Le mani di Rashid stringevano un portafoto con una cornice d’argento, nella quale era contenuto il ritratto di una donna di statura media, vestita d’un abito azzurro chiaro, lungo fino alle ginocchia. I lisci capelli castani scendevano sulle spalle e gli occhi, d’un tono un poco più chiaro, erano seminascosti dagli occhiali, di forma quadrata. Le labbra dell’arabo si sollevarono in un sorriso e gli occhi brillarono d’una debole luce sognante. La sua amica Maya aveva deciso di farsi fotografare, nel corso di una festa danzante. Ed era splendida, con quell’abito così semplice e la chioma così acconciata. Lei non aveva necessità di esagerati artifici per risplendere. Ne era sicuro, tanti uomini e donne l’avevano guardata con interesse. E lui, in quel momento, aveva avvertito una sensazione di fastidio, a cui non aveva dato alcun preso. Singhiozzò e le lacrime rigarono le sue guance. Quella era gelosia. Era un sentimento da lui ritenuto assurdo, ma non era riuscito a non frenare quel moto della sua anima. Maya era una scienziata ed era una meravigliosa donna. Con la sua essenza limpida, l’aveva conquistato. D’istinto, strinse la fotografia contro il petto e si inginocchiò sul pavimento. Aveva avuto l’occasione della felicità. Ma l’aveva lasciata scappare.