate. – No?
- Peggio per te.
Tracy stava perdendo la pazienza. E non era da lei, perdere la pazienza. Il suo tipico temperamento mite non le aveva mai permesso di cacciare qualcuno a calci da casa sua. – Tu sei venuto qui ieri sera, hai mangiato in casa mia, hai dormito nel mio letto e adesso ti trovo sul mio divano a mangiare una diamine di mela?
- Non vedo cosa ci sia di sbagliato, dopotutto sei pazza di me.
- No! No, Nick! – sbuffò, strappandogli la mela dalle mani. – Ci conosciamo da tre giorni, Cristo! Hai ventott’anni e non ti rendi conto che sia completamente stupido il fatto che tu sia venuto nella mia cucina e ti sia preso una mia mela, lavandola con l’acqua del mio rubinetto e poi sia venuto a farti i cavoli tuoi sul mio divano? E leva quelle scarpe dal mio tavolino! – alzò il tono della voce ad ogni aggettivo possessivo in prima persona che pronunciava.
- Mio, mio, mio, e dai! Dopo ieri possiamo dire di essere un “noi”.
La ragazza non ci stava più credendo. Non era una cosa possibile, quella che stava accadendo. – E’ casa mia!
- E’ bello condividere!
- Sì, bene, la condivido già con Maggie.
- Ma tre è il numero perfetto.
Tracy respirò profondamente per cercare di calmarsi. Si passò una mano sul viso, sospirando. – Fuori.
- Eh?
- Esci da casa mia! Cosa c’è di incomprensibile nella parola “fuori”, Nick?
- Ieri però ti piaceva la mia presenza, però.
- E’ stato il peggior sesso della mia vita.
- Ma non…
- Fuori!
La ragazza vide Nick alzarsi dal divano con uno sbuffo. Prima di uscire si voltò verso di lei. – Almeno mi ridai la mela?
Tracy gli sbatté quella benedetta mela sul palmo della mano, indicandogli la porta. E, quando finalmente Nick si dileguò, Tracy tirò il sospiro più lungo della sua vita. 
 
 
- Our house, is a very very very fine house. – rise Jake tenendo Tracy tra le braccia, sporgendosi per baciarla mentre si muovevano seguendo la musica. Il ragazzo aveva messo su il vinile di una delle band che ascoltava sin da bambino, che anche la giovane psicologa conosceva. Era “So far” di Crosby, Stills, Nash & Young ed era perfetto per quella dolce mattina di Luglio. Più stavano insieme, più capivano che quei momenti erano perfetti. Si erano aspettati per così tanto tempo, tempo che stava venendo ampiamente ripagato.
Tracy si rese sempre più conto del fatto che quel ragazzo fosse esattamente ciò che cercava, il legame che avevano era speciale. Si erano conosciuti in un contesto particolare, in cui Tracy aveva capito e condiviso il dolore di Jake. L’aveva conosciuto in un momento difficilissimo della sua vita e si era innamorata di lui proprio in quell’occasione. Vederlo così spensierato, sentirlo ridere sinceramente era incredibile. Il viso illuminato dall’espressione allegra e serena, il suono limpido della sua risata.
Lo guardava e sentiva di amarlo. Forse l’aveva sempre amato, non aveva mai smesso, e si sentiva una bambina a pensarlo, ma non poteva farci nulla. Era ciò che sentiva, lo sapeva.
Jake la baciò di nuovo, accarezzandole il viso. – Non te ne andare.
- Tranquillo, Maggie starà dormendo come sempre. – gli strinse più forte la mano. – Ci vorrà un po’ prima che arrivi.
- Ah, quindi potevo dormire un altro po’?
- Guarda che sei stato tu a dire “Oh, che noia! Facciamo qualcosa insieme”. Ti contraddici facilmente.
- Ah sì? E tu, che prima non riuscivi a decidere che biscotti mangiare?
- Non è colpa mia se compri dei biscotti buonissimi tutti diversi. – gli lasciò un piccolo bacio sulle labbra.
- Questo perché i miei fratelli mi vengono a disturbare e a loro non va mai bene niente. I miei fratelli e Danny.
- Danny è quel ragazzo che mi ha risposto al telefono quel giorno?
Vide Jake aggrottare la fronte. – Che giorno?
- Quello in cui ci siamo visti per l’ultima volta.
Vide il ragazzo pensarci un po’ e alzare le sopracciglia subito dopo. – Sì, sì. Te lo ricordi?
- Direi di sì.
- Wow. – Jake rise leggermente. – Mi incuti timore, ora.
- Anche tu mi incutevi timore mentre mi fissavi quando dovevo scegliere i biscotti.
- Oh, sì, ti piace questo disco? – cambiò argomento ridendo, portandola verso il divano.
- Molto. Lo conoscevo, ma non bene come te che sai tutte le canzoni a memoria.
- La tua preferita?
Tracy strinse le labbra, sdraiandosi sul divano seguita da Jake che si sistemò sopra di lei, ribaltando le posizioni della sera prima. – Ohio.
Il chitarrista sorrise e la baciò con particolare entusiasmo. - Anche la mia.
Tracy lo riportò su di sé, intrecciando le dita tra i suoi capelli. Si sentiva avvolta da un calore dolcemente confortante, felice come poche volte era stata in vita sua. Stava bene e poteva dire la stessa cosa anche di Jake.
 

 
- Jake.
Il ragazzo alzò gli occhi dal libro che stava leggendo, vedendo sua madre sulla porta della propria camera. Sospirò, fermando le pagine con l’indice. – Mamma.
- Posso parlarti?
Jake sollevò le gambe e posò il libro sul comodino, facendo spazio alla donna. Effettivamente, non parlavano quasi mai e, se lo facevano, Ronnie era sempre pronta a lanciare qualche occhiataccia a Karen. Jake aveva sempre assunto il ruolo di mediatore, nella famiglia Kiszka. Certo, quello non era un buon momento per esserlo e Karen lo sapeva benissimo.
Il ragazzo vide sua madre protendersi verso di lui per accarezzargli i capelli scuri. Restò immobile, irrigidendosi.
- Piccolo, io… Io non posso nemmeno immaginare come tu ti senta adesso. Abbiamo condiviso una perdita, io ho visto mio figlio andare via, ma tu… - la donna si fermò e il corpo di Jake si tese come una corda di violino. – Tu hai perso un gemello.
- Sì, mamma, lo so. Non c’è bisogno che…
- Mi dispiace, Jake. Io davvero non ho idea di cosa mi sia passato per la testa quando vi ho lasciati soli in quel momento che era terribile per tutti. E’ stata una cosa che mai mi sarei immaginata di fare.
- L’hai fatta, però.
- Perdonami. Non voglio perdere un altro figlio. Mi manca Josh, mi manca Sam. Mi manca Ronnie. E mi manchi tu.
Karen, nonostante non lo avesse visto per anni, conosceva Jake come conosceva se stessa. Aveva imparato a capire ogni su sguardo fin da quando era bambino e lui non poteva evitarlo. Tuttavia quegli occhi così tristi, rassegnati, non li aveva mai visti e quando si puntarono su di lei sentì il cuore spezzarsi.
- Non potrò mai avercela davvero con te. Sono arrabbiato, molto arrabbiato, questo sì. Mi sono sentito abbandonato e messo in disparte. Capisci come si può sentire un figlio, quando sua madre sembra dimenticarsi completamente di lui? Quando anche suo padre lo lascia in balia del vento. E’ questo che non capisco e che non capirò mai: non ti importava di me, di Ronnie e di Sam? Non hai avuto nemmeno un minimo di riguardo per noi? Josh non c’è più e tu, invece di restare aggrappata al resto della tua famiglia con tutte le forze, la lasci andare?
- Scusami, Jake, io…
- Ronnie si comporta in questo modo con te perché lei, che aveva ventun anni, con me è stata come una madre. Insieme a tutto il dolore che ha provato per Josh e per Sam, Sam che per lei era praticamente un gemello come Josh lo era per me, ha dovuto prendersi cura di uno stronzo che non ha saputo badare a se stesso e che l’ha anche trattata malissimo così tante volte. Ha sopportato tutto quanto da sola.
Karen sorrise e Jake intuì che, quell’espressione spontanea, fosse data dall’orgoglio nei confronti di sua figlia. Lo prese per mano. – Io non mi sono mai dimenticata di voi. Sono stata divorata dal senso di colpa e anche vostro padre. – la donna sospirò, gli occhi si fecero lucidi. – Lui in particolare.
- Non mi sembra, almeno tu sei tornata.
- Vi ho mentito, Jake.
SI chiese cosa sua madre intendesse, aggrottando la fronte. – Su cosa?
- Papà non c’è più. Non sopportava più il dolore, il senso di colpa. – A quel punto, la donna era già in lacrime. – Ha preferito mettere fine a tutto quanto.
 
 
Jake continuò a baciare la ragazza, sentendosi completamente a casa. L’aveva aspettata per così tanto tempo, non gli sembrava vero avercela tra le braccia. Era un po’ assonnato, la sera prima era letteralmente crollato dopo… Tutto quanto. Il concerto, il bacio e quello stupendo fine serata. Non aveva assolutamente idea che una notte con Tracy potesse essere così intensa. E non si aspettava che la ragazza ci tenesse così tanto ad avere il controllo durante l’intero atto. Non gli dispiaceva, comunque. Per niente. La guardò, e ripensandoci scoppiò a ridere mentre giocava coi suoi capelli ricci. Tracy aggrottò la fronte, puntellandogli il dito sul petto. – Ti sembro per caso una barzelletta divertente?
- Da quando le barzellette sono divertenti?
- Dipende da quali barzellette conosci.
- Le barzellette italiane fanno ridere?
Tracy si morse il labbro inferiore e scosse subito la testa. – No.
- Fammi un esempio.
- No, fidati di me.
- Allora vedi che avevo ragione io?
- Che ne so, magari sei un tipo a cui fanno ridere le barzellette.
- Ho la faccia di uno che ride con le barzellette?
- Hai la faccia di uno che soffre a morte il solletico.
Jake cercò di nascondere l’inesorabile verità sul suo viso e gonfiò le guance. – No, non lo soffro.
- Mh, certo. – la ragazza si rizzò puntellandosi con i gomiti sul divano. – E secondo me il punto più sensibile è questo qui. – Tracy sollevò una mano per posare le dita sul collo di Jake, sostenendosi con il braccio opposto. Il povero ragazzo sentì immediatamente una sensazione di fastidio mista a prurito e iniziò a piegare la testa nella direzione che le dita di Tracy prendevano, prima di cominciare a ridere e a contorcersi. La ragazza lo riportò sulla schiena, con le proprie ginocchia ai lati dei fianchi di Jake, continuando a solleticargli velocemente il collo. Jake la sentì ridere e, già senza fiato, sentì il cuore mancare un battito.  
- Basta, ti prego!
- Dì che avevo ragione io!
- Va be… - una risata più forte delle altre gli scosse il petto prima che terminasse. – Va bene! Hai ragione!
Le dita di Tracy si arrestarono, ma Jake continuò a ridere, cercando di recuperare fiato. I suoi occhi si fermarono poi sulla ragazza, che gli sorrideva dall’alto. Respirò profondamente, scostandole i capelli ricci che gli sfioravano il viso dietro alle orecchie. La ragazza gli accarezzò una guancia e si spostò poi sotto il suo mento, prendendo a baciargli lentamente il collo. Jake risucchiò l’aria che stava respirando, facendo sollevare lo sguardo a Tracy. – Solletico?
Il ragazzo sorrise, scuotendo la testa. Vide la giovane psicologa tornare a baciargli la pelle del collo e le posò una mano sui capelli, accarezzandoli. Quando la sentì passargli la lingua giù per la gola chiuse gli occhi, inarcando appena la schiena e le strinse leggermente i capelli, senza farle male, quando percepì dei piccoli e delicati morsi sulla pelle.
Tracy tornò a baciarlo, le labbra più gonfie e umide. Il chitarrista fece scivolare una mano sotto alla blusa della ragazza e si sentì sbottonare la camicia da quelle dita rapide e inaspettatamente esperte.
Entrambi sobbalzarono quando il campanello di casa sua suonò. Tracy si ricompose e Jake si tirò su con la schiena. – Merda… Aspetta. – le lasciò un rapido bacio sulle labbra. Erano sicuramente quegli idioti. Infatti, quando guardò dallo spioncino, li vide, tutti e cinque lì in piedi davanti alla sua porta. La tentazione di lasciarli fuori casa era tanta, ma cercò di trattenerla.
Sospirò e si schiarì la gola mentre vide Tracy, dietro di lui, sistemarsi i ricci scombinati, per poi aprire.
Il primo a entrare, ovviamente, fu Sam, seguito a ruota da Joy, Ronnie e Mackenzie e, per ultimo, Danny, che si chiuse la porta alle spalle.
- Jacob tu non hai idea! Siamo stati fuori tutta la notte, Non hai idea di quante canne ti sei pers… - Ronnie fece appena in tempo a tappare la bocca a suo fratello con le mani non appena notò Tracy. Jake si passò una mano sul viso, sospirando.
- Dunque, la… La conoscete Tracy, sì.
- No. – risposero in coro Mackenzie e Joy.
La ragazza si protese in avanti e sorrise, salutando i nuovi arrivati. – Sono Tracy. Scusatemi, stavo proprio per andare a casa.
- No, no! – esclamò Mackenzie posando subito le mani sulle spalle della giovane psicologa. – Resta, scusaci. E’ usanza invadere casa di Jake. Sai, quando eravamo piccoli lui è stato il primo a prendere la patente, quindi usiamo tutto ciò che è suo da quel giorno.
Jake vide Ronnie e Sam fissargli il collo e si rese conto di quanto stupido fosse stato a non prevedere quella situazione. Posò la mano sopra ai segni scuri che Tracy gli aveva lasciato e vide Ronnie sorridere, tirando una gomitata a Sam. – Sento già il fruscio di quei venti dollari sotto le dita.
 
 
Jake si sentì invadere dalla nausea. La testa iniziò a vorticare rapidamente e percepì una fitta alla bocca dello stomaco, il corpo percorso da un tremore improvviso. Il dolore e il disagio fisico che in quel momento stava provando soffocarono per un momento quello emotivo, dovette alzarsi dal letto con le gambe tremanti per raggiungere, con le tempie pulsanti, il bagno. Ebbe appena il tempo di inginocchiarsi davanti al gabinetto di Ronnie prima di iniziare a vomitare il poco cibo che aveva mangiato. Si sentiva morire, il cuore gli batteva così forte da fargli male.
Immaginò Kelly, suo padre, immobile accanto a Karen. Immaginò Karen urlare, piangere mentre cercava di fare qualcosa per riportarlo con lei. Proprio come lui aveva fatto con Josh.
Un tremore gli scosse di nuovo la gola e lo stomaco, facendogli chinare nuovamente la testa sulla superficie bianca.
Non si era nemmeno reso conto di aver iniziato a piangere e di Karen che, alle sue spalle, gli accarezzava i capelli.
Tremava così forte da non sentirsi più le gambe, non riusciva a respirare. Suo padre, insieme a Josh anche lui. Si mise le mani tra i capelli, stringendoli con la poca forza che aveva, cercando quasi di strapparseli via mentre, con gli occhi spalancati, iniziava a urlare talmente forte da sentire la gola bruciare. Non riusciva a smettere di piangere, di tremare e gridare.
Karen lo strinse a sé, in lacrime a sua volta, spaventata e preoccupata. E se non glielo avesse detto? Era colpa sua? Ma era la verità. Sentì Jake dimenarsi tra le due braccia.
- Lasciami. Lasciami.
- Calmati, Jake. Per favore, calmati.
- No! – suo figlio cercò ancora di scappare via, ma lei strinse la presa attorno al suo corpo sottile e tremante.
- Calmati.
- Tutti, tutti voi! – urlò, la voce graffiata e roca. – Morirete tutti quanti, mi lascerete tutti. Sam, Ronnie, tu. – Karen riuscì a sentire il cuore di Jake battere con forza contro al proprio petto. – E’ finita. E’ finita, è finita!
- Basta, Jake. – prese ad accarezzargli la testa, cullandolo nonostante la forte resistenza che Jake stava ponendo. – Basta.
Le urla del ragazzo cessarono. Tremava ancora, i singhiozzi gli rendevano difficile respirare e il cuore sembrava voler esplodere. – E’ finita.
Karen continuò a oscillare su se stessa dolcemente, cullando Jake come faceva quando era piccolo e non riusciva a dormire. – Va tutto bene. – le dita della donna pettinarono con delicatezza i capelli lunghi del suo bambino. – Sono viva, Sam è vivo, Ronnie è viva. Tu sei vivo.
Lasciò che il ragazzo singhiozzasse sul suo petto, il tremore che si affievoliva secondo dopo secondo. Non si curò delle lacrime che le bagnavano il maglione, continuò semplicemente a sfiorare con delicatezza suo figlio, la cosa più importante della sua vita. Non si sarebbe mai perdonata l’assenza a cui aveva sottoposto lui, Ronnie e Sam. – Ti voglio tanto bene, Jake.
Non voleva una risposta, voleva solo che lo sapesse. Tirò fuori un fazzoletto dalla tasca, ripulendo le labbra di Jake dal vomito e, con le dita, gli asciugò le lacrime. Più lo guardava, più si rendeva conto di quanto bisogno di aiuto avesse.
- Non ti lascerò più solo, mai più. Te lo giuro.
 
 
   
 
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