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Autore: SkysCadet    06/06/2021    0 recensioni
La cittadina di Filadelfia sembra un borgo tranquillo, in cui la gente comune passa la giornata senza occuparsi degli strani avvenimenti che accadono da diverso tempo. Tuttavia, Simon si ritrova - suo malgrado - a combattere per la salvezza delle anime sfuggite al potere dei Lucifer. Tra questi c'è Joshua, un ragazzo con un dono particolare. Il giorno in cui Ariel - una matricola impulsiva dell'università di Filadelfia - lo incontra per la prima volta, capisce che in lui c'è qualcosa di diverso dagli altri ragazzi. Solo un nome sembra in grado di cambiare il corso degli avvenimenti, un nome che i Lucifer non possono nominare...
Genere: Fantasy, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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I due se ne andarono e come riemersa da acque nere, Ariel batté le palpebre un paio di volte, ritrovandosi in mezzo al corridoio della mensa, osservata dagli studenti e da Acab. Il petto le si alzava e abbassava vistosamente, quasi come se i polmoni richiedessero l'aria che avevano perso.

D'un tratto si sentì mancare la terra sotto i piedi e si voltò ovunque alla ricerca degli occhi di Lucia e di Joshua, ma lì, ad osservarla, c'era solo Acab, che non aveva smesso di sorridere, ben compiaciuto della riuscita della sua azione.

Ariel roteò il busto verso Acab e rivolgendogli uno sguardo felino: «Dove sono?»

Un fuoco di rabbia sembrò percorrerle l'esofago. Sentiva di aver perso qualcosa, qualcosa di indefinito ma completamente reale: un'amicizia che fino ad allora nessuno le aveva mai regalato. Sincera e senza interessi. Era per quel motivo che Ariel rivolse quella domanda con tutto l'astio di cui poteva essere capace.

«Chi, tesoro?» le chiese con il volto scaltro e il tono affabile di un intoccabile.

«I miei amici...» gli ringhiò a denti stretti, prendendolo dal colletto della giacca nera. Nel respirare con prepotenza, inalò involontariamente la fragranza del suo profumo. Se non fosse stato per i suoi pensieri rivolti a Joshua e all'amica, sarebbe caduta nell'oblio che gli occhi di Acab nascondevano.

Gli sarebbe bastato pochissimo: allo sfiorare le sue labbra, Ariel non sarebbe mai più tornata dai due.

Così si protese verso il suo orecchio per sussurrarle: «Sei sicura di voler tornare da loro? Perché non rimani con me?»

Ariel sbarrò gli occhi e quando sentì nel suo orecchio il soffio del ragazzo, non si considerò più padrona delle sue azioni. Le stesse mani che stavano stringendo il colletto della giacca vennero utilizzate per spingerlo lontano da sé e farlo sbattere contro un paio di persone che urtate fecero rovesciare il contenuto del vassoio sul pavimento. Inevitabilmente le suole di Acab scivolarono su un liquido arancione; ne seguì il tonfo sordo della caduta e le risate dei presenti.

Acab aveva fatto un errore di valutazione: mentre stava già immaginando le labbra di Ariel sulle sue, perdendo di vista il suo vero intento, si ritrovò in pochi secondi a guardarla dal basso che si ergeva su di lui con le mani ai fianchi.

«Non importa chi siano o in cosa credano. Sono miei amici. Di te, invece, ho solo brutti ricordi. Sei tu che devi stare lontano da me, Acab Damian.»

Acab avvertì la bile lambire la gola, vittima di un'umiliazione senza precedenti nella sua famiglia, la guardò andarsene. Le sopracciglia aggrottate e i canini in vista, quando Acab capì che era arrivato il momento di mettere in chiaro alcune faccende.

***

Ariel provò a raggiungerli di corsa, con la borsa che sbatteva contro le ginocchia e il fiato corto, ma quando avvertì una fitta al fianco si impose di fermarsi per ossigenare i pensieri. Non sapeva dove avrebbe potuto trovarli. Avevano parlato di un certo Simon, ma non sapeva dove avrebbe potuto trovarlo.

Durante la corsa aveva l'immagine degli occhi in lacrime di Lucia, e la consapevolezza di averle causate lei non le dava pace.

Era in mezzo ad una strada asfaltata e poco trafficata che portava al vicino quartiere degli studenti intenta a riflettere su quanti erano stati i falsi amici che l'avevano illusa per di ricevere qualcosa in cambio. Per non parlare dei ragazzi, preoccupati solo del proprio soddisfacimento; cose che sembrava non riguardassero il carattere di Lucia e Joshua.

Si portò una mano sul petto e strinse il ciondolo del leone che da quando le era caduto dalla borsa era diventato parte di una collana dal laccio di cuoio. Non sapeva ben definire da quanto tempo lo possedesse, sapeva solo di averlo sempre portato con sé su consiglio della madre.

Il pendaglio d'oro luccicò sotto un raggio di sole per mostrare delle pietre incastonate come una corona sul capo dell'animale dalle fauci spalancate.

Sorrise quasi dimenticandosi del motivo per cui era nel bel mezzo di una strada, ma quando un vento gelido le attraversò la camicia percorrendo la colonna vertebrale come un artiglio, ebbe un sussulto avvertendo un gelo innaturale anche agli arti.

Dietro di lei sentì il ringhio di quello che doveva essere un cane di grossa taglia. Il respiro le si mozzò in gola e quel gelo sembrava essere prodotto dal respiro pesante dell'essere alle sue spalle.

Si voltò lentamente, mentre una certezza mandava in circolo litri di adrenalina. Una bestia molto simile a un lupo con occhi celesti e il manto nero, la fissava con rabbia mostrando i canini.

Gli occhi le si sbarrarono fin all'inverosimile, quando anche l'ossigeno sembrava essere scomparso nell'aria circostante; si sentì così intrappolata da convincersi di due assiomi elementari: se avesse corso, l'avrebbe presa e sbranata; se fosse rimasta lì, anche.

La sua mente non mandava più alcun segnale e la sua pelle olivastra appariva diafana.

Piccole goccie di sudore freddo le imperlavano la fronte e mentre l'animale avanzava a passo lento, la ragazza cadde in ginocchio con le mani davanti al volto.

Pessima mossa, Ariel. Si disse, convinta di avere i minuti contati non tanto verso la morte ma quanto al dolore atroce di qualche arto staccato a morsi.

«Ti prego... Ti prego!» Balbettò quasi senza pensarci, finché, dopo un bel lasso di tempo, si accorse di non sentire più nulla.

Anche i passeri avevano smesso di cinguettare caoticamente come stavano facendo un secondo prima che il vento smettesse di scompigliare i capelli. A quel punto, le baluginò il pensiero che il cane se ne fosse andato spaventato da qualcosa, o qualcuno.

Avrebbe voluto vedere con i suoi occhi chi aveva avuto la capacità di sottomettere una bestia di quelle dimensioni. Così sbirciò tra le dita delle mani, rimaste incollate al viso per il terrore, e, acuendo la vista, vide una figura di spalle, proprio davanti all'animale.

Il personaggio puntava l'indice verso quella belva che sembrava essere stata ammaestrata, tanto era divenuta docile.

«Non può essere...» mormorò la giovane, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi, mentre si trovava ancora in ginocchio, nel mezzo della strada, a contatto con l'asfalto torrido.

Camicia bianca e jeans erano gli indumenti indossati da quel ragazzo che sembrava pronunciare parole con una sorta di cantilena. Non dirmi che...

Quella persona- che Ariel stava contemplando quasi come se stesse avendo una visione- aveva gli stessi abiti indossati da Joshua quella mattina.

Il Figlio di Dio?

In un momento, le parole che Acab aveva usato per definire Joshua assunsero un peso non indifferente. Poteva essere del tutto plausibile.

Con un rapido gesto del capo, Joshua sembrò indicare la direzione che l'essere a quattro zampe avrebbe dovuto percorrere. In un battito di ciglia, l'animale fu portato via dal vento di ottobre, sotto forma di granuli sabbiosi e scuri, emettendo un ultimo ululato.

E no, non aveva sognato: il ragazzo che aveva visto era proprio Joshua che le rivolgeva uno sguardo apprensivo, con sopracciglia incurvate in un'espressione sconvolta.

Lui si portò le mani sul viso lievemente barbato per poi bloccarle sulle labbra e, mentre la sua mente cercava un modo efficace per spiegare quanto era appena successo, se le portò sui fianchi con il capo chino. Gli occhi balzavano da una parte all'altra dell'asfalto e guardando i palmi tremanti delle mani si rese conto di aver scacciato un demone nel nome di Gesù Cristo, per la prima volta.

Iniziò ad andare verso Ariel portandosi la mano sinistra a massaggiare il mento, facendo rimanere la destra su un fianco.

Lei, per tutto il tempo rimasta immobile, con bocca arida e schiusa per emettere suono, lo osservò arrivare fino a lei.

Una volta di fronte alla ragazza, Joshua si piegò su un ginocchio e avvicinò il viso a quello di Ariel facendo rimbalzare lo sguardo su ogni parte del suo viso per capire quanto fosse stato impressionante l'evento a cui aveva assistito.

Lei incurvò la schiena all'indietro puntellando un palmo sull'asfalto e l'altro quasi a chiedergli di allontanarsi.

Joshua non avrebbe dovuto, non di nuovo, ma era l'unico modo, l'unica via delineata dalle circostanze. Le prese il volto tra le mani e incappato nei suoi occhi lucidi e nelle sue guance infiammate di imbarazzo, le disse:«Vedo che hai ripreso colorito.Va tutto bene, adesso?»

Quell'avvicinamento improvviso e indesiderato la irritò al punto da farle pronunciare una serie di invettive contro il giovane.

«Stai scherzando, spero!» esplose lei e, in un impeto di rabbia, si mise in piedi con difficoltà, mentre ancora le tremavano le gambe. «Mi salvi, fai il giochetto del "principe con la principessa in pericolo"» mimando le virgolette con le dita, «ti avvicini a pochi centimetri dalla mia faccia e pensi che il colorito sia dovuto alla mia buona salute?!»

Joshua la guardò serio per diversi istanti fino a quando le espressioni e l'equilibrio precario di Ariel lo fecero ridere fino a portarsi la mano alle labbra: la ragazza appariva visibilmente scossa, ed effettivamente, il suo pericoloso avvicinamento, aveva dato il colpo di grazia. «Adesso ridi?!»

Nonostante fosse confusa e pericolosamente scossa dall'esperienza, non riuscì a fare a meno di ridere di rimando. Lui aveva il sorriso più bello che avesse mai visto.

Un vento fresco, preceduto da un tuono rumoroso, fece sobbalzare entrambi, che in pochi secondi si erano ritrovati sotto tante gocce d'acqua.

«Vieni, sotto il portico. Corri!» urlò Joshua, per sovrastare il battito dell'acqua.

La pioggia pesante si era materializzata all'improvviso come una cascata e minacciava di non arrestarsi per un bel po'. Così il ragazzo prese la mano di Ariel e la costrinse a correre veloce per arrivare sotto il portico di casa sua. Solo una discesa separava l'Università dal Quartiere degli Studenti.

Una volta arrivati davanti al cancello che dava l'accesso al cortile, sotto la tettoia trasparente, i due respiravano con affanno, facendo muovere lo sterno in maniera visibile e incontrollata.

«Bella corsa, eh?»

Lui rideva come se nulla fosse successo, mentre Ariel era piegata su se stessa e avvertiva una fitta alla base del costato. Le corse improvvise non facevano per lei. «Sì,» mormorò «molto divertente».

La ragazza teneva una mano sul fianco e lo sguardo basso, finché, rialzando gli occhi, notò che l'acqua li aveva bagnati interamente e aveva reso trasparente la camicia di Joshua che, incollata alla pelle, le svelava il fisico curato.

Quindi abbassò il viso, cercando di mandare giù saliva inesistente. Fu dopo un lungo silenzio, che Ariel drizzò la schiena per rivolgere a Joshua uno sguardo attento, mentre la pioggia copiosa batteva forte sulla tettoia.

«Perché lo fai?»

«Fare cosa?» Joshua, corrugò la fronte e goccioline d'acqua gli rigarono il viso dai capelli bagnati.

«Essere così...» Ariel strinse le labbra fino a farle diventare una linea sottile per qualche istante, prima di trovare la parola che riuscisse a definire il suo essere «... gentile»

Lo sguardo di Joshua mutò, fino a diventare quasi spigoloso. Non poteva essere già arrivato il momento di allontanrsi da lei. Non avrebbe voluto, ma quel suo essere "gentile"-come lo aveva definito lei- era la cosa che più lo spaventava al mondo.

Dall'essere gentile a diventare amabile, il passo è troppo breve... Considerò vista l'esperienza dell'animale.

«In mensa ti ho umiliato. Perché continui ad aiutarmi?» La voce di Ariel era pacata e un brivido le fece incrociare le braccia al petto per il freddo, mentre lo osservava cercare le chiavi nelle tasche dei jeans con fare inquieto.

«Se vuoi, sopra ho una felpa...» pronunciò lui, cercando di cambiare volutamente discorso. In quel momento lo tormentava il pensiero che, dopo tutto, se Ariel non era con Acab, un motivo c'era.

«Smettila!» urlò lei, lasciando che la voce pacata si tramutasse in un ringhio di nervosismo. Le sue mani si poggiarono al petto del giovane, che spingendolo lo fecero allontanare di un passo per far sì che gli occhi verdi si puntassero su di lei.

Lui fece vagare lo sguardo sul suo profilo, lasciando tintinnare le chiavi inserite alla serratura.

«Non ci posso fare niente.» con tono piatto «E' Simon che mi ha insegnato ad essere così. Io ti ho perdonata. È questo che mi ha dato la forza di aiutarti poco fa. E' la forza del perdono che allontana i lupi delle tenebre» e gli occhi vacui, nel ricordo di uno dei tanti insegnamenti del Padre.

Un fiumiciattolo d'acqua, scorreva veloce accanto al marciapiede, verso le ballerine della giovane Ariel, dalla quale aveva allontanato gli occhi. «È l'amore di Dio che mi spinge ad essere così.»

La ragazza lo osservò increspando la fronte, mentre un velo di delusione le copriva il cuore. Dio...

Tre lettere e un suono che le provocava ogni volta una sorta di astio e irritabile soggezione.

«Perché Dio avrebbe permesso che ti umiliassi?» attese una risposta a quella domanda provocatoria come chi conosce già le proprie verità inesistenti. Il miracolo che gli aveva salvato la vita sembrò non aver sortito alcun effetto nel suo cuore. I capelli bagnati le si attaccarono viso, lasciando ben in mostra solo gli occhi grandi.

«Dio ha permesso la mia umiliazione e il nostro successivo incontro, perché tu vedessi con i tuoi occhi la differenza...» si morse la lingua.

«Quale differenza?»

Il petto di Joshua si gonfiò d'aria che uscì rumorosamente dalle narici. «Tra me...» Una frazione di secondo e gli occhi di Ariel si sbarrarono increduli. Joshua non capì il perchè si fosse sentito in dovere di mettere in mezzo se stesso, quando in realtà «Cioè...Volevo dire...» il sorriso forzato non faceva che mostrare il suo interesse fallace. Lei, senza staccare gli occhi da lui che si grattava la nuca senza guardarla «Continua...» pronunciò, muovendo un passo nella sua direzione. Poi intuì: il ragazzo stava nascondendo qualcosa che lei avrebbe dovuto sapere. In fondo, da quando l'aveva protetta dalle bramosie di Acab, aveva notato qualcosa di strano.

«Tra me e Acab.» confessò lui con tono sicuro, posando gli occhi verdi sulla giovane.

«Ah...Capisco.» Ariel annuì quando ormai le nuvole andavano diradandosi.

Dovette ricredersi: anche Joshua era come gli altri. Quando fece per andarsene, la mano di Joshua le toccò il braccio e senza aspettare che la ragazza si voltasse, sentenziò: «No Ariel, non hai capito»

Joshua non voleva dare false speranze alla giovane che appariva confusa e giustamente provata dagli ultimi episodi. «Io sono così: ho il bisogno smodato di aiutare le anime deboli.» Nel dirlo aveva portato una mano sul cuore. «Salverei chiunque si trovasse nella tua stessa condizione.»

«Quale condizione?» la fronte increspata in un'espressione torva.

«I tuoi incontri con Acab, Ariel. È pericoloso stargli vicino. Volevo solo metterti in guardia.»

A quella confessione, Ariel avvertì un'emozione vibrare nel petto; tuttavia, senza proferire parola, gli rivolse le spalle e iniziò a camminare a passi lenti verso casa.

In tutte le sue insicurezze non ci entrava proprio un ragazzo come Joshua, ma, ad ogni modo, Ariel voleva sapere di più. Così, sentendo il cigolio del cancello d'ingresso dell'abitazione di Joshua, si girò e- stupendosi di se stessa - urlò il suo nome.

Lui uscì il capo sulla strada con un'espressione sorpresa.

«Ti va un tè caldo, a casa mia?»

Sì. Lo vorrei, eccome. Joshua dovette metabolizzare quella richiesta, cercando di reprimere il desiderio di avere più tempo da dedicarle; però negli occhi lucidi di Ariel rivide quelli di Evelyn e un fuoco divampò nel suo petto, mentre lei attendeva con speranza una risposta, inconsapevole.

La ragazza rimase immobile, in mezzo alla strada, per l'ennesima volta e nell'attesa ebbe modo di vedere quanto fosse combattuto.

Le mani incrociate di Joshua passarono dai capelli alla nuca un paio di volte prima di stringere le braccia al petto. Le si avvicinò per scrutare ogni sua espressione. L'avrebbe afflitta, ma doveva farlo.

«Magari un'altra volta, Ariel. Grazie comunque» un bacio sulla guancia. «Ci vediamo» e con un paio di passi all'indietro per osservarla un'ultima volta, girò i tacchi e rientrò in casa.

 

   
 
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