Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Exentia_dream2    26/05/2021    0 recensioni
Esiste un castello che non sa raccontare favole, arena di un torneo in cui si può perdere tutto... persino la vita.
Harry Potter e Draco Malfoy sono stati sorteggiati dal Calice di Fuoco, legati indissolubilmente da qualcosa che non conoscono. Chi vincerà il Torneo Tremaghi? E cosa porterà Draco a tornare a Hogwarts per completare gli studi? Ma, soprattutto... chi risponde alle domande che lui scrive su un diario con l'inchiostro invisibile?
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Coppie: Draco/Hermione, Vicktor/Hermione
Note: Lemon, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Si può sputare su una rosa, ma è ancora una rosa.
Marty Rubin
 
VIII:
Parole cattive e belle promesse
 
 
       Hermione non aveva dormito, lo si capiva dagli aloni violacei che le circondavano gli occhi arrossati. Aveva anche pianto, rigirandosi tra le mani la scarpetta che le era rimasta in ricordo dell’unica sera in cui si era sentita bella, provando ad accantonare la storia che le aveva  raccontato Calì e facendo tacere il dubbio che Ron le aveva insinuato nel cervello, perché non poteva essere vero che Viktor si fosse avvicinato a lei solo per indebolire Harry. La bocca poteva mentire e i baci potevano essere bugiardi, ma gli occhi no… e lei li aveva visti, gli occhi di Viktor, quando le accarezzava il viso e i capelli, lucidi di un sentimento nuovo mescolato a un po’ di alcol.
Anche quella mattina, dall’altro lato della Sala Grande, lui la guardava allo stesso modo. Hermione avrebbe voluto guardarsi intorno, vedere se i suoi migliori amici le fossero accanto, accertarsi in qualche modo che quello che aveva detto Calì fosse solo una bugia, e invece… invece non riusciva a distogliere lo sguardo dal bulgaro, mentre lui mangiava il suo porridge con una calma tale che anche lei, con i dubbi seduti sulle spalle e una paura estranea nel cuore, se ne sentì pervasa. L’avvertì scivolare lungo la spina dorsale, insinuarsi tra le vertebre fino a farle intorpidire i muscoli; un calore lieve a solleticarle sottopelle, allo stesso modo con cui il sangue le scorreva nelle vene: lento, delicato, disinvolto, continuando la strada che portava al cuore senza che lei potesse far niente per fermarlo. Le lasciava brividi che le arricciavano la cute, un susseguo di carezze invisibili fatte di pupille e universi, quando Viktor finalmente tornò a guardarla.
Questa volta, la Grifondoro accennò un sorriso nella sua direzione, nascondendo il viso nel vapore del tè che aveva versato in tazza poco prima. Fu lui a muovere il primo passo per avvicinarsi: si sedette all’altro capo del tavolo per tenerla di fronte, poi le prese le mani, massaggiandole le dita con devozione, come a voler lasciare parte di se stesso tra le falangi e i palmi, godendo in religiosa quiete il rossore che le risaliva sul volto. “Buongiorno, Hermione” disse, orgoglioso di aver imparato la giusta pronuncia del suo nome.
Hermione rimase con la testa bassa, a ingoiare vapore e sensazioni dolcissime, un nodo tra la lingua e la gola grazie a cui riuscì a emettere un sospiro stentato.” Viktor, tu… tu sai dire il mio nome!”
Lui annuì e, forse, fu l’unico a sentire quella frase uscirle dalla bocca e ne fu contento, perché le cose belle si dicono sottovoce, con il fiato imbrigliato da qualche parte nel corpo, lasciando a chi ascolta il piacere di sciogliere i nodi per trasformarli in suoni.
Era toccante scoprire nei suoi occhi l’affetto che le riversava addosso e che, in alcuni momenti, sembrava un motivo che l’ammoniva perché, anche se solo per poche ore, lei aveva dubitato di quel sentimento.
Viktor la informò che sarebbe andato al Lago a nuotare, poi le baciò la fronte e si allontanò, uscendo dalla Sala Grande e lasciandola lì, seduta al tavolo dei Grifondoro, più confusa e spaventata che mai.
Ron emise uno sbuffo contrariato e alzò gli occhi al cielo, Harry gli assestò una gomitata leggera nelle costole e Ginny gli rivolse un’occhiata torva, ma Hermione non vide nulla di tutto quello che le era successo intorno, perché aveva ancora lo sguardo fermo nel punto in cui lui era scomparso.
 
~•~
 
       Era stato un pomeriggio strano, in cui ai dubbi si erano aggiunte le offese che le aveva mosso contro Rita Skeeter e le prese in giro di Ron che, dopo il litigio al Ballo del Ceppo, le rivolgeva la parola solo per i convenevoli o quando era invitabile porle una domanda. Proprio per questo, Hermione, adesso, non riusciva a stare ferma e camminava a passo di marcia all’interno del dormitorio, approfittando del fatto che non ci fossero le sue compagne di stanza, sbuffando rumorosamente ogni volta che aveva l’impressione che i pensieri le annodassero la mente. Di tanto in tanto, si sedeva sul letto e lo sguardo correva dritto sull’abito che aveva indossato al ballo.
La scarpa che non le era fuggita dal piede, invece, giaceva ancora lì dove l’aveva nascosta, come un bel ricordo da custodire. E come il peggiore… perché è così che ci si sente quanto alla prospettiva di poter vivere una favola si interpone la realtà che ci si siede di fronte e ci presenta il conto: divise a metà. E Hermione si sentiva esattamente così. Si alzava, dopo un po’, per accarezzare la stoffa morbida con una mano, mentre l’altra s’imbrigliava nel crespo indisciplinato dei suoi capelli. Si chiedeva, nel bel mezzo di quelle carezze, cosa avesse visto Viktor in lei e se, alla fine, non avessero ragione Ron e la Skeeter: in fondo, era solo una ragazzina che aveva ceduto al corteggiamento silenzioso di un bel ragazzo… e chi poteva garantirle che la galanteria del bulgaro non fosse solo un modo per scoprire i segreti del suo migliore amico? Chi le assicurava che le volesse davvero bene?
La parte irrazionale del suo cervello, non faceva altro che fomentare le sue paure; quella razionale, invece, le ricordava che il campione di Durmstrang si era avvicinato a lei molto prima che il nome di Harry uscisse dal Calice di Fuoco, con quella gentilezza d’altri tempi e un sorriso che dedicava solo a lei. Lo aveva osservato, Hermione, nei momenti in cui era in mezzo agli altri e aveva notato, con una punta di soddisfazione che non sorrideva quasi mai, se non quando i loro occhi s’incontravano.
E quello… quello non poteva essere un modo per estorcerle informazioni. Non solo, almeno.
Si dimenava tra le due metà di se stessa quando il suo sguardo si posò sulla Gazzetta del Profeta su cui faceva bella mostra di sé una fotografia di Hagrid e non ebbe nemmeno il tempo di pensare il da farsi, che era già uscita dal dormitorio e aveva trascinato i suoi migliori amici oltre il ritratto della Signora Grassa.
“Dove stiamo andando?” le chiese Harry, ma lei non rispose e continuò a camminare, tenendo i due ragazzi sottobraccio, fiera e orgogliosa come solo lei sapeva essere.
“A risolvere una questione importante” disse d’un tratto, senza mai rallentare l’andatura.
“Non devi vederti con Krum, oggi? E, a proposito, visto che sei… ehm, sua amica o qualsiasi cosa tu sia, potresti chiedergli di farmi un autografo?” le chiese Ron e lei, questa volta, si arrestò al centro del corridoio, rivolgendo all’amico uno sguardo d’ammonizione. “Dobbiamo evitare che Hagrid si licenzi, Ron, quindi non è il momento di pensare a queste cose.”
Nessuno dei tre disse altro, fino a quando non giunsero a destinazione: le tende erano ancora tirate, dall’interno proveniva il lamento spento di Thor. Bussarono un paio di volte alla porta, ma, come nei giorni precedenti nessuno venne ad aprire. Allora, Hermione, spazientita, urlò: “Hagrid! Hagrid, adesso basta! Lo sappiamo che sei lì dentro! Non importa a nessuno se tua madre era una gigantessa, Hagrid! Non puoi permettere a quella viscida Skeeter di farti questo! Hagrid vieni fuori, ti stai comportando…” ma le parole le morirono in gola quando si trovò faccia a faccia con Silente.
Il vecchio Preside li salutò con tono amorevole, poi si spostò di lato per permettere loro di entrare. Hagrid era seduto al tavolo, un boccale di tè tra le mani, i capelli tutti aggrovigliati e gli occhi gonfi. Le fece una tenerezza infinita: era strano veder un uomo tanto grosso piagnucolare come un bambino di fronte alla cattiveria delle persone. Per un po’ nessuno parlò, fino a quando Silente non disse: “Per caso hai sentito quello che stava gridando la signorina Granger, Hagrid?”
Hermione arrossì e si chiese se il suo modo di mostrare l’imbarazzo fosse uguale a quello di Ron, poi disse dolcemente: “Hagrid, quello che è scritto sulla Gazzetta è una bugia.”
Il Mezzogigante scosse la testa. “No, è tutto vero. E’ tutto vero: la mamma mi ha lasciato quando ero solo un fagotto, i giganti non sanno cos’è l’amore, sono esseri perfidi.”
“Ma tu non lo sei… Torna a insegnare, Hagrid. Ti prego, ritorna ci manchi davvero” aggiunse Hermione. “La lezione con la professoressa Caporal è stata davvero bella e interessante, ma non è la stessa cosa. Tu… tu sei il nostro insegnante preferito.”
Hagrid continuò a tacere, perciò Silente si sentì in dovere di prendere in mano le redini della situazione. “Mi rifiuto di accettare le tue dimissioni, Hagrid, e mi aspetto che tu torni a lavorare lunedì. Ci vediamo a colazione alle otto e mezzo nella Sala Grande. Niente scuse. Buon pomeriggio a tutti.”
Quando rimasero da soli, Hagrid mostrò loro una fotografia che lo ritraeva insieme a suo padre, un ometto piccolo e sorridente, raccontando l’orgoglio che aveva provato quando era arrivata la lettera da Hogwarts: aveva le lacrime pronte a sgorgare e tirò su con il naso un paio di volte. Diceva tutto quello che gli passava per la testa, senza seguire un filo logico e, infatti, a un certo punto disse: “Eri proprio bella al ballo, Hermione, insieme a quello lì. Si vede che ti vuole bene.”
A quelle parole, Hermione sollevò il mento ed espresse la sua gioia abbracciando il Mezzogigante, che ricambiò goffamente: gli posò la mano piccola nella piega del gomito e gli sorrise con tutta la dolcezza del mondo. “Hagrid, quello che ha scritto quello scarafaggio è solo una bugia e io ne sono più che sicura e sai perché? Perché mi ha detto che io sono una stupida ragazzina.”
Quando l’uomo capì cosa significassero quelle parole, si rivolse al Bambino Sopravvissuto: “La sai una cosa, Harry? La prima volta che ti ho visto mi ricordavi un po’ me. Niente mamma e papà, e credevi che a Hogwarts non ti ci saresti mica ritrovato, ti ricordi? Non eri sicuro di essere all’altezza… e adesso guardati, Harry! Campione della scuola!” disse, fermandosi per bere un sorso di tè, poi riprese con tono serio: “Lo sai cosa mi piacerebbe, Harry? Mi piacerebbe se vinci, davvero. Fagli vedere, a quelli, che uno non deve essere purosangue per farcela” arrestò il flusso delle parole per guardare di nuovo Hermione, stringendole la mano che lei aveva ancora sul suo braccio. “Non devi vergognarti di quello che sei. Fagli vedere che è Silente che ha ragione, a prendere tutti, basta che sanno fare le magie. Come va con quell’uovo, Harry?”
“Benissimo. Davvero benissimo” rispose Harry e fu solo per un attimo che sul viso gli si dipinsero tutti i sensi di colpa e smarrimento che provava, eppure a lei non sfuggì nemmeno una di quelle emozioni.
Soltanto una volta fuori dalla capanna di Hagrid, nel tardo pomeriggio, Hermione rivolse la parola al suo migliore amico. “Non è vero, non ci sei ancora riuscito” e non voleva essere un richiamo, tuttavia , Harry se ne sentì colpito a tal punto che non riuscì a mentire anche a lei, sintetizzando la verità in una risposta brevissima: “No.”
 
~•~
 
       La sera scese tranquilla e la cena fu ravvivata dalle risate degli studenti e gli applausi che provenivano, di tanto in tanto, dal tavolo dei Serpeverde. Doveva essere successo qualcosa di bello da quelle parti, perché tutti gli alunni davano pacche sulle spalle a Viktor e a Draco Malfoy, complimentandosi con loro per chissà quale evento che Hermione non riuscì a comprendere a causa della distanza che intercorreva tra le due tavolate.
Avrebbe voluto essere lì, capire cosa c’era da festeggiare, ma quando Viktor alzò gli occhi per guardarla, si rese conto che, in fondo, non le importava.
E tutti i dubbi che aveva tenuto seduti sulle spalle, le offese della Skeeter e le parole che Ron le aveva rivolto al ballo, adesso erano state sostituite da quelle che le aveva detto Hagrid quel pomeriggio e, finalmente, si sentì leggera – con una nuova consapevolezza a muoverle le gambe – ora che aveva capito che non aveva senso dare potere a un pensiero che le avrebbe fatto solo male, che avere il terrore di un evento non faceva altro che renderlo reale, perciò non aveva senso avere paura di perdere Viktor, perché non sarebbe successo.
Si alzò lentamente e si avviò fuori dalla Sala Grande, senza aspettare che lui la seguisse, perché sapeva che sarebbe riuscito a trovarla. Nel loro posto, all’ombra di quell’albero che si specchiava nelle acque del Lago Nero, con i rami spogli che si allungavano a proteggerli, nonostante l’inverno fosse più forte.
In quell’attesa, Hermione si cullò nel ricordo di tutte le emozioni che Viktor le aveva fatto provare, facendogli scoprire un sentimento che credeva di conoscere, perché lei era sicura di essere innamorata di Ron fino a quando non era arrivato lui nella sua vita. Adesso sapeva che Ron era un porto in cui tornare sempre, ma non per sempre, perché esistono baie meravigliose che trasmettono una sicurezza tale da farci soffocare e lei no, non voleva soffocare: voleva respirare a pieni polmoni, imparare da Viktor tutto quello che ancora non aveva imparato.
Quando sentì il rumore delle foglie scricchiolare sotto il peso dei passi che si avvicinavano, Hermione chiuse gli occhi e le labbra le s’inarcarono in un sorriso prima ancora di vedere chi si stesse avvicinando, aspettando con impazienza una carezza che però non arrivò.
“Morire assiderata…” disse Draco Malfoy, “Bella idea. Una Mezzosangue in meno non può essere che un bene” concluse, il tono cattivo di chi vuole ferire.
“Dov’è Viktor?” gli chiese lei, con tutta la dignità di cui disponeva, il mento alto a sfidare il ragazzo che aveva di fronte, innervosita da quella vicinanza che non era nemmeno tanto prossima, perché lui se ne stava fermo a più di un metro da lei, lo sguardo fisso sul fianco della nave, l’espressione aristocratica e dura sul viso, il pretesto di non volersi infettare se per caso l’avesse sfiorata, la paura perché da quando l’aveva vista riflessa negli occhi del drago, durante la prima prova, non aveva fatto altro che pensare a lei, la necessità di non tradire di ideali di una vita per circostanze che non comprendeva. Non la guardò, nemmeno quando riprese a parlare. “Non qui, a quanto pare. Evidentemente ha capito che non sei alla sua altezza.”
“Tu non sai niente di me e Viktor.”
“No, ma vedo come ti affanni per farti notare da lui, come gli stai intorno. Quelle come te non sono per quelli come noi, Mezzosangue.”
Erano lame, quelle parole, che la trafissero da parte a parte, eppure, lei non si lasciò scalfire. “Puoi dirmi tutte le cattiverie del mondo, Malfoy, io non mi vergogno di ciò che sono.”
Si chiese come aveva fatto a paragonarlo a un principe delle favole la prima volta che l’aveva visto, a paragonarlo a Lucifero quando l’aveva sentito parlare, con quella voce imperdonabile che faceva male, come una maledizione. Il Diavolo non è mai brutto come lo si dipinge, lo sapeva da tempo, eppure non aveva mai creduto che, invece, il Diavolo fosse capace di presentarsi al mondo con un’eleganza innata e i capelli biondi, il portamento di uno a cui spetta tutto per diritto di nascita. Scosse la testa, ricacciando indietro il pensiero che l’aveva colta nel momento in cui lo aveva visto arrivare, e le parole di Calì le sembrarono una menzogna assurda: non c’era nulla in lui che mostrasse la smania con cui era andato alla sua ricerca, nulla che le facesse capire che tutto quello che le aveva raccontato la sua compagna di dormitorio fosse vero − lui ha cominciato a cercare qualcuno in tutta la sala e deve essersi accorto che chi cercava non c’era, perciò si è avvicinato alla porta e lì ha trovato una scarpa, l’ha presa tra le mani e l’ha guardata come fosse stata un oggetto preziosissimo – e niente, niente che indicasse che quel ragazzo potesse provare un sentimento positivo per lei, mentre la guardava con un’espressione disgustata a deformargli i lineamenti. − lui è innamorato della ragazza che ha perso la scarpa.Le mancò l’aria, ebbe la sensazione che i polmoni si stessero rattrappendo sotto quella verità che Draco Malfoy le stava riversando addosso.
“Dovresti, invece” le suggerì lui, voltandosi a guardarla, con gli angoli della bocca tirati in su e gli occhi che parevano ghiaccio ripidissimo. “Si stancherà di te non appena capirà la feccia che sei.”
E, come l’albero sotto cui si era riparata, Hermione perse tutte le sue foglie, mostrandogli una brina d’occhi che non le colò sulle guance solo per orgoglio. Eppure erano visibili, quelle lacrime in bilico, e sembravano stelle pronte a cadere, a lanciarsi al suolo per depositarsi ai suoi piedi, mentre lei restava immobile con il cuore mordicchiato … se le sentì crollare addosso tutte in una volta, foglie secche e comete, a bucarle l’anima e appiccare incendi laddove era più fragile, terra già martoriata da offese meno dolorose. Ed era quello che voleva Draco: farle male, ferirla, schiacciarla come uno scarafaggio a tal punto da sentire lo scricchiolio del guscio sotto le suole delle scarpe. Voleva vederla sfiorire, ma non aveva messo in conto che, a ogni inverno, seguiva la primavera e che un fiore, anche se soltanto stelo, resta sempre un fiore.
E arrivò Viktor, a portarle il calore di cui aveva bisogno, vestito di rosso sangue e un colbacco a coprirgli la  testa. Si avvicinò piano, cingendole le spalle con un braccio e rivolgendo all’amico un’occhiata carica di ostilità. “Hermione, va tutto bene?” le chiese, stringendosela sul petto, come a volerla tranquillizzare solo con il battito del suo cuore. Eppure, Hermione, questa volta, non riuscì a calmarsi, lo sguardo ancora fisso su Draco Malfoy e le parole incastrate nelle corde vocali. Annuì e, dopo minuti che sembrarono interminabili, disse: “Sì… solo, rientriamo. Qui c’è troppo freddo.”
Non attesero che Malfoy si congedasse e durante il tragitto Hermione non proferì parola, la tensione nei muscoli perché alle paure, ai dubbi, si era aggiunta la sensazione di non essere all’altezza del campione di Durmstrang. Il silenzio nei corridoi sembrava assumere forme diverse per ognuno di loro, ma quando Viktor si rese conto della preoccupazione di Hermione, si appoggiò al muro e la strinse più forte. “Va tutto bene?” le chiese nuovamente.
Avrebbe voluto rispondergli, ma come poteva raccontargli del miscuglio che le viveva dentro se era lei stessa a non capire? Come poteva dirgli che, forse, Draco Malfoy aveva ragione? 
“Viktor, io…” cominciò, fermandosi un secondo dopo, il capo ancora calato per la vergogna.
“Tu?” le carezze infinite che le disegnò sulla schiena, perché doveva pur esistere un modo per toglierle dal viso quella tristezza. “Tu, cosa?”
Allora Hermione prese il coraggio a due mani, aspettò di riempirsi i polmoni e, quando lui le sollevò il volto per obbligarla a guardarlo, disse: “Tu mi vuoi bene?” e in quelle  parole c’era tutta l’incertezza del firmamento. Provò a trattenere il fremito che le attraversò il corpo, insieme al gelo, nonostante fosse avvolta nel mantello e nella sciarpa, pensando che quel freddo non dipendeva dalla stagione né dalla neve che si stava sciogliendo. Sicura che, quel freddo, se lo sarebbe portata dentro per sempre.
Viktor la guardò a lungo, le labbra incurvate nello sforzo di non ridere: era convinto di averle dimostrato più di una volta quanto tenesse a lei − invitandola al ballo, promettendo a se stesso di vincere il Torneo per lei, mettendo il suo nome nel Calice di Fuoco per la gloria, sì, ma soprattutto, affinché lei si accorgesse di quel ragazzo che andava in biblioteca solo per avere l’illusione di starle accanto − eppure sembrava non essersene ancora resa conto. Così, senza dirglielo direttamente, le suggerì anche che aveva risolto l’indovinello dell’uovo d’oro. “Te lo dimostrerò nella prossima prova…” 
La Grifondoro fece un passo indietro, il sangue che le batteva copioso sulle pareti del cranio. “Cosa? Potrebbe essere pericoloso” lo spavento a farle tremare la voce.
Il bulgaro, allora, si avvicinò a lei, le soffiò quella verità a un millimetro dalla bocca, per fargliela scendere nello stomaco, nei polmoni, nell’anima. “Andrà tutto bene, te lo prometto” poi, la baciò come aveva fatto la prima volta, lambendo piano la lingua e il palato, perdendosi nel sapore che aveva il gusto di una vittoria così vicina che quasi lo fece vibrare d’emozione.
Quando si allontanò per guardarla ancora, come fosse un tesoro prezioso, troppo delicato e bello, portò con sé il bisogno che lei aveva ancora di quel contatto. La strinse più forte, il mento poggiato sulla testa per respirare l’odore dei suoi capelli. “Fidati di me. Andrà tutto bene, te lo prometto.”

 
Angolo Autrice:
 
Questo capitolo è stato una dannazione, davvero! Non starò qui a raccontarvi tutti i capricci che ha fatto il pc né tutte le parolacce che ho detto… però, voglio dirvi, che alcuni avvenimenti qui subiscono un salto temporale importante.
La frase iniziale si riferisce a tutto quello che viene detto a Hermione ( le offese di Rita Skeeter, le prese in giro di Ron e le cattiverie di Draco.)
Alcuni dialoghi presenti sono farina del sacco della Rowling, perciò onore a lei.
Io, personalmente, ho voluto un gran bene a Viktor Krum e credo sia giusto farvelo conoscere per come lo immagino io e spero stia piacendo anche a voi questo personaggio, come spero vi stia piacendo la storia.
 
Adesso me ne vado, promesso.
 
A presto.
 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Exentia_dream2