Cap. 6
Accademia
I
893 p.U.
Undici anni prima del processo a Silas Vaukhram
Mary Reed era una donna realista e concreta, ma la sua capacità di mentire e apparire fiduciosa aveva sempre affascinato Kieran. In quanto suo figlio, sapeva riconoscere il suo finto ottimismo, ma spesso voleva soltanto crederle.
Per questo Kieran le aveva creduto quando aveva cercato di rassicurarlo sull’Accademia della Spada.
Sono ragazzi della tua età, sono persone istruite e rispettose, ti farai molti amici, ti integrerai alla perfezione in Accademia. Fra militari non conta la provenienza.
Non ti sentirai fuori posto.
Essere fuori posto era diventata invece la sua costante esistenza da quando si trovava lì, esistenza non molto lunga visto che aveva compiuto da poco sedici anni. Questo gli aveva insegnato due inestimabili lezioni: mai fidarsi delle madri e mai chiedere a un ragazzo ricco come lavare le macchie d’inchiostro dalla sua divisa. Non solo non avrebbe saputo rispondere, ma avrebbe anche riso.
Questo era sentirsi fuori posto. Non riusciva a capire neanche le domande da porre, figurarsi avere le risposte.
«Perché un contadino dovrebbe voler diventare un guerriero di Ferro?»
La brezza di fine estate gli carezzò i capelli con gentilezza e portò su di lui l’odore di erba tagliata e umida.
Finché le temperature erano alte, le simulazioni di lotta si tenevano all’esterno. Kieran non vedeva tanto verde da diverso tempo; era strano passare dalle vie serrate e storte dei suoi quartieri, piene di fabbriche, a quei prati curati e tagliati, come in un dipinto. L’Accademia era come una piccola cittadella, circondata da almeno cento ettari di giardini e campi di allenamento. Kieran non aveva una precisa idea di quanto fossero cento ettari, ma gli sembravano un mucchio.
In quel momento si trovavano nel campo quadrangolare interno all’Accademia, circondato da portici.
Stava cercando di sciogliere i muscoli prima delle simulazioni, ma uno dei cadetti non lo lasciava in pace.
«Io non sono un contadino» rispose Kieran calmo.
Aveva perso il conto delle volte in cui aveva dato quella risposta.
Se solo avesse avuto una faccia più pulita forse avrebbe potuto confondersi come un tacchino in mezzo a tante galline. La sua faccia era vissuta, per usare un termine che piaceva tanto lì dentro, un mezzo insulto mascherato. Si era rotto il naso che era tornato a posto secondo una logica tutta sua, aveva la faccia sempre contratta che gli dava un’aria arrabbiata, poi c’era la sua postura, rigida, impettita, come se fosse pronto a sferrare un pugno al primo che avesse osato rivolgergli la parola. Suo fratello lo prendeva sempre in giro per quello.
All’inizio questo aveva tenuto i cadetti alla larga da lui, ma ci avevano messo poco a capire che il suo aspetto rozzo non fosse il riflesso della sua personalità.
L’altro cadetto lo ignorò. «E perché vuoi combattere? Perché non sei andato alle Accademie Minori? Non mi dirai che i tuoi genitori possono permettersi l’iscrizione a una Corporazione» e lo squadrò con un ghigno odioso, «lo sai che diventare guerriero di Ferro è per la vita? E se non sei abile quella vita dura poco».
Era frastornato da quella raffica di domande e mezzi insulti. Kieran cercava di rispondere aprendo la bocca, ma il cadetto non prendeva mai fiato.
I suoi genitori non potevano certo permettersi di pagare l’iscrizione a una Corporazione e nella loro società soltanto i membri delle Corporazioni avevano diritto di voto; altrimenti si era soltanto un altro delle migliaia di lavoratori senza nome e senza peso che andava a rinfoltire gli strati bassi della società.
L’Accademia della Spada era tutto ciò che uno come lui avrebbe mai potuto sognare, che tutta la sua famiglia avrebbe potuto sognare. Di sicuro i suoi antenati non avrebbero neanche creduto che un loro discendente fosse riuscito a entrare in un posto tanto esclusivo e prestigioso.
Non apparteneva a quel luogo.
Era un pensiero passeggero e terrificante che scacciava con violenza. I cadetti intorno a lui sembravano determinati a inculcarglielo a forza, perché non erano stati molto gentili queste prime settimane. Purtroppo, se voleva restare lì, avrebbe dovuto ingoiare l’orgoglio.
Non era un problema, doveva solo farsi notare dai maestri, impegnarsi più di tutti gli altri in ogni allenamento, ignorare gli insulti e spiccare come poteva.
Finora sta andando davvero bene.
Per il momento era riuscito soltanto a rimanere nell’ombra e a essere riconosciuto come il “contadino”, nonostante venisse dalla città. I maestri non sapevano il suo nome e non si curavano di impararlo.
«Basta così poppanti, i vostri esercizi sono penosi. Iniziamo con le simulazioni.»
I nuovi cadetti come lui erano appena una ventina, tutti sui sedici anni, un paio di ragazze, la maggior parte maschi e un solo Sanguemisto: Silas Vaukhram.
Kieran lo sbirciava spesso, curioso, non riusciva a farne a meno.
Silas Vaukhram, il Sanguemisto, nonché suo compagno di stanza, aveva dormito quasi ogni notte fuori, ignorandolo di continuo e chiamandolo Credence. Kieran lo aveva corretto un paio di volte, poi aveva rinunciato, Silas era il cadetto più importante di tutta l’Accademia, il ragazzo d’oro di una famiglia dei Fondatori; era meglio interagirci il meno possibile.
Capelli neri lunghi legati in una treccia, occhi violetti lucidi e un atteggiamento pomposo e arrogante.
Il Sanguemisto in questione stava parlando con uno dei cadetti, che gli offriva con gentilezza l’acqua della propria borraccia.
Se non fosse un Sanguemisto e un Vaukhram, nessuno sarebbe così leccapiedi.
Pensò immusonito. Neanche verso le ragazze vedeva comportamenti così assurdi.
Le persone intorno a Silas sembravano rinvigorite dalla sua presenza, gli parlavano, gli chiedevano qualcosa sottovoce, gli toccavano una spalla o un braccio con fare amichevole, cercavano un contatto con lui, gli ronzavano sempre intorno come mosche.
«Con l’avvicinarsi dell’Iniziazione voglio più scontri a coppie nelle simulazioni. Gli scontri servono per allenarsi, per esporre critiche e buone idee, non voglio mosse sleali e non voglio accanimento» stava dicendo il maestro con il vocione roboante.
Forse a sedici anni è normale sentirsi così spaesati e fuori posto, non poteva saperlo, ma era piuttosto certo che molto dipendesse dal fatto che quello non fosse il suo habitat naturale. Habitat. Gli piaceva molto questa parola, era così accademica e lo faceva sentire più intelligente.
Si guardò intorno di soppiatto; a volte aveva la sensazione di essere davvero fatto di una pasta diversa e che questo gli si potesse leggere addosso. Come se non potesse neanche fingere.
«Bella toppa, Reed» ridacchiò una ragazza accanto a lui, una bulletta di nome Dalia che non perdeva occasione per prenderlo in giro. Il fatto che quella tipa lo umiliasse così spesso sembrava divertire molto gli altri cadetti più grandi, che la avevano subito presa in simpatia e accolta come una di loro.
Kieran sperava solo di trovarsela contro a una simulazione, così avrebbe avuto una scusa per farla piangere di fronte al suo gruppetto di idioti. Sapeva di non dover sottovalutare le ragazze, ma quella lì gli dava proprio ai nervi.
«Te la sei cucita tutta da solo?» insistette con una vocina smielata.
«Sì, esatto, ti ringrazio di averla notata» rispose sornione e si finse davvero lusingato per il complimento.
Era meglio fingersi un povero idiota sempliciotto e ingoiare le offese, non era un comportamento che gli piaceva o che avrebbe mai adottato giù a casa, ma qui era in lande sconosciute.
Dalia rimase interdetta e distolse lo sguardo, bofonchiando uno “strambo” fra sé e sé.
«Abbiamo già fatto diversi scontri a coppie e sono stati tutti piuttosto penosi, eccetto per Vakuhram e Taylor. Voglio che la prendiate più seriamente, perché quando sarete là fuori, faccia a faccia con qualche fottuta creatura fatata impazzita, non finirà con una scrollata di spalle, ma con le vostre budella usate per le loro collane.»
Sempre molto incoraggiante.
Almeno non aveva usato la solita minaccia dei testicoli come orecchini, anche se per Kieran quella rimaneva la migliore, oltre che la più raffinata.
Non che fossero minacce infondate, le fate impazzite da quel che si diceva potevano strappare gli organi e tenere comunque in vita la preda, rivoltarla dal dentro al fuori o impalarla e lasciarla a soffrire per una decina d’anni.
«Siete qui per diventare la difesa fra la follia di quelle bestie e la civiltà, e quando si combatte contro la follia bisogna essere fermi nelle proprie convinzioni e nelle proprie conoscenze. La nostra è la società del Ferro, noi siamo la Corporazione più importante, la prima a essere fondata, e voi siete i futuri guerrieri di Ferro della Gardena. All’Iniziazione dovrete portare onore alla vostra Accademia più di tutti gli altri. Perché questa è l’Accademia della Spada.»
Anche se chiunque poteva diventare un guerriero di Ferro, quella specifica Accademia era riservata ai comandanti di domani, ai soldati d’élite, era il posto dove le famiglie più importanti mandavano i figli che non avrebbero ereditato granché, per trasformarli in valenti condottieri contro la piaga delle fate sui confini e nelle Corti dei loro boschi. Oltre che un onore era anche un lavoro molto redditizio.
Tuttavia non si accedeva a quell’Accademia senza una carica importante nelle Corporazioni o una gigantesca fortuna. In questo era una sorta di eccezione, era entrato sotto raccomandazione del rettore, che non era un evento così raro quando si parlava di persone ricche senza un titolo; lui però non era neanche ricco, era un nessuno bello e buono cresciuto in una famiglia sgangherata.
Pochi anni per compensare la mancanza di studi ed educazione, per recuperare libri, un istitutore privato, il tutto in parte pagato dallo stesso rettore, in parte da sua madre. Aveva frequentato la scuola nel suo quartiere negli anni, ma a parte leggere, scrivere e fare di conto non aveva mai imparato molto altro.
Conosceva e percepiva l’abissale differenza fra lui e gli altri cadetti, le loro maniere, la loro educazione, la cultura. La sua scrittura era molto storta, il suo lessico più limitato, faticava a tenere una certa concentrazione nelle lezioni teoriche ed era lento a leggere. La maggior parte del tempo se ne stava in silenzio, sperando che non notassero troppo quella lieve inclinazione dialettale–popolana che non aveva mai perso.
«Reed giusto? Non ti ho ancora visto lottare, porta le tue chiappe sul ring, cadetto, vediamo cos’hai imparato in queste prime settimane.»
Kieran perse un battito quando venne chiamato e i suoi pensieri si interruppero. Gli altri cadetti si voltarono a guardarlo e sentì subito le orecchie andargli a fuoco.
Gli arrivò un colpo sul collo da qualche cadetto e sussultò.
«Dai Reed, facci vedere!»
I cadetti lo spinsero avanti con fare goliardico, gli arrivarono prese in giro, mezze frasi d’incoraggiamento un po’ scherzose e qualche commento più crudele.
«Vaukhram, anche tu, sul ring.»
Oh merda.
I suoi occhi saettarono sull’avversario con un moto di eccitazione e paura.
Silas era intento a stiracchiarsi le braccia e non lo guardava nemmeno. Aveva finito di avvolgere le bende intorno alle mani e si era legato la treccia nera in un cipollotto arrotolato. Indossava soltanto una tuta verde militare come tutti loro. La sua corporatura con gli abiti appariva piuttosto slanciata, allampanata forse. Aveva un corpo strano, si notava la presenza di sangue fatato, era magro e i suoi arti ricordavano quasi i rami di un tronco, i muscoli intrecciati sotto erano forti, ma diversi da quelli umani.
Aveva anche alcune zigrinature pallide che gli sbucavano dalla schiena. Non lo aveva mai visto a torso nudo, ma ipotizzava che fossero come le zigrinature del manto di un animale o delle ali di una farfalla, molti Sanguemisto avevano piccoli elementi che li distinguevano, a volte delle scaglie sul collo o le ciglia che sembravano petali o le dita palmate.
Kieran però si sentiva molto sgraziato vicino a lui, era più robusto, per non dire paffuto, ed erano alti quasi uguali, ma Silas lo superava appena, anche se non era di certo quello il problema al momento.
Silas non aveva mai perso quegli incontri. Quello era il problema.
Le risatine erano già troppo rumorose per i suoi gusti e ci fu persino un fischio prima che il maestro richiamasse tutti all’ordine.
«Vaukhram rimandalo a casa dalle sue capre.»
Entrarono nel piccolo campo rialzato, accolti dalla voce del maestro. Non era un vero e proprio ring visto che non si trattava di boxe. Era un genere di combattimento corpo a corpo volto a sopravvivere contro esseri agili e potenti, era fatto di prese, colpi frastornati e rapidità. La strategia migliore era intrappolare una creatura fatata. In realtà era meglio evitare lo scontro disarmato contro chiunque sapesse usare la magia, ma dovevano essere preparati a ogni evenienza.
«Ricordate: è un’esercitazione, ma prendetela seriamente. Soprattutto tu Vaukhram. Niente cazzate.»
Questo annuì. «La prendo sempre seriamente» rispose, quasi offeso, ma con un sorriso che non riusciva a nascondere.
Pensa di aver già vinto quest’idiota.
Non sapeva neanche dire se si fosse reso conto di stare per lottare contro il suo compagno di stanza. Era un coinquilino fantasma che si rifiutava di dormire nella sua stessa camera, ma a parte questo non era stato ostile o spocchioso, solo… assente.
«Non trattenerti, Credence. Mi raccomando» gli disse e la sua voce non suonò scherzosa ma molto seria.
Kieran però scelse di vederla come una presa in giro. «Mi chiamo Kieran.»
Gli avrebbe fatto ricordare il suo nome dopo quell’incontro. Era una promessa.
Si sistemarono, mentre intorno i cadetti si lasciavano andare a commenti poco lusinghieri su di lui, tifavano tutti per il Sanguemisto e a quanto gli aveva spiegato il rettore, era la norma. Considerata la rarità di Sanguemisto del suo calibro e la potenza della sua famiglia, quella popolarità aveva senso.
Kieran però poteva dirgli come lavare le macchie d’inchiostro, che non era cosa da poco.
«Interromperò quando lo riterrò opportuno» commentò il maestro e guardò preoccupato Kieran, «se non ce la fate più, ditelo e battete terra» e continuò a osservarlo con insistenza.
Anche Silas ora lo guardava, ma appariva distratto, stava pensando ad altro, non lo percepiva come una minaccia.
Si crede davvero migliore di me questo stronzo.
Gli salì un inspiegabile fastidio. Quella gente poteva essere migliore di lui sotto tanti aspetti, ma non accettava di essere sottovalutato a quel modo. Non dopo tutto l’impegno che ci aveva messo.
Silas si mosse prima che i suoi occhi potessero vederlo, rapido come un’anguilla. Lo prese lateralmente con un calcio nel fianco e tentò di saltargli sulla schiena per immobilizzarlo. Kieran cercò di reagire, ma non fece a tempo. Il braccio di Silas si strinse intorno al suo collo e lo tirò indietro con forza, bloccandogli la gola. Era più alto di lui, dunque non faticò a sentire il suo respiro accanto all’orecchio. Per essere così agile non avrebbe dovuto avere tutta quella forza.
«Già finita?» commentò divertito un cadetto.
La presa si fece più serrata, voleva fargli perdere i sensi. Kieran però non lo avrebbe permesso. Tirò una gomitata con forza nel suo fianco e poi una capocciata indietro, spaccandogli il naso. Ci fu un verso di sgomento quando Silas si portò le dita al viso per fermare il sangue. Diversi rivoli gli erano colati fra le labbra, a intaccare il sorriso sorpreso.
Kieran aveva il fiatone e raggelò, conscio all’improvviso di quello che aveva appena fatto.
«Ma dai, il ragazzo di campagna sa difendersi» commentò Silas e il suo sguardo perse quella foschia di distrazione e si concentrò su di lui.
Si pulì il naso sanguinante col polso, gli occhi lacrimavano per il dolore, ma apparivano determinati.
In quel momento gli sembrava di essere tornato nel Buco, quando con i suoi amici correva per i vicoli scappando dai ragazzi più grandi che uscivano dalle fabbriche.
Forse il suo sguardo tradì quei ricordi, perché Silas perse il sorriso e assottigliò le labbra. Strinse i pugni e gli girò intorno come un lupo: aveva capito di dover fare sul serio.
Era sceso il silenzio, gli altri cadetti trattenevano il fiato, non si erano aspettati che Kieran potesse tenergli testa e già sentiva mormorii contrariati per come gli aveva spaccato il naso.
«Ha ferito un Sanguemisto appartenente ai Vaukhram, andranno su tutte le furie.»
Silas si asciugò di nuovo il naso con la maglia «Non li ascoltare, non lo faranno» replicò serio.
Al che si scagliò contro Kieran; il suo approccio fu più cauto e preciso, ma stavolta Kieran era pronto. Incassò il pugno in viso e avvertì il sangue invadergli la bocca, riuscì però ad afferrargli il polso prima del secondo colpo. Lo girò su sé stesso come una trottola e frappose una gamba fra le sue per farlo cadere a terra. Funzionò e non appena Silas toccò il pavimento, lo bloccò sotto il suo corpo tenendolo dal collo.
Silas tentò di districarsi con l’agilità, poi provò con la forza bruta e infine assestandogli dei colpi. Kieran non si mosse nonostante il dolore, continuò a schiacciarlo finché il maestro non decretò la fine della simulazione. A quel punto si tolse e Silas si rigirò con uno scatto, gli occhi che emanavano scintille. Provò ad offrirgli una mano, ma la ignorò.
«Il vincitore è Reed» mormorò il maestro, piuttosto stupito, «c-complimenti Reed. Avete visto come lo ha intrappolato a terra? È fondamentale bloccare l’avversario in modo che non possa muoversi o usare la magia, e bisogna essere rapidi».
Silas si rialzò in piedi, il naso che aveva ripreso a sanguinare. Non gli toglieva gli occhi di dosso.
Gli altri cadetti erano nervosi, non sapevano se congratularsi o farsi gli affari propri.
Qualcuno gli disse un laconico “bella lotta”, che era il massimo di complimento che uno come lui potesse ottenere. E in realtà gli bastava per essere felice.
«Grazie» rispose accennando un sorriso stupito, «vado a sciacquarmi».
Aveva il labbro spaccato dal pugno. Il cuore gli batteva a mille e non riusciva a calmarlo, a malapena sentiva i suoni intorno a sé.
Raggiunse i bagni, dove le tubature arrugginite si dipanavano sul soffitto, portando acqua fredda. Gli scaffali erano pieni di teli per pulirsi e alcune panche di legno erano alternate da piccole poltroncine.
Aprì uno dei rubinetti d’ottone e si sciacquò il viso. Alzò la maglia e notò che alcuni lividi si erano formati sull’addome.
Certo che colpisce forte.
Malgrado tutto, lo specchio gli restituì un mezzo sorriso gongolante. Aveva sconfitto Silas Vaukhram, aveva sconfitto il migliore dei nuovi cadetti, se non di tutti i cadetti.
Voleva esultare, l’adrenalina non sembrava intenzionata ad abbandonare il suo corpo.
«Reed.»
Si voltò e si trovò davanti Silas. Si stava sfilando la canottiera sporca di sangue, i capelli scompigliati sfuggiti alla treccia.
Kieran non riuscì a trattenersi e guardò per un attimo la pelle scura del petto, gli addominali appena accennati e una cicatrice più chiara sul fianco. Le zigrinature finivano sulle spalle, senza continuare sul torace. Era impossibile non guardarlo, anche solo di sottecchi; sapeva che molte persone morivano a causa delle fate dopo averle seguite spontaneamente nei boschi, ma per qualche motivo era difficile distogliere lo sguardo. Non si trattava di bellezza, era come volersi sporgere a tutti i costi a guardare dentro un pozzo scuro, sperare di cogliere qualcosa di spaventoso.
«Mi dispiace per il naso» mormorò Kieran.
Gli si avvicinò con una certa aggressività. Kieran si accorse che aveva gli occhi umidi sopra il naso violaceo. «Facevi tutto l’inetto campagnolo, ci ero cascato pure io! Goditi il tuo colpo di fortuna.»
Era troppo vicino, riusciva a vedere i riflessi chiari dei suoi occhi violetti. «Non è molto sportivo da parte tua, Vaukhram.»
«Non lo sono con quelli come te.»
«Quelli come me?» domandò indignato.
Silas lo squadrò. «Quelli che imbrogliano. Quelli che recitano.»
Gli rivolse uno sguardo scandalizzato. «Non sai davvero accettare una sconfitta, mingherlino» replicò con uno sbuffo.
Silas gli fece rimangiare l’ultima frase guardandolo dall’alto in basso.
D’accordo, mi disturba che sia più alto di me.
Il suo compagno di stanza sembrava pronto per la rissa, in lui c’era una frustrazione che andava oltre lo scontro che avevano avuto, era come se volesse sfogarsi di qualcosa. Kieran aveva troppo il sangue al cervello per ragionarci con lucidità.
Silas non sembrava credergli. «Continuiamo qui.»
«Levatelo dalla testa, non voglio guai, fammi passare.»
«Hai paura?»
Kieran si asciugò le mani sui pantaloni. «Pensa quello che vuoi.»
Schivò un colpo e indietreggiò, sbatté contro il lavabo e osservò Silas con rabbia. «Se vuoi prenderle di nuovo, accomodati, viziato del cazzo.»
«Allora ce le hai un po’ di palle.»
Si svolse tutto troppo in fretta perché Kieran potesse pensare a una strategia. Si scontrarono con molta meno correttezza del ring. Kieran era più grosso di lui, ma ciò non impedì a Silas di sorridergli con rabbia e di sfuggire alla sua presa con un calcio fra le gambe.
«Giochi sporco» ringhiò, mentre si accasciava sulle ginocchia.
Silas colse quel momento per gettarlo a terra e salirgli sopra, ma intervenne il maestro a dividerli aiutato dai cadetti. Kieran venne tirato indietro da due braccia mentre un coro di commenti riempiva lo spogliatoio.
Mentre era ancora stordito arrivò la strigliata del maestro, che gli afferrò la maglia a pugno chiuso.
«Domani pulirai le stalle da cima a fondo razza di esaltato, vediamo se ti viene ancora voglia di comportarti come un selvaggio.»
Sbatté le palpebre, stordito, e realizzò che il maestro si stava rivolgendo soltanto a lui.
Silas non era stato punito, sebbene la colpa fosse sua.
Gli venne da ridere.
Se l’era cercata per essere stato un idiota. Sapeva come funzionavano le cose, sapeva che perdeva in partenza contro queste persone, doveva starsene buono e per i fatti propri; invece, aveva ceduto alla rabbia e all’orgoglio come un moccioso.
«Mi sono spiegato, cadetto?»
Il maestro lo strattonò per la maglia. Kieran lanciò un’occhiata per cercare Silas, ma doveva essersene andato.
«Sissignore.»
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La sera in camera Silas non c’era, ne era rimasto sollevato, la situazione era troppo spinosa e non voleva rimanere solo con lui. Soprattutto perché aveva una gran voglia di spaccargli la faccia e questo sarebbe stato controproducente.
Silas non rientrò tutta la notte, non che fosse una novità, era risaputo che avesse comportamenti discutibili, forse era andato a leccarsi le ferite da qualcuno e a farsi consolare per la cocente sconfitta. Avrei vinto anche la rissa se non fossero intervenuti. Pensò altezzoso, ignorando le fitte al fianco per i colpi ricevuti.
Non rientrò neanche la mattina, ma lui d’altronde fu costretto ad alzarsi prima dell’alba per la sua punizione, i lividi erano peggiorati e il labbro si era gonfiato. Era da un po’ che non si svegliava così di malumore.
Raggiunse le stalle dopo che il capo maggiordomo gli aveva consegnato secchio e vanga per adempiere alla sua punizione.
A bruciargli di più era l’aver perso il controllo, aveva promesso al rettore di essere razionale, gli aveva detto di poter sopportare ogni angheria con freddezza. Non gli piaceva cedere alla rabbia così.
E se Silas Vaukhram si fosse vendicato?
Magari voleva fargliela pagare, Kieran non aveva qualcuno alle spalle che potesse aiutarlo. Il pensiero lo nauseava, se avesse sprecato quest’occasione non si sarebbe mai perdonato.
Rimase imbambolato sull’ingresso della stalla a vedere la persona che aveva davanti.
Silas non aveva un aspetto migliore di lui, con il naso fasciato e pesto, gli occhi rossi dal sonno e i capelli neri spettinati. Per una volta sembrava in tutto e per tutto un sedicenne, uno molto irritato per l’alzataccia.
Ma certo, era venuto a gongolare, gongolare per aver fatto punire solo lui. Era un meschino e un viziato, ne aveva visti di abusi di potere, ma questo gli mandava il sangue al cervello.
Prima che potesse strozzarlo, Silas gli prese la vanga dalle mani e aprì la stalla con uno sbadiglio.
«Sei ancora nel mondo dei sogni? Finiremo di pulire fra una settimana se continui a dormire in piedi. E io che pensavo che i contadini si svegliassero col buio tutti i giorni.»
Era ancora frastornato da ciò che stava avvenendo, ma rispose in automatico: «non sono un contadino. Che ci fai qui?».
Non lo guardò. «Dobbiamo pulire la stalla, no?»
Kieran non chiese altro. Il suo umore era un po’ migliorato.
L’odore acre di letame non sembrava disturbare i cavalli stanziati nei box, tutti ben curati e puliti. Sbuffavano di tanto in tanto, scacciando le mosche con la coda.
Kieran era abbastanza intimidito dai cavalli all’inizio, era raro che qualcuno li usasse in città. Qualche carota e zuccherino dopo era riuscito ad ammansire a sufficienza il suo da non essere disarcionato seduta stante.
Gli si avvicinò e gli diede qualche carezza sul collo, lo aveva spazzolato pochi giorni prima.
«Come va, Cherry?»
Negli ultimi tempi era migliorato e gli piaceva l’equitazione. Le fate non permettevano a vaporette o mezzi di trasporto meccanici di entrare nei loro territori, dunque l’unico modo per muoversi all’interno delle loro zone senza provocare conflitti era a cavallo. I guerrieri di Ferro non potevano esimersi dall’imparare a cavalcare.
Silas poggiò i secchi d’acqua sul portico fuori dalle stalle. Si era fermato a salutare il proprio cavallo, uno stallone bianco dall’aria massiccia.
Kieran lo sbirciò e si accorse che Silas parlava al proprio cavallo come se fosse una persona in carne e ossa.
«Poi ti racconto» sussurrò al cavallo con una carezza.
I Sanguemisto sono così strani.
Come se avesse percepito i suoi pensieri, Silas si voltò verso di lui, schivo. A volte con i capelli lunghi sciolti somigliava a una ragazza, ma aveva il corpo troppo affilato per esserlo.
«Sbrighiamoci, io spalo da questa parte tu da quella, poi laviamo il portico.»
«Tu non mi dai ordini» replicò Kieran e prese la vanga.
Silas alzò gli occhi al cielo. «Hai un metodo alternativo da proporre?»
«Uhm no.»
«Bene.»
Iniziarono a pulire di buona lena dopo essersi arrotolati i pantaloni; a parte gli sbuffi dei cavalli e il ronzare delle mosche non c’erano altri rumori, nessuno dei due sembrava intenzionato a parlare. Era appena sorto il sole, le lezioni e gli allenamenti sarebbero cominciati fra due ore.
Kieran rimase in silenzio, immerso nei propri pensieri, si dimenticò quasi del suo compagno di punizione, che invece sembrava più irrequieto.
«Sei forzuto per avere sedici anni» bofonchiò a un certo punto Silas.
Si passò il dorso della mano sul naso fasciato e fece una smorfia.
Kieran alzò lo sguardo, torvo. «È un modo per scusarti di non saper accettare una sconfitta e averci fatto finire in punizione?»
Silas gli rivolse un’occhiataccia, poi sospirò risentito. «Stavi davvero fingendo.»
I raggi bassi del sole pizzicarono i capelli neri di Silas, che avevano un'aria vaporosa quando la luce li avvolgeva. I suoi movimenti erano aggraziati e Kieran seguì con gli occhi le dita affusolate che grattavano il collo.
«Fingendo di fare cosa?»
«Di essere un sempliciotto. Sempre a testa bassa, non emanavi alcuna minacciosità e invece lotti come un forsennato.»
Kieran non sapeva se essere offeso o lusingato. Nel dubbio scelse di essere entrambe le cose.
«Te lo chiedo di nuovo: è il tuo modo per dirmi che ti dispiace?»
Abbassò lo sguardo. «Forse.»
La risposta era uscita bofonchiata, ma senza alcuna ironia.
Kieran guardò la montagna di letame da togliere di fronte a sé. Non aveva voglia di rendere quella punizione ancora peggiore con un altro litigio. Forse era sufficiente.
«Prima di venire qui ho lavorato in una fabbrica, mi occupavo di trasportare alcuni carichi pesanti.»
Silas fermò la pala e si voltò a guardarlo. «In una fabbrica?»
«Dopo la scuola, ci sono stato solo un anno. Poi ho smesso, mia mamma non voleva, c’erano spesso incidenti.»
Si sentiva osservato e si voltò. Silas di fatto lo stava soppesando senza mostrare imbarazzo, il mento poggiato sulla cima della vanga.
«Dobbiamo sembrarti tutti molto viziati qui dentro.»
Kieran si grattò la nuca. «No, beh ogni tanto, ma anch’io vizierò i miei figli quando sarò ricco» rispose sornione. «Tu piuttosto come fai a vincere sempre?»
Scrollò le spalle. «Ho avuto molti tutori privati e ho subito molti tentativi di rapimento.»
Non capiva se stesse scherzando, ma dal tono si convinse che fosse così.
Voleva chiedere altro, ma distratto com’era rischiò un calcio in piena pancia da un cavallo. Si allontanò dal box e riprese a spalare. La conversazione si interruppe e stavolta desiderò che Silas ricominciasse a parlare. Gli piaceva in realtà ricevere domande.
Si voltò per cambiare box e si ritrovò il Sanguemisto a un palmo dal naso. Indietreggiò impacciato. «Mi hai fatto prendere un colpo, non venirmi così vicino.»
Silas si fermò, imbarazzato. «Scusa, mi dimentico che alle persone può dare fastidio.»
Kieran sapeva che i Sanguemisto potevano avere comportamenti eccentrici a volte e che la loro curiosità era molto più spiccata della maggior parte di umani, ma tendeva a dimenticare che il suo compagno di stanza fosse per metà fatato.
«Non fa niente, ma non farlo di soppiatto» bofonchiò.
Silas lo guardava con la testa inclinata, i capelli neri che pendevano da un lato. «Tu sei stato raccomandato dal rettore, giusto?»
Prese la maglia con un gesto stanco e la scosse per farci entrare un po’ d’aria fresca; iniziava a sudare.
Sbaglio o Silas si sta dando molto meno da fare di me? Rifletté imbronciato.
Gli rimise la vanga in mano con fare stizzito e Silas tornò a concentrarsi sul letame. Sembrava distrarsi con facilità. «Allora?» lo incalzò.
«Sì, il rettore è la persona che ha garantito per me e ha pagato alcuni tutori prima che venissi qui. È il mio benefattore e gli devo tutto.»
«Ho sentito che ha combattuto contro la comandante dei terroristi, Cavana.»
Kieran all’improvviso era su di giri. «Sì! È con lei che si è procurato la cicatrice. Sai che è il guerriero di Ferro più giovane nella storia ad aver abbattuto una fata? Aveva solo quattordici anni! Dicono che diventerà il nuovo Feldmaresciallo.»
Silas aggrottò le sopracciglia. «Philip il Temerario aveva quasi la stessa età, secondo me avrebbe potuto batterlo.»
Iniziarono a rimbeccarsi e a creare scontri immaginari fra il Temerario e il rettore, ciascuno difendendo il proprio eroe.
Non trovarono un vero vincitore alla sfida, ma le chiacchiere li tennero impegnati per tutta l'ora successiva. Kieran non aveva mai parlato tanto da quando era lì o forse da mai. La mattinata penetrò nella stalla con il suo sole intirizzito e i cinguettii delle capinere. Si ritrovò a ridere quando Silas scivolò a terra e ficcò una mano nel letame per non cadere.
Finirono di spalare e iniziarono a sciacquare il portico d’ingresso. Si pulirono gli stivali, anche se entrambi emanavano un odore poco piacevole.
«Sai, se ti infastidisce avermi come compagno di stanza, puoi chiedere un cambio.»
Kieran non poté fare a meno di dirlo. Si detestò per il tono lamentoso, ma lo pensava davvero e non poteva rimanere zitto.
Erano sul portico di fronte la stalla, dentro un riquadro di luce solare; l’aria era ancora pungente e gli pizzicava le guance.
Silas scoppiò a ridere. «Non è per te che dormo fuori» rispose divertito. Poi corrugò la fronte, incerto, «di notte mentre dormo rilascio inconsciamente la mia magia, un pizzico almeno. Man mano che imparerai a percepire la presenza di magia fatata con l’addestramento ti darà fastidio, potrebbe tenerti sveglio per ore».
Kieran gli rivolse uno sguardo sbigottito.
«Sono comunque per metà una fata e qui dentro impariamo a ucciderle le fate. Non era niente di personale.»
Stava forse dicendo che si era preoccupato per… il suo sonno? Aveva pensato a non disturbarlo?
Kieran impiegò poco a sentirsi un vero idiota.
Guardò il secchio pieno d’acqua, non sapendo bene come reagire. Non era abituato lì dentro alle premure.
Alzò piano gli occhi su Silas, che appariva in difficoltà. Per la prima volta pensò che il suo sguardo fosse gentile e non affilato, malgrado il volto senz’età e l’atteggiamento sempre sarcastico e sicuro di sé.
«A me va bene, non mi dà fastidio. È anche la tua camera.»
«Sì, ma…»
Lo zittì con un gesto. «Se mi sveglio è un problema mio in caso, non tuo. Sottovaluti il mio sonno, io dormo come un sasso.»
Silas rabbrividì appena per la brezza fredda che contrastò il calore del sole che li investiva in pieno; si erano affacciati grossi nuvoloni lontani, il sole spariva e riappariva di continuo. Colse l’occasione per distogliere lo sguardo. «Se va bene a te, suppongo vada bene anche a me.»
Stavolta fu Kieran a ridere e gli cinse il collo con un braccio. «Ti serviva il mio permesso, Vauk?»
Parve stupito da quel gesto e dal nomignolo, ma gli sorrise.
«Oh chiudi il becco, Reed, sono un gentiluomo io. E lasciami!»
Mentre si azzuffavano ridendo, il cane del guardaporta si fermò vicino a loro, la coda monca che scodinzolava e la lingua lunga penzoloni.
Kieran si chinò ad accarezzarlo e lo seguì quasi subito Silas che grattò le orecchie del bastardino.
«Questo cane ha le pulci e le zecche. Lo tiene in condizioni pietose. Vengo spesso a dargli da mangiare.»
Kieran ripensò a sua madre, che lasciava spesso gli avanzi per i gatti del quartiere. «La prossima volta vengo anch’io.»
Il cane si godeva le carezze nel frattempo, seduto fra loro due.
Silas si guardò attorno circospetto, poi sollevò appena una delle bende sul naso e grattò la pelle finché un rivolo di sangue non colò lungo la bocca. La afferrò con un dito e la poggiò sul muso del cane. Recitò il verso di una ballata oscena che parlava dei capelli sporchi di una dama bellissima, e il pelo del cane per un attimo fu lucente. Si sgrullò e caddero alcuni esserini morti.
Kieran era senza parole. «Cos’hai fatto?»
«Un incantesimo di protezione. Non durerà a lungo purtroppo.»
«La magia può fare anche cose del genere?»
Silas si parò la faccia dalle leccate del cane; l'animale sembrava percepire la magia da lui e appariva euforico.
«La magia può fare tantissime cose, questo è facile» rispose con un sorriso beffardo.
Osservò il rivolo di sangue. «Hai sempre bisogno del sangue per lanciare una magia?»
Si pulì il viso con la manica della camicia. «Man mano che diventerò più bravo non mi servirà, imparerò a usare tutto il mio corpo. Il sangue, le ossa e gli organi sono le parti più pregne di magia di una fata e di un Sanguemisto, quindi per ora mi risulta più facile se uso il mio sangue.»
Kieran era rapito da quelle spiegazioni, sembrava incredibile poter fare qualcosa del genere. «Allora se mi prendo i pidocchi chiedo a te.»
«Ti rasi i capelli di nuovo come tutti, genio.»
«E perché tu non li hai rasati?»
Si arricciò una ciocca intorno al dito. «Perché anche i miei capelli sono magici, non posso tagliarli troppo» e nel dirlo l’espressione s’incupì appena, ma fu solo per un istante.
Dimenticava che i Sanguemisto erano soggetti a regole rigide come quella da parte dei loro tutori. Il loro corpo era prezioso e anche quando godevano di una certa libertà, dovevano comunque rispettare alcune norme.
Kieran allungò le dita e prese la ciocca delicatamente, mentre Silas lo osservava interdetto.
Guardò i capelli da vicino: erano sottili e nerissimi. «Sono solo capelli e sono tuoi, se ti va li tagli e basta» e lasciò la ciocca. Rovesciò la testa indietro e socchiuse gli occhi quando il sole fece capolino dalle nuvole.
Silas non lo stava guardando e sembrava evitare il suo sguardo. I capelli gli erano ricaduti sopra l’orecchio a punta.
Kieran riaprì gli occhi quando il sole venne inghiottito di nuovo dalle nuvole. Si voltò a guardare Silas che stava carezzando ancora il cane.
Mh? Che strano.
Gli venne da sorridere.
In quel momento non si sentiva così fuori posto.